Discorsi Divini
2 settembre 1958 – Il contadino saggio
2 settembre 1958
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Il contadino saggio
[1] Oggi sono veramente pieno di gioia perché vedo davanti a Me persone impegnate in un duro lavoro che sacrificano le loro comodità personali per rendere felici gli altri. Ciò di cui il mondo ha bisogno è proprio un lavoro svolto con tale spirito. Ogni uomo ha profondamente radicate in sé la Divinità, la verità e la dolcezza, ma non sa come manifestare quella Divinità, come realizzare quella verità e come assaporare quella dolcezza; perciò egli regge i pesi gemelli della gioia e del dolore tenendoli legati alle estremità di un bastone che porta sulle spalle. Il coraggio è il tonico per acquisire forza, salute mentale e fisica; abbandonate quindi il dubbio, l’esitazione e la paura e non date loro alcuna possibilità di mettere radici nella vostra mente. L’uomo, grazie alla forza divina interiore di cui è dotato, può conseguire qualsiasi cosa, può addirittura diventare Dio stesso. Per aiutarvi ad abbandonare la paura ed il dubbio tenete sempre il Nome del Signore sulle labbra e nella mente e, mentre lo ripetete, soffermatevi sulle infinite forme di Dio e sulla Sua illimitata gloria. Legatevi a Lui ed i vostri attaccamenti per le cose temporali cadranno, o perlomeno, comincerete a vederle nell’ottica giusta, come una realtà relativa. Quando il piccolo ego assume un’eccessiva importanza, diventa la causa di ogni difficoltà! È la radice di tutti i problemi e di tutte le tribolazioni.
[2] Nel vostro cuore è presente Ātmarāma, il Principio di Rāma che conferisce gioia eterna; ripetete quindi il nome di Rāma, il Sole che fa dischiudere il loto del cuore. Rāma non è il figlio dell’imperatore Dasharatha, è Colui che governa i dieci sensi. La ripetizione del nome di Rāma deve diventare automatica come il respiro, altrettanto frequente ed essenziale. Il nome Rāma contiene in sé la radice di due mantra, quello di Shiva e quello di Nārāyana, poiché è composto dalle seconde sillabe di entrambi: Nā–rā–yanāya e Na–mah–Shivāya. Questo nome così sacro può essere quindi accettato da ogni tradizione religiosa; esso vi conferirà potere e tutto il patrimonio spirituale di cui avete bisogno. Si consegue la vera beatitudine solo trasformando gli impulsi che agitano la mente. La beatitudine non si trova nella ricchezza. Voi pensate che i ricchi siano felici; chiedetelo a Me e vi rivelerò che sono pieni di sofferenze, infatti vengono da Me in gran numero per cercare conforto. Essi non hanno assolutamente pace. Un corpo vigoroso, di per sé, non può donare pace, come non la può dare la cultura, l’ascetismo o i rituali. Solo contemplare costantemente il Nome del Signore può conferire quella pace incrollabile, inalterata dagli alti e bassi della vita, che fa di un uomo un eroe.
[3] Fino ad oggi Sai Baba era un nome senza forma per voi, ma ora è venuto con una forma che potete custodire nella mente. Anche il nome Rāma possiede una forma che dovreste ricordare quando lo recitate; in tal modo il Nome diverrà concreto e la ripetizione ne sarà facilitata. Vivete sempre alla presenza di quel Nome saturato dalla Forma, e la vostra vita diverrà una continua adorazione del Signore. In verità, voi agricoltori siete anime sante; vi piegate sotto il peso del servizio che rendete e, con le mani levate in preghiera, vi affaticate giorno e notte per trasformare polvere e terra nei raccolti di grano di cui tutti gli uomini si nutriranno. Quest’opera è sacra come lo è il prodotto dei vostri sforzi. Perché non la rendete ancor più proficua coltivando anche le virtù? Quella è la vera messe che compiace il Signore e sostiene il mondo. La preoccupazione e la sofferenza, di un tipo o di un altro, esisteranno sempre, nel passato, nel presente e nel futuro, mentre camminate, sognate o dormite; riponete allora la vostra fiducia nel Signore e svolgete le vostre attività come offerta a Lui, e tutte queste tribolazioni svaniranno.
