[1] L’eternità si apre davanti all’uomo, lo spazio non ha orizzonti, solo la vita è breve ed incerta; perciò l’uomo deve fare il miglior uso degli anni che gli sono assegnati in questo mondo e cercare di diventare Uno con l’Assoluto, in modo che queste sue ‘entrate’ ed ‘uscite’ di scena possano terminare. Questo è il suo Dharma, il dovere che deve compiere verso sé stesso. Riconoscere tale Dharma e vivere in conformità ai suoi principi è il significato e lo scopo dell’esistenza. L’Onnipotente, che ha fatto evolvere le creature fino agli esseri umani, discende come Uomo ogni qualvolta essi dimenticano o ignorano il dovere fondamentale che hanno verso sé stessi. I Saggi dell’India, grazie al processo di purificazione della loro intuizione, hanno compreso questa verità e percepito il messaggio che le Incarnazioni Divine hanno trasmesso. Molte volte, nella storia dell’umanità, gli Avatār sono venuti per risvegliare l’uomo, ma il passato animale e l’illusione demoniaca trascinano l’individuo nel pantano dove egli stoltamente ama crogiolarsi in piaceri sensuali ed in effimere frivolezze.
[2] Voi avete un’opportunità splendida per coronare la vostra esistenza umana. La gioia che sperate di ottenere da amici e parenti, dalla ricchezza e dalla fama secolare non è che una pallida ombra della beatitudine che risiede nella sorgente del vostro cuore, dove Dio dimora. Cercate di venire a contatto con quella sorgente, andate alla vera fonte, siate focalizzati sul Sé o sul Dio interiore. Solo pochi cercano la beatitudine vera; i più si lasciano trasportare dalla pseudo-beatitudine dei sensi, dell’intelletto e della mente. La beatitudine vera sorge solo dalla Verità e quest’ultima è il Dharma o dovere che ognuno ha verso sé stesso. Cercate la Verità, servite la Verità, siate Verità. La Verità si manifesta quando il cuore è saturo di Amore. La natura dell’uomo è fondamentalmente Verità, il suo respiro è essenzialmente Amore, il suo sangue è sostanzialmente Tolleranza. La menzogna, l’odio e la faziosità sono caratteristiche di natura bestiale o demoniaca, e vengono acquisite attraverso l’ignoranza o la cupidigia. Oggi l’uomo viene modellato dalla testa piuttosto che dal cuore; la dote che viene ammirata, che paga, è l’astuzia, ma la gioia e la pace emanano dal cuore, non dalla testa. Il cuore insegna la compassione, l’ubbidienza, la riverenza, l’umiltà, l’equanimità, la solidarietà – qualità che uniscono gli uomini nell’amore e li dirigono verso la rettitudine, verso l’origine ed il sostegno dell’universo, ovvero Dio. La ricerca di ricchezze e possedimenti non riesce ad innalzare il cuore sino alle vette della beatitudine. Voi siete contemporanei dell’Avatār venuto per salvaguardare e guidare, avete la capacità di comprendere il messaggio e di tradurlo in azione ed in attività, perciò sforzatevi di trarre il massimo da tale straordinaria opportunità. Il messaggio può essere compreso solo da coloro che desiderano ardentemente conoscere il dovere a cui rimanere fedeli e leali, altrimenti esso suonerà falso e meccanico come il suono di un disco sul grammofono; se invece il cuore è stato ben dissodato da tale anelito e preparato per la semina, il raccolto sarà certo.
[3] Arjuna, cognato di Krishna, fu un caro compagno ed amico intimo del Signore per molti decenni. Durante la battaglia del Kurukshetra, Krishna aveva 84 anni quando servì Arjuna come auriga non combattente. Tuttavia, fu solo su quel campo di battaglia che ad Arjuna venne impartito l’insegnamento della Bhagavad Gītā. Perché? Arjuna aveva perfezionato solo allora i requisiti necessari a ricevere e ad accogliere quel Messaggio.
Arjuna era confuso e disorientato perché non sapeva quale fosse il suo dovere, ed era molto ansioso che venisse fatta luce su tale argomento. Egli era dilaniato fra due possibilità e, nonostante tutto il suo discernimento e distacco, era perplesso e non sapeva decidere quale fosse il suo Dharma [la sua strada, il suo dovere].
Poi Arjuna lasciò ogni giudizio a Dio e, in preda ad un indicibile tormento, dal profondo del cuore dichiarò: “Io sono Tuo discepolo, abbandono tutto il mio essere alla Tua Volontà; dimmi cosa devo fare e ti ubbidirò.”
Arjuna è anche chiamato Partha, nome applicabile ad ogni uomo poiché significa terreno, nato dalla Terra (Prithvī), perciò l’intero episodio è un richiamo rivolto ad ogni uomo. Se solo coltivate il profondo anelito ad essere guidati verso il vostro Dharma più opportuno, se solo abbandonate la vostra volontà, l’intelletto, le emozioni e gli impulsi a Dio, Egli vi condurrà a Sé e vi donerà la beatitudine suprema. Arjuna era sopraffatto dall’amore, ma da un amore condizionato dall’egoismo e dall’illusione. Egli sentiva quanto fosse inutile e sbagliato uccidere i propri parenti, gettare il Paese nella sofferenza e massacrare gli eserciti schierati contro di lui. Avrebbe preferito una vita di elemosina piuttosto che governare un impero conquistato con la spada. Questo sentimento di compassione, sebbene fosse fuori posto e fondato su un irreale senso dei valori, aveva una sua validità per il Signore, il quale decise di trasformarlo in rinuncia all’attaccamento per l’azione e per i suoi frutti.
[4] Ogni azione deve portare l’uomo più vicino alla meta, deve essere un passo avanti nel pellegrinaggio verso Dio; deve purificare le emozioni, correggere l’atteggiamento, precisare il sentiero e collaborare al coronamento finale. Tale deve essere l’attenzione costante e la vigilanza esercitata da ogni ricercatore spirituale e da ogni aspirante alla beatitudine.
Prashānti Nilayam, Luglio 1970