“Il corpo è fatto di cinque elementi, ed è destinato a perire prima o poi,
ma Colui che lo abita non ha nascita né morte;
Egli non ha alcun attaccamento ed è il Testimone Eterno.
In verità, l’Abitante, che è la forma dell’Âtma, è effettivamente Dio Stesso.”
L’Abitante (Dehin) non ha legami; a Lui ci si riferisce anche con i nomi di Âtma o Brahman.
Dio non ha nome né forma
Incarnazioni dell’Amore!
La gente adora Dio in molti modi e acquisisce fede in Lui, ma Egli non ha alcun nome o forma. Dio è Uno e soltanto Uno, eppure le persone Lo chiamano con molti Nomi come Râma, Krishna, Allah, Gesù ecc. Queste sono fantasie personali, ma Egli non ha alcun nome particolare. Dio è Uno.
Ekam sat viprâ bahudhâ vadanti
La Verità è una, ma il saggio vi si riferisce con nomi vari.
All’unico Dio ci si riferisce e Lo si adora con Forme e Nomi disparati; queste Forme attribuiteGli sono il risultato della propria immaginazione e di come viene raffigurato su certe pitture. In effetti, nessuno ha mai visto Dio: Egli si manifesta nella forma in cui Lo si contempla. Dio è uno, non due! Gli individui si riferiscono a se stessi come “io, io, io”; questo io è relativo all’ego individuale nato dall’attaccamento al corpo. Quando lo si elimina si diventa il Dehin, l’Abitante. Voi diventate Dio davvero. La Divinità trascende il Nome e la Forma. Da tempi immemorabili, la gente contempla, adora, serve e desidera questa Divinità trascendente.
Il vizio del gioco
Le persone hanno molti desideri in questo mondo materiale. L’imperatore Dharmarâja aveva un desiderio solo: i dadi. Egli amava molto questo gioco e i Kaurava avevano notato questa sua debolezza, per cui pensarono di sfruttarla tendendogli una trappola. Il loro zio materno, Sakuni, li istigò e consigliò: “Andate a invitare Dharmarâja a una partita a dadi.” Egli ne era esperto e poteva sconfiggere l’avversario barando. Duryodhana e i suoi fratelli erano da una parte e l’imperatore dall’altra. I dadi usati in questa partita erano truccati per assicurare la vittoria e, come risultato, Dharmarâja perse tutte le tornate, perse l’impero, i suoi fratelli, se stesso e anche Draupadî. I Kaurava presero possesso del suo impero e il controllo dei fratelli di Dharmarâja e della moglie, trascinandola alla corte reale; qui ella chiese agli onorevoli membri e anziani dell’assemblea se Dharmarâja avesse scommesso se stesso e poi l’avesse persa o viceversa. Se egli aveva scommesso prima se stesso e aveva perduto, non aveva il diritto di scommettere Draupadî e, inoltre, ella non era soltanto moglie di Dharmarâja, ma di tutti e cinque i fratelli. Avevano essi dato il loro consenso a che “Pañchâlî” (la moglie dei cinque fratelli, cioè Draupadî) fosse scommessa in questa partita a dadi? Nessuno in quella augusta assemblea ebbe il coraggio di rispondere alle questioni sottili sollevate da Draupadî; essi non aprirono bocca.
Un arciere bravissimo
Quando era giovane, Dronâchârya andò un giorno dal Drupada (re dei Pañchâla) per chiedergli in dono una mucca. Avendo il re rifiutato di regalargliela, egli si arrabbiò e lasciò Pâñchâlâ (nome del territorio dei Pañchâla) con tutti i suoi possedimenti, con la moglie e i figli. Mentre camminava verso Hastinâpura, incontrò i figli dei Pândava e dei Kaurava che giocavano in un campo vicino a un pozzo attorno al quale si erano accalcati. Egli si avvicinò e chiese: “Miei cari bambini, qual è il problema? Perché state tutti così intorno al pozzo? Che cosa è accaduto?” I piccoli risposero all’unisono: “Swami, la nostra palla è caduta lì dentro.” “Non preoccupatevi, la tirerò fuori io”, li rassicurò lui e, così dicendo, incoccò una freccia e la tirò alla palla. Poi ne tirò un’altra che si conficcò nella prima e, in questo modo, lanciò un bel numero di frecce che si conficcarono una dietro l’altra formando una specie di palo che gli permise di recuperare la palla e darla a loro; vista questa prodezza meravigliosa, essi si prostrarono davanti a lui, comprendendo di aver finalmente trovato qualcuno esperto nel tiro con l’arco e andarono poi a raccontarlo a Bhîshma, il quale assunse Dronâchârya come istruttore dei Kaurava e dei Pândava. Tra di loro, Arjuna divenne ben presto molto abile con l’arco conquistandosi l’affetto e l’ammirazione del Guru Dronâchârya. In effetti, egli rese orgoglioso e famoso il Guru con la sua abilità.
