[1] Ci sono tre entità nell’universo con cui l’uomo deve trattare: Paramâtma, Prakriti e Jîvâtma – Dio, natura e uomo. Dio deve essere adorato e realizzato dall’uomo attraverso la Natura. Natura è il nome della sostanza, che costituisce l’intera creazione e che infonde nell’uomo la gloria e lo splendore di Dio. Essa è anche chiamata mâyâ (illusione), la veste indossata da Dio, che cela e rivela la Sua Bellezza e Maestà. L’uomo deve imparare ad utilizzare la Natura non per il proprio comodo o per restarne invischiato sino a dimenticare completamente Dio, che si trova dietro la gioia sperimentata, bensì per meglio comprendere l’intelligenza che guida l’universo. Come fa un albero a crescere o un fiore a sbocciare? Come fa l’uomo a conoscere le stelle e lo spazio se non per l’ispirazione derivata dalla gioia e dall’intelligenza donategli da Colui che risiede in lui? Accostatevi alla Natura con umiltà e con spirito reverenziale: in tal modo il vostro futuro sarà sicuro. Râvana desiderò ardentemente Sîtâ, che rappresenta la Natura e con l’inganno la rapì; ma l’egoismo e l’avidità lo condussero alla più nera rovina. Se avesse desiderato Dio, che si cela dietro la Natura, vale a dire Râma, avrebbe potuto guadagnare gioia eterna.
[2] Tutte le sofferenze dell’uomo moderno derivano da quest’errato senso dei valori. Il primo deve venire prima. Prima sé, poi aiutare gli altri. Oggi la gente comincia ad aiutare gli altri sul cammino spirituale, senza averlo prima percorso. Pertanto sia la guida sia l’allievo cadono nel pozzo. Servite prima voi stessi, vale a dire comprendete chi siete, dove state andando, da dove venite ed il motivo del vostro viaggio. Dopo aver trovato le risposte a tali domande per mezzo delle scritture, dei saggi e della propria inequivocabile esperienza, l’uomo può permettersi di condurre gli altri.
[3] La gente non è esercitata a distinguere il vero dal falso, il temporaneo dall’eterno, il giusto dall’ingiusto, ciò che è social- mente benefico da ciò che è socialmente dannoso. Ci si sbarazza di vecchi costumi ed usanze, di antichi testi e riti come se fossero inutili solo perché sono vecchi; si adottano nuove abitudini e mode, semplicemente perché sono nuove. Il tempo è un buon banco di prova; le cose che hanno retto la critica di secoli, resistito ai colpi di molte culture straniere e al fascino di strane bizzarrie, devono avere un nucleo essenziale di verità e validità. La mente viene sempre catturata dalle curiosità del momento. Ecco perché ogni capitolo della Gîtâ è intitolato secondo un metodo Yoga (unione con il Sé Supremo), cominciando con Vishâdayoga e terminando con Mokshasannyâsayoga. Questa parola Yoga è utilizzata per enfatizzare l’importanza di Citta-vritti-nirodha – l’annullamento delle agitazioni della mente. Le acque del lago della mente non sono mai quiete, raramente sono in equilibrio. La minima brezza muove la superficie e crea una serie di ondine, che richiedono lungo tempo per esaurirsi. Anche la mente è agitata dagli oggetti del mondo materiale e dalle impressioni rilasciate sui sensi interiori; essa sente repulsione o attrazione verso gli oggetti. Ciò disturba l’equanimità: la dualità è sempre la base del dolore. Esso è la momentanea assenza di gioia; quest’ultima è la temporanea scomparsa del dolore. Entrambi non sono permanenti se non quando la gioia è ottenuta con mezzi spirituali.
[4] Come si può ottenere lo stadio dello Yoga? La Gîtâ si propone di insegnarlo; inizia con la parola Dharma e termina con mama (mio). Essa insegna a chi la studia: “mama Dharma” – “il mio dovere”, “la responsabilità verso me stesso”. Cos’è tutto ciò? Yoga. Come si può raggiungere lo Yoga? Arrendendosi a Dio, dedicandoGli ogni parola, pensiero e azione, annullando la propria volontà per accettare la Sua, abbandonando ogni iniziativa di attività al Suo incitamento, le esecuzione alla Sua direzione ed ogni conseguenza al Suo piano. «Abbandona ogni senso di giusto ed ingiusto ed arrendi la tua volontà a Me. Io ti salverò dalla sventura, ti proteggerò dal dolore», questa è l’assicurazione che dà la Gîtâ, il sostegno di cui avete bisogno.
[5] La resa può avvenire solo dopo aver perfezionato il distacco dai piaceri sensoriali e raggiunto la discriminazione tra il reale e l’irreale. Le contaminazioni di “io” e “mio” devono essere rimosse mediante una rigorosa disciplina spirituale; preminente è la ripetizione del Nome di Dio, poiché quando vi fissate sul Nome del Signore, sulla Sua Maestà, Grazia, Potenza ed Immanenza, queste si stabiliscono nella coscienza e le vostre abilità e capacità si eclissano nel Divino. Così l’umiltà aumenta e l’arresa diviene assai facile.
[6] Il vero scopo dell’esistenza umana è vedere Dio e fondersi nella Sua Gloria. Tutte le altre vittorie sono futili. I Veda proclamano che questo è l’obiettivo finale dell’uomo. Le Upanishad mostrano il sentiero, la Gîtâ lo illumina, i Santi ed i Saggi ne dichiarano la grandezza. Gli Avatâr vengono quando gli uomini deviano e si perdono nella giungla e nei deserti.
(Jamnagar, 27 Marzo 1967.)