Nell’ignobile cuore di un uomo impuro dimorano i vizi dell’ira e dell’invidia.
I pipistrelli non affollano le caverne tenebrose?
Non dimenticate mai questa saggia massima.
Vero uomo è solo chi ha santificato le orecchie con il potere dell’ascolto e
ha dotato gli occhi della luminosità della vista.
II piacere effimero dei sensi
Incarnazioni del Divino Amore!
Controllare i sensi dev’essere l’obiettivo primario dello studente, non già inseguire i fuggevoli piaceri degli oggetti dei sensi, i quali danno solo una gioia momentanea seguita da un’infinita tristezza. Le percezioni sensoriali, e precisamente l’udito, il tatto, la vista, il gusto e l’odorato sono più potenti degli organi di senso. Tra questi ultimi, il più importante è la lingua. Una volta dominata la lingua, si ha teoricamente il controllo su tutti i sensi. Due sono le importanti funzioni della lingua: mangiare e parlare. Chiunque sia in grado di sottomettere queste due facoltà della lingua, può fondersi con il Divino Spirito.
Se la lingua cessa di parlare, si mette a chiacchierare la mente. Per tenere sotto controllo le ciarle della mente, occorre avere un intelletto vigile. Poi si deve delicatamente persuadere l’intelletto a volgere gradualmente la sua attenzione verso l’Atma. La vera pratica spirituale – la vera sâdhanâ – consiste nella tecnica di fondere la facoltà della parola (vak) con la mente, la mente con l’intelletto, ed infine l’intelletto con L’Atma.
È triste constatare come l’uomo, dimenticata questa via santa e regale a lui accessibile, scelga di abbandonarsi ai piaceri sensuali che finiranno per sommergerlo in una profonda sofferenza.
Non c’è un’anima che cerchi di scoprire la sorgente primaria che da vita ai sensi inerti, né c’è qualcuno che cerchi di sapere chi è il vero fruitore di tutti i piaceri procurati dai sensi. Gli studenti dovrebbero venire a conoscenza del rapporto esistente fra il mondo esteriore e quello interiore, che sta dentro ognuno. Chi è che prova piacere nel mangiare cibi deliziosi o nel guardare un panorama incantevole o nel fiutare qualcosa di profumato? Il corpo, i sensi o L’Atma?
Non è il corpo, e tanto meno gli organi di senso. Chi sperimenta realmente in ogni caso è l’Atma, la Causa incausata di tutto quanto esiste, la quale nutre, sostiene, presiede e governa tutte le cose dell’universo. L’Atma è la base del mondo manifesto ed è la ragione prima ed ultima del mondo inferiore. I fallaci ed effimeri organi di senso cesseranno di esercitare il loro dominio solo quando sarà riconosciuto il ruolo cardine dell’Atma, Causa Prima di tutte le cose.
Dalla lingua gioia o dolore
Di tutti gli organi di senso, la lingua esercita un influsso di primaria importanza. La padronanza su questo organo consente un facile dominio di tutti gli altri. La Katha Upanishad paragona i sensi a dei cavalli. Un cavallo può correre veloce; ma, una volta che gli si è messa in bocca una briglia e la si tiene con fermezza, tutti i suoi movimenti possono essere controllati facilmente.
Come fa una piccola briglia a controllare un animale così grosso, forte e veloce nella corsa? Ciò avviene perché la bocca è la parte più importante e vulnerabile del cavallo, se si intende tenerlo a freno. Una volta che la bocca ha una briglia, tutto l’animale è sotto controllo. Allo stesso modo, anche per l’uomo, la bocca è fra i cinque organi di senso il più importante.
Con un piccolo timone si può salvare una grande nave da un violento ciclone. Con una piccola scintilla si può far divampare un gran falò. Il potere della parola è come una scintilla. Col controllo della lingua si può effettivamente acquisire il controllo sul mondo stesso. Il potere della parola può essere usato per scopi sia nobili e sublimi sia meschini e gretti. Con la parola si può benedire come anche maledire.
