Maggio 1981 – La più grande follia

Maggio 1981 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La più grande follia

Potete acquisire la conoscenza in tutti i campi del sapere eottenere la vittoria nei dibattiti fra eminenti studiosi.Potete donare case, terre e mucche,e persino volare nel cielo e contare tutte le stelle.Potete conoscere i nomi di tutti gli esseri viventi del mondo, essere padroni delle otto discipline per conseguire la conoscenza dell’Assoluto, o raggiungere la luna.Ma è davvero difficile dominare i propri sensi, rendere stabile la mente, acquisire la visione interiore emantenere sempre pace ed equanimità.Potete essere esperti di tutte le Scritture, dei Veda e del vedānta, essere un re e vivere in un palazzo reale, o un grande guerriero vittorioso in ogni battaglia.Potete aver sconfitto la Dea della povertà e possedere enormi ricchezze.Ma, ahimè, tutto questo non è di alcuna utilitàse non avete devozione, se non meritate la grazia di Dio.
[1] Se l’uomo non comprende la sua natura interiore, se non sa do-minare la mente e afferrare la verità spirituale, non è di alcuna utili-tà al mondo. L’individuo deve sentirsi responsabile del progresso della società, sostenere i valori della vita e promuovere il bene della comunità.Oggi, gli scienziati e i governanti delle nazioni hanno dimenticato i veri valori della vita e il bene del mondo e sono ossessionati solo dal progresso materiale, ma se non sono consapevoli dei valori spi-rituali non potrà esserci pace né prosperità nel mondo. Se non c’è una base spirituale, pur avendo gli occhi, gli uomini sono ciechi; pur avendo le orecchie, sono sordi; anche se sono intellet-tualmente brillanti, essi sono insensati e folli. Solo la spiritualità può conferire la vera visione e renderli completi e moralmente sani.Oggi l’uomo è una contraddizione unica: i suoi pensieri, parole e azioni sono incongruenti. Se non possiede coerenza e armonia, co-me potrà contribuire alla concordia e all’equilibrio della comunità e del mondo? Può solo creare caos: questa è la grande sventura del mondo oggi. Pertanto l’uomo deve comprendere sé stesso, la sua dignità e la sua realtà spirituale; solo così potrà acquisire la giusta prospettiva. Altrimenti è come la storia dei dieci discepoli stolti. Ognuno di loro contava i componenti del proprio gruppo, ma si accorgeva che i presenti erano solo nove e non dieci; così tutti piangevano il decimo che mancava all’appello. In realtà, ogni discepolo dimenticava di contare sé stesso, quindi si disperava e faceva soffrire anche gli altri.Oggi, i governanti e i cosiddetti scienziati sono stolti quanto quei dieci discepoli. Senza neppure cercare di comprendere la propria realtà interiore, essi fanno indagini sulla luna, i pianeti e le stelle.
[2] Come prima cosa, l’individuo deve coltivare purezza di pensiero ed equanimità mentale, e questa non si può acquistare e ottenere dall’esterno ma bisogna farla sorgere dall’interno. Quando avrà ac-quisito equilibrio ed equanimità, sia nel piacere sia nel dolore, sarà libero da ogni sofferenza e potrà assaporare la pace.L’uomo deve capire le cause del dolore. Secondo il linguaggio ve-dantico, le tre fonti di dolore sono prakṛti1, jīva (il sé individuale) e daiva (Deità), e sono dette ādhyātmika2, ādhibautika3, ādhidaivika4.Innanzi tutto dobbiamo cercare di comprendere che cosa sia prakṛti, e capire che non è una realtà permanente; è qualcosa di successivo e ha solo una realtà relativa. Tutto quello che non è una realtà perma-nente è falso, perciò dobbiamo trascendere la coscienza di prakṛti.
