“La lingua si muove tra i denti senza subirne danno;
è cosa buona che l’uomo si comporti in modo simile,
con attenzione e prudenza, nel vivere in società.
Non dimenticate mai queste parole di saggezza.”
L’assenza di paura si trova dove c’è il distacco
Âdi Shankara insegnò che il mondo è come un palcoscenico sul quale l’essere umano recita il suo ruolo, sperimenta piacere e dolore e, infine, lascia la vita.
“La vita umana è precaria
come una goccia d’acqua su una foglia di loto.
Questo corpo è un intrico di malattie e attaccamento;
il mondo intero è tarlato dal dolore e dall’infelicità.
Quindi, o uomo sciocco, canta il nome di Govinda.”
La vita dell’essere umano è piena di dolore, delusione e avvilimento; ogni momento è colmo di paura, incertezza e dubbio. Nella vita non c’è niente di sicuro, e c’è paura dovunque. Come si può essere liberi dalla paura?
“Questa vita è piena di paura.
Il mondo è come un Padmavyûha da cui l’uomo non è capace di uscire.
Le prove e le tribolazioni sono forse gli unici compagni dell’essere umano che non trova rifugio?
Le lacrime di dolore sono forse la sola ricompensa per le famiglie che sono già rovinate?”
Rifugiatevi nel Principio Atmico
Come si può trovare la serenità in questa vita umana piena di paura, dubbio, agitazione ed ego? Anche la contentezza che ottenete è mischiata alla paura. La mancanza di paura non si vede nella vita; come può quindi l’essere umano liberarsi dalla paura? La libertà dalla paura si trova dove c’è il distacco. Come si può ottenere il distacco? Ciò è possibile solamente vicino a Dio. Per questo Shankara insegnava: “O uomo, al fine di eliminare la paura e raggiungere lo stato in cui se ne è liberi, prendi rifugio nel Principio dell’Âtma; solamente allora potrai comprendere la realtà.” La felicità, il merito, il profitto e la luce non sono altro che, rispettivamente, assenza di dolore, di peccato, perdita e oscurità; in effetti, essi non sono separati l’uno dall’altro. L’Âtma è la base fondamentale e la sorgente di tutti. Qui abbiamo un fiore con un certo numero di petali i quali appaiono differenti l’uno dall’altro, ma tutti originano dalla stessa fonte. Il fiore è uno, ma i petali, sono molti; in modo simile, onde innumerevoli originano dall’oceano infinito e nessuna di esse appare identica all’altra. Le onde sono molte, ma la loro sorgente d’origine, l’oceano, è uno. Nelle onde si trova la stessa umidità, freschezza e salinità che c’è nell’oceano. Dalle onde emerge la schiuma; le onde sono la base della schiuma e l’oceano è la base delle onde. L’acqua dell’oceano prende la forma delle onde e l’acqua delle onde si manifesta come schiuma, ma, in realtà, l’oceano, le onde e la schiuma sono la stessa cosa. Questo è Advaita. Similmente, l’essere umano risulta dalla combinazione del corpo con la mente e l’Âtma; la mente è la base del corpo e l’Âtma è la base della mente. In realtà, l’Âtma è la base di tutto. Questo è il Principio dell’Advaita insegnato da Shankara. Le persone che non comprendono questa verità prendono la via fisica, effimera, terrena delle cose del mondo, per cui vanno incontro a molte difficoltà e sofferenze prima di esser capaci di comprendere il Principio Atmico.
Il distacco di Siddhârtha
Il re Shuddhodana fu benedetto con un figlio dopo una lunga attesa e lo chiamò Siddhârtha. Un giorno, un nobile saggio arrivò a palazzo e, nel vedere Siddhârtha, fece una profezia: “O re, questo tuo figlio diverrà un rinunciante.” Nell’udire queste parole, il re fu preso dalla paura e, da quel giorno in poi, si assicurò che Siddhârtha non uscisse da quel luogo in modo da non vedere la sofferenza, la malattia e l’infelicità che ci sono nel mondo. Lo fece sposare a sedici anni e lo circondò di tutte le comodità all’interno del palazzo. Ciononostante, il figlio, un giorno, uscì per vedere il mondo esterno. Mentre andava in giro con il cocchio, vide un uomo molto vecchio che camminava con difficoltà aiutandosi col bastone. Siddhârtha chiese al cocchiere: “Che tipo di animale è questo? Sembra piuttosto strano”, e questi rispose: “O principe, anch’egli è un essere umano come noi. Con l’avanzare dell’età, il corpo diventa debole e deforme.” Siddhârtha ne fu sorpreso e chiese ancora: “Tutti giungono a quella condizione a mano a mano che l’età avanza?” La risposta fu: “Nessuno fa eccezione; è la legge della natura.” Andando avanti, essi incontrarono una persona ammalata che tossiva, respirava a fatica e soffriva molto, al che il principe chiese di nuovo: “Che cos’è questo? Perché soffre così?” Il cocchiere rispose: “O principe, quest’uomo è malato. Questo corpo è un covo di malattie. Nessuno può dire quando e come una persona sarà colpita da una di esse.” Questo disturbò la mente di Siddhârtha. Proseguendo, Egli s’imbatté in quattro persone che trasportavano un cadavere e chiese di nuovo: “Che cos’è quello? Che cosa stanno trasportando?” Il cocchiere rispose: “Trasportano un cadavere.”
