“O uomo stolto! Perché cerchi Dio di qua e di là,
se Egli è dentro di te?
Rivolgi la tua attenzione all’interno di te stesso e Lo troverai.”
Incarnazioni dell’Amore!
Siete vittime dell’errata convinzione che Dio sia separato da voi. Per ottenere la visione di Dio, voi seguite diversi sentieri japa, dhyâna, bhajan ecc.). Fino a quando crederete che Dio sia al di fuori di voi, non Lo potrete trovare. Egli è in voi. Sforzatevi di realizzare la Divinità che dimora dentro di voi.
Fuori e dentro il tempio contemporaneamente
Il 20 Ottobre 1940, mentre andavo a scuola dopo esser ritornato da Hampi, la spilla del Mio colletto cadde e non fu più possibile trovarla. La spilla rappresentava i desideri mondani. Essa mi era stata regalata da Narayana Râju, il sovrintendente comunale di Bellary.(Una volta) egli ci portò al tempio di Virûpâksha, a Hampi. Dopo aver raggiunto il tempio, Sheshama Râju (fratello maggiore di Swami – N.d.T.) Mi chiese di dare un’occhiata alle loro cose durante la loro permanenza all’interno del tempio, dove avrebbero avuto il darshan della Deità del luogo. Io acconsentii prontamente e rimasi fuori. Con loro grande sorpresa, dentro il ‘ sancta sanctorum’ trovarono Me, al posto del Signore Virûpâksha. Sheshama Râju non riusciva a credere ai propri occhi, e diceva a se stesso: “Come si è permesso di venire, dopo che Gli avevo ordinato specificatamente di rimanere fuori a guardare la nostra roba?!” Pensava che Io avessi fatto qualcosa di sbagliato entrando nel ‘sancta sanctorum ‘. Uscì immediatamente dal tempio… per trovarMi anche là fuori! Tornò subito dentro, e Io ero anche là. Ciononostante, aveva ancora dei dubbi, e disse a sua moglie: “Esci e tieni d’occhio Sathya; non permetterGli di muoversi. Io tornerò dentro e vedrò se sarà ancora qui.” Ella gli obbedì. Egli entrò e vide nuovamente un Sathya sorridente nel sancta sanctorum Si chiese se quello fosse un sogno, una mera allucinazione… o la realtà.
Baba annuncia la fine dei legami con il mondo e la famiglia
In quei giorni, era di moda indossare una spilla fermacolletto. Narayana Râju Me l’aveva regalata con la preghiera di ricordarMi sempre di lui. Dopo che fummo ritornati da Hampi a Uravakonda, la spilla cadde per strada mentre andavo a scuola, tenendo i libri in una mano. Non fu possibile trovarla. Io non ero affatto dispiaciuto per la sua perdita, ma il Mio atteggiamento esteriore indicava che la stavo cercando ansiosamente. Alcuni ragazzi, che erano dietro di Me, Mi chiesero: “Râju, che cosa stai cercando?” Risposi loro che stavo cercando la spilla. Anch’essi si fermarono a cercarla con Me in quei paraggi. Io risi e dissi: “Dovete andare a scuola; che vi importa della spilla da colletto? Non preoccupatevi.” Essi risposero: “Ti stava così bene addosso!” Uno di questi ragazzi corse fino alla casa di Seshama Râju, e trovò quest’ultimo e Narayana Râju che stavano discutendo proprio dei motivi ai quali andava attribuito il Mio misterioso comportamento. Non appena il ragazzo riferì loro che cosa era successo, corsero fuori verso di Me. Narayana Râju, amorevolmente, Mi mise un braccio attorno alle spalle e Mi chiese: “Mio caro, che cosa stai cercando?” Io risposi: “Sto cercando una cosa.” Egli capì che la Mia risposta nascondeva qualcosa, e disse: “Râju, come puoi cercare qualcosa senza sapere di che cosa si tratta?” A questo punto gli riferii di aver perso la spilla da colletto che Mi aveva regalato. Egli allora esclamò: “Ti darò dieci di quelle spille. Non preoccuparti. Vieni, andiamo a casa!” Quello fu il giorno del cambiamento.
La connessione con i legami del mondo era svanita nella forma della spilla.
Anche il pellegrinaggio a Hampi era servito a questo scopo.
Baba abbandonò la Sua casa, affermando che mâyâ non poteva più legarLo.