Bilvamangala- detto anche Jayadeva – dedicando i suoi versi alla lingua in uno stile che accomuna l’encomio e l’esortazione, così canta:
“O mia cara lingua, dolce sei tu!
Sai distinguere col gusto il buono dal cattivo.
Perciò, ti rivelerò la verità più alta e deliziosa:
non intrattenerti in chiacchiere oziose, invece di star occupata nel cantare i dolci e melodiosi nomi del Signore:Govinda! Damodara! Madhava!, ecc.”.
C’è un proverbio comune che dice:
“Una scivolata nel camminare può non far male, ma una scivolata nel parlare ci precipita all’inferno”. L’uso sconsiderato della lingua può produrre ferite dolorose nel cuore di altri e non esiste al mondo dottore che possa curare una “ferita da parola crudele”.
Il contatto dei sensi con gli oggetti può dar adito ad un immenso piacere come pure ad una pena infinita. Se, per esempio, qualcuno vi offende a vostra insaputa, fintantoché l’offesa rimane fuori dall’arco dei vostri organi di senso, la cosa non vi tocca per niente. Ma, non appena le ingiurie pervengono al vostro orecchio, vi arrabbiate e perdete ogni freno.
Per quale motivo vi alterate? Finché tra orecchie e vibrazioni sonore non c’era un contatto, siete rimasti calmi; non appena il suono dell’offesa ha raggiunto i vostri timpani, è sorta in voi una reazione intensa.
Facciamo un esempio contrario.
Qualcuno da lontano vi elogia, mettendo in risalto le vostre qualità ammirevoli. Finché rimanete ignari di quell’elogio, non ne provate alcuna gioia e non sentite particolare affetto verso chi lo sta esprimendo, ma appena le parole di questi giungono alle vostre orecchie, subito ve ne rallegrate e nasce in voi un’immediata simpatia per chi sta parlando a vostro favore.
Dove va ricercata la causa del sentimento di avversione, nel primo caso, e di grande simpatia, nel secondo? Solo nel contatto fra i sensi e le cose. Quindi, appare chiaro come i sensi possano stare in pace solo quando non vengono a contatto con gli oggetti.
La parola è impegnativa
Come alternativa, c’è la possibilità di mantenersi imperturbabili, senza accondiscendere a stati di esaltazione o di turbamento, pur nella convivenza fra sensi e oggetti, ma indifferenti a qualsiasi risultato ne consegua, per piacevole o sgradevole che sia. In ogni caso, va detto che non è facile, e neppure sempre possibile, isolare i sensi dalla materia per impedirne il contatto.
È però possibile, con qualche sforzo, sviluppare un’inclinazione che controbilanci quel peso, nonostante il più delle volte quei contatti siano inevitabili. Per sollecitare una tale attitudine, è necessario percorrere il sentiero dell’indagine e poi far nascere la ferma convinzione: “Io non sono il corpo, né gli organi di senso. Io sono lo Spirito in eterna beatitudine”.
Solamente quando sarete stabilmente convinti di ciò, i sensi cesseranno di tormentarvi.
Solo imboccando il sentiero della ricerca, accompagnati dalla costante idea che non si è altro che Spirito (Atma), si riesce a superare il limite umano e a sperimentare in ogni circostanza la propria essenza divina.
Avrete sentito parlare del grande filosofo Philip Sydney. Da ragazzo, mentre si trovava distante dai genitori per frequentare gli studi in un’altra città, suo padre gli scrisse una lettera per suggerirgli alcune esortazioni.
“Mio caro figliolo, – diceva la lettera – offri a Dio ogni giorno una preghiera che venga dal cuore. Cerca sempre di dirigere la mente verso Dio. Abbi rispetto e sii umile con i tuoi insegnanti e con i tuoi compagni. Non lasciarti prendere dall’ira, dalla delusione o dall’insoddisfazione. Non ti abbattere quando ti criticano o ti offendono; non esultare quando ti lodano. Non criticare mai gli altri”.