Il carattere sublime di Draupadî
Questo fece ingelosire Ashvatthâman, il figlio di Dronâchârya che, da allora, cominciò a nutrire dell’astio per i Pândava, specialmente per Arjuna. Una notte, durante la guerra, egli entrò furtivamente nel loro campo e, col favore delle tenebre, massacrò senza pietà i loro bambini (gli Upapândava). Quando stava per fuggire, fu scoperto da Arjuna che lo portò davanti a Draupadî, la quale, invece di adirarsi e maledire il malfattore sentenziando la sua punizione, cadde ai piedi di lui, figlio del Guru veneratissimo dei suoi mariti, dicendo:
“È ai piedi di tuo padre Dronâchârya che i miei mariti hanno imparato tutto ciò che sanno; essendo suo figlio, è giusto che tu abbia ucciso i miei bambini innocenti?
Come hai avuto il coraggio di ammazzare loro che erano indifesi, giovani, tranquillamente addormentati, che non avevano nessuna inimicizia verso di te e non pensavano di farti del male?”
Bhîma non poté sopportare la vista di Draupadî che supplicava Ashvatthâman e, esplodendo di rabbia, gridò:
“Questa Draupadî è una donna sciocca perché implora la salvezza di questo miserabile.
Ella non prova ira contro l’uccisore dei suoi figli. Questo assassino non è un bramino;
non lo liberate: ammazzatelo. Se non lo fate, lo ucciderò io stesso con il mio pugno possente.”
Ashvatthâman tremava di paura e si sentiva perduto. Folle di rabbia, Arjuna stava per assalirlo. Allora Draupadî alzò le mani implorando:
“O Phalaguna! Non è giusto uccidere una persona che ha paura
e ha perso il coraggio, che dorme o è ubriaca,
che cerca rifugio o è una donna.
Non devi uccidere Ashvatthâman
perché è il figlio del tuo precettore.”
Ella si gettò ai suoi piedi e gli fece questo ragionamento: “Arjuna, rivivranno i miei figli con la morte di Ashvatthâman? Sua madre proverebbe lo stesso dolore che ora io sto subendo. Avendo studiato i Veda e le Shâstra, com’è che non sei capace di mantenere la tua tranquillità?” Poi lo implorò di perdonare Ashvatthâman per il suo atto nefando. Arjuna rispose: “Tu mi stai impedendo di mantenere il mio voto”, e Draupadî replicò: “Radergli i capelli e togliergli il gioiello dall’acconciatura è come ucciderlo.” Arjuna acconsentì alla sua preghiera e, come segno di punizione, gli rase i capelli, gli tolse il gioiello dal capo e lo liberò. “Recriminare sul passato non serve; il passato è passato, dimenticalo”, fu il consiglio che Draupadî dette ad Arjuna; egli acconsentì e controllò la sua emozione. Proprio ora, un economista che ha partecipato alla conferenza ha citato il tema “Etica e Finanza”; Arjuna seguì l’etica e risparmiò la vita ad Ashvatthâman dimenticando la perdita degli Upapândava. Risparmiare la vita a un essere umano vale molto più che accumulare ricchezza. Nel Mahâbhârata e nel Bhâgavata si trovano numerosi esempi di nobili azioni simili a questa e ci sono molte donne virtuose come Draupadî; ella aveva mente aperta e carattere nobile. È soltanto grazie a donne simili che il Paese di Bhârat ha fatto grandi progressi di era in era e ottenuto la posizione preminente di oggi.