“Io posso fare ogni cosa; tutto è nelle Mie Mani”
L’uomo ha due tipi di desideri, mondani e spirituali. Viene detto che l’istruzione mondana è per la vita quaggiù, mentre la conoscenza spirituale è per la vita ‘lassù’. L’uomo, tuttavia, dà importanza solo all’educazione mondana. Cerca sempre la felicità del mondo. Io non sono interessato a questo genere di felicità. Dissi a Narayana Râju che la schiavitù degli attaccamenti mondani era andata persa insieme alla spilla da colletto. Quando venne a sapere di questo episodio, l’ufficiale delle tasse, Hanumantha Rao, venne da Me con la sua macchina e Mi chiese: “Che cosa cerchi, Râju? Ti prego, vieni con me. Ti darò tutto ciò che desideri.” Il suo affetto per Me era intenso. Gli risposi che non cercavo proprio niente. La gente attorno a Me Mi chiedeva: “Stai cercando Dio?” Io rispondevo: “Non c’è bisogno di cercare Dio, perché Egli è dappertutto, né sto cercando una cosa tanto insignificante come una spilla da colletto.”
Fui poi portato a casa di un insegnante di inglese, un certo H.S. Ramana. Mi fu chiesto: “Che cosa vuoi? La spilla, o Dio?” Io dissi loro: “Non ho bisogno di una spilla. Potrei averne quante ne voglio, perché è tutto in Mio potere. Pensate che Io stia cercando Dio? Ma Dio è dappertutto! Non c’è bisogno di cercarLo.” Narayana Râju chiese: “Dov’è Dio? Come Lo possiamo vedere?” In precedenza Gli avevo dato un anello. In quel momento quell’anello sparì dal suo dito, per ricomparire sul Mio. Egli era attonito, e chiese: “Come è potuto accadere?” Gli risposi: “Io posso fare qualunque cosa. È tutto nelle Mie mani.” (Con un movimento ondulatorio della mano, Swami materializza lo stesso anello che aveva dato a Narayana Râju, e lo tiene in alto, affinché tutti i presenti possano vederlo – N.d.T.). A quella vista anche Sheshama Râju rimase esterrefatto. Rinunciò allora a sentirsi il Mio fratello maggiore, e, versando lacrime di gioia e pentimento, Mi chiese: “Mio caro, Tu sai tutto. Tutto è nelle Tue mani. Allora, che cosa cerchi?” Anch’Io non Mi rivolsi a lui come a un fratello, e gli dissi di non esser più vincolato da alcuna relazione mondana (di parentela).
“Chi siete?”
Presi la mano di Narayana Râju e chiesi: “Che cos’è questa?” Egli rispose: “È la mia mano.” Presi la penna dal suo taschino e gli chiesi: “E questa? Che cos’è?” “La mia penna”, rispose. “Voi dite: ‘Questa è la mia mano. Questa è la mia penna, questi sono il mio corpo, la mia mente, i miei sensi ecc.’. Dato che usate l’aggettivo ‘mio’, ne consegue che voi siete diversi da tutte queste cose. Ma allora, chi siete?”, chiesi loro. Tutti si misero a pensare. “Sì, ciò che dice Râju è corretto. Noi diciamo: ‘Questo è mio’,‘quello è mio’, ma non sappiamo chi siamo”. Tutti fecero silenzio. Ammisero di non conoscere la propria vera identità. Dissi loro di esser disceso in forma umana solo per far sì che la gente realizzasse la propria vera identità. L’occhio vede e la mente pensa. (Mostrando l’anello e un fazzoletto, Bhagavân prosegue: – N.d.T.) I vostri occhi vedono questo anello e un fazzoletto. Su quali basi potete chiamarlo ‘anello’? E che cosa fa sì che voi chiamiate questo ‘fazzoletto’? Dite che la mente è alla base di tutto questo. Ma che cos’è la mente? A chi appartiene? Non lo sapete. Voi non sapete ciò che credete di sapere, cioè che si tratta del vostro vero Sé. Sforzatevi di realizzarlo.
Da quel giorno in poi molti ricercatori della Verità cominciarono a farMi visita. Solevano dire: “Râju, ciò che dici è corretto. Ma come possiamo realizzare la nostra vera identità?” La gente cita le Scritture e parla di alta filosofia, ma non ne capisce il vero significato. “Voi dite: ‘Questo è il mio anello, questo è il mio corpo, questo è il mio fazzoletto’, e così via. Ma allora, chi siete voi?”, chiedevo loro. Essi non sapevano rispondere. Cominciai allora a spiegare: “Dovete considerare due aspetti importanti: ciò che viene visto (drishyam) e Colui che vede (Drashta). Yad drishyam tannasyam (tutto ciò che può essere visto è destinato a perire). Quindi, tutto ciò che vedete è solo un’illusione. Voi siete ‘Drashta’ (Colui che vede): questa è la vostra vera identità.”
