[1] Gli studiosi vedici dell’assemblea Prashānti Vidvan Mahā-sabhā vi hanno parlato ogni giorno del Testimone dei tre stati di veglia, sogno e sonno profondo; hanno citato vari versi delle Scritture per stabilire che voi siete il Testimone e non il protagonista, e che dovete solo svegliarvi dal sonno dell’ignoranza per capirlo. Durante il giorno siete immersi in ciò che si può definire un sogno diurno, la notte sognate o siete assopiti nel sonno, mentre solo la coscienza dell’Io è viva, ma non siete consapevoli neppure di quella! Questa fondamentale ignoranza chiamata Māyā, illusione, vi gioca molti scherzi; vi fa credere che la corda sia un serpente, e voi rabbrividite e fuggite; oppure vi fa immaginare un lago dove c’è solo la sabbia rovente del deserto, e allora correte verso l’acqua con la lingua asciutta per placare la sete. Voi invece la chiamate ‘mayā’, che significa ‘per me’ o ‘attraverso di me’, identificandovi con essa come se fosse vera e benefica. Quando realizzerete che si tratta di Māyā, l’illusione, essa smetterà di turbarvi. Il cane cesserà di abbaiare davanti al suo riflesso nell’acqua del ruscello quando capirà che non si tratta di un altro cane, ma di sé stesso. Tutti sono solo ombre! Perciò chi dovremmo odiare, chi prediligere?
[2] Allora, quale dev’essere l’attitudine del saggio? “Respingete gli attaccamenti, abbandonate i coinvolgimenti; solo la rinuncia conduce alla libertà!” – asseriscono i Veda. Rinunciate all’idea di essere individui separati; vedete voi stessi in tutti gli esseri e tutti gli esseri in voi: è la rinuncia suprema, rinuncia al senso dell’ego, il quale v’induce ad aggrapparvi a questa dimora corporea e temporanea, a questo cumulo di carne e ossa, a tale guscio dotato di nome e forma. L’esercizio spirituale è costituito da due stadi: la contemplazione di Dio e la scoperta della propria natura intrinseca, della propria realtà. La natura innata del fuoco è di bruciare, quella dell’acqua è di bagnare, quella della pietra è di essere pesante. La natura dell’uomo consiste nell’aspirare a ‘conoscere’. Tale attributo è associato all’uomo nell’istante in cui si riveste del corpo e fa la sua comparsa sul palcoscenico terreno per interpretare il suo attuale ruolo; invece voi credete di essere il ruolo, e gioite o soffrite per effetto di quella convinzione. Così come guarite dal morso del serpente che avete subito in sogno non appena vi svegliate, allo stesso modo paura e dolore scompariranno non appena vi ridesterete da Māyā e tornerete ad essere voi stessi. Quando un attore piange o ride sul palcoscenico, egli osserva il suo modo di ridere o piangere e cerca di renderlo realistico ed efficace; siate anche voi i testimoni delle vostre attività e dei vostri pensieri, restatene distaccati, lontani, senza attaccamento né repulsione.