La lettera chiudeva con questo ammonimento del padre:
“Se mai dovessi promettere qualcosa, fai a Dio solo e a nessun altro la tua promessa. La parola è un dono di Dio. Perciò, non ti è lecito impegnarti con nessun altro. Soltanto a Dio si può dare la parola. Se seguirai questa regola, crescerai in saggezza e sarai glorioso. Tieni sempre sotto controllo la lingua e non lasciarla mai correre all’impazzata. In questo modo ti distinguerai nella società come uno studente ideale”.
Philip Sydney seguì scrupolosamente i consigli del padre e divenne un eminente filosofo.
Lo studente deve rendersi conto che l’eccessivo parlare è dannoso per la mente e non deve occuparsi d’altro che dei propri studi; egli deve aver ben fisso in mente che il suo compito consiste nel ricercare la conoscenza e non materie ad essa estranee. Solo alla fine degli studi potrete dedicarvi ad altre attività.
Ma anche allora, dovrete lasciarvi disciplinare dalla legge della moderazione. Non siate mai esagerati nel parlare né in qualunque altro campo della vostra vita quotidiana.
Quattro sono gli errori verso cui propende la lingua:
1 ) mentire; 2) diffondere maldicenze; 3) criticare o scandalizzare; 4) parlar troppo.
Queste sono le quattro tendenze che tolgono la pace mentale all’uomo.
Si dovrebbe dire solo ciò che è vero. Naturalmente, in alcuni casi rari, potrebbe essere pericoloso dire la verità. In tali circostanze, dovreste essere abbastanza prudenti da evitare di dire sia il vero sia il falso. Solo così avrete successo nella società.
Nei sensi il tallone d’Achille
I sensi hanno una forza estrema e sono la causa fondamentale di ogni gioia e dolore del genere umano. È necessario comprendere a fondo il ruolo e la natura dei sensi e bisogna soggiogarli in vista del miglior rendimento. Un celebre poeta così cantò la devastazione che possono produrre i sensi:
“Quando la testa cova pensieri cattivi, la lingua si intrattiene in calunnie, la vista si aguzza per guardare gli sbagli degli altri, le orecchie son tese a cosa si dice, mente e cuore si riducono ad ingannare, alla sola vista di queste mostruosità, la giustizia e la lealtà non sopravvivranno affatto”.
II baluardo dell’uomo dovrebbe consistere nel seguire la via della verità, della rettitudine e della giustizia, ma la sua tragedia è nell’essere vittima indifesa dei suoi cinque sensi che lo fanno deviare e lo scaraventano in una serie di problemi senza fine.
Abbiamo dei tipici esempi in ciascuna famiglia di animali o di insetti, che vengono intrappolati e perdono addirittura la vita per la debolezza di un solo senso: il cervo a causa dell’udito, l’elefante per il tatto, la falena per la vista, il pesce per il gusto e l’ape per l’odorato. Figuriamoci la condizione dell’uomo quando diventa la sfortunata vittima di tutti i cinque sensi!
A questo proposito, gli studenti dovrebbero imitare l’esempio mirabile del giovane devoto Prahlada. Nonostante il padre gli proponesse vari allettamenti e avesse tentato di condizionarlo per mezzo di intrighi con gli insegnanti, nonostante intimidazioni, torture e persino tentativi di farlo fuori, Prahlada non cedette mai alle tentazioni sensuali del mondo, ma si aggrappò tenacemente al sentiero spirituale, forte del Nome di Dio che gli danzava sempre sulla lingua.
E per giunta, guidava anche i suoi compagni di scuola verso il sentiero spirituale, ispirandoli con melodiosi canti devozionali e con racconti sacri.
Una moglie che assoggetta
C’è un esempio, una storia interessante che aveva imparato dal Saggio Nârada e che amava narrare agli amici. Eccola. C’era una volta un re, che aveva più mogli. Per colpa loro non riusciva a stare in pace. Un giorno, decise di voler scoprire se in tutto il suo reame esisteva un uomo che non avesse preoccupazioni dovute ad una moglie brontolona. Fu cosi che, dopo aver resa pubblica la sua intenzione, fece impiantare due grandi tende (pandal), una destinata ad ospitare gli uomini succubi della moglie, l’altra per quelli che le sapevano tenere a bada. Sull’imbrunire, si notò che la prima tenda si riempì all’inverosimile, mentre nella seconda non c’era un’anima. Alla fine, giunse un uomo che andò a sistemarsi nella seconda tenda.