La tolleranza
Sfortunatamente, i Bhâratîya hanno dimenticato il loro passato glorioso; ora sono come possenti elefanti inconsapevoli della loro forza innata. Nella terra estremamente sacra di Bhârat, la tolleranza è l’eccelsa qualità del nostro carattere. Qual è la vera bellezza di un essere umano? Non è quella del corpo fisico; è la qualità della tolleranza che dona vera bellezza a un individuo. La nostra cultura di Bhârat ha dato la massima importanza alla qualità della tolleranza; questa è stata, da ere, la nostra tradizione. Per questo, bisogna sostenere la propria tradizione ricca di purezza e tolleranza. Un Bhâratîya vero è uno che protegge queste due qualità, e non è un essere umano che manca di moralità. Il denaro viene e va, mentre la moralità viene e cresce; quindi, si deve proteggere la propria moralità; questa è la vera qualità di un Bhâratîya e soltanto chi è dotato di un carattere nobile è idoneo a esser chiamato così. Come un elefante non è consapevole della sua forza innata e, mite, si sottomette ai comandi del mahout (conduttore di elefanti), i Bhâratîya di oggigiorno dimenticano la loro forza e purezza innate e imitano la cultura occidentale. Nonostante siano dotati di grande forza e conoscano profondamente i Veda, le Upanishad e le Scritture, vanno scimmiottando la cultura occidentale dimenticando la loro stessa grandezza; questo non si addice al popolo di una nazione così grande. Voi dovete rendervi conto della grandezza della vostra cultura e seguire la coscienza. Disgraziatamente, oggi le persone non seguono la loro coscienza; questo non per ignoranza, ma per ingenuità. Se continuate a imitare la cultura occidentale, la vostra forza gradualmente diminuirà; quindi, non imitate gli altri e siate moderati.
La moderazione
Il leone, ad esempio, aggredisce un animale soltanto quando è affamato, non va uccidendo tutti quelli che incontra, per cui anche una bestia selvaggia come un leone ha la capacità di limitarsi; è quindi necessario che ogni essere umano osservi la moderazione e certi limiti. Ego, ira e desideri illimitati vi porteranno fuori strada; voi dovete distogliere la mente da una situazione simile e seguire il cammino nobile, in modo da non far danno agli altri né soffrire nel farlo. Non usate la forza e il potere indiscriminatamente. Oggi si vedono i bambini godere di libertà incontrollata; la libertà è certamente un bene ed è giusto concederla, ma entro certi limiti. Soltanto così essa acquista valore. Cercar di ammassare ricchezze ed essere esageratamente brillanti vi porrà soltanto in pericolo. Voi avete sicuramente visto sui giornali come l’America si sia messa a sperperare quantità colossali di denaro e di risorse nel far guerra all’Iran, all’Iraq e ad altre nazioni. Che cosa ci ha guadagnato? Oggi l’economia americana è in crisi e nel Paese c’è recessione: questo è dovuto all’uso improprio delle risorse. Prendete ad esempio il Signore Îshvara: Egli è potente in modo assoluto, eppure usa il Suo potere onnipervadente soltanto per quanto è necessario, non indiscriminatamente. Bisogna emulare questo esempio e fare un uso corretto della propria forza e delle proprie risorse solamente per quanto serve. Non sprecate i pensieri perché questo rende la mente agitata e vacillante.
(Swami mostra il Suo fazzoletto – N.d.T.) Che cos’è questo? È un pezzo di stoffa. No, non è una stoffa; è un intrico di fili, e neppure fili: è soltanto del cotone; senza cotone, non può esserci filo e senza filo non può esserci alcuna stoffa. Similmente, la mente non è altro che un intrico di pensieri, per cui tenete i pensieri sotto controllo. Anche la ricchezza che acquisite e il cibo che ingerite devono rimanere entro certi limiti. Il cibo è Dio; non sprecatelo. Aiutate gli altri; non danneggiateli mai.
“Aiuta sempre, non ferire mai.”
Queste sono alcune delle linee guida che dovete seguire per un vivere fecondo.
È benedetto colui che si comporta in modo da non ferire gli altri né rimanere ferito nel farlo. Dovete acquisire queste abilità che non sono disponibili nei libri di testo.
Il controllo dei pensieri
Tenete d’occhio i pensieri e badate bene che non deviino. Ogni volta che un pensiero sorge nella mente, analizzatelo: “È buono o cattivo?” Se lo sentite cattivo, non permettetegli di restare: lasciatelo passar via. Se è un pensiero buono, mettetelo in pratica in modo che sia di beneficio per voi e per gli altri. Durante la conferenza tenuta ieri e oggi, sono state approvate delle linee guida per il buon funzionamento delle banche in tutto il Paese. Dovere fare ogni azione con lo spirito di migliorarvi. Non pensate che state servendo l’Organizzazione; pensate piuttosto che state servendo voi stessi con degli sforzi sinceri. Non date assolutamente spazio all’ego né all’orgoglio. Se depositate del denaro, non è la banca a trarne vantaggio, ma voi stessi perché potrete prenderlo soltanto voi; nello stesso modo, trarrete vantaggio dal bene che fate agli altri. Lo fate per avere una vita serena. Per guadagnarvi un buon nome in società, coltivate i tre princìpi:
Amore per Dio, timore del peccato e moralità nella società.