Ricordi del periodo scolastico
L’insegnante di inglese, H.S. Ramana, era una nobile persona. Per andare a scuola dovevo passare davanti a casa sua. Aveva l’abitudine di star seduto sulla veranda della sua casa. Non appena Mi vedeva, Mi chiamava: “Râju!”, e Mi portava in casa per offrirMi del caffè e dei biscotti. Ma queste cose del mondo non Mi interessavano. Prima lo avevo sempre chiamato ‘signore’, ma, da quel giorno in poi, la relazione mondana insegnante-studente era finita fra noi. Gli ripetevo che tutto ciò che è visibile per mezzo degli occhi è destinato a morire, cioè è ‘drishyam’, e che si deve andare al di là di ciò che si vede, e cercare ‘Drashta’, Colui che vede. Da quel giorno in poi, ovunque andassi e chiunque incontrassi, presi a insegnare questi elevati princìpi. Un giorno, Ramana chiamò Seshama Râju e gli disse: “Sheshama Râju! Non ti dar troppo da fare per capire il comportamento di Sathya. Quel ragazzo si immerge sempre più nei misteri della vita, e non è possibile per nessuno sondare la Sua vera natura. Aspettiamo e vediamo!” Dicendo questo, Mi portò in casa sua e Mi offrì biscotti, caffè, e varie cose da mangiare con grande amore. Pover’uomo! Non capiva che non avevo alcun interesse a queste cose. Non toccavo mai ciò che Mi offriva. Secondo il Mio punto di vista, erano tutte cose mondane, e come tali subivano un continuo cambiamento. Non erano permanenti. Glielo spiegai: “Mi porti tutta questa roba. Ma quanto è reale tutto questo? Solo fino a quando non viene consumato. Che cosa succede dopo che è stata ingerito? Nessuno vede più la sua forma, perché scompare. Voi tutti considerate reali tutte queste cose mondane, che tali non sono.”
La stupefacente conoscenza dei concetti vedantici di Baba ragazzo
Cominciai quindi a insegnar loro concetti vedantici di più alto livello. H.S. Ramana, nel constatare la Mia conoscenza dei princìpi più alti, era esterrefatto. Fino ad allora Mi aveva sempre chiamato ‘Râju, Râju!’. Da quel giorno si rivolse a Me chiamandomi ‘Gurujî’. “Gurujî, vieni nella mia casa”, Mi supplicava, tenendoMi i piedi. I testimoni della scena guardavano con stupore quell’uomo anziano, un insegnante, che si inchinava davanti a un ragazzino, uno studente, toccandogli i piedi. Poi Ramana dichiarò davanti a tutta quella gente: “Non solo io, ma tutto il mondo un giorno cadrà ai Suoi piedi!”. La gente che quel giorno si trovava là era tutta gente influente, che ricopriva alte posizioni sociali.
C’era un suo vicino, un certo Ramanarayana Shâstrî, che era un astrologo. Venne chiamato in casa ed ebbe modo di rendersi conto di tutte quelle alte Verità della vita che stavo loro spiegando. Shrî Shâstrî rimase stupefatto dalla conoscenza dei concetti vedantici che dimostravo di avere a quella giovane età, e versò lacrime di gioia. Una o due delle sue lacrime Mi caddero sui piedi. Da allora in poi, tutti a Uravakonda cominciarono a rivolgersi a Me come ‘Sathya Sai Baba’. Dissi loro che ero venuto al solo scopo di rivelare loro questa Verità. Incapaci di comprendere la piena Verità delle Mie rivelazioni, alcuni Mi chiesero: “Come puoi dichiarare di essere Sai Baba?” Presi, allora, alcuni fiori in mano e li gettai sul pavimento, ed ecco che i fiori si disposero a formare il Nome ‘Sathya Sai Baba’ in lettere telugu. Il trovarsi a essere testimoni di questo miracolo li lasciò sbalorditi e ammutoliti! Poi tutti cominciarono a cantare in coro: “Sathya Sai Baba Ki Jai”, “Sathya Sai Baba Ki Jai”! Io dissi loro con enfasi che questo era un nome che essi stessi Mi avevano attribuito perché, in effetti, Io non avevo alcun nome! In questa circostanza dissi:
“Sappiate che, davvero, Io sono Sai.
