23 Novembre 1981 (Compleanno)
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La sublime Verità unificante del Sé
È facile affermare ‘Non è questo, non è quello.’Ma chi può asserire ‘Questo è Dio?’Dio è Verità eterna, Saggezza imperitura. Descriverlo o rivelarlo è al di là della facoltà delle parole.
[1] Incarnazioni dell’amore! Le scintille che emanano dal fuoco non sono diverse né identiche al fuoco; analogamente, il jīva (l’anima individuale) non è diverso né identico al Brahman, l’Assoluto. Quanti esseri, fra le innumerevoli specie viventi, nascono come umani? Quanti conseguono la condizione umana? Quanti individui che hanno vissuto come umani hanno imparato il retto vivere e la retta azione? Non è l’apparenza fisica che può distinguere l’uomo. La pianta del cotone produce dei frutti che assomigliano al mango, ma non lo sono; esistono molte varietà di giunchi, ma non tutti sono canne da zucchero; il quarzo sembra una caramella, ma non è certo commestibile.
Non bisogna quindi lasciarsi ingannare dalla forma. Il contenuto è l’importante criterio di valutazione: il contenuto è il Divino.
Il jīva dimora nel corpo, Dio risiede nel cuore, per qualche tempo giocano insieme ma poi si separano l’uno dall’altro. C’è l’Uno, il Burattinaio che sta dietro [le quinte] mentre i burattini [bene e male] inscenano le loro commedie e poi scompaiono.
Il jīva e il Brahman diventano identici solo quando la liberazione è raggiunta. Finché non confluisce nel mare, il fiume resta tale e ha un nome diverso e una forma distinta. Allo stesso modo, finché il jīva è attaccato alla gabbia fisica, ai sensi, alla mente e all’antaḥka-raṇa1 non si fonde in Dio, ma resta separato.
[2] L’ātma è sempre autonomo, autosufficiente. Il mondo materiale esiste grazie a quello dello spirito. L’ātma è il Principio di Unità che assume l’apparenza della diversità, ovvero del mondo. L’immanen-za dell’ātma è la Verità unificante che si manifesta come Divinità in tutti gli esseri. Pertanto, è dovere di ogni uomo vivere nella consa-pevolezza di tale Verità.
Chi dimora sulla Terra deve per prima cosa diventare un vero uomo. Poi deve imparare la via che porta a Dio e scoprire la beatitudine del Sé.
Tale è la via del rājayoga2 insegnata dai Veda. L’ātma illumina tutte le cose e splende di luce propria: non ha biso-gno di altre fonti luminose per brillare. L’ātma è il testimone del-l’universo; per l’ātma, l’intero cosmo è un oggetto che viene ‘visto’, lo è persino l’occhio che vede, anche se la mente non è interessata a farlo; persino la mente è un oggetto, poiché deve essere stimolata e spronata da qualcos’altro dotato di volontà e decisione. La trama e l’ordito della mente sono costituiti da desideri e repul-sioni, da raggiungimenti e regressioni; anche la facoltà di ragiona-mento è un suo strumento. L’ātma ha come suo abito il corpo, la mente, la ragione, l’intelletto e gli strumenti interiori di percezione; nonostante appaia essere il fulcro di tutte le attività ed emozioni, non è minimamente toccato da tutto ciò: la sua natura è consapevo-lezza, pura e immacolata. Il corpo è soggetto alla nascita e alla mor-te, cresce e decade, mentre l’ātma è esente da ogni mutamento.
L’Eterno e Imperituro senza nascita né morte,che non ha inizio, fase intermedia né fine, che non è soggetto a morte né a nascita, non può mai essere distrutto. È il Testimone, il Sé, l’ātma.
