16 Giugno 1977 – La via dello yoga

16 Giugno 1977 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La via dello yoga

[1] Si può placare la sete con qualche goccia d’acqua, o soddisfare la
fame con pochi chicchi di riso? Realizzare la verità della creazione e
del Creatore implica una dura disciplina e una fede tenace nelle pratiche
indicate dai saggi, che conducono l’uomo al traguardo attraverso
l’indagine, la devozione, il lavoro dedito, la meditazione,
l’adorazione e altre discipline simili.
C’è anche il percorso dello yoga che oggi viene ampiamente valutato
come mezzo di auto-realizzazione; infatti, lo yoga viene insegnato e
divulgato come metodo semplice e sicuro per ottenere la liberazione.
I principianti e le persone comuni vengono fuorviati con stimolanti
promesse, ma occorre avvertirli per tempo dei limiti e delle
possibilità dello yoga, così come viene proposto oggi.
Il primo assioma dello yoga come disciplina spirituale è la ‘conquista
delle agitazioni mentali’. Ma questo è più facilmente detto che fatto,
perché la mente deve essere ‘morta’, non solo addormentata. Naturalmente
ci sono alcuni saggi che hanno ottenuto una simile vittoria,
ma nessuno di loro sarà disposto a farvi da guida nel controllo o
nella conquista della mente perché saranno così immersi nella beatitudine
che le istanze del corpo, del tempo, dei vincoli di causa ed
effetto, non possono neppure toccarli.
Da un insegnante di yoga ci si può aspettare solo una limitata, diluita,
pseudo visione yogica, perché soltanto quelli che si sono arrestati
a metà del percorso si presenteranno come istruttori e guide. Chi invece
ha percorso l’intero cammino lascerà per forza alle spalle il
mondo e i suoi bisogni.
Yoga significa unione o l’atto di unire, perciò il sé individuale,
jīvātma, deve congiungersi al Sé Supremo, paramātma: l’individuo
deve trovare il suo compimento nel Tutto di cui è una parte. Come i
fiumi riportano l’acqua del mare nel mare stesso, e sono felici di
perdere in quell’unione le limitazioni dei loro nomi, delle loro dimensioni,
ecc., così l’individuo s’immerge e si fonde nell’Universale.
Quello è yoga! Ed è proprio yoga quello che accade a un pupazzo di
sale che venga gettato nel mare per valutare la profondità delle sue
acque. Così anche il sale, che proviene dal mare, diventa uno con il
mare stesso.
[2] L’uomo ha cinque involucri che ricoprono la sua individualità:
annamayakośa: l’involucro grossolano materiale;
prānamayakośa: l’involucro dell’energia vitale, del respiro o prāna;
manomayakośa: l’involucro mentale costituito dal pensiero;
vijñānamayakośa: l’involucro dell’intuizione, dell’intelligenza;
ānandamayakośa: l’involucro di beatitudine.
Quando dal mondo oggettivo si volge a quello soggettivo interiore,
l’uomo può liberarsi della propria individualità e raggiungere la sua
natura fondamentale di beatitudine.
Tuttavia, la maggior parte degli uomini trova godimento proprio nel
primo involucro, quello materiale, e resta attratta e impigliata nelle
vicende e nei piaceri materiali. Essi non realizzano che vedono solo
quello che vogliono vedere e che non riescono a vedere al di là dei
loro bisogni. Pertanto se i loro desideri non sono purificati, non possono
penetrare nei regni interiori della beatitudine.
[3] A chiunque domandiate da dove provengano le parole che pronuncia,
la risposta sarà che sorgono dalle corde vocali. No, le corde
vocali possono produrre suoni, ma non parole. La colonna vertebrale,
dal mūlādhāra all’ājñā cakra1 è come la vīṇā, le cui corde risuonano
quando vengono toccate e fatte vibrare. Quando le dita si fermano e,
a intervalli irregolari, premono i tasti fissi della vīṇā, si vengono a
creare note diverse che donano gioia. Quando la mente decide
un’idea che deve essere comunicata, il prāna, la forza vitale, fa vibrare
le corde e le parole scaturiscono.
Il mūlādhāra, il cakra inferiore che si trova alla base della colonna,
rappresenta il Principio prakṛti (natura, materia) o il pṛthvī tattva, il
Principio Terra2; pertanto è in relazione con annamayakośa, l’aspetto
materiale dell’uomo.
Lo svādhiṣṭāna cakra si trova alla base degli organi genitali ed è il
guardiano del prānamayakośa. È la sede del Principio Fuoco, da cui
proviene il calore del corpo che preserva il processo della digestione
e protegge dai cambiamenti ambientali.
Il maṇipūra cakra, situato in corrispondenza dell’ombelico, ospita il
Principio Acqua che permette la circolazione del sangue da e verso il