Liberatevi delle vostre relazioni col mondo.
Abbandonate ogni tentativo di frenarMi.
Gli attaccamenti mondani non Mi legano più.
Nessuno, per quanto grande, può trattenerMi.”
Mi alzai e cominciai ad allontanarMi. Intanto, tutti coloro che si trovavano là riuniti, inclusi Ramana e Shâstrî, cercarono di seguirMi. Consigliai loro di non farlo, dicendo loro di perseguire, invece, l’introspezione e la trasformazione mentale. Dato che Io non sono il corpo, nessuno può averMi. Perciò dissi loro di seguire i Miei ideali. Solo in questo modo, infatti, è possibile realizzare la Mia vera natura.
Tre in uno
Nell’immensità dell’universo, dalla particella più piccola alla più grande, tutto è permeato della realtà atmica. L’ Âtma appare come la cosa più piccola fra le piccole e la più grande fra le grandi. Infatti, il principio dell’unità, che pervade il micro e il macrocosmo, è la Realtà fondamentale su cui dovete svolgere la vostra indagine. Ecco perché Râmana Maharishi soleva dire: “Dovete indagare su chi siete realmente.”
Non siete una singola entità. Voi siete tre in uno:
Colui che credete di essere (il corpo),
colui che gli altri credono voi siate (la mente),
e colui che siete realmente (l’Âtma).
A nessuna religione
L’ Âtma è conosciuto come ‘Coscienza’, e il corpo, che consiste dei sensi, è chiamato ‘conscio’. Chaitanya (la Coscienza), che è presente in tutti, trascende i sensi. Al di là della Coscienza c’è ancora un altro Principio, ed è la Supercoscienza.
All’inizio, non erano in molti a sapere chi fosse Sai Baba. La gente credeva che fosse un santo musulmano. Non appena tornai a Puttaparthi dopo aver dichiarato che ero Sai Baba, la gente credeva che Io avessi preso un nome musulmano. In realtà, nessuno può collegarMi a una particolare religione, che si tratti dell’induismo, o dell’islam.
I visnuiti dicono che il Signore Vishnu è il più grande,
mentre gli scivaiti dichiarano che il più grande è il Signore Shiva.
I gânapatya (gli adoratori di Ganapati) dichiarano
che è Ganapati la Divinità più grande,
e le persone colte che lo è la Dea Sâradâ,
mentre gli sciakta (gli adoratori di Shakti) proclamano
che la più grande è la Dea Shakti.
I Miei devoti affermano che Io sono il più grande.
Altri dicono che tutti sono uno.
La gente parla sulla base dei propri sentimenti,
ma, in verità, c’è un solo Dio e il resto sono solo nomi.
Individuo, Âtma e Coscienza
Gente diversa può attribuire nomi differenti alla Realtà atmica e cercare di definirla in vari modi, ma l’ Âtma Tattva (il Principio Divino), che ne il fondamento, è il medesimo. Questa Verità deve essere spiegata alla gente in un linguaggio comprensibile. Potete vedere che laggiù ci sono alcune case. Nella parte anteriore della casa trovate la veranda, poi il salotto e infine la cucina. Poi ci sono il bagno e la toilette. Le diverse stanze vengono contraddistinte da differenti nomi. Com’è stato che hanno avuto nomi diversi? Si chiamano in modo diverso perché sono divise dai muri e sono adibite a scopi differenti, ma, in realtà, esse fanno parte della stessa casa. Allo stesso modo, persone diverse hanno nomi diversi e stabiliscono relazioni differenti con la madre, con il padre, con il fratello ecc. Dove avete acquisito queste relazioni? È tutta una vostra costruzione. Rimuovete queste barriere: ciò che resterà sarà un grande spazio di unità. Una persona chiama il Divino ‘Âtma’, un altro Brahma’ e un terzo ‘Vishnu’. Essi sono solo dei nomi attribuiti dagli esseri umani alla Divinità senza nome, senza forma e senza attributi. Il Brahma Tattva è Colui a cui non si può attribuire alcun nome.