Solo quando dimenticheremo ciò che dobbiamo dimenticare, sare-mo felici. Prakṛti, la manifestazione che vediamo attorno a noi, non può darci felicità e cambia ogni momento. Le esperienze che prakṛti può darci nello stato di veglia vengono annullate nello stato di sogno, e quelle del sogno cessano quando ci svegliamo: le esperienze del sogno so-no una nostra creazione come pure quelle dello stato di veglia! Quello che vediamo non è altro che una nostra creazione.La nostra visione e l’esperienza del mondo sono soltanto una proie-zione della mente e il riflesso dei nostri pensieri. Com’è il pensiero, così è la visione. Il colore degli occhiali che indossate determina il colore delle cose che appaiono alla vista. Se portate occhiali rossi, tutto vi apparirà di colore rosso; se li portate verdi, tutto vi apparirà verde. I pensieri puri fanno apparire il mondo puro. Se guardate le cose con amore, con un cuore amorevole, il mondo intero e l’intera crea-zione vi appariranno come un riflesso di prema, del puro amore.[3] L’egoismo contamina il nostro amore e vela il Divino celandolo alla nostra visione. Qual è la causa di questo egoismo che ci na-sconde la Divinità? È semplicemente il nostro attaccamento al cor-po, la debolezza della mente e il nostro asservimento ai sensi. Qual è il modo per superare o sublimare l’egoismo? Innanzi tutto dobbiamo fare una valutazione esatta, avere una comprensione cor-retta del nostro corpo, dei sensi e della mente. Essi non sono noi, ma a causa della nostra ignoranza ci identifichiamo con quelli; in realtà, sono i nostri indumenti, sono l’abito che indossiamo. Il corpo non è noi, gli organi di senso non sono noi, la mente non è noi! Sono sol-tanto i nostri abiti; ecco perché affermiamo: ‘questo è il mio corpo.’
Noi non diciamo mai ‘io sono il corpo.’ Dobbiamo quindi sforzarci di comprendere che ne siamo completamente separati. Il Sé che è separato da questi organismi è la vera entità in noi: noi siamo il Sé.Il corpo fisico è costituito dai cinque elementi, che per loro natura sono materiali, perciò esso dovrà cadere e sgretolarsi un giorno o l’altro. Quello che sopravvive e persiste eternamente è solo il Resi-dente del corpo (dehin), il quale non ha né nascita né morte; è l’ātma ed è un aspetto di Dio stesso. Il corpo è soltanto un upādhi, un abito dell’ātma.Per quanto riguarda gli organi di senso, sono come le redini del ca-vallo. Ogni senso ha dei limiti e una funzione specifica; ad esempio, l’occhio ha il compito di vedere, l’orecchio di udire, ecc. Ogni facol-tà ha una funzione particolare e limitata.Dovete apprezzare la grande armonia con cui i sensi lavorano. Se l’occhio vede qualcosa di piacevole e attraente, la mente lo vuole possedere. Così le gambe vi portano sul posto, le mani prendono l’oggetto, e l’atto di averlo vi dà soddisfazione e gioia. Quindi nota-te la collaborazione che esiste fra tutti gli organi di senso, la solida-rietà, l’aiuto reciproco e la coordinazione con cui tutti operano.Se gli occhi vedono una spina mentre camminiamo su un sentiero, immediatamente le gambe si spostano per evitarla; se per caso il piede viene ferito da una spina, gli occhi piangono. Se l’occhio duo-le, l’intero corpo ne soffre. Così il dolore subito da un certo organo viene condiviso dagli altri. Che grande lezione di vita armoniosa ci insegnano i sensi![4] Nelle upaniṣad, il corpo è detto ‘carro’, le redini sono la mente, i sensi sono i cavalli, l’intelletto è il conducente del carro e l’ātma, il Signore, è il ‘passeggero’ seduto all’interno.
La mente, che è come le redini per frenare i cavalli (i sensi), è un calderone di decisioni e indecisioni, è un complesso di pensieri di vario genere. A volte quando i pensieri diventano esagitati, la men-te si turba e piomba nel dolore, ma in realtà essa è soltanto un fascio di fantasie e immaginazioni. Come i molti fili tessuti insieme formano la stoffa, così anche gli in-numerevoli pensieri costituiscono la mente. Se non ci sono pensieri, non c’è mente. Una mente pura è costituita da buoni pensieri o da pensieri su Dio, perciò dovete evitare le idee e i pensieri malvagi e avere solo pensieri buoni. Fate uso della vostra intelligenza e di-scriminate i pensieri buoni da quelli cattivi. La mente viene anche detta l’io, il pseudo-io, ma in verità è māyā5. Tutti affermano ‘Sono mentalmente preoccupato, la mente mi dà molti problemi.’ Qualcuno ha forse visto la mente? In verità, nessu-no sa cosa sia la mente, ma ne risente e soffre a causa della sua esi-stenza illusoria. Le preoccupazioni da cui siete afflitti sono di vostra creazione, an-che la paura è auto-indotta. Se immaginiamo che la mente ci sia, quella compare. Negatela o indagate su di essa, e svanirà totalmen-te. Invece d’indagare, attribuiamo alla mente un’importanza ingiu-stificata, le permettiamo di dominarci e così ci assoggettiamo alla sofferenza.
