Incarnazioni dell’Amore,
se non c’è carattere, a che serve avere un alto grado d’istruzione?
Gli studenti odierni si concentrano sulle conoscenze scientifiche, non sulla purezza interiore.
Come le nuvole hanno un rivestimento argenteo, così l’educazione, nella vita di ognuno, deve irradiare il suo splendore. Purtroppo, la vita è contrassegnata da problemi di casta, di credo, di regione, di religione e di linguaggio. Alla fine dei corsi scolastici, gli studenti posseggono solo una conoscenza libresca. La gente studia per poter in seguito guadagnar denaro, non per sviluppare la virtù. Non c’è nulla di male ad esser istruiti o facoltosi; le qualità umane, però, sono più importanti.
Come l’acqua pura apparirà rossa, in una bottiglia rossa, e azzurra, in una bottiglia azzurra, così una persona buona, che abbia istruzione o ricchezza, si adopererà per il bene comune; una persona cattiva, invece, userà la sua istruzione o la sua ricchezza in modo negativo, a discapito di tutti. Non l’istruzione, ma solo le qualità umane sono responsabili delle tre caratteristiche o guna, cioé di sattva, rajas e tamas e sarà solo la volontà a decidere come usare ricchezza ed istruzione. Shivaji non era un erudito, ma era pieno di forza etica e morale. Egli aveva deciso di difendere e sostenere la Legge Eterna (Sanâtana Dharma) in tutta l’India; in battaglia, quindi, uscì sempre vittorioso. Non guardò mai con occhi impuri le donne dei Paesi che conquistò, anzi si preoccupò sempre di proteggerle. Suo figlio Sambhaji, invece, fu famoso per il suo valore, ma non per la forza etica e morale. Egli non fu in grado di tener alto il buon nome di suo padre.
L’India è il Paese dove i grandi condottieri furono rispettati per la grande forza d’animo che dimostrarono e i loro nomi saranno sempre ricordati.
Vidura è un altro esempio di grande uomo. Egli restò sempre fedelmente sul sentiero del Dharma e disse coraggiosamente a Dhritarâshtra come fosse meglio esser senza prole piuttosto che aver dei figli malvagi, causa di anarchia nel regno. Lo stolto Dhritarâshtra non seguì il consiglio di Vidura. Che felicità ebbe però dall’aver avuto cento figli? E fu invece infelice il saggio Shuka a non averne avuti?
Quando Draupadî subì l’umiliazione alla corte reale, nessuno fra i saggi fu in grado di rispondere alla sua domanda, inerente al Dharma, se Dharmarâja avesse perso se stesso prima di perdere lei.
Dopo il penoso episodio, Vidura lasciò Hastinapura.
L’India ebbe sempre grandi personaggi che misero da parte potere e posizione sociale quando dovettero affrontare difficili situazioni di carattere morale ed etico.
Alcuni dei più grandi personaggi della storia indiana sono coloro che abbandonarono tutto per amore verso Dio. Essi affermarono che la madre, il padre ed il guru sono Dio stesso. Quando però si frappongono fra Dio e il devoto, anch’essi devono essere sacrificati.
Bharata doveva diventare re di Ayodhya, poiché Kaikeyî, aveva chiesto che Râma fosse esiliato nella foresta per 14 anni. Bharata, però, abbandonò persino sua madre per andare a cercare Râma.
Prahlâda si rifiutò di obbedire al padre grazie al suo amore per Dio, persino quando il malvagio Hiranyakashipu (suo padre) torturò il ragazzo e cercò di ucciderlo. Prahlâda non smise mai di ripetere il nome di Vishnu.
Il re Bali si rifiutò d’obbedire al suo guru Shukrâchârya ed acconsentì a concedere tre passi di terra a Vâmana, che gli si era presentato sotto forma di giovane bramino, nonostante gli fosse stato detto che Vâmana altri non era che il Signore Nârâyana in persona sotto mentite spoglie e che, sicuramente, lo avrebbe schiacciato. Quando Vâmana, da nano qual era crebbe a proporzioni cosmiche, col primo passo percorse tutta la terra e col secondo i cieli. Bali allora offrì se stesso al Signore per il terzo passo. Ottenne in tal modo la grazia divina.
Tutti e tre questi personaggi offrirono totalmente se stessi a Dio, desiderando solo Lui. L’India ha avuto molti devoti come questi. Questo è il motivo per cui gli Avatar si sono più volte incarnati in questo sacro Paese.