Da dove è venuto Brahma? La Coscienza Atmica, che permea ogni essere vivente, viene chiamata ‘Brahma’. Quando Essa si individualizza, viene chiamata ‘Coscienza’, e ci si riferisce ad essa anche chiamandola ‘ Jîva ‘. Quando l’ Âtma Tattva è racchiuso in un corpo, dà origine a un individuo. L’individuo, l’ Âtma e la Coscienza: tutti e tre sono uno e il medesimo. La gente pensa che siano cose differenti perché vengono loro attribuiti nomi diversi. Rimuovete questi nomi. In ogni individuo c’è solo l’ Âtma Tattva , che non ha forma, ma assume forme diverse nei diversi individui.
Supponete di dare a questo oggetto (Baba mostra un fazzoletto – N.d.T.) il nome di ‘Âtma’. Nel linguaggio comune lo si definisce fazzoletto, ma, se lo guardate da un’angolazione spirituale, esso è un oggetto. Lo posso chiamare ‘filo’. Poi lo chiamo ‘cotone’. Ma, che lo si chiami ‘fazzoletto’, ‘filo’ o ‘cotone’, si tratta sempre dello stesso oggetto. Abbiamo solo dato nomi diversi allo stesso oggetto. Prendete, per esempio, i nomi di Râma e Krishna. Râma non era nato con quel nome particolare; era stato chiamato così dopo la nascita. E così pure Krishna. Dato che Egli era l’Incarnazione della beatitudine, era stato chiamato ‘Krishna’. Âkarshati iti krishnah (poiché attrae, è Krishna, ma la Sua vera natura è Ânanda . È Ânanda Svarûpa (l’Incarnazione della Beatitudine). Lo stesso principio di Ânanda ha preso nomi diversi. Questo singolo principio di Ânanda corrisponde a:
Dio è l’incarnazione della Beatitudine Suprema,
è l’Assoluta Saggezza, l’Uno senza secondo,
al di là delle coppie di opposti,
Espansivo e Pervadente come il cielo,
la Meta indicata dal grande assioma vedico tat tvam asi,
l’Eterno, il Puro, l’Immutabile,
il Testimone di tutte le funzioni dell’intelletto,
al di là di qualsiasi condizione mentale
e dei tre guna: sattva, rajas e tamas.
L’unico motivo della venuta di Sai
La Divinità non ha attributi. Come Le si può dare un nome? Dato che non è possibile assegnare un nome particolare a questo Principio, Esso è stato chiamato ‘Âtma’. L’ Âtma Tattva permea tutti gli individui. Esso non ha una forma specifica. Nel fornire questa spiegazione, dissi loro che l’unico motivo della Mia venuta è di far realizzare questo principio.
Poi, Sheshama Râju fece una domanda importante. Egli era un pandit telugu: qualsiasi domanda facesse, aveva un certo valore. Chiese: “Chi sei?” Io risposi: “Dato che Mi chiami Sathya, sono Sathya. Dato che dici che sono tuo fratello, sono tuo fratello. Se Mi definisci ‘uno studente’ sono ‘uno studente’. Qualsiasi nome e forma tu usi per riferirti a Me, Io assumo quel nome e quella forma. Infatti, nessuno può comprendere la Verità. Nessuno ha una qualsiasi relazione con Me. ChiamaMi con qualsiasi nome, e Io risponderò. Se Mi chiami ‘Sai’, risponderò. Se Mi chiami ‘Baba’, risponderò. Qualsiasi nome tu usi, per Me non fa differenza. Tutti i nomi sono solo nomi attribuiti a Me. Di fatto, sono venuto a farvi realizzare questa verità.”
La storia dei compagni di banco
In classe, tre di noi dividevano un banco. Io stavo in mezzo, fra Ramesh e Suresh. Essi erano molto giovani. Uno aveva otto anni e l’altro nove. Io avevo otto anni e mezzo. Ramesh e Suresh non andavano bene a scuola. Ogniqualvolta l’insegnante facesse loro una domanda, davano una risposta che era stata loro suggerita da Me. Arrivò il giorno in cui dovevamo sostenere l’esame di stato, l’E.S.L.C. I numeri dei posti a noi assegnati durante l’esame erano stati disposti in modo tale da farci sedere piuttosto distanti gli uni dagli altri. Non era possibile che Io li aiutassi; perciò erano molto preoccupati. Infusi loro coraggio, dicendo: “Non dovete scrivere niente. Siate presenti e basta. Io farò il resto.”