[5] Un giorno, un discepolo andò da Śrī Rāmakṛṣṇa Paramahaṃsa6 e si lamentò: ‘La mente mi fa tribolare e mi tormenta.’ Rāmakṛṣṇa gli diede una risposta molto arguta: ‘Oh la tua mente ti dà così tanti problemi? Prendila e portala qui da me: la punirò.’ Egli voleva solo sottolineare che la mente non era altro che la sua stessa immagina-zione. Sono solo i desideri che creano lo spettro della mente; se i de-sideri vengono dominati, la mente scompare.Dobbiamo investigare e andare oltre il corpo, i sensi, la mente e l’in-telletto e raggiungere la loro fonte: l’ātma che è il fondamento, la ba-se e l’origine di tutto. Per tutto quello che vediamo c’è una base che non vediamo.Affinché l’auto possa viaggiare, la strada è l’area immobile su cui l’auto può muoversi; l’auto può cambiare direzione, ma la strada no. Se anche la strada si muovesse, l’auto come potrebbe procedere? Analogamente, l’ātma è la base che fa funzionare la mente, i sensi e il corpo, è il loro unico supporto e fondamento.[6] Prima ho menzionato la similitudine del carro; dobbiamo però ricordare il ruolo importante che l’intelligenza svolge durante il viaggio con il carro. I cavalli possono essere imbrigliati, il carro può essere pronto, ma se il conducente non c’è a cosa serve il carro? C’è un’automobile eccezionale, il serbatoio è pieno di benzina, i pneu-matici sono gonfi ma manca l’autista: a cosa serve l’auto?
L’intelletto (buddhi) è come il conducente dell’automobile. Buddhi è la facoltà che distingue il buono dal cattivo e stabilisce quale via prendere. L’intelletto deve esercitare il suo arbitrio o facoltà di scel-ta alla luce delle ingiunzioni che riceve dall’ātma, il suo Padrone.L’intelletto è superiore a tutte le altre facoltà, e la sua importanza è dovuta alla sua vicinanza al Sé. I cavalli stanno davanti al carro, le redini sono attrezzi esterni, ma il conducente si siede vicino al Pa-drone che è all’interno. Questo è il motivo per cui fra tutti gli stru-menti, l’intelletto è il più importante. Sotto a buddhi c’è manas, la mente, e sotto agli organi di senso c’è il corpo. Lo splendore dell’ātma discende direttamente sull’intelletto, il quale riceve il massimo beneficio e grande forza dal Sé. In tal modo, buddhi può giudicare correttamente e scegliere la via giusta. Solo se l’uomo usa la sua intelligenza in modo retto, viene detto buddhimān, intelligente e saggio. Se invece non la usa in modo ap-propriato, viene detto mūḍha, ottuso, o aviveki, ignorante.[7] L’intelletto deve esercitare il suo controllo sulla mente, e a sua volta la mente deve tenere i sensi sotto controllo, ma quello che ac-cade generalmente è che l’intelletto non esercita la discriminazione; perciò la mente prende il sopravvento sull’intelletto e i sensi hanno il dominio sulla mente. Così il carro procede nella direzione sbaglia-ta e lo scopo del viaggio non viene realizzato. Per evitare un simile inconveniente, l’intelletto deve agire nella luce atmica, e la mente deve essere subordinata all’intelletto. Se buddhi è ancorato e centrato nel Sé, ne riceve la luce e lo splendore, nonché la forza per svolgere il suo ruolo in modo efficiente e proficuo.Nella nostra vita quotidiana, se usiamo l’intelligenza per discrimi-nare tra ciò che è giusto e sbagliato e seguiamo le direttive dell’ātma, allora tutto andrà per il meglio. Questa è la prescrizione di-vina, il rimedio universale per la vita. Innanzi tutto è indispensabile avere fede nell’esistenza dell’ātma e nella sua supremazia; se l’individuo invece non ha fede nell’ātma né fiducia in sé, e va avanti esibendo la sua vanità egoistica, come può trarre beneficio dalla luce divina e dalla sua guida? Come potrà co-noscere lo splendore dell’ātma?Incarnazioni del divino Amore![8] L’universo creato ha due aspetti: il primo è la transitorietà (anityam), il secondo è l’infelicità (asukhaṁ). Nella Bhagavad Gītā, Kṛṣṇa afferma: anityam asukhaṁ lokam imaṁ prāpya bhajasva mām || Poiché sei venuto in questo mondo transitorio e infelice,cerca una comunione d’amore con me. (BG 9.33)Scambiare questo mondo per il tutto e dimenticare l’ātma che è l’eterno e unico rifugio è la più grande follia dell’uomo. Egli punta tutte le sue speranze sul mondo instabile e falso e corre come un pazzo per ammassare e accaparrarsi ricchezze. Naturalmente, bisogna provvedere ai bisogni materiali ma entro certi limiti, e non a scapito dei valori spirituali. Soldi e ricche dimo-re non sono la sola ricchezza; accumulate invece il patrimonio spiri-tuale: il carattere è ricchezza, la retta condotta e la saggezza spiri-tuale sono ricchezze!
