25 Marzo 1980 – I quattro fratelli

25 Marzo 1980 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

I quattro fratelli

[1] Rāma1 è il Nome più dolce di tutte le cose dolci che esistono in
natura, sia che venga pronunciato da solo o in gruppo, e non stanca
mai la lingua né la mente; inoltre possiede potenzialità mistiche misteriose
che elevano l’uomo: sforzatevi quindi di fissare la mente
sul Nome Rāma.
Il Rāmāyaṇa2 non è altro che un’ulteriore versione dei Veda; infatti
si afferma che i Veda abbiano preso la forma del Rāmāyaṇa per contribuire
a distruggere il male e a ripristinare il corretto vivere, compito
questo che il Signore stesso si è assunto durante la Sua Incarnazione
come Rāma. Infatti, Rāma e i Suoi tre fratelli rappresentano
i quattro Veda in forma umana.
[2] Lo Yajurveda stabilisce i diritti e i doveri dell’uomo, cioè il dharma
che gli garantisce la pace e la prosperità sia qui sia nell’aldilà, ed
è personificato da Rāma stesso, il quale indossò la ‘veste’ di uomo
per ristabilire il dharma e per esserne il simbolo. Infatti il Rāmāyaṇa
lo descrive così:
rāmo vigrahavān dharmaḥ
Rāma è la personificazione del dharma.
Il Ṛgveda contiene potenti formule sacre o mantra; illustra e approfondisce
il loro significato avendo il mantra ‘rāma’ come corona.
Lakṣmaṇa, il fratello di Rāma, lo ripeteva costantemente e ci faceva
grande affidamento, poiché tutto nella vita e nell’aldilà è veramente
l’espressione del Ṛgveda; quest’ultimo insegna all’umanità che il
mantra ‘rāma’ assicura a chi lo ripete la costante presenza del Signore.
Il Ṛgveda contiene anche diversi inni che rendono onore e gloria alla
creazione e al Suo Creatore e, grazie all’adorazione che viene sublimata
attraverso il canto degli inni, il Signore concede la Sua divina
grazia.
Il secondo fratello di Rāma, Bharata, i cui pensieri, parole e azioni
erano un costante atto di ringraziamento, un peana di lode dedicato
a Rāma, era il Sāmaveda stesso.
Poi abbiamo l’Atharvaveda che è una raccolta di dettagli di carattere
medico e rituale, di amuleti e talismani protettivi per vincere i
nemici interiori ed esteriori.
Śatrughna, l’altro fratello di Rāma, il cui nome significa ‘il distruttore
dei nemici’ è l’appropriata personificazione dell’Atharvaveda, il
quale permette all’uomo di conquistare e superare le cattive
abitudini, le attitudini e le tendenze negative, in modo da udire la
Voce di Dio e portare con gioia le Sue parole nella vita quotidiana.
Grazie alla sua umiltà, fedeltà e devozione, Śatrughna dimostrò di
avere ottenuto la vittoria sul suo ego, sull’avidità e sull’ira.
[3] Molto spesso si commette l’errore di dimenticare che Rāma venne
per stabilire le regole dell’esistenza e che la Sua vita deve essere
osservata e seguita da tutta l’umanità. Egli rappresenta l’uomo
ideale con le qualità e le virtù che tutti devono acquisire per elevarsi.
Un’adorazione superficiale, una venerazione vacua e priva di valori
non è certo quello che l’avatār si aspetta.
Rāma sopportò grandi difficoltà, delusioni e sofferenze come qualsiasi
altro uomo e dimostrò che la gioia non è altro che un intervallo
fra due dolori, e che la sofferenza è soltanto una sfida, una pausa,
una lezione. Egli mostrò come deve essere la relazione ideale tra figlio
e padre, marito e moglie, fratello e fratello, amico e amico, alleato
e nemico e persino tra uomo e animale.
Il Rāmāyaṇa insegna anche che a causa del karma accumulato, i figli
della stessa madre, possono avere caratteri e professioni diametralmente