Completai il Mio compito in pochi minuti. Presi altri questionari dal professore incaricato di vigilare su di noi e scrissi le risposte con la scrittura di Ramesh. Dopo che ebbi terminato, presi altri questionari e feci lo stesso con la scrittura di Suresh. Su quei fogli feci anche le loro firme. Quando suonò la campanella che indicava che il tempo era scaduto, tutti gli studenti si alzarono, e Io, in silenzio, misi i tre fogli con le risposte sul tavolo dell’esaminatore. Quando vennero annunciati gli esiti, risultò che solo noi tre avevamo preso il massimo dei voti. Gli insegnanti erano sorpresi dal fatto che anche Ramesh e Suresh avessero preso il voto più alto. L’insegnante di matematica, Thirumal Rao, ci chiamò tutti e tre, e chiese a Ramesh e Suresh se avessero fatto il compito da soli. In precedenza Io li avevo esortati a non rivelare, in nessuna circostanza, come si erano svolti i fatti. Avevo detto loro: “Qualsiasi domanda vi facciano, rispondete che prima vi ricordavate la risposta, e che ora ve la siete dimenticata. Se seguite le Mie ingiunzioni, Io sono vostro e voi siete Miei.” Obbedirono al Mio comando e dissero a Thirumal Rao che avevano risposto alle domande per proprio conto. Non c’era motivo di dubitare: non potevano aver copiato da Me, in quanto eravamo seduti lontani gli uni dagli altri, e i compiti erano scritti con la loro grafia. Le persone del posto erano felicissime, e fummo portati in processione sulle loro spalle.
C’era un uomo d’affari, di nome Kote Subbanna. In qualche modo era venuto a sapere che sapevo comporre delle splendide poesie. Un giorno venne da Me e disse: “Râju, nella mia farmacia c’è una nuova medicina, che si chiama ‘Bala Bhâskara’. Ti prego, scrivi una canzone che ne descriva l’efficacia e che userò come pubblicità. Ti darò tutto ciò che vuoi. Sono pronto a pagarTi qualsiasi cifra.” Io Gli risposi: “Non sono qui per vendere le Mie poesie. Dammi i dettagli della tua medicina e comporrò una canzone per te.” Fu così che composi questa canzone:
“Eccola! Eccola! O bambini! Venite, venite!
Questa è la medicina ‘Bala Bhâskara’.
Sia che abbiate lo stomaco sottosopra o una gamba gonfia,
che vi faccia male un’articolazione o abbiate flatulenza,
essa farà bene a qualsiasi malattia, conosciuta e sconosciuta.
Prendetela, per una guarigione istantanea!
Volete sapere dove rintracciarla?
La troverete nel negozio di Kote Subbanna: potrete trovarla là!
Venite, ragazzi!Venite!
‘Bala Bhâskara’ è un tonico eccellente,
preparato dal famoso medico Gopalâchârya in persona.
Venite, ragazzi; venite qui!”
Questa canzone venne insegnata a dieci bambini che giravano per le strade del paese tenendo in mano dei cartelloni e cantando la canzone che avevo composto Io. Tutti vennero a sapere dell’esistenza di quella medicina e tutto lo stock venne venduto in pochissimo tempo. Kote Subbanna divenne molto popolare. La sua gioia non conosceva limiti. In segno di gratitudine Mi portò un paio di abiti cuciti appositamente per Me, ma Io rifiutai di accettarli.
Ramesh e Suresh rinascono come cani
Intanto, il nostro preside Lakshmipathy Shâstrî venne trasferito. Tutti gli studenti ne furono dispiaciuti. Anche Sheshama Râju venne trasferito da Uravakonda a Kamalapuram, ragion per cui anch’Io dovetti lasciare Uravakonda. Ramesh e Suresh Mi erano molto attaccati, avevano per Me un amore così intenso che non si trova nemmeno fra genitori o tra fratelli. Quando lasciai Uravakonda, gli altri bambini della scuola divennero inconsolabili. Ramesh e Suresh non versarono una lacrima, ma non riuscivano a sopportare la separazione da Me. A quel tempo Io ero piccolo e dovevo obbedire a Sheshama Râju. Perciò, salii sull’autobus e lasciai Uravakonda. Ramesh, in uno stato di profondo abbattimento, cadde in un pozzo e morì. Il secondo bambino (Suresh) continuò a ripetere senza sosta “Râju, Râju, Râju …”, fino a quando non impazzì. Fu portato in molti diversi ospedali psichiatrici, ma non ebbe alcun miglioramento. Alla fine suo padre venne da Me e Mi scongiurò: “Suresh guarirà dalla sua follia se Ti vedrà almeno una volta! Per favore, vieni a trovarlo!”
