[1] L’uomo spreca il suo tempo prezioso, non tiene conto della particolare condizione di cui gode tra tutti gli esseri viventi, ignora le capacità di cui è dotato per compiere il grande pellegrinaggio verso la Divinità e sottovaluta il suo compito fondamentale, ovvero di liberarsi dal ciclo delle nascite e delle morti. I saggi del passato compresero il valore, la nobiltà, la responsabilità della vita umana e prescrissero discipline, quali la veglia ed il digiuno per il giorno di Shivarātrī, per ispirare l’uomo ed istruirlo a percorrere il sentiero ascendente verso Dio. Shivarātrī è una parola che connota la natura duale dell’uomo ed il suo dovere di discriminare tra superiore ed inferiore. Shiva significa Jñāna1, nonché immutabile, eterno ed anche benefico, santo, propizio. Il secondo termine, rātrī, indica l’oscurità dell’ignoranza,la cieca ricerca di piaceri scadenti, la sconcertante fugacità della gioia dei sensi. Significa anche transitorio, malefico, infausto, sacrilego. Pertanto il messaggio di Shivarātrī è il seguente: discriminate tra Shiva e rātrī, tra l’energia vitale dello spirito ed il corpo, tra lo spirituale ed il materiale, tra lo Kshetrajña2 e lo Kshetra3; nella Bhagavad Gītā, questo è chiamato ‘Yoga della discriminazione’.
[2] Affidandosi solo al significato letterale delle parole, la gente attende per un anno intero che arrivi questo santo giorno per saltare un pasto e chiamarlo ‘digiuno’, per perdere una notte di sonno e chiamarla ‘veglia’! In sanscrito, il digiuno è detto upavāsa ed indica qualcosa di assai più significativo che non saltare un pasto: upa vuol dire ‘vicino’ e vāsa ‘vivere’, dunque ‘vivere vicino’; vicino a chi, con chi? Vicino a Dio e con Dio. Upavāsa significa vivere alla costante presenza del Signore con il pensiero rivolto ininterrottamente al Divino; quello è il vero digiuno, ovvero tenersi stretti a Lui. Quanto alla veglia, Jāgarana significa stare svegli, scuotersi di dosso il sonno dei sensi ed essere pienamente consapevoli della luce dell’Amore che costituisce l’essenza divina di tutti. Vuol dire scacciare torpore e pigrizia e concentrarsi profondamente in meditazione. Osservate la parola sanscrita per ‘cuore’: Hridayam, cioè Hrid-ayam, ‘il cuore divino’, il luogo dove Egli risiede, in cui è insediato. Con la vigilanza e con il sentimento di essere sempre alla presenza di Dio, dovete insediarlo nel vostro cuore e vederlo in tutti gli altri esseri. Ecco qual è il principale scopo di queste festività sacre e delle regole stilate per la loro osservanza.
[3] La Verità è il Principio fondamentale per una vita orientata al Divino, com’è evidenziato in tutte le Scritture. Rāma4 subì l’esilio nella foresta per quattordici anni pur di non contraddire la parola di Suo padre; Dharmarāja5 sopportò un esilio analogo per dodici anni onde attenersi all’impegno da lui preso durante una partita a dadi; il re Harishchandra6 vendette come schiavi il figlio e la sua regina e si ridusse a fare il guardiano di un luogo di cremazione pur di non tradire la verità. Questi sono i fulgidi esempi della lezione sulla Verità, che ogni madre di questo Paese insegna ai suoi figli. Questi giorni santi devono essere dedicati alla contemplazione di tali grandi ideali. I saggi si rivolgevano a tutti gli esseri umani chiamandoli ‘figli dell’immortalità’, ma a dispetto di una simile assicurazione e della gioia inesauribile che se ne può ricavare, oggi l’uomo si degrada a ‘figlio della falsità’ e si lamenta per la mancanza di questa o quella comodità, di questo o quell’aggeggio. I ladri che lo derubano dei tesori preziosi della pace, della soddisfazione, dell’equilibrio e del coraggio, vengono onorati come maestri, mentre i Maestri che ga rantiscono la pace e la felicità sono trattati con irriverenza e avversione. Potete mettere i lucchetti a porte e finestre contro i ladri, ma chi può chiudere la porta alla morte? I ladri, ovvero lussuria, ira, avidità, attaccamento, orgoglio e odio, vengono onorati come ospiti graditi; ai veri alleati come la tranquillità e l’umiltà viene invece indicata la porta.
[4] Voi desiderate una bibita dolce ma mettete del sale nella tazza pensando sia zucchero; questa è la situazione dell’uomo oggi: aspira alla pace ma non sa come raggiungerla e adotta dei metodi che non lo conducono al risultato sperato. Gran parte delle persone che vengono da Me chiedono la liberazione dai legami di gioia e dolore, nascita e morte, ma quando offro loro di benedirli con il compimento di tale desiderio, non si fanno avanti e pensano che sarebbe meglio rinviare di altri cinque o dieci anni; perciò tutto l’anelito e l’aspirazione sono solo una messa in scena, un luogo comune e nient’altro. L’uomo deve essere sincero, le sue parole devono corrispondere ai suoi sentimenti e le azioni devono essere in armonia con le parole. Decidetevi a seguire questa disciplina almeno d’ora innanzi. Non mentite a voi stessi! Secondo l’usanza di queste festività, isserò la bandiera di Prashānti Nilayam. La bandiera rappresenta la vittoria spirituale dell’aspirante che conquista le passioni e le emozioni che lo fanno regredire, e coltiva l’amore e l’equanimità che lo elevano. Pertanto, quando la bandiera si spiegherà su Prashānti Nilayam, anche voi dovrete innalzarla nel vostro cuore e tenerla alta in modo che possa annunciare la vostra vittoria spirituale.
Prashānti Nilayam, 15.02.1969