Il re si rallegrò che esistesse almeno un uomo capace di tenere sotto controllo la moglie.
Entrò nella tenda per incontrarlo e gli chiese gentilmente se era vero che sapeva tenere a freno sua moglie. Quell’uomo rispose:
“Non direi mai una bugia; la verità è che io sono completamente succube di mia moglie”.
Allora il re gli fece osservare che la tenda in cui si era messo a sedere non era il posto giusto e gli ordinò di mettersi nell’altra e di rimanervi in piedi.
Al che, quel marito tormentato dalla moglie, angosciato, rispose:
“Vostra Maestà, ho ordini severi da parte di mia moglie, secondo i quali debbo rimanere per forza seduto in questa tenda. Non oso disobbedirle per andare nell’altra tenda, qualunque punizione mi vogliate infliggere, foss’anche la pena capitale”.
La morale di questa storia è la seguente:
la mente, che è come fosse il marito dei sensi, sue mogli, si trova nella condizione pietosa di essere un loro schiavo indifeso.
Controllo graduale dei sensi
Infatti, il controllo andrebbe esercitato in base ad una scala che va gradualmente dal grossolano al sottile, e cioè: prima il corpo, poi gli organi di senso, la mente, l’intelletto, fino all’Atma. Ognuno di essi controlla il precedente e ciò significa che l’Âtma, all’apice della sottigliezza, deve avere il dominio su tutti gli altri. Dal momento che gli organi di senso sono potentissimi, il primo e più importante compito per l’uomo è di tenerli sotto controllo, al fine di condurre una vita ideale.
I giovani d’oggi sono subdoli nelle azioni e nel comportamento perché hanno perso il controllo dei sensi: non sanno star seduti compostamente in classe, non conoscono il giusto modo di camminare, leggere, dormire, non sanno come comportarsi coi genitori, gli insegnanti, gli adulti e gli amici. Quando parlano con qualcuno, volgono lo sguardo qua e la, tradendo una mancanza di concentrazione.
In una conversazione o quando devono fare un discorso, gesticolano inutilmente e muovono gambe e braccia come se stessero ballando. Quando vanno per strada, gli studenti dovrebbero sempre guardare dove camminano, in modo da evitare distrazioni e prevenire incidenti. Quando dormono, dovrebbero tenere il corpo ben disteso e non raggomitolarsi come una spirale metallica racchiusa in un involto. Con la costante pratica del giusto modo di fare le cose, gli studenti prenderanno buone abitudini e acquisteranno dominio completo sui sensi.
Lo studente deve evitare di cedere alla curiosità superflua di conoscere argomenti che non lo riguardano direttamente. Se si intrattiene a parlare di tutto con tutti o se continua a farsi gli affari degli altri, finirà per rendersi impopolare e antipatico. Cercheranno tutti di evitarlo ed in quel caso egli verrà ignorato da tutti. È una pessima abitudine quella di fermarsi a chiacchierare nei negozi. Quando serve parlare, lo si faccia nella stanza del convitto, ma mai al bazar. Essere disciplinati in tutti questi campi è per lo studente cosa della massima importanza.
Oggi gli studenti non sanno stare seduti correttamente quando leggono o scrivono. Siedono con la schiena ricurva e cadente, come fossero dei vecchi di ottant’anni. Ciò provoca diverse malattie ed è causa di senilità precoce. Quando si cammina o si sta seduti, bisogna esser dritti come un fuso, con la colonna vertebrale eretta.
