26 Gennaio 1982
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Il canto del nome divino
[1] L’era attuale, conosciuta come kali yuga e spesso condannata co-me la peggiore, è in realtà un’epoca in cui si può conseguire la libe-razione più facilmente. Questa verità è rivelata da tutte le Scritture, secondo le quali una persona può essere liberata praticando la di-sciplina del nāma saṁkīrtanaṃ, ovvero cantare le lodi e la gloria dei nomi di Dio, come pure ascoltarne il canto. Delle nove forme di devozione, śrāvaṇaṃ e kīrtanaṃ, ascoltare il can-to del nome del Signore e cantare il nome di Dio e della Sua glo-ria, sono considerate le migliori. Quando si pratica kīrtanaṃ si cantano i nomi di Dio e la Sua gloria viene esaltata; saṁkīrtanaṃ significa invece cantare il nome di Dio ininterrottamente, a voce spiegata e senza esitazioni. Il kīrtanaṃ è praticato dal singolo individuo e promuove il progres-so spirituale personale, mentre il saṁkīrtanaṃ viene eseguito da un gruppo di persone e favorisce il conseguimento della liberazione non solo per i membri del gruppo, ma è benefico anche per chi ascolta e persino per coloro che sono al di fuori di tale cerchia.
Infatti le sue vibrazioni positive contribuiscono al benessere del mondo intero. Il saṁkīrtanaṃ è di quattro tipi e ha caratteristiche distinte: guṇa, līla, bhāva e nāma saṁkīrtanaṃ. Esaminiamoli ora dettagliatamente. [2] Nel guṇa saṁkīrtanaṃ si cantano gli attributi del Signore per lo-darlo e ottenere la Sua grazia. Tuttavia, Dio è guṇātīta, trascende i tre guṇa (tamas, rajas, sattva) e non è legato da questi; perciò attri-buirgli delle qualità significa sminuire la Sua gloria. In realtà, tali caratteristiche esistono solo nell’immaginazione del devoto perché lodare Dio gli dà una soddisfazione momentanea. Il secondo tipo è līlā saṁkīrtanaṃ (līlā significa gioco). L’intera crea-zione rappresenta il gioco di Dio, ma lo sono anche il suo manteni-mento e la sua dissoluzione. Come può un individuo descrivere gli innumerevoli līlā del Signore? Essi assumono forme diverse, e la Sua volontà è onnipotente. Tutto quello che accade, buono o cattivo, è un suo līlā. Un uomo che non abbia raggiunto un perfetto stato di equanimità nei confronti del bene e del male non può certo afferma-re di aver compreso Dio. Gli aspiranti spirituali di oggi sono felici quando si verifica qualco-sa di bello ma, se accade una sventura, sprofondano in pensieri av-versi. Poiché l’intera creazione è il līlā cosmico di Dio, descriverne solo alcuni e lodare solo quei pochi rivela una visione offuscata e ristretta. [3] Il terzo tipo è bhāva saṁkīrtanaṃ, cantare i nomi di Dio con un particolare atteggiamento emotivo (bhāva) verso il Signore. I devoti, che praticano questo tipo di adorazione, seguono una delle sei cor-renti spirituali cercando di ottenere la realizzazione. Va detto però che queste sei attitudini devozionali, qui di seguito descritte, sono incomplete e si basano su un concetto limitato di Dio.
La prima è śānta bhāva, atteggiamento calmo e imperturbabile. Ciò significa che il devoto accetta e sopporta lietamente tutto ciò che gli accade come dono della grazia divina. Nel poema epico Mahābhārata, Bhīṣma viene presentato come il massimo esempio di tale attitudine. Per sua scelta, Bhīṣma decise di posporre il momento della morte con l’obiettivo di acquisire il meri-to di lasciare il corpo in un giorno favorevole. Egli credeva che il semestre di uttarāyaṇa fosse il più sacro, e che morire prima che il sole attraversasse il Tropico del Capricorno avrebbe determinato un futuro nefasto. Poiché Dio è il tempo ed è al di là del tempo, come può un uomo dividerlo in propizio e sfavorevole? La gioia e il dolore che compe-tono a un individuo non dipendono dal giorno del suo trapasso. Credere a tutto ciò è un segno di debolezza da parte del devoto. [4] La seconda è sakhya bhakti: devozione per Dio che viene conside-rato l’amico più intimo, come nel caso di Arjuna che conseguì la li-berazione grazie al rapporto amichevole che aveva con il Signore Kṛṣṇa. Arjuna, però, si era talmente calato nel rapporto umano di amicizia e parentela con Kṛṣṇa che spesso si allontanava dalla vera devozione che avrebbe dovuto offrire al Divino. Egli aveva ottenuto la vicinanza del Signore tanto facilmente che non si rendeva conto quale grande privilegio fosse. Kṛṣṇa e Arjuna avevano un legame di amicizia così stretto che spesso Arjuna si ri-volgeva al Signore chiamandolo familiarmente ‘cognato’, espri-mendo così solo una parentela umana. Al fine di giustificare quella imprecisa espressione di confidenza, Kṛṣṇa convalidò la loro rela-zione celebrando il matrimonio di Arjuna con Sua sorella Subhadrā. Perciò anche il tipo di ‘devozione amichevole’ non può essere pie-namente soddisfacente.
