30 Agosto 1981 – Il compito dell’insegnante

30 Agosto 1981 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il compito dell’insegnante

La felicità completa sorge solo dalla pienezza dell’amore;la verità, la pace, la carità, la forza d’animopossono fruttificare solamente in un’atmosfera d’amore. Questo è ciò che Sai proclama.Gli uomini desiderano star bene, prestigio, potere e vita comoda. Raramente anelano ad avere buoni pensieri, saggezza e virtù. Quale ammonimento migliore può darvi Sai?

[1] I sentimenti e le azioni dell’uomo si muovono lungo tre direzio-ni: quella emotiva, quella pratica e quella razionale, che vengono anche definite le vie di bhakti (devozione), karma (azione) e jñāna (saggezza o conoscenza spirituale). Chi segue la prima via compie ogni attività in uno spirito di dedizione e adorazione che favorisce la purezza e la bontà. Chi segue la seconda via compie azioni orien-tate al servizio, sia verso l’individuo sia verso la società e la nazio-ne, e da tali attività trae gioia e realizza la meta della sua vita. Gli individui dediti al karma pensano che agire sia lo scopo della vita, la sua giustificazione, la sua meta.

Chi segue la terza via, invece, è spinto dallo spirito d’indagine sui Principi fondamentali che governano la vita e la natura, e indaga sulla Realtà che il vedānta chiama tattva. Tattva è una parola compo-sta da due sillabe, tat e tva, e indica la Realtà suprema e totale. I raggi del sole discendono su tutto, sul pulito e sullo sporco, illu-minano le cose buone e cattive ma non ne sono minimamente in-fluenzati. Allo stesso modo, tat non è toccato dalle conseguenze del karma o dalle alterne vicende della vita, ma è il sereno Testimone della natura oggettiva. Tat è il Sé, tvam è la natura sempre mutevole e condizionata. Tat è l’ātma, mentre tvam è an-ātma, il non-sé. Il tipo razionale trae gioia dal processo che lo porta ad analizzare e a scoprire l’ātma escludendo e rifiutando ciò che è an-ātma, il non-sé. Sorprendentemente, il termine ‘razionale’ ha assunto un significato distorto, ma il suo vero obiettivo è l’indagine sul Sé: questo è il mo-tivo per cui l’uomo è stato dotato della facoltà raziocinante. [2] In realtà, queste tre categorie sono come i fili intrecciati della stessa corda, che non possono essere sciolti. Come una casa è fatta di mattoni, malta e legno, così per la casa chiamata ‘vita umana’, la devozione, l’azione e la conoscenza sono essenziali quanto il cuore, la mano e la testa. Per ottenere il successo in campo spirituale do-vreste avere il cuore del Buddha, le mani dell’imperatore Janaka e la testa del grande Maestro Adi Śaṅkara. Questi tre riuniti in Uno formano l’Amore di Sai. Delle tre vie, quella di mezzo, la via del karma (azione) deve basarsi sulla sintesi della devozione e della conoscenza. Il tipo di karma o attività che svolge una persona dà la misura della sua personalità. Come un termometro che rileva la temperatura, così le azioni rive-lano se un uomo è prevalentemente tamasico, rajasico o sattvico. L’azione è importante anche da un altro punto di vista: modella la

personalità umana; inoltre, la natura delle azioni stabilisce quale sa-rà la natura delle conseguenze. Molti sono determinati a dire sempre la verità ma perseverano nel proferire il falso, oppure fanno voto di seguire un ideale ma poi non ci riescono. Perché accade tutto ciò? L’uomo ha in sé le tre qualità dell’inerzia e dell’inattività (tamas), della passionalità ed emotività (rajas) e della purezza ed equilibrio (sattva). La caratteristica della passionalità ed emotività ha un figlio: kāma, lussuria o desiderio. Quella dell’indolenza e della passività ne ha quattro: collera, odio, invidia, egoismo. La lussuria è a capo della suddetta banda dei quattro, e s’introduce con forza nel cuore attraverso un varco che essa stessa si crea, così l’intera banda si accomoda e ne fa il proprio covo. La lussuria è un fuoco che consuma ogni cosa. In Sanscrito, fuoco si dice ‘anala’ che significa anche ‘non abbastan-za.’ Tutti stanno alla larga dal fuoco anche se lo vedono in lonta-nanza; cosa dire allora del fuoco del desiderio che è un violento in-cendio che brucia nel vostro cuore? Com’è possibile vivere in pace e con gioia mentre questo fuoco vi sta consumando? È possibile spe-gnere quel fuoco solo adottando la strategia del controllo dei sensi ed esercitando la discriminazione. [3] Gli insegnanti devono usare il discernimento e quindi sviluppa-re una fede ferma nel Sé. Com’è il seme, così sarà il raccolto! Se essi non riescono a piantare il seme della conoscenza, non potrà esserci l’orientamento o l’inclinazione verso i valori. “Chi sono io?” è la domanda, ma la risposta va appresa, conosciuta e sperimentata. La parola sanscrita per ‘io’ è ‘aham’, che si forma unendo la prima ‘a’ con l’ultima sillaba ‘ha’. Il termine aham indica che tutti i pensieri e le espressioni sono imperniate sull’io e che non vi è nulla al di fuori di esso.

L’io è il centro di tutti gli obblighi e doveri. Gli insegnanti, come an-che tanti altri, lamentano di non ricevere il rispetto che è loro dovu-to, ma se svolgono bene il loro dovere otterranno sicuramente quel-lo che si aspettano. Sia gli insegnanti sia gli studenti devono impe-gnarsi a eseguire i loro rispettivi compiti con accuratezza, e devono stare ben attenti che le cattive abitudini e i vizi non facciano presa sulla loro mente perché questi finirebbero col divorare le loro parti vitali fino a farli sgretolare, proprio come fa un formicaio di termiti. Gli insegnanti e gli studenti devono instaurare un rapporto costrut-tivo fra di loro; gli insegnanti devono condividere i sentimenti di dolore e gioia degli alunni come fossero i propri, e devono immede-simarsi con loro come il latte fa con l’acqua. Quando il latte è portato all’ebollizione, l’acqua presente in esso evapora, tanto che il latte si sente così dispiaciuto da sollevarsi oltre il bordo del bollitore per cercare di gettarsi nel fuoco. Allora, ve-dendo la sua difficile situazione, voi versate nel recipiente un goccio di acqua, così il latte si quieta perché la sua compagna è ritornata. L’uomo ha in sé il sole della Conoscenza (jñāna) ma non ne è consa-pevole e si comporta come se dovesse vivere in una cella buia: la causa di questo è māyā, la ‘grande illusione.’ L’insegnante, dunque, al quale è affidato il compito di portare la luce nelle tenere menti degli allievi, deve essere consapevole della propria luce interiore, in modo da poter essere d’ispirazione agli alunni che sono sotto la sua tutela.

Praśānti Nilayam, Auditorio Sathya Sai, 30.08.1981