E c’è un motivo fisiologico: un importantissimo nervo, che si chiama sushumnâ nâdi, percorre tutta la spina dorsale dal mûlâdhâra chakra, che sta alla base della colonna, al sahasrâra chakra che sta alla sommità del capo. Se si piega questo nervo, ne derivano serie conseguenze. L’importanza della sushumnâ nâdi è nota a coloro che praticano il Kundalinì yoga.
Le pantofole di Draupadì
Quand’è il caso, non si esita nell’infilarsi un paio di scarpe. Ad esempio, nel guadare un torrente o nell’eventualità che piova a dirotto quando siamo per strada, è opportuno mettersi qualcosa ai piedi. Quantunque il valore di un paio di sandali sia minimo, dovremmo averne il massimo rispetto, perché proteggono i nostri piedi quando serve.
Ecco una storia che spiega come e perché il Signore Krishna portava con Sé le scarpe di una donna. Il nono giorno della guerra di Kurukshetra, Bhesma, generale dell’esercito dei Kaurava, fece solenne voto di uccidere tutti i fratelli Pândava nel combattimento del giorno successivo. La cosa andò all’orecchio di Draupadì, moglie dei Pândava. Preoccupatissima e in grande angoscia, si precipitò da Shri Krishna, cadde ai Suoi piedi e Lo supplicò di salvare la vita dei suoi cinque mariti. Erano le 10 di sera.
Il Signore Krishna escogitò una tattica. Invitò Draupadì ad affrettarsi alla tenda di Bhesma e a prostrarsi davanti a lui, facendo in modo che, nell’atto di inchinarsi, i suoi bracciali tintinnassero. Le chiese inoltre di lasciarGli i sandali, in modo da recarsi da Bhesma a piedi scalzi. Se infatti fosse andata con delle calzature, Bhesma si sarebbe insospettito per il loro rumore ed avrebbe potuto riconoscerla, mandando in fumo tutto il Suo piano di ottenere la benedizione del generale.
Così, seguendo il consiglio di Krishna, Draupadì si recò alla tenda di Bhesma a piedi scalzi e con un velo sul capo. A quell’ora il generale stava camminando avanti e indietro nella sua tenda; ad agitarlo era un profondo rimorso per il voto che aveva fatto in campo quel giorno, col quale si proponeva di sterminare tutti i Pândava il giorno dopo. Quella notte non riusciva a mangiare né a prender sonno, perché la coscienza gli diceva che i Pândava erano un’autentica incarnazione della Verità e della Giustizia; quindi, era per lui un grave peccato trucidarli senza alcuna ragione.
Immerso in questi pensieri, mentre passeggiava in lungo e in largo per la tenda, entrò ad un tratto Draupadì, che gli si prostrò davanti con movimenti lesti, in modo da far tintinnare i braccialetti, come Krishna aveva suggerito di fare. Dal momento che quel tintinnio rivelava che la donna era una sumangali, ossia la moglie di un uomo che era ancora vivo, Bhesma, seguendo la tradizione e il costume indù, la benedisse dicendo: Dergha sumangali bhava, che significa “Possa tu vivere a lungo con tuo marito (oppure coi tuoi mariti )”, senza sapere chi fosse la donna che si era inginocchiata davanti a lui.
Orbene, Draupadi sapeva per certo che la benedizione di Bhesma non sarebbe stata vana ed allora, udita la sua benedizione, balzò gioiosamente in piedi e, dopo essersi tolto il velo, si profuse in ringraziamenti e gli disse che proprio per quella benedizione era venuta nella sua tenda a quell’ora insolita.
Bhesma rimase di stucco quando scoprì che Draupadì aveva beneficiato di una benedizione contraria al voto espresso. Poi cominciò a farle delle domande:
“Chi ha escogitato questo stratagemma per te? Chi ti ha dato le indicazioni per arrivare sin qua alla mia tenda? Ti ha accompagnato qualcuno?”
Nell’istante in cui le poneva queste domande, Krishna fece la Sua spettacolare apparizione di fronte a Bhesma e a Draupadì. Non ci volle molto perché Bhesma intuisse che, dietro tutta la trama di cui era stata intessuta la scena verificatasi nella sua tenda, c’era il Signore Krishna, il Supremo Stratega di tutto l’Universo.
