Discorsi Divini
10 Luglio 1959 – Jada e Chaitanya
10 Luglio 1959
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Jada e Chaitanya
[1] Voi tutti avete assaporato la dolcezza del Nome del Signore durante l’Akhanda bhajan, la sessione continua di canti devozionali durata ventiquattro ore. Akhanda significa ininterrottamente, senza alcuna sosta. Sono contento che abbiate cantato senza interruzione ed abbiate scelto i Nomi delle molteplici forme di Dio invece di cantarne solo uno come se Dio avesse un unico, particolare aspetto. Il medesimo uomo è padre dei suoi figli, zio dei nipoti, fratello per alcuni, cugino di altri e figlio dei suoi genitori. Parimenti Dio possiede innumerevoli aspetti, e quando conducete i bhajan dovreste cercare di soddisfare tutti coloro che vi prendono parte, rammentando loro le differenti manifestazioni del Signore, e non solo di Rāma, Krishna o Sai Rām. L’Akhanda bhajan non deve risolversi come fosse soltanto la questione di un giorno o di una settimana: la contemplazione dell’origine e del fine di ogni cosa deve protrarsi dalla nascita alla morte. La processione che porta al camposanto comincia subito dopo la nascita, ed il battito cardiaco è il ritmo del tamburo che accompagna la marcia verso quel luogo; alcuni prendono una strada più lunga, altri arrivano prima, ma tutti sono diretti lì. Pertanto i bhajan devono iniziare nell’infanzia e continuare ad essere i compagni fedeli dell’uomo, la sua consolazione e forza. Non posticipateli alla vecchiaia perché sono un cibo essenziale per la mente.
[2] Siete rimasti soddisfatti di questi canti devozionali e siete felici di avervi partecipato, ma il vostro è un sentimento temporaneo; oggi avete condiviso la gloria del Signore, e domani col medesimo entusiasmo prenderete parte a qualche incontro dove si onorano la falsità e l’ingiustizia! Non c’è coerenza nel vostro comportamento: quello che ritenete giusto e quello che poi fate sono in realtà ai poli opposti. Il vero devoto non ha questi tratti! Se vi manca la fede, come potrete ottenere pace e felicità? La gente cerca freneticamente la pace e la felicità in mille modi, seguendo molteplici vie. Il dott. Bhagavantam mi stava dicendo, poco prima del Mio arrivo qui all’Istituto Tata di Scienze, che c’è qualcosa al di là di questo mondo oggettivo, un mistero che diventa più profondo ed imperscrutabile man mano che la scienza avanza. Se una porta viene aperta, allo scienziato stupefatto se ne rivelano altre dieci ancora chiuse. La pace vera può essere acquisita solo nella profondità dello spirito, con la disciplina della mente e con fede nell’unica Base Immutabile su cui poggia tutta questa apparente molteplicità; quando sarete riusciti a raggiungerla, sarà come avere dell’oro con cui potrete forgiare innumerevoli gioielli. È tutta una questione di esperienza, e la gioia che ne deriva, la profonda estasi che l’accompagna non possono essere espresse a parole. L’ascolto ed il canto dei Nomi di Dio servono ad avvicinarvi a quell’esperienza. L’ascolto è la medicina che assumete per uso interno ed il canto è l’unguento che applicate per uso esterno; entrambi sono necessari. Anche il dharma ed il karma, la virtù e le azioni santificate per essere state offerte a Dio, sono indispensabili. Il karma è il vero fondamento della devozione, è il basamento su cui è costruita. Il dharma è l’atteggiamento con cui le azioni vanno compiute: la verità, l’amore e l’equanimità che muovono la mente quando cerca di fare qualcosa. L’azione deve essere santificata e compiuta rispettando il dharma e attraverso di esso.
[3] Coloro che sono dominati da tamas, l’ottusità, compiono le attività solo per ricavarne i frutti e ricorrono a qualsiasi sotterfugio pur di ottenerli: per costoro il fine giustifica i mezzi. Gli individui dominati da rajas, la passionalità, sono orgogliosi, pomposi e si vantano di essere loro stessi ad operare, a beneficiare ed a fare esperienza. Le persone dominate da sattva, la qualità della serenità ed equanimità, compiono invece l’azione senza interessarsi ai suoi frutti, lasciando ogni risultato a Dio, a prescindere dal successo o dal fallimento, consci dei loro doveri e mai dei loro diritti. Di fatto, c’è più gioia nel compiere un’azione che nel suo risultato. Anche voi ne avrete già fatto esperienza. Tutti i complessi preparativi che un padrone di casa fa per un matrimonio di famiglia: ricevimento, pranzo, illuminazione, musica, ecc. sono eccitanti mentre vengono programmati e messi in atto, ma non danno più quel piacere una volta attuati. Alla fine poi, quando arrivano i conti da pagare, possono addirittura causare dolore ed avversione! Pertanto è facile abbandonare i frutti dell’azione, purché prima riflettiate sul processo dell’azione e sul valore del frutto.