[3] L’individuo che lotta per conseguire la consapevolezza dell’ātma corona realmente il suo destino umano. Purtroppo oggi, per pura e semplice ignoranza, gli uomini non mostrano alcun interesse a con-quistare quella consapevolezza, e tanto meno procedono in tale di-rezione; il loro passo non è determinato né sicuro. Una volta, Adi Śaṅkara implorò Dio pregando di perdonargli tre errori che aveva commesso: “Signore! Pur sapendo che Tu trascendi l’intelletto e l’immaginazione, io commetto l’errore di meditare su di Te. Consapevole del fatto che le parole non sono in grado di de-scriverti, io cerco d’illustrare la Tua Gloria e, pur credendo e predi-cando che Tu sei onnipresente, sono andato in pellegrinaggio a Kāśi (città di Benares). Pertanto le mie azioni smentiscono le mie parole.” State dunque attenti a non commettere un grave errore che è molto comune: dire una cosa e operare per ottenere l’opposto. Un uomo si crea un fragile nido costruito sulla sabbia, sollecitato dall’illusione che sarà solido, ma una forza gigantesca sconvolge tutte le sue speranze, senza pietà. Una tempesta improvvisa strappa i petali di un fiore appena sbocciato gettandoli nella polvere. Immerso nell’ignoranza, l’individuo si ostina a non imparare le le-zioni che le catastrofi gli infliggono e resta aggrappato pateticamen-te ai suoi desideri e progetti. Così i risultati che raccoglie sono com-pletamente opposti a quanto ha progettato. Egli potrà ottenere il successo tanto ambito solo quando le sue azioni e i suoi sforzi sa-ranno coerenti con i risultati che desidera raggiungere. [4] I Veda asseriscono che il massimo conseguimento in campo spi-rituale ‘trascende la parola, il pensiero e l’immaginazione’, e descri-vono tale obiettivo supremo usando due termini: nitya e svāgata. Il primo significa ‘Eterno, ciò che resta immutato nel passato, presente e futuro’. Il secondo termine (svāgata) vuol dire: ‘Quello che, da una posizione fissa e immutabile, illumina la consapevolezza di tutti
ovunque’: come il sole che dalla sua sede irradia luce e splendore in ogni direzione, o come una lampada che, posta su un tavolo, illu-mina tutta la casa. Analogamente, l’ātma è solo Uno ma risveglia e illumina tutti grazie alla luce della saggezza. Il Sole possiede due caratteristiche: la luce e il calore. Si può consi-derare che anche l’ātma abbia due aspetti: svarūpa (essenza) e svabhāva (effetto o qualità). La sua verità intrinseca o svarūpa è cono-sciuta come dharmi, mentre il suo effetto, qualità o svabhāva è noto come dharma.Quando un individuo è consapevole del dharma, si può dire che ab-bia acquisito dharma bhūta jñāna, la trasformazione che deriva dalla conoscenza dell’ātma svabhāva3 o dharma. La sublimazione che inve-ce deriva dalla conoscenza dell’ātma svarūpa4 è detta dharmi bhūta jñāna. L’essenza dell’ātma è aṇu5 e il suo dharma o qualità è lo splendore. L’ātma è detto vibhu6.
Più piccolo del più minuscolo atomo, più vasto del più vasto, testimone di tutto, ovunque, l’ātma è Brahman, Brahman è l’ātma.
L’ātma, questo minuscolo atomo, è immanente in tutte le cose e la sua caratteristica di splendore è evidente ovunque; pervade tutto, ma niente può occupare lo spazio dell’ātma.Il Principio atmico o del Brahman, sinonimo del Principio Divino, è immanente in tutte le cose dell’universo, ma nulla può risiedervi o penetrarlo. Poiché l’atomo o ātma è presente in tutto, è evidente che ogni cosa è ātma. Non esiste alcunché nell’intera creazione che non possieda questa energia atomica; la caratteristica dell’atomo è riconoscibile in tutto come dharma. Pertanto la sua verità intrinseca, dharmi o ātma, è on-nipresente. Anche il corpo umano non fa eccezione: l’atomo o aṇu è immanente nel corpo, perciò tutti sono incarnazioni dell’ātma, del-l’energia atmica. [5] [Tenendo in alto un bicchiere d’argento Bhagavān dice:] Sapere che questo è un bicchiere d’argento significa conoscere il dharma, ovvero conoscere la qualità; riconoscere che questo è argento vuol dire co-noscere il dharmi o ātma, cioè l’essenza. Anche questo fazzoletto è costituito da atomi: se lo bruciate diventa cenere, la quale è costituita da particelle atomiche. L’atomo persiste anche quando la materia assume un’altra forma: ecco perché i Veda dichiarano che l’ātma è laVerità Eterna. Il corpo è composto di sostanze diverse, ma la struttura di ogni so-stanza è fondamentalmente atomica. L’aspetto e l’appellativo di un individuo possono mutare passando attraverso l’infanzia, la fan-ciullezza, l’adolescenza, la gioventù, l’età adulta e la vecchiaia, ma la sua essenza, la sua Realtà divina (o dharmi) rifulge nel suo splen-dore originario rimanendo immutata. Tuttavia, essendo ignaro di questa sua Realtà e Verità, l’uomo si lascia catturare completamente dall’illusione.
Le cose di per sé non sono così importanti, ma la loro verità tra-scendente è preziosa. Dovete scorgere l’aspetto spirituale in quello materiale, l’oro nei vari gioielli, il Divino nei diversi caratteri e comportamenti: sforzatevi quindi di riconoscere l’ātma. Tutti gli es-seri sono ugualmente soggetti a nascita e morte, e le differenze fra loro emergono solo nell’intervallo tra la nascita e la morte. Sia un re sia un mendicante nascono nudi, dormono allo stesso modo ed entrambi, quando giunge l’ora, si accomiatano da questa terra senza neanche lasciare il loro nuovo indirizzo. Come può dunque la loro realtà essere diversa? Su questo punto non ci posso-no essere dubbi: tutti sono fondamentalmente uguali. Chi appartiene a chi? Per quanto tempo possono durare i legami familiari? Questo tipo di atteggiamento non deve però indurvi a sfuggire ai vostri doveri. Ogni persona deve adempiere i propri do-veri, solo Dio è esente da doveri e coinvolgimenti. [6] Anche se il cosmo intero si regge sul Brahman, Egli non ne è mi-nimamente toccato. Il serpente ha il veleno nei denti ma non ne viene avvelenato; lo scorpione ha il veleno nel pungiglione ma non ne è danneggiato. Se vedete la vostra immagine riflessa in molti specchi, non avete dubbi né timori [alla vista di tutti quei riflessi]; analogamente Dio sa che ogni cosa è la Sua stessa immagine, perciò non rimane toccato in alcun modo. I Veda spiegano questa verità avvalendosi di tre fattori: l’oceano, le onde e la spuma. L’oceano è la Base immutabile (kūṭastha), ovvero il Sé Supremo (paramātma); l’onda che emerge e nell’oceano si dissol-ve è il jīvātma, il Sé individuale incarnato nel corpo umano; la spu-ma che si forma sulla cresta dell’onda e in essa si dissolve è la co-scienza di essere il corpo (dehātma), la quale crea l’illusione di essere diversa sia dall’onda sia dall’oceano, sebbene anche la spuma sia essenzialmente l’oceano.
