14 Gennaio 1982
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Spirito di unità
[1] Secondo i saggi, il cosmo si compone solo di cinque elementi. Il primo è la terra: nonostante appaia inerte e statica, vibra d’energia e consapevolezza (caitanya). Il secondo elemento è l’acqua che è satu-ra di vitalità. Per esempio, quando una persona è debilitata dalla sete o dalla debolezza e non reagisce più neppure agli stimoli ester-ni, con un bicchiere di acqua fredda si riprenderà subito. Il terzo elemento è il fuoco che risplende di calore, sempre vigile e attento. Il quarto elemento è l’aria, depositaria del Principio vitale, il prāṇa1.
Infatti, l’aria non serve se non c’è vita, e il prāṇa è quindi il soffio vi-tale. Il quinto elemento è lo spazio, ākāśa2, la cui espressione è oṁ, il praṇava3. Tutti gli esseri hanno questi cinque elementi nella loro conformazione. Ecco perché i Saggi asserirono: īśvara sarvabhūtānāṁ Dio risiede in tutti gli esseri. (Bhagavad Gītā 18.61)Ogni essere, dunque, deve manifestare attività, vitalità, attenzione, nonché essere vigile e consapevole del suono primordiale oṁ, il quale vibra sia nello spazio esterno sia nella propria interiorità. Al-l’uomo è stata donata la straordinaria capacità di conoscere il pro-prio destino e la propria destinazione, perciò non deve precipitare nel vortice dei desideri per poi sprofondare nella sofferenza. Quando il respiro diventa affannoso, i capelli sono bianchi, i denti cadono e la vista s’indebolisce, la bramosia dell’uomo di soddisfare i desideri dei sensi aumenta, invece di diminuire! La compagnia dei virtuosi (satsaṅg) è il solo rimedio che gli consente di vivere come un vero uomo. L’essere umano, che è il coronamento della creazione, non deve manifestare tendenze quali la crudeltà, la gelosia, l’egoismo e l’in-gratitudine. L’aiuto reciproco e la compassione devono essere come i suoi due occhi. [2] Non fatevi intrappolare da relazioni che durano pochi giorni, pochi mesi o qualche anno. Legatevi piuttosto a Dio che è il parente
più caro e stretto, oggi, domani e sempre. A che punto siete ora esattamente? Ognuno otterrà in rapporto a quanto ha saputo rinun-ciare, per quanto lontani o vicini possiate essere. Le zecche si attac-cano alla mammella della mucca che è colma di latte dolce e nu-triente, ma le zecche succhiano solo il suo sangue, non il latte. Il vi-tellino invece, che arriva saltellando da lontano, beve il latte. Siate come i vitelli, come i figli di Dio che cercano la Sua grazia; non trasformatevi in zecche che si attaccano e, pur essendo molto vicine, non desiderano il latte. Voi ambite a essere vicino, sempre più vici-no, ma ciò non giova a molto. Cercate piuttosto di essere cari, sem-pre più cari al Signore. Questa è la disciplina spirituale più appro-priata. La situazione attuale in cui versano l’India e il mondo intero ha co-me motto: ‘Ognuno per sé!’ Le cinque dita della stessa mano sento-no di non appartenersi. I quattro componenti di una famiglia pro-cedono faticosamente lungo quattro sentieri differenti: non c’è alcu-no spirito d’unità. Quanto felice sarebbe invece l’uomo se lo svilup-passe!Potete forse consumare il vostro pasto con un dito solo? Quando le cinque dita di una mano lavorano all’unisono, lo stomaco sarà sa-ziato in cinque minuti; allo stesso modo, dieci uomini che operano insieme possono completare facilmente il loro lavoro. State attenti a non sviluppare legami o attaccamenti, a non coltivare desideri, e a non cadere nello sconforto a causa di un fallimento, senza prima avere valutato attentamente le relative conseguenze. Tyāgarāja consigliava che persino il nome di Dio non dovesse essere ripetuto senza prima averne compreso interamente il significato profondo.