Incarnazioni del divino Amore!Sforzatevi di promuovere la retta condotta, di ottenere l’eterna ric-chezza della saggezza spirituale: tutte le altre conquiste non vi sa-ranno di alcuna utilità; esse attireranno a voi parenti e amici proprio come le rane si precipitano nello stagno quando è pieno, ma non appena si prosciuga neanche una sola rana vi resta. Se un individuo perde le sue ricchezze, amici e parenti lo abbandonano inesorabil-mente: così è l’amore terreno! Oggi gli amici si dileguano, tutti i parenti sono in tensione, i fratelli si dividono, le famiglie si separano: questo è il dramma causato dal-la ricchezza secolare. Non siate quindi ossessionati dall’accumulare ricchezze ma sforzatevi invece di ottenere il patrimonio di un com-portamento corretto. Coltivate l’amore spirituale e impegnatevi nel servizio altruistico al prossimo. Attraverso il servizio conquisterete un buon carattere e promuoverete il puro amore. Dedicate il corpo, la mente e i sensi al servizio degli altri.paropakārārtham idam śarīram Questo corpo umano ci è dato per servire il prossimo.Il corpo non vi è stato donato per odiare e nutrire gelosia nei con-fronti degli altri e per vivere in modo egoistico peggio di un anima-le. Dedicate costantemente il prezioso dono del corpo al servizio amorevole e disinteressato.Dovete anche tenere a mente che il vostro motto è ‘dare soltanto’, che non c’è niente di grandioso nel fare il bene a chi vi ha fatto il bene: questo è solo uno scambio, come dare e ricevere; invece fare il bene a chi vi ha fatto del male è un gesto ben più nobile. Per un volontario Sai, il motto sarà: ‘dare solo dare’. Anche se non ricevete niente in cambio, dovete dare e dare. Qualcuno potrebbe
biasimarvi, ma ignorate le critiche e andate avanti a rendere servi-zio senza rancore: servire è il vostro unico dovere. [9] L’universo è una manifestazione di Dio, e anche l’uomo lo è. Dio, l’universo e l’uomo sono come la Trinità7: Brahmā, Viṣṇu e Maheśvara. Questi ultimi non sono tre ma Uno, è la Divinità unifi-cata. Avere a cuore e nutrire questo pensiero di unità e servire la so-cietà è vera vita spirituale.Inoltre dovete seguire costantemente il detto:sarvadā sarva kāleṣu sarvatra hari cintanam Sempre, in ogni circostanza, ovunque vi sia la contemplazione di Dio.Non è sufficiente tenere in mano il rosario e recitare il Nome di Dio una volta prima dell’alba, un’altra nel pomeriggio e una terza alla sera. In tutte le ventiquattro ore dovete ricordare Dio, dovete sfor-zarvi di risvegliare sempre lo spirito in voi e farlo sbocciare: questo è il vero scopo della vita. [10] La vera educazione è unicamente ātma vidyā, la Conoscenza del Sé. Invece oggi l’istruzione è orientata solo al guadagno; ma per riempire uno stomaco così piccolo, è necessario imparare così tante materie? C’è la conoscenza della musica, delle arti, della scienza, ecc., ma tutte perdono ogni importanza di fronte alla conoscenza dello spirito. Tutti gli altri rami del sapere sono come ruscelli che scorrono verso il mare. Come tutti i fiumi sfociano nell’oceano, così
tutti i tipi di educazione trovano il vero compimento solo quando approdano alla conoscenza spirituale e alla saggezza. Ogni giorno, qualsiasi lavoro dobbiate compiere, fatelo in nome di Dio rendendo così la vostra vita sacra. Non dovete pensare che la vita secolare e quella spirituale siano differenti. Non fate distinzioni del tipo: ‘la vita spirituale è zucchero, quella secolare è acqua insi-pida.’ Dovete mescolare l’acqua nel bicchiere e fare in modo che lo zucchero sul fondo si sciolga bene, così potrete gustare la dolce be-vanda. Allo stesso modo, la vita materiale va mescolata e armoniz-zata con quella spirituale.

Dharmakṣetra, Bombay, maggio 1981