Siddhârtha allora chiese: “Che cosa intendi per cadavere?” Il conduttore replicò: “Un cadavere è un corpo senza vita. Quando nel corpo c’è il principio vitale, esso è shivam (di buon auspicio) e, quando tale principio se ne va, il corpo diventa shavam (cadavere). Il principe chiese ancora: “Tutti dobbiamo morire un giorno?” “Nessuno può evitare la morte”, replicò il cocchiere. A quel punto Siddhârtha tornò a palazzo. Quanto aveva visto influenzò profondamente la Sua mente, e, al ritorno alla Sua dimora, non riuscì né a mangiare né a dormire. Guardò con distacco la moglie Yashodharâ e il figlio Rahula che dormivano profondamente e rifletté concludendo che il mondo è pieno di dolore e paura. Comprendendo che ogni cosa è effimera e irreale, maturò un profondo sentimento di rinuncia. Tutti voi incontrate molte persone malate, molte persone vecchie e dei cadaveri, ma non maturate un senso di distacco come Siddhârtha. Un senso di distacco così intenso si prova solamente per grazia di Dio.
Caratteristiche di un vero rinunciante
Ecco una storiella. Una volta, un principe andò a caccia nella foresta. Dopo aver girato a lungo, si sentì stanco e assetato. Giunse vicino a un ashram ove entrò a cercare dell’acqua. Il saggio che vi risiedeva gli chiese: “Chi sei? Da dove vieni?” Quegli rispose: “Il mio nome è Jitendriya2 e vengo dal regno di Jitendriya. Ti prego di darmi dell’acqua per placare la sete.” Il saggio gli offrì da sedere e l’acqua da bere, mentre pensava: “Nel mondo, ci sono persone il cui nome è Dharmarâja (re del Dharma), ma si comportano in modo molto disonesto. Egli viene dal regno di Jitendriya e anche il suo nome è Jitendriya; chissà se si comporta coerentemente col suo nome. Vediamo!” Allora chiese al principe di dargli le sue vesti regali e di indossare un abito ascetico. Prese le vesti, vi versò del liquido rosso e partì per il regno suddetto. Al cancello del palazzo, la sentinella lo salutò con riverenza e gli chiese quale fosse l’oggetto della sua visita, al che il saggio gli disse che il principe era stato ucciso da una fiera nella foresta e che lui aveva riportato i suoi indumenti. Poi chiese che il messaggio fosse riferito al re. Il guardiano del cancello sorrise e chiese: “Chi è immune alla morte? Chiunque nasca deve morire; nascita e morte vanno insieme.” Nelle ferrovie, si usa stampare su ogni vagone la data in cui esso deve essere riportato in officina per la manutenzione e la verniciatura. Allo stesso modo, ognuno ha una data di ritorno anche se non la si vede. Avendo udito le parole della sentinella, il saggio andò a incontrare il re personalmente e, fingendo di piangere, gli disse che il figlio era morto. Mentre il sannyâsin si lamentava, il re rise e gli disse: “Tu indossi un saio color ocra, ma le tue parole non sono adatte a un rinunciante. Perché piangi? Questa non è una ragione per addolorarsi o preoccuparsi. Al tramonto, centinaia di uccelli tornano sull’albero per riposare e il mattino dopo volano via; che relazione c’è tra di loro? Allo stesso modo, sull’albero della famiglia, uccelli come la moglie e i figli si riposano per qualche tempo, poi ripartono. Nessuno può dire quando e come uno qualunque di loro se ne andrà. Non c’è ragione di addolorarsi per la loro partenza; è una legge della natura.” Il saggio andò allora dalla regina che, come madre, pensava si sarebbe disperata per la morte del figlio, e le disse: “Madre! Tuo figlio è morto. Ecco le sue vesti”, ma anch’ella rise: “O sâdhu! Tu sei uno che ha rinunciato a tutto nel mondo. Come puoi essere coinvolto dall’effimero? La vita è come un ostello in cui i viandanti stanno per un periodo, poi se ne vanno. Ognuno ha un momento in cui partire; non c’è nessun bisogno di addolorarsi quando qualcuno lascia il mondo.” Allora il saggio andò dalla moglie del principe per vedere se, almeno lei, avrebbe reagito diversamente e le dette la notizia. Ella