Fuori di sé per la gioia, Bhesma esclamò: “O Signore Krishna! Adesso è perfettamente evidente che questo è tutto un Tuo piano divino e un Tuo gioco impeccabile!”.
Ora Bhesma si sentiva alleviato dal rimorso ed era perfino felice per tutta la vicenda, in quanto aveva il duplice scopo di salvare da una parte la vita dei Pandava e di evitare dall’altra l’ignominia ed il peccato di assassinare degli uomini virtuosi. Ora che Bhesma era sollevato dalla tensione e dall’ansietà e aveva riacquistato la sua condizione normale, sentiva i morsi della fame, mentre fino a poco tempo prima, inappetente, dopo l’efferata battaglia di quel giorno, aveva evitato di mangiare, a causa della sua agitazione mentale.
Notò allora un pacchetto sotto l’ascella di Krishna e, pensando che si trattasse di qualcosa da mangiare, nella speranza di sedare l’appetito, chiese ansiosamente a Krishna che cosa vi fosse contenuto. E Krishna, a cui piaceva giocherellare, lasciò cadere di colpo il pacchetto e, quand’esso si srotolò per terra, che cosa videro Bhesma e Draupadì con loro enorme stupore? Nientemeno che un paio di scarpette!
Ammiccando con aria maliziosa, Krishna puntò il dito verso di loro e disse: “Sono le pantofole di Draupadì!”.
Tanto Bhesma quanto Draupadì non seppero trattenere lacrime di commozione, giacché, se Draupadì non aveva il benché minimo sospetto che Krishna avesse con sé le sue pantofole, figuriamoci la sorpresa di Bhesma! Tutti e due scoppiarono in un pianto d’estasi per l’opera del Signore.
Soffocato dall’emozione, Bhesma esclamò: “O Signore Krishna! Chi mai capirà il Tuo Gioco Divino? Per proteggere i devoti che si sono arresi al Tuoi Piedi di Loto, non c’è limite ai disagi che affronti. Per salvare i devoti, non esiti un solo istante nel fare cose che altri considererebbero avvilenti, degradanti o indegne. Che Signore misericordioso sei Tu!”.
La lezione che gli studenti dovrebbero apprendere da questa storia è che niente dev’esser preso per ignobile o degradante, se serve allo scopo di venire in aiuto di chi è nel bisogno, purché non si abbandoni la retta via.
Sacro e profano: due cotiledoni dello stesso seme
La nostre Scritture antiche, quali i Veda, i codici morali (Shastra), le raccolte mitologiche (Purâna) ed i sacri poemi epici (Itihâsa) forniscono un gran numero di esempi lampanti di persone che condussero una vita tanto nobile e ideale. Ma gli studenti oggi sono così ignoranti sulle Scritture che non conoscono nemmeno la differenza che passa fra le Shastra, il Râmâyana e il pârayana. In questa maniera vengono privati del ricco patrimonio avuto in eredità da una cultura e una tradizione gloriose. Gli studenti del sistema scolastico Sai, dovrebbero dunque diventare dei pionieri impregnandosi di cultura secolare e sacra, combinate fra loro con giudizio e armonia, accostandosi quindi sia al sapere scientifico che a quello spirituale.
Si sente parlare di “cultura” e di “spiritualità”, come fossero due cose distinte. Secondo il Mio punto di vista, la cultura non è che l’essenza della spiritualità. Come lo zucchero è l’ingrediente comune a tutti i dolci, che solo in apparenza sono diversi fra loro, così la spiritualità è l’elemento comune a tutte le culture, che apparentemente differiscono per regione o nazionalità.
In parole povere, va riconosciuta la supremazia della spiritualità nella quale ogni cultura si rispecchia: bisogna coltivare e sviluppare questa visione onnicomprensiva. I vari organi e membra del corpo non sono altro che il corpo. La totalità dell’Universo (vishva) non è separata dalla Divinità (Vishnu). Allo stesso modo, bisogna riconoscere che nel rapporto fra sacro e profano o fra mondano e spirituale, le due cose non sono fra loro separate e indipendenti, ma solamente due aspetti di una Realtà o Verità inscindibile.