[4] L’anima individuale è venuta al mondo proprio per rivelare lo splendore della scintilla di Dio che essa è. Il corpo è lo stoppino della lampada, l’anelito per Dio è l’olio che alimenta la fiamma; ma come il topo che, attratto dal forte odore di una scadente esca nella trappola, ignora tutto il cibo contenuto nel granaio e cade vittima della sua follia, così l’uomo ignora il vero nutrimento e spreca la sua vita inseguendo ricchezze che gli saranno fatali. Dovreste accorgervi e meravigliarvi della perpetuità di tutta questa transitorietà. L’intera commedia ha solo due protagonisti, Jada e Chaitanya, la materia inerte e la Consapevolezza vivificatrice, che interpretano milioni di ruoli. Come il violinista Chowdiah che ha appena finito di suonare dieci pezzi e ne potrebbe suonare altri quattrocento usando le medesime quattro corde, così la materia e la Pura Consapevolezza insieme interpretano questi innumerevoli ruoli. Tutte le parole di un dizionario sono formate dalle sole ventisei lettere dell’alfabeto con le quali milioni di libri sono scritti, letti e compresi. Voi però dovete guardare oltre tale commedia e scoprire il Regista, che è Dio.
[5] Tale obiettivo può essere raggiunto solo grazie ad una devozione fondata sull’azione disinteressata, senza desiderio per il frutto. La devozione è di vari tipi, a seconda delle azioni purificatrici, dello stato mentale e dello stadio evolutivo del devoto. C’è ad esempio la devozione satura di pace che aveva Bhīshma, la devozione materna di Yashodā, la devozione dolce ed amorevole di Gauranga e Mīra e la devozione basata sul forte attaccamento che le pastorelle di Brindavan avevano per Krishna. Di tutte queste forme di devozione, l’attitudine del ‘devoto servitore’ è la più facile e la migliore per la maggior parte degli aspiranti d’oggi. Essa implica la resa totale alla Volontà divina, e deriva dal primo tipo di devozione. Si può sviluppare la devozione attraverso alcuni mezzi, o meglio con tutti i mezzi. La mente e l’intelletto devono essere educati e controllati: quella è la meta. Essi possono portarvi al massimo fino al monismo qualificato, poiché l’esperienza del non-dualismo dipenderà dalla Sua Grazia, mentre il fondersi nell’Assoluto è nelle Sue Mani. I mezzi principali per sviluppare la devozione sono: l’ascolto, il canto, il ricordo del Nome del Signore, l’azione o il servizio offerti ai Piedi del Signore, la prostrazione o riverenza, l’adorazione, l’atteggiamento di servo dedito e fedele verso Dio, l’amicizia verso il Signore e la completa resa di sé alla Sua volontà. L’amicizia è posta proprio prima dell’offerta di sé, poiché fra amici non ci sono timori né dubbi, diffidenze o esitazioni.
[6] L’Avatār è venuto a far luce sul sentiero del progresso spirituale. L’inquietudine in cui l’uomo si trova immerso deve essere debellata. Con l’espressione ‘La salvezza dei sadhu’ si intende la salvezza di tutti gli uomini buoni dai tentacoli della sofferenza causata dall’ignorare la futilità delle cose terrene. Tutti gli individui devono conseguire la pace e la contentezza: questa è la missione per cui il Signore discende ripetutamente sulla terra. Egli sceglie un luogo pregno di santità e divinità ed assume una forma umana in modo che voi gli possiate parlare, lo possiate incontrare, comprendere ed apprezzare, ascoltare e seguire, sperimentare e trarne beneficio. La tragedia è che quando Dio è invisibile e senza forma, voi lo immaginate come meglio vi aggrada, lo pregate e traete da Lui consolazione e forza, ma quando si presenta in forma umana, voi dubitate, lo mettete in discussione e lo negate! La gente si prostra davanti all’idolo del serpente sacro, gli versa sopra il latte e amorevolmente lo lava con l’acqua sacra, ma quando l’idolo si materializza in un cobra vero, tutti fuggono impauriti! Un vero devoto non ha paure né incredulità. Prahlāda si mise a tremare quando l’Avatār Narasimha gli apparve, uscendo da un pilastro; quando il Signore chiese al Suo devoto il perché di quel comportamento, Prahlāda rispose che non tremava di paura per la Sua forma terrifica, in quanto tutte le Sue forme sono incantevoli perché divine; temeva solo che quella forma potesse scomparire presto ed essere quindi privato della splendida visione del Signore. Suo padre, era talmente saturo di passionalità che vide solo la forma terrifica del Signore; invece Prahlāda, essendo colmo di devozione, non lo vide in quel modo: il Signore gli apparve meraviglioso e pieno di grazia.