osservò: “Quando piove, le foglie e i rametti cadono dall’albero. Nell’inondazione, due pezzi di legno capitano vicini per un po’, poi si separano di nuovo. In quest’oceano della vita, io sono uno di quei pezzi; il principe era l’altro. Ci siamo uniti e separati: perché essere sorpresi o lamentarsi di questo? La causa di tutto questo è l’attaccamento o la possessività; gli eventi non hanno colpa: devono accadere. Perché preoccuparsi per essi?” Il saggio comprese che ciò che il principe aveva detto di quel regno era tutto vero, ma volle mettere alla prova anche lui. Quindi tornò all’eremo ed esclamò: “O principe! Il tuo regno è stato distrutto dagli invasori e i tuoi genitori sono stati fatti prigionieri. Tu devi partire immediatamente per riconquistare il regno e liberarli: preparati alla guerra.” Il principe rispose: “Tutto ciò che è accaduto è stato per Volontà di Dio. Io non ho portato con me quel regno quando sono nato; posso portarlo con me quando muoio? Perché dovrei far guerra per recuperarlo? Non è mio. Il mio regno è quello dell’Âtma e io mi sforzo di raggiungerlo. Quello è il regno del cielo; quello è ciò che io cerco di ottenere. Non è con la guerra che lo si ottiene, ma solamente con l’amore. Altri regni non mi interessano.” A quel punto, il sannyâsin si prostrò davanti al principe e confessò: “Noi indossiamo vesti ocra, ma non abbiamo le qualità dei rinuncianti. Quanti padri e madri di famiglia vivono liberi dagli attaccamenti terreni!”
Un essere umano dovrebbe manifestare qualità umane
Vi racconterò un’altra storia per mostrare che si deve essere coerenti con qualunque ruolo ci tocchi recitare nella vita. Una volta, un attore andò alla corte di un re con indosso il costume di Shankara. Egli sostenne con forza l’irrealtà di tutte le relazioni umane e la caducità dei possedimenti terreni. Poi citò i versi di Shankara:
“Le relazioni come la madre, il padre, i fratelli,
le sorelle e gli amici non sono reali;
la casa e la ricchezza sono anch’esse illusorie.
Quindi state attenti! State attenti!”
“La nascita è una sofferenza,
la vecchiaia è una sofferenza,
la famiglia è una sofferenza
e la morte è una sofferenza terribile.
Quindi state attenti! State attenti!”
L’attore fece per un’ora un’esposizione potente dell’Advaita, del Principio Atmico e dell’unità dell’umanità. Il re, soddisfatto del suo intervento, disse al ministro di offrirgli un vassoio colmo di monete d’oro, ma l’attore rifiutò con fermezza dicendo che sarebbe stato sconveniente ricevere un dono nel ruolo di Shankara. “Io mi sono presentato indossando la veste ocra di un sannyâsin e accettare delle monete d’oro non è da sannyâsin. Non sono venuto per ricevere alcun compenso. In effetti, offrendomi un compenso, voi mi state disonorando.” Così dicendo, lasciò il palazzo. Il giorno seguente, lo stesso attore si presentò nel ruolo di un danzatore bellissimo e ballò in modo eccellente davanti al re che ne rimase molto colpito, per cui disse al ministro di offrirgli un vassoio di monete d’oro. Questa volta egli rifiutò ciò che gli veniva offerto considerandolo un compenso troppo piccolo per il suo spettacolo. Il ministro, avendo capito che il ballerino era la stessa persona venuta come Shankara il giorno prima, gli chiese la ragione del suo rifiuto precedente e della richiesta di un compenso maggiore quel giorno. L’attore spiegò di aver rifiutato la prima offerta per coerenza con il ruolo di rinunciante, ma che, nel ruolo di un danzatore, egli era libero di chiedere di più, essendo naturale per i danzatori ottenere più denaro possibile. Voi siete nati come esseri umani, quindi dovete comportarvi in accordo con la levatura di un essere umano. Questo è l’insegnamento di Shankara. La vostra condotta deve essere coerente con il ruolo che state recitando. O uomo! Tu sei in forma umana, quindi la tua condotta e il tuo comportamento devono manifestare le qualità