cuore.
L’anāhata cakra, posizionato nella regione del cuore, ospita il Principio
Aria che presiede alla respirazione, inspirazione ed espirazione,
così essenziale per vivere e per agire. Esso anima la forza spinale e
passa sui tasti della vīṇā interiore.
Il viśuddha cakra è situato nella cavità della gola; rappresenta il Principio
Spazio e promuove il suono.
L’ājñā cakra, situato tra le sopracciglia, è il punto di vijñāna, lo splendore
della Consapevolezza; quando questo cakra è raggiunto, l’uomo
percepisce la Verità, viene trasformato e diventa luminoso; gli
manca solo un passo alla realizzazione finale che otterrà quando
raggiunge il sahasrāra cakra, il loto dai mille petali situato alla sommità
del capo. Quello è il coronamento di tutte le pratiche spirituali
e di tutte le ricerche.
[4] Nei primi due cakra opera e prevale la forza del desiderio, nei
due cakra successivi interviene kriyā śakti3, e negli altri due opera
più attivamente jñāna śakti, l’energia della consapevolezza. La consapevolezza
è presente, ma latente in tutti, ed è pronta a emergere
quando i veli dell’ignoranza sono eliminati. La forza vitale individuale
risiede, come la luce di un lampo nel grembo di una nube scura,
tra la nona e la dodicesima vertebra della colonna; essa sarà vigile
e consapevole solo se si esegue una disciplina spirituale, dopo
aver purificato il carattere e le abitudini.
Se invece s’intraprende la via dello yoga quando i sensi sono ancora
potenti e dominanti, gli effetti sulle proprie emozioni e passioni sa-
ranno disastrosi, tanto che un individuo potrebbe diventare pazzo e
dire e scrivere cose assurde e avventate su di sé e sugli altri. Ho conosciuto
molti casi di aspiranti spirituali che sono finiti fuori strada.
Per questo, il controllo dei sensi, il controllo delle passioni ed emozioni,
il ritiro della mente dalle occupazioni e attività esteriori,
l’equanimità nei confronti degli opposti di caldo e freddo, dolore e
gioia, vincita e perdita, la fede nelle Scritture e nelle esperienze dei
saggi, la stabilità forte ed equanime, sono considerate le necessarie
qualificazioni per un aspirante.
[5] Lo yoga, come viene insegnato e appreso oggi, è solo un insieme
di esercizi fisici, un mezzo per restare sani e godere di un senso di
benessere fisico; non è una disciplina spirituale che conduca alla realizzazione
del Sé. Il corpo, che è composto dai cinque elementi, può
essere influenzato da tali pratiche yoga. La mente non ha un potere
proprio di illuminare; come la Luna, può solo riflettere la luce del
Sole o dell’ātma, il Sé interiore.
L’ātma può essere conosciuto solo attraverso l’amore; qualsiasi affermazione
contraria è falsa e sbagliata. Mediante il potere di kuṇḍalinī
e della sua ascesa attraverso i cakra è praticamente impossibile
realizzare l’ātma universale. Anche se fosse realizzato, tale esperienza
non sarebbe comunicabile. La visione deve essere quella dell’Uno
senza secondo: solo allora sarà autentica. Il nucleo di ogni essere
deve essere riconosciuto come Uno.
[6] C’era una volta un guru che iniziò il suo discepolo al Nārāyaṇa
mantra: ‘Om namo Nārāyaṇa’. Quando l’allievo stava per andarsene,
il guru lo richiamò per dargli un’ulteriore istruzione: “Tieni sempre
davanti all’occhio della mente la forma di Nārāyaṇa mentre reciti il
mantra.” Il discepolo si allontanò, ma il guru lo chiamò ancora e gli
disse: “Sta attento però a non pensare a una scimmia mentre reciti il
nome e contempli la forma.” Il discepolo assentì ma, ogni qual volta
si sedeva per meditare, non riusciva ad allontanare l’immagine della
scimmia; continuava a ripetersi che non avrebbe dovuto pensare alla
scimmia, ma questa si affacciava regolarmente alla sua coscienza.
Alla fine si lamentò del fatto con il suo guru e gli chiese consiglio.
Il guru disse che Nārāyaṇa è onnipresente e immanente in ogni essere,
quindi l’allievo avrebbe potuto meditare su Nārāyaṇa come la
Realtà di qualsiasi essere che apparisse alla sua visione.
Come potete dividere e differenziare alcune cose come ‘non-Dio’ e
altre come ‘Dio’? Tutte sono membra, organi e cellule del Suo corpo;
se separate le membra, gli organi e le cellule, cosa resta di quel corpo?
Pertanto, non lasciatevi indurre a seguire la via dello yoga; è piena di
rischi poiché non si trovano degli insegnanti validi e capaci; ma le
posizioni o posture yoga si possono sempre praticare sotto il controllo
di un esperto a beneficio della propria salute.

Bṛndāvan, Corso Estivo, 16.06.1977