[3] La scienza si pone le domande: “Cosa? Come?” e cerca di ottenere le risposte dal mondo oggettivo dei nomi e delle forme, dal mondo tangibile che si può vedere, udire, assaporare, toccare ed annusare, quel mondo che può essere suddiviso in categorie mediante la ragione. Ma la scienza dello spirito pone un altro interrogativo: “Perché? A quale scopo?” – e scopre che Māyā è la risposta al ‘Perché’, che Māyā si diletta a confondere la mente mediante l’illusione della molteplicità! Ghiaccio e vapore non sono altro che acqua, sebbene appaiano così diversi sotto tutti gli aspetti; il diamante è solo carbonio, i gioielli sono oro ed i vasi non sono altro che argilla. Cercate la verità, scorgete l’Uno dietro la diversità multiforme! Brahman soltanto è l’Uno; tutto il resto è la sovrapposizione del nome e della forma su Sat-Cit-Ānanda, Essere-Consapevolezza-Beatitudine. Riempite la coscienza con il pensiero dell’Uno, ed essa si colmerà di beatitudine; riempitela con l’idea dei ‘molti’ e sarà insudiciata da odio e faziosità, pregiudizio e invidia. Il mondo è la creazione della vostra mente, ma quando passate allo stato di sonno profondo, esso è negato! Ecco perché si afferma che il sonno sia una forma di Samādhi, nel quale l’intelletto (dhī) trova l’equilibrio (sama), ovvero s’immerge nell’equanimità. Arjuna affermò: “Signore, la Tua Māyā è difficile da superare!” Māyā è il Suo gioco; prendete rifugio in Lui, perché Egli solo può salvarvi dall’inganno della Sua creazione. Non c’è bisogno di rifugiarsi in una caverna dell’Himālaya per eseguire questa pratica spirituale; potete restare dove siete e adempiere tutti i doveri che la vita vi abbia assegnato. Semplicemente, sentite nel cuore che Egli è Colui che agisce, Colui che gode [il frutto dell’azione], che voi siete in grado di vedere poiché il Signore è quel potere che sta dietro l’occhio. In questa torcia elettrica [ovvero il corpo], il Sé è la batteria, l’occhio è la lampadina e l’intelletto è l’interruttore.
[4] Anche se andate da un funzionario poco importante ed ininfluente, voi chinate il capo e lo ossequiate timorosi, oppure vi rivolgete a lui con riverenza per paura che vi redarguisca per i vostri errori o difetti. Allora, quanto più umili, onesti e sinceri, colmi di venerazione, timore e purezza dovreste essere quando vi accostate a Dio, che è la Fonte di ogni autorità e il cui comando pervade l’intero universo! Ricordate: Dio è il vostro Custode mentre dormite e quando siete indifesi, anche se l’avete dimenticato, negletto o rifiutato. Egli non ha bisogno delle cose che gli offrite o che promettete di offrirgli; è sempre contento, sempre beato, completo, libero. Fate il vostro dovere nei confronti di voi stessi: a Lui quest’offerta basterà!
[5] Se non v’importa d’impiegare il vostro tempo per promuovere l’amore tra gli uomini, non svegliatevi alle 4.30 del mattino; potete alzarvi un’ora più tardi, così risparmierete agli altri un’ora di fastidi! Se desiderate occupare il tempo con il vostro lavoro, alzatevi pure alle 4, non c’è niente di male! Se non potete desistere dal fare pettegolezzi e parlare male degli altri, dormite più a lungo! Se, mentre partecipate alla processione mattutina del Nāgarasankīrtan, volete discutere con gli amici del menù del giorno o delle angherie ricevute da vostra suocera, astenetevi dal prendervi parte, statene alla larga, così salvaguarderete gli altri che hanno più entusiasmo e sincerità. Mentre si svolge la recitazione collettiva dei 108 o dei 1008 Nomi, non accontentatevi del suono che giunge al vostro orecchio! Cercate anche di coglierne il significato, in modo da poter meditare sulla gloria che ogni Nome evoca. Se apprendete la notizia della nascita del vostro nipotino per telefono, vi sentirete immensamente felici, ma se non conoscete il significato delle parole che vi vengono dette, per voi sarà solo un insieme indistinto di suoni: come potrete ricavarne la gioia tanto attesa? Questo vale anche per la partecipazione ai bhajan; comprenderne il significato vi eleverà alle sublimi regioni dell’estasi divina in cui regna la calma e la serenità. Più in alto andate, più fresca è l’atmosfera; più in basso scendete, più caldo fa. Tenetevi allora in alto mediante la meditazione e la ripetizione del Nome divino. Imparate la lezione da questi americani e dagli altri stranieri che, pur non possedendo le basi della cultura, della musica, della teologia, della filosofia o metafisica di questo Paese, grazie alla loro fede e tenacia hanno saputo padroneggiare la cultura, la musica e le parole, e cantano i bhajan con più piacere ed entusiasmo di molti di voi, sebbene abbiano dovuto adottare uno stile che solo qualche mese o settimana fa era loro del tutto estraneo e sconosciuto.
Prashānti Nilayam, Dasara, 08.10.1970