01 Settembre 1982
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Spirito di rinuncia e sacrificio
Che cosa significa il termine incarnazione? Significa che Dio appare sulla terra colmo d’amore e affetto per tutta l’umanità. L’Incarnazione è la Consapevolezza Divina in forma umana.
[1] La terra di Bhārat si è guadagnata una fama considerevole gra-zie a molti suoi figli e figlie che hanno sacrificato tutto ciò che ave-vano per il bene comune. Come il seme deve rinunciare alla sua identità e diventare un tutt’uno con il terreno affinché la pianta pos-sa germogliare, così l’ego deve sacrificare sé stesso affinché la natu-ra divina dell’uomo possa manifestarsi.
Le Scritture proclamano:
mama iti mṛtyu‘mio’ è la morte.
Il ‘non mio’ è immortalità! La rinuncia porta alla pace. La chiave aurea del non-attaccamento apre il chiavistello che tiene bloccata la porta del Paradiso. Gesù era solito dire: “Rinuncia! Io colmerò il vuoto.” Attualmente, la rinuncia si è trasformata in un mezzo per
ottenere fama e successo, è diventata una transazione! La disciplina spirituale più proficua consiste nel rinunciare ai tratti animali e umani per conseguire la consapevolezza del Divino, che è la nostra vera Realtà. Pensate agli eroi del passato che erano dediti alla ri-nuncia, i quali erano prevalentemente re o persone di grande potere e ricchezza, come l’imperatore Śibi, l’imperatore Mahābali, il re Karna, ecc. Anche più recentemente ci sono stati eroi, quali Thanāji e Bhagath Singh, che hanno sacrificato le loro vite per il bene della nazione e del mondo intero. Mahābali era un re di discendenza demoniaca, ma per amore di Dio rinunciò a tutto ciò che possedeva. Anche suo padre e suo nonno erano famosi per il medesimo motivo, mentre il suo bisnonno, Hi-raṇyakaśipu, non riusciva a tollerare neppure per un attimo il nome del Signore poiché giurava d’essere egli stesso Dio. Costui era un fanatico razionalista ma ebbe un figlio, Prahlāda, che era un ferven-te devoto il cui abbandono al Signore era totale e incondizionato.Prahlāda fu sottoposto a molteplici torture e tribolazioni a causa della sua devozione, ma ne uscì vittorioso. Il nome del Signore era l’armatura che lo salvò dai dardi di rabbia e odio che suo padre gli scagliava contro. Gli aguzzini che lo torturavano per obbedire agli ordini del padre, erano colpiti nel vedere la sua calma eroica e la pace suprema di cui godeva grazie alla continua ripetizione del nome del Signore. [2] Prahlāda ebbe un figlio di nome Virocana che divenne un re-gnante famoso, amato e giusto per il suo spirito caritatevole nei confronti dei poveri e della classe sacerdotale. Mahābali era figlio di Virocana. Egli decise di celebrare un rito sacrificale potente e com-plesso detto viśvajit yajña (vittoria cosmica) che lo fece assurgere a Signore del Mondo Celeste, detronizzando così Indra! Durante il regno di Bali nessuno soffriva la fame o la sete né aveva timori e an-
sie; la terra donava raccolti generosi e le persone nutrivano senti-menti e intenti sacri. In quel frangente, Dio decise d’impartire al mondo una lezione im-portante: chi rinuncia vince. L’oceano accoglie tutti i fiumi e riceve continuamente offerte, ma non concede spontaneamente le perle e i coralli, anzi li occulta alla vista e ne mostra solo l’involucro. Le sue acque non possono placare la sete, ma la infiammano. La nube in-vece è ansiosa di donare sé stessa come pioggia, così si alza alta nel cielo, mentre l’oceano è a un livello più basso. Dio decise di conferire a Bali la salvezza poiché era diventato degno di quel dono supremo. Attraverso le sue buone azioni, Bali aveva purificato la mente; grazie alla sua devozione, aveva compreso che Dio dimora in ogni essere e aveva conseguito quella saggezza che lo aveva liberato dall’illusione. Generalmente si crede che Dio si fosse incarnato nel nano Vāmana (il quinto avatār di Viṣṇu) per sradicare l’ego di Bali, ma questa non è la verità. L’Incarnazione divina aveva lo scopo di conferire a Bali la liberazione, poiché non aveva alcuna traccia d’ego. Quando Vāmana si presentò all’imperatore Bali e gli chiese in dono tre passi di terra, il suo precettore fece di tutto per dissuaderlo a fa-re quell’offerta a Vāmana, e gli disse: “Mio caro! Quest’uomo non è un comune mendicante, Egli è Nārāyaṇa stesso! Se tu gli darai quel-lo che chiede, sarai rovinato.” Bali rispose: “Chiunque sia, è mio dovere concedere quello che mi viene chiesto. È una gran fortuna che il Signore Nārāyaṇa sia venuto con le mani tese per ottenere un dono da me. Pertanto non seguirò il tuo consiglio!” Poi aggiunse: “La mano che dà sta sopra la mano che riceve; questa è davvero una fortuna unica e rara.” Il mendicante che si era presentato a Bali era la Trinità in Uno, e gli domandava tre passi di terra.