Quando ci andai, lo trovai che ripeteva continuamente “Râju, Râju, Râju …”. Come Mi vide, si mise a piangere ed esalò il suo ultimo respiro. Dopo qualche tempo Ramesh e Suresh rinacquero come cani e Mi vennero portati da un ufficiale di Bangalore. Quando ero ancora nel Vecchio Mandir, essi erano sempre con Me. Furono chiamati ‘Jack’ e ‘Jill’. Un giorno, la mahâranî di Mysore venne per avere il Mio darshan . Era una grande devota e una donna molto ortodossa. Manteneva sempre una certa distanza dalla gente, e non toccava niente che fosse stato toccato da qualcun altro. Era così ortodossa che pretendeva che venisse fatto un bagno alla mucca prima di mungerla! Dato che a quel tempo, per raggiungere Puttaparthi, non esisteva una vera strada, era dovuta scendere dalla macchina a Karnatanagapalli e farsela a piedi fino al Vecchio Mandir. Come fece? Non voleva appoggiare i piedi su una strada usata dagli altri. Per questo motivo, si era portata quattro assi di legno. Camminò mettendo i piedi su ognuna di esse finché non raggiunse il Mandir. Arrivata qui, decise di trascorrerci la notte. L’autista cenò e tornò a Karnatanagapalli, dove l’auto era parcheggiata. Durante la notte piovve a dirotto. L’autista dormì in macchina e Jack dormì sotto l’auto, vicino alla ruota. Il mattino dopo l’autista partì, senza sapere che Jack si trovava là sotto a dormire. La ruota della macchina lo investì e gli spezzò la spina dorsale. Jack si trascinò oltre il fiume, gemendo in continuazione. A quel tempo, un lavandaio di nome Subbanna si prendeva cura, notte e giorno, del Vecchio Mandir. Corse da Me e Mi disse: “Swami, Jack deve aver avuto un incidente. Sta arrivando lamentandosi per il dolore.” Uscii subito, e Jack Mi venne vicino, guaendo disperatamente. Poi cadde ai Miei piedi ed esalò l’ultimo respiro. Venne sepolto dietro il Vecchio Mandir, e in quel punto venne eretto un brindavan (una piccola costruzione). Dopo la morte di Jack, Jill smise di mangiare e morì dopo pochi giorni. Fu sepolta accanto a Jack. Questo fu il modo in cui Ramesh e Suresh fecero penitenza per poter stare sempre con Me. Anche dopo la loro morte, erano rinati come cani, pur di poterMi stare accanto!
Il giovane Baba, compositore di canzoni
Durante la Mia infanzia, componevo molte canzoni dal significato profondo e le cantavo per dare gioia alla gente del villaggio. Un giorno, Narayana Reddy, un leader del partito comunista, di Bukkapatnam, Mi si avvicinò, chiedendoMi di scrivere alcune canzoni che potessero ispirare i nostri soldati che combattevano per la libertà. Sul palcoscenico, dentro una culla, venne messa una bambola. Io composi una canzone sotto forma di ninnananna per la bambola:
“Non piangere, bambina mia, non piangere.
Se piangi, non verrai chiamata ‘valorosa figlia di Bhârat’.
Vai a dormire, bambina mia, vai a dormire.
Ti sei spaventata quando quel terribile Hitler
ha invaso l’invincibile Russia?
Vai a dormire, bambina mia, vai a dormire.
Non piangere, bambina mia, non piangere.
L’Armata Rossa è in marcia, sotto Stalin, e bloccheranno Hitler.
Perché piangi, bambina mia?
Forse perché il Paese sta soffrendo
sotto l’invasione dello straniero?
Non piangere, bambina mia, non piangere.
Tutti gli uomini del Paese devono restare uniti
e combattere per la libertà.
Vai a dormire, bambina mia, vai a dormire.”