opposti. Le acque di uno stagno possono ospitare sia le
sanguisughe sia i fiori di loto. Ad esempio, Vāli3 e Sugrīva erano
fratelli, come pure Rāvaṇa4 e Vibhīṣaṇa5.
[4] Da un altro punto di vista, Rāma e i Suoi fratelli possono rappresentare
anche i quattro puruṣārtha6, dei quali Rāma era il dharma,
Lakṣmaṇa era artha, la ricchezza; Bharata era kāma, la realizzazione
dei desideri, mentre Śatrughna era mokṣa, la liberazione. Questi
quattro obiettivi rappresentano la meta di ogni essere umano.
Daśaratha7 simboleggia l’uomo dotato dei cinque sensi di percezione
e dei cinque organi di azione, che regna su Ayodhyā8, la città
inespugnabile che simbolicamente rappresenta il cuore in cui Dio
risiede. Tuttavia, i quattro obiettivi devono essere ridotti a due coppie:
dharma-artha e kāma-mokṣa. L’individuo deve lottare per raggiungere
la prosperità solo con mezzi onesti, e la ricchezza deve essere
usata per conseguire e sostenere il dharma: questo è il motivo
per cui Lakṣmaṇa seguiva le impronte di Rāma.
Quando Kabandha9 strinse Lakṣmaṇa nel suo abbraccio mortale,
Lakṣmaṇa si offrì di restare fra quelle braccia, e consigliò Rāma di
fuggire per salvarsi la vita.
Questa è la ragione per cui quando Lakṣmaṇa cadde privo di sensi
sul campo di battaglia e non riprese conoscenza, Rāma addolorato
mormorò: “Se Sītā dovesse morire, forse potrei trovare un’altra Sītā;
ma in nessun luogo riuscirei a trovare un altro fratello come te,
Lakṣmaṇa!”
Rāma condivise anche con Bharata quell’amore che Lakṣmaṇa riversava
su di Lui così copiosamente. A Bharata che lo pregava con
le lacrime agli occhi di ritornare ad Ayodhyā nelle vesti di sovrano,
Rāma rispose: “No, nostro padre mi ha ordinato di restare nella foresta
per aiutare e salvare gli eremiti dalle incursioni delle orde demoniache,
e ha stabilito che tu governassi il regno di Ayodhyā, perciò
restiamogli fedeli!” Quella fu l’espressione del Suo amore fraterno.
La seconda coppia di puruṣārtha è kāma e mokṣa: l’unico desiderio
che valga la pena di realizzare è quello per la liberazione. Bharata
sentiva questo forte desiderio e anche Śatrughna lo condivideva.
[5] Dopo il lungo pellegrinaggio ai santuari e ai luogo sacri dell’India,
Rāma visse alcuni anni in apparente introspezione e solitudine,
fino all’età di quattordici anni. Egli provava avversione per il cibo e
per l’abbigliamento regale, non era interessato alle cose materiali né
agli uomini. Rāma faceva oscillare le dita e il palmo della mano, ma
non si sa per quale ragione; scriveva nell’aria, ma solo Lui sapeva
cosa, e rideva senza alcun motivo. In sintesi, le Sue azioni e i Suoi
gesti erano esattamente quelli che facevo anch’Io quando ero adolescente.
Il saggio Vasiṣṭha10 tentò di riportare la mente di Rāma alla normalità,
ma quello era soltanto uno stadio che tutti gli avatār attraversa-
no, prima di intraprendere la missione per la quale sono ‘discesi’. In
quegli anni, l’avatār stava mettendo a punto il Suo Piano Divino!
Alla fine di tale periodo, il Saggio Viśvāmitra11 giunse a palazzo
reale e chiese al padre, Daśaratha, il permesso di portare con sé
Rāma e l’inseparabile Lakṣmaṇa per proteggere e salvare gli eremiti
dalle temibili incursioni delle bande demoniache, che avevano il
preciso intendimento di violare e profanare i riti vedici celebrati dagli
asceti. In tal modo, il Piano Divino cominciò a manifestarsi!

Bṛndāvan, 25.03.1980
Rāma navamī – Anniversario dell’Avvento del Signore Rāma