Poiché l’ātma è presente in ogni corpo nella forma di aṇu, la co-scienza corporea è definita ‘coscienza dehātma’. Il jīvātma attiva con la sua presenza la coscienza individuale. Il paramātma è il fonda-mento su cui tutto poggia. L’uomo però s’identifica con il corpo e ignora il dehātma; pensa di essere un individuo singolo e ignora il jīvātma, il Sé individuale, e giunge alla conclusione che come indi-viduo è separato; così è ignaro del paramātma. Può forse un albero gustare la dolcezza dei suoi frutti? Può una pianta rampicante sentire la fragranza dei suoi fiori? Può il libro es-sere ispirato dalla poesia che contiene? Può il paṇḍit (studioso) im-merso nell’attività sperimentare la gioia del distacco? Invece, un gu-ru che ha esperienza della Verità può condurvi sul sentiero della di-sciplina spirituale, ma può solo informarvi e ispirarvi, mentre spet-ta al discepolo agire e progredire. La madre parla al suo bimbo in modo che impari a parlare, ma non può certo parlare per lui! Il pic-colo deve utilizzare la propria lingua. Analogamente, le Scritture Sacre possono solo informare e ispirare. [7] La condotta sfrenata e selvaggia dei sensi va tenuta sotto con-trollo. Molti cercano di porvi rimedio con i digiuni o infliggendosi pene corporali, ma in realtà sono solo perversioni. Il metodo più ef-ficace per controllare i sensi è acquisire la Verità, la Verità del Sé. Poiché l’uomo è immerso nell’ignoranza, è ignaro dell’ātma, l’Uno Universale Eterno che è la Verità di tutti gli esseri; inoltre, il suo amore è limitato, ristretto e centrato sull’ego. Come può dunque sperare di unirsi a Dio? Può forse una formica procedere strisciando sulle onde del mare? Se però l’uomo rinuncia ad attaccarsi alla sua ristrettezza e decide risolutamente d’unirsi al mare, otterrà il nome e il sapore del mare stesso. Sforzatevi quindi di espandervi sempre più, cercate di diventare più vasti, il mare, il Brahman.
[8] ‘Essere uniti nell’Uno’: questa è la vostra missione, il vostro de-stino. Non isolatevi pensando che ognuno basti a sé stesso. Se spe-rate di conseguire la felicità con l’isolamento, credetemi, è un sogno vano. Sappiate che siete l’ātma, proprio come tutto il resto. L’ātma è auto-luminosa, cioè risplende di luce propria. Non c’è bisogno di una lampada accesa per vedere un’altra lampada accesa, o di una lanterna per vedere la luna, poiché essa è visibile grazie ai suoi stes-si raggi. L’ātma rifulge in ogni essere, basta solo che apriate gli occhi per vederlo. Le Scritture proclamano che ‘Tutto è Dio, Dio è in tutto.’ Tuttavia, ripetere tali verità come fossero slogan non è di alcun beneficio. Dovete quindi fare esperienza della verità e vivere nella sua luce. Un guru iniziò un discepolo al mantra śivoham, che significa ‘Io sono Śiva.’ Da quel momento il discepolo cominciò a ripeterlo continua-mente; un giorno, un uomo gli domandò che significato avesse quel mantra. Il discepolo sostenne che voleva dire ‘Io sono Śiva’, ma l’in-terlocutore sapeva che Śiva era sposato a Pārvatī e quindi gli do-mandò: ‘Se tu sei Śiva, dov’è Pārvatī?’ Il discepolo rimase turbato e non ebbe il coraggio di rispondere che Pārvatī è il Principio śakti dell’aspetto śiva di Dio. Il discepolo non era diventato Śiva né aveva la fede per poterlo diventare. Incarnazioni dell’Amore! Il Divino non ha giorni speciali quali il Compleanno. Il giorno in cui svilupperete nel vostro cuore pensieri, attitudini e comportamenti sacri, il giorno in cui deciderete di svolgere attività di servizio pure e non motivate dall’egoismo, ebbene quel giorno sancirà per voi la nascita del Divino, e da quel momento potrete celebrare il Com-pleanno come una reale Festività. Praśānti Nilayam,
Auditorio Pūrṇacandra, 23.11.1981