[4] Un giorno Nārada si vantò davanti a Vishnu che nessun devoto poteva eguagliarlo, ma un simile orgoglio era in contrasto proprio con il primo requisito di un devoto: l’assenza di egoismo. Vishnu allora gli parlò di un contadino che stava arando il suo piccolo appezzamento di terra, il quale era un devoto migliore di lui, e gli raccomandò di fargli visita per imparare da lui l’arte della devozione! Nārada si sentì profondamente umiliato e, mortificato, s’avviò verso il villaggio indicatogli. Arrivato sul posto, trovò il contadino impegnato a lavorare nel campo, nella stalla ed in casa; ma nonostante lo tenesse d’occhio, non riuscì a sentirgli pronunciare il nome di Dio più di tre volte al giorno: quando si alzava dal letto al mattino, quando consumava il suo pasto di mezzogiorno e quando si ritirava per la notte. Nārada, naturalmente, s’irritò moltissimo per essere stato giudicato inferiore a quel modesto e scialbo esemplare di devoto. Egli cantava sempre melodiosamente dei giochi divini del Signore e diffondeva ovunque il messaggio della gloria divina. Vishnu invece riteneva che quel figlio della terra dalle mani callose che si ricordava di Dio solo tre volte al giorno gli fosse superiore. Nārada allora si precipitò verso il paradiso col volto infiammato dalla rabbia e dallo sdegno. Vedendolo in quello stato, Vishnu si mise a ridere, poi gli disse di camminare lungo un certo percorso portando sulla testa un vaso colmo d’acqua fino all’orlo, senza rovesciarne neanche una goccia. Nārada portò a termine il compito assegnatogli, ma quando gli fu chiesto quante volte si fosse ricordato del nome del Signore, egli ammise che, nell’ansia di camminare senza fare vacillare il vaso e di non versare neanche una goccia d’acqua, si era completamente dimenticato del nome divino! Vishnu allora gli rammentò che quel contadino che portava sulla testa dei pesi ben più preziosi e più facili da rovesciare di un vaso d’acqua, e che doveva stare ben attento a non fare passi falsi, doveva essere ammirato perché riusciva a ricordarsi del Signore almeno tre volte al giorno!
[5] Sarà già un grosso vantaggio se vi ricorderete del Signore con gratitudine almeno tre o magari anche solo due volte al giorno; questo vi infonderà grande pace. Non tralasciate i vostri doveri quotidiani, ma svolgeteli col nome di Dio sulle labbra, invitando la Sua Grazia a discendere sulle vostre teste. State attenti a non intromettervi negli affari dei vicini o degli altri al punto di restarne invischiati e di non sapere più come districarvi. Passate il vostro tempo a contemplare le bellezze della natura che si aprono davanti ai vostri occhi in cielo ed in terra: le vaste distese verdeggianti delle colture che avete coltivato, la fresca brezza che diffonde gioia e contentezza, lo scenario delle nuvole colorate, la musica degli uccelli. Cantate la gloria di Dio mentre camminate nei campi o lungo i canali; non parlate aspramente in mezzo a tanta dimostrazione d’amore, non arrabbiatevi in questi luoghi sereni, non disturbate il cielo con grida e maledizioni e non inquinate l’aria con promesse di vendetta.
[6] Per crescere e dare un ricco raccolto, le pianticelle hanno bisogno di acqua e concime; lo stesso vale per il minuscolo germoglio del desiderio spirituale che anela alla liberazione dai legami. Quella è la vera coltivazione che dovete intraprendere e che contraddistingue il contadino saggio. Innanzi tutto riformate le vostre abitudini, purificate la vostra condotta e rettificate il vostro comportamento. Una cattiva abitudine ha messo profonde radici in questa zona: il fumo del tabacco, un male che sta celermente diventando universale. Esso distrugge la salute, la felicità, l’energia e persino la bellezza. Il fumo non placa la sete né sazia lo stomaco, ma sfigura il vostro volto e danneggia i vostri polmoni, vi debilita e vi fa ammalare. Controllatevi dunque, non cedete alle insidie tese dagli amici, dalla società o da quelle che sono erroneamente chiamate ‘convenzioni sociali’, per poi cadere preda di questa o quella cattiva abitudine. Il corpo è il tempio del Signore; mantenetelo sano e vigoroso. Esso viene danneggiato da cibi e bevande inadeguati, come pure da comportamenti ragiasici, quali la rabbia, l’odio, la cupidigia e tamasici, come l’inerzia, il dormire troppo e l’inattività. Se siete colti dall’ira e diventate violenti verso qualcuno, ripetete con calma il Nome del Signore per superare quel momento, oppure bevete un bicchiere d’acqua fresca o sdraiatevi sul letto finché l’attacco di collera non sia passato. Se siete adirati con qualcuno lo insulterete, ed egli farà lo stesso con voi; poi vi arrabbierete, gli animi si scalderanno e ne seguirà un danno irreparabile. Ricordate: cinque minuti di rabbia rovinano i rapporti per cinque generazioni. Questo corpo è come la città di Hastināpura, dove vivono sia il re cieco Dhritarāshtra, che rappresenta l’ignoranza, sia Yudhisthira, che simboleggia la saggezza. Con l’aiuto del Signore Krishna, fate in modo che vincano le forze di Yudhisthira; fate che la lingua, abituata all’amaro frutto di margosa, vale a dire ai trionfi ed ai fallimenti terreni, assapori il dolce miele della ripetizione del Nome divino. Sperimentatelo per qualche tempo e sarete sorpresi dei risultati: avvertirete un grande miglioramento della pace e della stabilità, sia in voi sia attorno a voi. Imparate questa facile lezione, siate gioiosi e permettete anche agli altri di condividere la vostra gioia. Questo è il Mio messaggio per voi.
Mirthipadu, 02.09.1958
da DISCORSI 1953 – 1960 (Sathya Sai Speaks-Vol.I) ed.Mother Sai Publications