[3] La mente è come un fiore di loto; ha bisogno di madhu per cre-scere e di kara per svilupparsi. Madhu significa acqua e kara vuol di-re ‘i raggi del sole.’ È noto che il sole fa evaporare l’acqua dal suolo verso l’alto e poi la riversa giù. Le api che sono attratte dal loto vengono chiamate madhu kara, e asportano il polline e la fragranza del fiore. Madhu significa anche dolcezza, miele, ed è un sinonimo della parola amore. Quando il male e le colpe dell’individuo sono purificate mediante l’acqua dell’amore, il cuore potrà fiorire e contemplare la gloria di Dio. In caso contrario, l’uomo dovrà languire nel fango, oppresso dal sudiciume e dalla melma. Studenti! La natura attorno a noi insegna molte lezioni. Quando una mucca partorisce, il vitellino è avvolto dalla placenta; allora la madre lecca via quella materia per ripulirlo e consentirgli di alzarsi sulle proprie gambe. Tale è la forza del suo amore! Studenti, riflettete bene su questo punto! Se un animale (paśu) fa tutto ciò con tanto amore e dedizione per aiutare il suo piccolo ad alzarsi, può forse il Signore di tutti gli esseri viventi (Paśupati) astenersi dal ripulire i suoi figli per aiutarli a elevarsi e a progredi-re? Se la mucca (go) è così impaziente di salvare il suo vitellino per vederlo correre gioiosamente, come può Gopāla4 permettere che voi rimaniate sudici e menomati? Abbiate fede salda in Dio. Ecco quello che dovete ottenere dai vostri studi! L’educazione deve alimentare le radici della fede. La fede è il respiro, vive e prospera grazie all’Amore. L’Amore è prāṇa; que-
st’ultimo deve saturare di fede sia i bhajan, i canti devozionali, sia i rituali di adorazione. Inoltre, la fede promuove la dolcezza nei pen-sieri, nelle parole e nelle azioni. [4] Oggi ha inizio uttarāyaṇa5 che deve essere contraddistinto dalla vostra decisione di attenervi al percorso che conduce a Dio; perciò volgete la mente a Dio e questo la renderà forte e dolce. Il santo Tyāgarāja disse che se fosse stato armato con la grazia di Rāma nulla avrebbe potuto fargli del male, neppure un missile pla-netario. Un altro grande santo, Purandara Dāsa6, era solito chiedere: “A cosa servono gli occhi?” Ed egli stesso rispondeva alla domanda: “A vedere Te, oh Signore, e gli occhi che non anelano a vederti non sono che biglie nere; le orecchie che non desiderano ascoltare le Tue lodi non sono che anguste grotte montane in cui vivono gli sciacalli; e le lingue che non si dilettano nella ripetizione del Tuo nome divi-no possono solo gracidare come rane.” Questo è il periodo della vi-ta in cui dovete coltivare la fede e trarre forza dalla grazia di Dio. [5] Esistono tre categorie di persone impegnate nelle varie attività lavorative. Alla prima appartengono gli inattivi, akarmin, che fanno grandiosi progetti e sono orgogliosi dei loro talenti, ma non appena si presentano le prime difficoltà si lasciano scoraggiare e abbando-nano ogni impegno. Essi rinunciano a qualsiasi tipo di disciplina, persino al canto dei bhajan; la loro natura è tamasica, ovvero domi-
nata dall’ignoranza e dalla pigrizia. Tenetevi lontani da persone si-mili e non permettete neppure alla loro ombra di sfiorarvi, altri-menti il vostro entusiasmo ne sarà danneggiato. Alla seconda categoria appartengono i vikarmi, quelli che agiscono in modo sbagliato. Costoro si lanciano in diverse attività senza di-scriminare se siano buone o cattive perché sono troppo eccitati e iperattivi. Questi individui sono dominati dalla natura rajasica o passionale. Alla terza categoria appartengono invece i sukarmi, i benefattori, co-loro che lavorano per Dio, che sono di natura sattvica, devota ed equilibrata; essi operano con devozione e disciplina e compiono il loro dovere per venerare la Divinità che dimora in loro; i sukarmi offrono il loro operato come atto di adorazione e sono felici dopo averlo svolto al meglio delle loro capacità. [6] L’uomo è nato per soffrire e purificarsi nel crogiolo della vita. Il suo karma determina la sua nascita; i sentimenti di attrazione e re-pulsione lo spingono ad agire; le sue simpatie e antipatie sono la conseguenza dell’impatto esercitato dall’ambiente in cui vive, e so-no causate dall’influenza della dualità; quest’ultima è il prodotto dell’ignoranza. Quando l’ignoranza viene superata, rimane solo la beatitudine. Arjuna soffriva di quest’ignoranza di fondo, ma quan-do Kṛṣṇa gli concesse la luce della saggezza, egli guarì. Abbiate fede nella Verità che sa rimuovere l’illusione. Non è possi-bile persuadervi a sviluppare la fede, e neppure riuscirete a ottener-la attraverso i libri. Tuttavia potrete conoscere e sperimentare la Ve-rità quando purificherete il cuore e lo espanderete attraverso il ser-vizio e l’Amore. Bhīṣma era un eroe senza pari, protettore dei cugini che combatte-rono gli uni contro gli altri nella battaglia del Kurukṣetra; era un
eminente studioso vedico, un grande ricercatore spirituale e un modello di virtù; egli raggiunse l’apice della rinuncia e riuscì a dif-ferire il momento della sua morte di cinquantaquattro giorni per poter ascendere alle regioni celesti. Mentre il giorno di uttarāyaṇa stava albeggiando, Bhīṣma esalò il suo ultimo respiro ripetendo il nome divino ‘Kṛṣṇa, Kṛṣṇa’ e si unì a Dio. Tale era la grandezza della sua devozione. Ecco il Mio messaggio di saṅkrānti per voi: cercate di vedere Dio in tutti e sarete ampiamente ricompensati.
Ostello di Bṛndāvan, 14.01.1982