“Tutti i partiti sono Miei”
Gli abitanti dei villaggi ascoltavano la canzone con apprezzamento e rimanevano sbalorditi. Molti si chiedevano come facesse, Sathya Narayana Râju, un ragazzino, a conoscere Hitler e Stalin. I loro nomi erano sconosciuti alla gente di questi luoghi. Questa canzone venne stampata su un opuscolo e distribuita nei villaggi. Le persone appartenenti ad altri partiti politici vennero da Me, chiedendoMi di scrivere canzoni per loro. Seshama Râju Mi sgridò dicendoMi che non dovevo lasciarMi coinvolgere nella politica. Gli risposi “Non ho niente a che fare con i partiti politici. Non appartengo ad alcun partito. Tutti i partiti sono Miei. Io appartengo a tutti.”
La canzone divenne molto popolare nel villaggio. Mi portarono pantaloni, camicie e asciugamani, ma rifiutai tutto, non accettai niente. Distribuii quelle cose agli altri bambini in loro presenza. Dissi loro: “Ho composto la canzone solo per incoraggiarvi, non per ricavarne benefici materiali.”
Da quel giorno, smisi di scrivere canzoni. Oggi non compongo neppure bhajan , e non scrivo articoli neanche per il Sanâtana Sârathi . Kasturi Mi chiedeva sempre di scrivere degli articoli. Mi diceva: “Swami, se il Tuo Nome non appare sul Sanâtana Sârathi , il giornale non ha alcun valore.”
L’Amore immenso per gli studenti
Tutti i bambini della scuola Mi erano molto affezionati. Anch’Io volevo loro molto bene. Ogni volta che a casa venivano preparati dei dolci per occasioni speciali, come i vada e i pakora , Io li portavo a scuola e li davo agli altri bambini. Ero amico di tutti. Non sentivo inimicizia per nessuno. Vedendo come Mi comportavo, Ramesh e Suresh avevano sviluppato per Me un grande attaccamento. Alla fine avevano anche offerto la propria vita per Me. Era stato per merito del loro amore e della loro devozione che Io li avevo sempre aiutati agli esami. Dopo di allora non Mi lasciai più coinvolgere in questioni riguardanti gli esami. Una volta un funzionario statale Mi chiese: “Swami, come hai potuto fare gli esami al loro posto?!” Io replicai: “Perché no? Ramesh e Suresh sono anche nomi Miei.”
Come ho fatto fin qui, potrei raccontarvi molti altri episodi della Mia vita. Senza fine… Le parole sono inadeguate a descrivere la Mia storia. Amo sempre gli studenti in modo particolare. Allo stesso modo, gli studenti hanno un amore intenso per Me. Cercano la Mia guida ogni volta che hanno un problema. Ieri uno studente del dottorato di ricerca Mi ha pregato affinché gli concedessi la Mia guida nella preparazione della tesi. Sta scrivendo una tesi sul Mahâbhârata . Mi ha fatto qualche domanda su personaggi come Bhîshma, Bhîma e Dharmarâja. Gli ho detto di trovare le risposte egli stesso. In questo momento gli studenti del dottorato di ricerca sono seduti sotto la veranda. Gli ho detto che, se vuole trovare le risposte giuste, deve compiere una ricerca interiore. Gli studenti sono pieni d’amore per Swami. Considerano Swami loro madre, loro padre… loro ‘tutto’. Si rivolgono a Me come ‘Sai Mâtâ’. “Siamo i ragazzi di Sai Mâtâ ”. Se Mi considerano la loro madre, come posso non rispondere alle loro preghiere? Riverso quindi su di loro amore materno. Yad bhavan tad bhavati (come è il sentimento, così è il risultato).
Risposte conformi ai sentimenti
È solo un riflesso dell’amore che essi hanno per Me. L’amore che esiste fra Swami e gli studenti è quello della madre per i figli. Lasciate che gli altri dicano quel che vogliono: Swami è vostra madre. Io sono la madre di coloro che Mi considerano la loro madre, il padre di coloro che Mi considerano il loro padre. Rispondo a ciascuno di voi secondo i vostri sentimenti. Neppure vostra madre può amarvi come Io vi amo.
Studenti!
Lavorate duramente e studiate bene. I due ragazzi seduti al Mio fianco sono preoccupati, perché temono che Swami sia stato in piedi troppo a lungo. Mi hanno pregato di sederMi.
(Al termine del Discorso, Baba ha permesso a due ex studenti dell’Istituto, che al momento stanno lavorando in diverse istituzioni dell’âshram, di tenere un discorso ai ragazzi).
Prashânti Nilayam, 21 ottobre 2003
Sai Kulwant Hall
(Tradotto dal testo inglese pubblicato sul sito internet dello Shrî Sathya Sai Central Trust di Prashânti Nilayam)