[5] Dāsya bhakti: è la devozione del servitore nei confronti del pa-drone. Hanumān è l’esempio classico di questo tipo di devozione. Egli era al servizio di Rāma ventiquattro ore su ventiquattro; ben-ché il suo corpo fosse quello di una scimmia, era esperto in tutte le 64 forme di scibile, conosceva i quattro Veda e sapeva recitare i sei śastra (Scritture Sacre). Hanumān era un eroe formidabile sia sul piano fisico sia su quello intellettivo e spirituale. Nonostante ciò, egli servì Rāma senza la benché minima traccia di ego nei pensieri, parole e azioni: aveva conseguito la totale purezza di tutti e tre. Tale devozione, però, non era esente da difetti. Infatti, Hanumān era totalmente devoto e serviva con fervore Dio nella forma di Rāma, ma non era attaccato a Dio con il nome di Kṛṣṇa né riconosceva altri nomi divini. I Veda dichiarano che Dio ha mille nomi e può assu-mere mille forme, ma la devozione di Hanumān era limitata soltan-to a un nome e a una forma. Pertanto dāsya bhakti porta a una visio-ne parziale dell’Assoluto Universale. [6] Vātsalya bhakti, devozione e amore genitoriale. L’aspirante ama il Signore come la madre ama il suo bambino. Un valido esempio di tale relazione lo troviamo nell’adorazione che Yaśodā provava per Kṛṣṇa. Yaśodā ammetteva solo questo tipo di rapporto con Kṛṣṇa, sebbene altri lo adorassero come ‘Colui che risiede nella città di Madhura, che dimora nel cuore delle gopī, ecc.’ Quando Uddhava1 giunse da Madhura, Yaśodā gli chiese del suo Gopāla, e insistendo disse: “Non conosco quel Kṛṣṇa che risiede a Madhura o nel cuore
delle gopī. Voglio sapere di mio figlio Gopāla.” Perciò anche vātsalya bhakti comporta una considerevole limitazione dovuta alla sua na-tura esclusivista. [7] Il quinto tipo di attitudine devozionale è anurāga bhakti che si-gnifica profondo affetto e attaccamento alla forma del Signore. Le gopī di Bṛndāvan rappresentano il migliore esempio di questo tipo di devozione. Molte persone malvagie, perverse e piene di pregiu-dizi non sanno riconoscere la purezza e il valore della devozione delle gopī; molti la interpretano in modo errato proiettando le loro tendenze mentali, e così prendono strade sbagliate. Le menti e le idee ristrette rovinano la propria vita e quella altrui, così come i pa-rassiti distruggono un intero raccolto. Nelle gopī era presente il sentimento duale di ‘amato-amante’. La dualità trae origine dall’ignoranza, è la mente che produce la duali-tà delle attrazioni e avversioni, delle simpatie e antipatie. La nascita è la causa del karma, il quale provoca il dolore e la gioia nonché tut-te le reazioni duali. [8] Il sesto tipo di attitudine è madhura bhakti: Rādhā2 è l’unico esempio di questa devozione colma di dolcezza. Non appena udiva il nome di Kṛṣṇa si perdeva in uno stato d’indescrivibile beatitudi-ne, eppure anche tale devozione presenta un sentimento di dualità. In conclusione, si può affermare che bhāva saṁkīrtanaṃ, nelle sue varie espressioni devozionali, non può conferire la totale consape-volezza del Divino. [9] La quarta forma di disciplina spirituale è nāma saṁkīrtanaṃ. Cantare le lodi e la gloria dei nomi di Dio dona a tutti completa feli-
cità, ovunque e sempre. Non esiste nulla di più gratificante e subli-me. Tutti i nomi sacri di Hari, Rāma, Hara, Sai, Baba, Kṛṣṇa, ecc, so-no composti da due sillabe che derivano dalla parola prema (puro Amore), che è l’essenza e il fulcro dell’ātma. L’amore deve motivare i nostri pensieri, saturare le nostre parole e promuovere le nostre azioni. Il termine nāma (nome) ha un profondo significato numerologico: na equivale allo zero, a rappresenta il numero due e ma equivale a cin-que: il totale è sette. Ciò significa che il nāma saṁkīrtanaṃ per avere successo ha bisogno di sette elementi: l’accompagnamento, il tem-po, la melodia, il ritmo, il sentimento, l’amore e un piacevole effetto musicale. Il sette è un numero sacro poiché rappresenta le sette note musicali, i sette ṛṣi o saggi veggenti e i sette giorni della settimana. Il canto del nāma saṁkīrtanaṃ va eseguito mettendo in risalto il to-no, la melodia, il tempo, l’attitudine, l’affetto e la devozione, aven-do come obiettivo il conseguimento del proprio sommo bene. Non si tratta di cantare solo per il piacere di cantare: la melodia deve sca-turire dal cuore, da un amore talmente intenso da trasformarsi in tapas, austerità e rinuncia. Quando il saṁkīrtanaṃ viene cantato da devoti animati da simili sentimenti sicuramente li libererà, e potrà trasformare la società e il mondo intero. Incarnazioni dell’Amore!Anche se non riuscite a fare meditazione o a ripetere i nomi di Dio, impegnatevi a cantarli con fede e senza esitazioni.Dharmakṣetra,
Bombay 26.01.1982