umane, altrimenti sei una disgrazia per l’umanità stessa. Si dice che “lo studio che si addice all’umanità è l’essere umano.” Che cos’è il genere umano? Che cosa significa? Significa unità di pensieri, parole e azioni, il che è chiamato nel gergo vedantico trikârana shuddhi.3 Dove c’è unità c’è amore e, quando l’amore di manifesta in voi, il loto del vostro cuore sboccia. Voi maturate lo spirito di distacco quando il cuore fiorisce d’amore. Se una persona non ha sviluppato il distacco, significa solamente che il suo cuore non è fiorito d’amore. Priva d’amore, quella persona vive come un animale. La stessa cosa fu insegnata dal bambino Prahlâda al padre Hiranyakashipu quando gli disse: “O padre! Tu hai ottenuto tutti i tipi di conoscenza, hai studiato le Scritture e il Vedânta, ma non ne hai compresa l’essenza.” Persino gli animali selvatici hanno un po’ di gentilezza e compassione, mentre Hiranyakashipu impose a suo figlio ogni tipo di tormento senza una traccia di compassione; in effetti, egli era peggiore di un animale. Chi prova piacere nel torturare gli altri è davvero un animale. Quindi, siate buoni e fate il bene; allora avrete ogni bene nella vita. Se volete che la vostra vita sia buona, sviluppate in voi le qualità positive. Shankara viaggiò nel Paese in lungo e in largo, insegnò il principio dell’Advaita, instillò il coraggio nelle persone per sollevarle dalle sofferenze e inculcò in loro i valori umani. I suoi immortali versi nel “Bhaja Govindam” danno l’essenza dei suoi insegnamenti. Quando Shankara recitò i primi dodici shloka del suo poema, ognuno dei suoi discepoli contribuì con delle strofe proprie per impartire la conoscenza dell’Advaita all’uomo. In quei giorni, il principio dell’Advaita si affermò saldamente in Bhârat, ma oggi, a causa dell’influenza dell’era moderna, la gente non lo mette in pratica nella vita quotidiana.
Riducete il bagaglio dei desideri
Incarnazioni dell’Amore!
Io non vi chiedo di diventare rinuncianti. Fate il vostro dovere e rimanete concentrati su Dio. Comprendete che c’è una base fondamentale unica per tutto. Una volta che riconoscerete questa verità, maturerete il distacco automaticamente. Ottenere il senso del distacco con la forza è impossibile. A mano a mano che maturerete l’amore per Dio, il distacco crescerà in voi automaticamente. Il segreto consiste nel volgere la mente verso Dio. Qui c’è una serratura e la sua chiave: girate la chiave verso destra e la serratura si apre, giratela verso sinistra e la stessa si chiude. Il vostro cuore è la serratura e la mente è la chiave: volgete la mente verso Dio e otterrete la liberazione; volgetela verso il mondo e otterrete la schiavitù. Per questo si dice che “la mente è la causa della schiavitù e della liberazione dell’essere umano.” Voi potete dubitare del fatto che, volgendo la mente verso il mondo, generate attaccamento. Ecco un esempio: ora voi avete due gambe, ma, dopo che avrete completato la vostra istruzione e ottenuto un lavoro, i genitori vi sposeranno a una ragazza. I genitori possono organizzare il vostro matrimonio o potete scegliere la ragazza voi stessi. Comunque vada, dopo il matrimonio, avrete quattro gambe. Poi avrete dei figli e aggiungerete ancora gambe; a mano a mano che il numero di gambe aumenta, la vostra mobilità è intralciata. Quello è il legame ed esso non viene da nessun altro; viene dai vostri desideri.
“Meno bagaglio, più comodità rendono il viaggio un piacere.”
La vita è un lungo viaggio; per sperimentare gioia e comodità in esso, riducete il bagaglio dei desideri. Più riducete i desideri delle cose del mondo, più felicità sperimenterete. Assolvete i vostri doveri scrupolosamente tenendo la mente focalizzata sulla meta della vita.
Bhagavân ha concluso il Discorso con il bhajan “Bhaja Govindam, Bhaja Govindam…”
Prashânti Nilayam, 10 settembre 1996, Sai Kulwant Hall
(Da “Sanâtana Sârathi”, settembre 2015)