È molto facile donare oggetti per beneficenza, ma donare la propria vita è completamente diverso. Esiste una netta differenza fra carità e sacrificio. C’è un elemento di egoismo nell’opera di carità, allorché si danno via cose di cui non si ha più bisogno. Sacrificio, invece, significa privarsi di ciò che si ama di più. È questo tipo di sacrificio che rende immortale una persona. L’India ha dato i natali a molti personaggi che non esitarono a sacrificare la propria vita per amor di pace e giustizia. Tale spirito di sacrificio li condusse all’immortalità.
L’imperatore Shibi era un uomo davvero caritatevole e Indra (il re degli dei) volle metterlo alla prova. Si trasformò quindi in un uccello e andò a posarsi sul grembo di Shibi implorando protezione da un falco che voleva ghermirlo. Shibi accettò. Il falco, allora, gli chiese di lasciar andare l’uccello, ma l’imperatore rifiutò, offrendo invece la propria carne in quantità pari al peso dell’uccello. Cominciò così a tagliarsi pezzi di carne da varie parti del corpo, finché ad un tratto Indra gli apparve nelle sue vere sembianze e lo fermò, svelandogli che tutta quella commedia era stata da Lui inscenata per verificare la sua fedeltà alla parola data.
Per eliminare il dolore causato da un’appendicite, bisogna sopportare che il bisturi del chirurgo asporti l’appendicite infiammata. Anche Dio deve far sì che il devoto affronti delle sofferenze che gli permettono di bruciare il karma passato. Il Signore è completamente privo di egoismo e non sa neppure che esista tale parola. Fin dai tempi antichi, la virtù è sempre stata considerata più importante dell’erudizione. A meno che non sia esclusivamente Dio ad occupare il vostro cuore, Egli non potrà liberarvi. Il cuore è un divano ad un posto, non a due, né un luogo ove si svolgono giochi di salotto. Il sacrificio è Dio. Esso deve essere altruistico e rivolto al bene della società.
Râvana conosceva tutte le 64 Shâstra, Râma, invece, solo 32. La conoscenza di Râvana fu però impiegata per scopi egoistici e ciò lo portò alla distruzione propria e della propria famiglia, mentre Râma mise al servizio del bene comune tutto ciò che aveva appreso. Il Râmâyana è diventato un’opera immortale grazie alla nobiltà dei suoi personaggi.
Che cos’è il servizio (seva)? È forse spazzare le strade? No. Fare bene il proprio dovere per soddisfare la coscienza è vero servizio. Dio non può accettare che un medico o un’infermiera lascino un paziente, che sta soffrendo, per andare ad assistere all’ârati. Si deve compiere bene il proprio dovere come offerta a Dio. Ognuno deve assolvere i propri compiti nel modo migliore, non preoccupandosi se gli altri fanno lo stesso. Questo Paese avrebbe fatto progressi se tutti avessero svolto i propri compiti in modo proporzionato alla propria paga. Si dovrebbe ascoltar la coscienza ed esser certi che il lavoro sia pari alla retribuzione. Solo allora i capi di questa nazione non avrebbero necessità di chieder l’elemosina ai Paesi più ricchi.
Molte persone cantano Vedam oppure Sahanâvavatu sahanâbhunaktu senza conoscerne il significato e la giusta pronuncia. Gana Kakila, una musicista carnatica di Madras, era solita cantare i Kîrtan di Tyâgarâja. I suoi motivi musicali (râga), i ritmi (tâla), le danze (lâsya) e gli accompagnamenti (shruti) erano perfetti, ma, poiché era del Tamil ed i canti erano in telegu, ella pronunciava alcune parole in modo inesatto, alterando il significato del canto. In un verso, Tyâgarâja chiede a Râma: “Ne pagadakunte nikemi Râma?”, che significa: “Che danno sarà per la Tua gloria se non Ti lodo, o Râma?”. In tamil ga si pronuncia ka, quindi la donna, storpiando le parole, cantava: “Ne pakhanda thinte nikemi Râma?”, che significa: “Che male c’è se mangio pakhanda, o Râma?”. Pensate quanto può cambiare il significato! È dunque necessario capire ciò che si dice.
Swami ha concluso il discorso con il bhajan: “Govinda Hare, Gopala Hare..”
Corso Estivo 1996
Estratto del Discorso del 28 Giugno 1996
da: Mother Sai – Supplemento 1996