Lo potrete facilmente capire se considerate l’esempio di un fagiolo, che consiste di due cotiledoni rivestiti da un’unica buccia in comune. Quando si semina nel terreno il fagiolo ed esso germoglia, si incomincia a vedere una pianticella formata dai due spessi cotiledoni con in mezzo della peluria. Il piccolo seme si sviluppa, ricavando nutrimento da entrambi i cotiledoni.
Così pure, il seme – uomo, per la sua crescita e il suo pieno sviluppo, ha bisogno sia degli aspetti secolari che sacri della vita. Sono due aspetti della vita fra loro dipendenti che non possono esistere staccati e scissi l’uno dall’altro: sono intimamente e inestricabilmente correlati. Il risultato finale della loro somma è ciò che voi chiamate “cultura”.
Uno solo il corpo, molte le membra.
La gente che non ha una visuale così aperta vede tra una nazione e l’altra delle differenze apparenti e perfino immaginarie. Vera saggezza è saper discernere e intravedere la fondamentale unità che sta sotto tutte le diversificazioni epidermiche della cultura del mondo.
Lo stesso va detto anche per il modo di concepire la religione. Affermare che l’Induismo, il Buddhismo, il Cristianesimo, l’Islam, e altro sono religioni diverse, tradisce non solo una meschinità mentale, ma anche un equivoco sul senso della parola “religione”. “Religione” vuoi dire “realizzazione” e, dal momento che il realizzarsi è una meta unica e identica per tutti, indipendentemente da qualsiasi religione si professi dagli uomini che sono diversi, ne consegue per logica che tutte le religioni sono fondamentalmente riconducibili all’unità; ovvero, per essere più precisi, c’è una sola religione.
A questo proposito c’è una storiella. Quando Krishna si recò da Dhritarâshtra per compiere un’ambasciata a favore dei Pândava, Dhritarâshtra Gli chiese: “O Krishna, i Pândava e i Kaurava sono figli di due fratelli. Se sei divino, perché palleggi per i Pândava? Non ami forse anche i Kaurava?”.
E Krishna rispose:
“O re, mi dispiace doverti dire che sei cieco non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Ti dovrebbe esser chiaro che non posso fare a meno di sostenere e soccorrere coloro che si rifugiano in Me e si arrendono a Me senza alcuna riserva. Una volta Nârada, il Saggio celeste, chiese a Narayana il Suo indirizzo esatto, giacché aveva molte ‘filiali’. Narayana rispose dicendo che la Sua Sede Centrale dov’egli aveva la Sua residenza permanente era il cuore del devoto che Lo ricorda costantemente con amore e devozione supremi. A parte questo, lascia che ti spieghi la natura del Mio rapporto con i Pândava. Dharmaja è la Mia testa, Arjuna le Mie spalle, Bhema il Mio stomaco, Nakula e Sahadeva le Mie gambe. Io sono il cuore; perciò, siamo tutti parti inseparabili dell’unico e medesimo corpo”.
Il senso della risposta di Krishna a Dhritarâshtra è che il corpo, i sensi, la mente, l’intelletto e l’Âtma costituiscono l’insieme integrale della personalità umana, che spiega la verità dell’aforisma vedico Ekam Sat, “Una sola è l’esistenza”.
Come il corpo è composto da parti diverse, così l’unico Dio ha parecchi nomi. Studenti, finora, in questo Corso Estivo, vi si è parlato del corpo, dei sensi e della loro correlazione.
Da domani, considereremo la relazione che intercorre fra la mente ed i sensi, fra l’intelletto ed i sensi, e parleremo anche del principio atmico che scorre come una corrente d’acqua sotterranea e comune, la quale integra e da vita all’intero sistema umano.
(Da Indian Culture and Spirituality, pp.55-68 Brindâvan – Corso Estivo 1990)
da Mother Sai n. 3/92