[7] Per trovare le perle dovete immergervi nella profondità del mare. Che senso ha sguazzare tra le onde vicino alla riva per poi giurare che nel mare non ci sono perle e che tutte le storie sulla loro esistenza sono false? Analogamente, se volete trarre il massimo beneficio da questo Avatār, tuffatevi in profondità e restate immersi in Sai Baba. Un cuore tiepido, l’esitazione, il dubbio, il cinismo e l’ascolto di tante chiacchiere non portano a nulla. Una fede concentrata e completa: questa sola vi condurrà alla vittoria! Una regola del genere vale anche per qualsiasi attività terrena, ed è quindi ancor più vera in campo spirituale. Se vi siete già attaccati ad un Nome e ad una Forma, non cambiateli, non sceglietene un altro. Centinaia di persone possono venire a casa vostra e trattarvi anche con affetto, ma voi non le chiamerete tutte ‘papà’! Mantenete la mente fissa sull’Uno e non permettete alle nubi del dubbio – come ad esempio: “È veramente grande? È Dio per davvero?” – di affievolire la vostra fede. Siate coraggiosi, apprezzate la gloria di cui siete testimoni, proclamate la gioia che avete sperimentato e riconoscete la grazia che avete ottenuto. Per esempio, quando vi chiedono se anche voi andate a Puttaparti e se cantate i bhajan, rispondete orgogliosamente di sì; non c’è di che vergognarsi nel seguire il sentiero giusto!
[8] Ci sono alcuni guru che insistono sull’ubbidienza assoluta ed invitano persino i loro discepoli a picchiare chiunque osi cavillare sul maestro. Io disprezzo tali persone e sono venuto per dar loro i giusti consigli. Il maestro non potrà mai usurpare la posizione di Shiva; è molto meglio che abbiate Shiva stesso come vostro guru, piuttosto di questi maestri egoisti e pazzi di potere che trovano godimento nell’odio e nell’esaltazione personale! Abbandonate tutti quelli che cavillano, lasciateli rigorosamente soli col loro karma ed i loro piaceri tamasici, non soltanto chi è inconsapevole di Me, ma anche chi deride tutte le Forme di Dio e l’idea stessa di Dio.
[9] Sviluppate fiducia in voi stessi in modo da rimanere saldi come una roccia di fronte alle acque impetuose della negazione. Quella fede vi farà dimenticare le mutevoli circostanze del mondo esteriore. Il santo Rāmadas, quando fu messo in prigione, ringraziò Rāma per quella grande benedizione poiché lì poteva praticare la ripetizione del Nome divino indisturbato dal mondo rimasto chiuso fuori delle alte mura del carcere. La felicità e l’infelicità dipendono dal punto di vista che colora anche tutte le nostre attitudini ed opinioni. Rāmadas cantò le imprese di Āñjaneya a Lankā e ricordò i bianchi gigli dell’isola. Āñjaneya lo udì cantare, ma non fu d’accordo e disse di non avere mai notato fiori bianchi a Lankā, perché erano tutti rossi. Il poeta invece insistette che i fiori erano bianchi. Āñjaneya allora s’irritò dell’impudenza di questi poeti che cercano di imporre la loro immaginazione nonostante la presenza di un testimone oculare, così s’appellò a Rāma affinché intercedesse. Rāma concordò con Rāmadas e disse che Āñjaneya vedeva i fiori rossi perché i suoi occhi erano influenzati dalla rabbia verso la stirpe demoniaca dei Rakshasa. Allo stesso modo, se possedete la pace, il mondo vi apparirà quieto e pacifico, ma se siete inquieti, esso vi sembrerà pieno di agitazione. La pace si acquisisce con la disciplina spirituale, e non con lo studio dei libri.
[10] Un giudice consulta enormi volumi ed emette una sentenza per una certa causa; un altro giudice esamina gli stessi tomi e per la medesima causa emette una sentenza diametralmente opposta! I testi sono guide che servono soltanto per un breve percorso, poi dovete trovare la via da soli; man mano che procedete sarà più facile, infatti i primi passi sono i più difficili, ma il pellegrinaggio a Kāshī ha inizio proprio con il primo passo. Alimentate la fiamma del distacco usando qualche pezzetto di legna finché non diverrà un grande falò, ed accogliete di buon grado tutte le opportunità per sviluppare il discernimento; se siete di beneficio al mondo, allora il Signore dei mondi riverserà il Suo amore su di voi. Diventate come un fiore da cui emani la fragranza del servizio disinteressato e dell’amore; allora sarò felice di mettermi al collo la ghirlanda di fiori che avrete composto. Ricordate il Nome del Signore e ripetetelo sempre! Ho ascoltato i bhajan che avete cantato ieri e oggi; le vostre voci erano basse e scarsamente udibili all’esterno di questa sala. So che certi gruppi, quando decidono di fare un Akhanda bhajan, devono addirittura ingaggiare alcune persone e pagarle un tanto all’ora per riuscire a portare a termine il progetto. Cantate i bhajan con fede ed entusiasmo e fate vibrare l’intera città della devozione che instillate in ogni Nome. Il Nome di Dio promuove la solidarietà e riconcilia, placa ogni tempesta e dona la pace.
Bangalore, Akhanda bhajan, 10.07.1959
da DISCORSI 1953 – 1960 (Sathya Sai Speaks-Vol.I) ed.Mother Sai Publications