I tre passi sono il fisico, mentale e spirituale. I primi due passi di Vāmana andarono a coprire la terra e il cielo e per il terzo passo, il cuore di Bali era il dono più adatto! Poiché egli offrì il suo cuore a Dio, il suo corpo discese nel pātāla, nei mondi inferiori. I primi due passi (piano fisico e mentale) significano che l’identificazione con il corpo e la mente era stata eliminata. Pertanto, al termine delle ses-sioni dei bhajan o di altri riti sacri si è soliti recitare per tre volte śānti per invocare la pace del corpo, della mente e dello spirito. Bali aveva conseguito lo stato di resa e abbandono totale: il suo cuo-re, la mente e l’intelligenza erano ora proprietà del Signore. Egli aveva dedicato i risultati di tutte le azioni a Dio e il suo ‘io’ aveva lasciato il posto a ‘Lui’. Poiché Bali aveva compreso la vacuità del potere terreno, decise di abbandonare ogni desiderio eccetto l’aneli-to per Dio. Grazie al suo sacrificio, i peccati commessi dal bisnonno, il demone Hiraṇyakaśipu, furono spazzati via e l’intera dinastia fu santificata. I tre ‘fiori’ di quel clan, ossia Prahlāda, Virocana e Bali, lo avevano salvato. Solo Bali aveva le risorse e la capacità di rinuncia che gli avrebbero permesso di offrire al Signore quanto richiedeva. Ecco la ragione per cui Dio si presentò davanti a lui! Nel corso della storia, molti hanno rinunciato alla ricchezza e persino alla vita, molti altri hanno regalato gioielli, terreni e case, ma Bali rinunciò a tutto, persino a sé stesso.[3] L’imperatore Śibi salvò la vita di un colombo che stava per esse-re ucciso da un avvoltoio, ma quest’ultimo pretese un pezzo di car-ne pari al peso del colombo. Śibi allora tagliò una parte del suo cor-po uguale al peso dell’uccello, ma il colombo sembrò essere così pe-sante che nessuna parte del corpo del re poteva uguagliarne il peso. Infine Śibi si pose sul piatto della bilancia e offrì sé stesso come cibo per l’avvoltoio.
Il patriota Thanāji udì il richiamo alle armi annunciato dal suo Pae-se proprio durante la sua cerimonia nuziale; non esitò neppure un attimo e si lanciò nella battaglia con l’abito da sposo che indossava. Morì fiero d’aver compiuto il suo dovere nei confronti della sua fa-miglia, della comunità e della nazione. Bhagath Singh affrontò il patibolo con gioia perché poteva offrire la sua vita per la liberazione della madrepatria. Bhārat ha avuto mi-lioni di figli e figlie simili che sacrificarono le loro vite per amore della patria. Oggi però non si nota questo spirito di sacrificio, si ve-de solo attaccamento e ricerca del piacere. Solo il sacrificio può promuovere l’unione con il Divino. [4] È davvero una grande fortuna per la gente del Kerala poter ono-rare ogni anno, durante la sacra festa di Onam, la personalità e gli ideali dell’imperatore Bali. Dobbiamo celebrare questa festività non solo con musiche e canti, ma anche compiendo atti di carità, di sa-crificio e di rinuncia. La disciplina della rinuncia implica l’eliminazione del senso dell’io e del mio. L’io perdurerà fino alla morte, quindi dovete ridurre al minimo la sua presa sui vostri pensieri, parole e azioni. Finché l’uomo è legato al proprio corpo, anche Dio dovrà apparire in un corpo come il suo. Dio è sovente concepito con occhi, naso, lingua e arti. Se chi adora Dio ha questi organi, anche chi è venerato deve possederli per rendere l’atto di adorazione più significativo. Solo quando l’uomo non avrà più coscienza della sua forma, potrà adorare Dio senza forma! [5] È davvero sorprendente che chi deride Dio perché viene raffigu-rato con un corpo non rida di sé stesso, tanto più che anch’egli è rinchiuso in un involucro fisico! Ogni volta che l’umanità deve es-
sere riformata e liberata, Dio deve discendere come uomo, come ha dovuto fare Nārāyaṇa per salvare Bali. Bali aveva compreso la maestosità e la gloria di Dio. Egli disse al suo guru: “La mano che elargisce la grazia a innumerevoli devoti è protesa ora per ricevere quello che desidera il Signore. Quella mano tiene nel suo pugno tutti i mondi. Cosa può mai volere da me il Si-gnore? Egli mi sta chiedendo solo ciò che mi ha donato! È venuto da me in questa forma per chiedermi tutto quello che ho, ma Egli stesso me l’ha dato!” Bali era convinto che Dio dà e Dio prende e che egli stesso era solo uno strumento il cui destino era di unirsi al Signore. Oggi, in occasione della rievocazione dello spirito di rinuncia e de-dizione di Bali, dobbiamo fortificare la nostra fede e credere che la Volontà di Dio deve sempre prevalere, anche su tutti gli sforzi umani. Dobbiamo anche comprendere che la rinuncia e il sacrificio sono la disciplina più elevata. Siate come Bali e Prahlāda; non imitate però Hiraṇyakaśipu che era accecato dall’egoismo. I primi due conquistarono la benedizione di Dio, mentre l’ultimo meritò la Sua maledizione. Pregate Dio, fate in modo che la preghiera divenga il vostro respiro vitale. Non entrate quindi in conflitto con il Signore e non sarete maledetti. Questo è il Mio messaggio per la festività di Onam.
Praśānti Nilayam, 01.09.1982