Se promovete la moralità nella società, la gente si raccoglierà intorno a voi trattandovi come una persona buona. Prima di tutto, fate nascere dentro di voi l’amore per Dio e dopo il timore di peccare. Soltanto coltivando questa qualità diverrete una persona di carattere e, se avrete un carattere nobile, la società intera vi amerà, né alcuno vi odierà. Mantenete un buon carattere e amate tutti. L’Amore è dovunque e Dio è dovunque: quindi amate tutti. Più amate gli altri, più salirà la vostra reputazione nella società; se commettete un errore o perseverate in un’azione malvagia, gli altri cercheranno di imitarvi, per cui siate buoni, fate il bene e vedete il bene: questa è la via verso Dio. Solamente comportandovi in modo simile otterrete un buon nome nella società. Queste cose non potete impararle da un libro di testo, non si tratta di informazione teorica, ma riguarda la purezza di cuore. Voi dovreste acquisire una sacralità simile. Sfortunatamente, ci sono dovunque dei segreti (secrets), ma nessuna sacralità (sacredness) e questo non è bene. Se voi fumate una sigaretta, un vostro amico verrà da voi e dirà: “Ciao! Tu sei un bravo ragazzo; dai una sigaretta anche a me.” Il tuo comportamento sarà come quello della tua compagnia.
“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.”
Se la vostra compagnia è cattiva, voi diverrete una persona cattiva. Se voi siete buoni, altri seguiranno il vostro esempio e diverranno buoni. Oggi accade che molte ditte chiudano le loro attività; quale può esserne la ragione? Se una compagnia segue metodi sbagliati, altre seguiranno quel sistema. È cosa comune che le abitudini riprovevoli si spargano alla svelta e con facilità, per cui dovete stare attenti e impegnarvi affinché accadano cose buone. Non siate impazienti di imitare le cose cattive. La fretta porta lo spreco, lo spreco porta la preoccupazione; quindi non abbiate fretta.
La madre prima di tutti
Cari bambini! Voi siete tutti molto giovani. Cominciate a fare del buon lavoro fin da questa età, siate di esempio per gli altri e fate servizio alla società perché è la società che vi protegge. Ancor prima che cominciate a fare servizio sociale, ci sono quattro persone che dovete riverire e rispettare: la madre, il padre, il precettore e Dio, in quest’ordine. Prima di tutto, molto importante è la madre; fatela contenta. Se vostra madre è serena, tutta la vostra vita sarà serena; se la rendete infelice, soffrirete e quindi fatela essere sempre contenta e soddisfatta. La felicità della madre è la vostra felicità. Ella vi proteggerà sempre; vi ha fatto nascere e vi ha allevati, può rimproverarvi e perfino picchiarvi, quando è arrabbiata con voi, ma la sua collera è soltanto momentanea. Non prendetevela per questo: quella rabbia non durerà a lungo. Rendetevi conto del fatto che l’ira, l’ego, la gelosia ecc. sono fasi temporanee; anche la concupiscenza è momentanea. Esse sono tutte temporanee e quindi vanno e vengono, non sono permanenti. L’Âtma Tattva (il Principio Atmico) è un principio permanente. Fate crescere in voi l’Amore per tutti: Amore, Amore, Amore!
“Ama tutti e servi tutti.”
L’Amore è la vostra unica proprietà che dura per sempre. Niente è più grande dell’Amore, né voi avete bisogno di qualcosa di più grande. Tuffatevi nel servizio col sentimento: “Il servizio è Dio; il servizio è la mia vita.” Il servizio non si deve fare aspettandosi una ricompensa: il denaro viene e va, ma la moralità viene e cresce. Non esaltatevi quando acquisite del denaro, né deprimetevi quando ne perdete; la differenza tra il denaro e la moralità è che il denaro viene e va, mentre la moralità viene e cresce. Cari bambini! Oggi è un giorno molto felice; pregate affinché occasioni come questa si ripresentino dovunque possiate essere.
Dio è il vostro unico rifugio dovunque siate:
in una foresta, in cielo, in una città o in un villaggio,
in cima a una montagna o in mezzo a un mare profondo.
Dio è sempre con voi, sopra di voi, dietro di voi; Egli vi proteggerà sempre. Maturate questa fede certa nel cuore. La grazia di Dio non è transitoria; Egli sarà sempre con voi. Voi siete tutti bambini buoni, Io lo so. Comportatevi sempre da bambini buoni.
Baba ha concluso il Suo Discorso con due bhajan: “Hari bhajan binâ sukha shânti nahin…” e “Subrahmanyam, Subrahmanyam…”
Prashânti Nilayam, 29 agosto 2009,
Sai Kulwant Hall
Conferenza sull’Etica e il Mondo della Finanza
(Tradotto dal testo in inglese pubblicato da: www.sathyasai.org)