“Più dolce dello zucchero, più gustoso del latte cagliato, molto più saporito del miele,
pronunciato e ripetuto con le labbra, ha il sapore dell’amrita (nettare divino)!
Continuate perciò a ricordare l’eccelso ed eterno Nome di Krishna!
Ricordate il Nome di Krishna, ricordate il Nome di Krishna.”
Incarnazioni dell’Amore!
Fin dai tempi antichi Krishna è un Nome tanto dolce sia per i bambini sia per gli anziani! Fin dalla Sua nascita, Egli fece sì che le persone dimenticassero se stesse con danze, canti, gioia ed entusiasmo. Un giorno, unendosi ai pastorelli, Krishna e Balarâma portarono le mucche al pascolo e giocarono lungo le rive del fiume Yamunâ. I pastorelli, immersi nella gioia data dai giochi e dai canti in lode a Krishna, dimenticarono le mucche. Dopo aver giocato, mangiarono e si riposarono.
Nel frattempo, un calore soffocante si diffuse in tutte le direzioni. C’erano fiamme ovunque, fiamme dappertutto, tanto da non riuscire a vedere più niente. I pastorelli gridarono: “Krishna! Nessuno può estinguere le fiamme se non Tu!” Incapaci di sopportare quell’intenso calore, le mucche si misero a correre in tutte le direzioni e nessuno riuscì a fermarle.
Intanto il calore aumentava ogni momento di più. A questo punto, i pastorelli non videro altro da fare che correre da Krishna: “Krishna, Krishna, Krishna! Tu devi proteggere le mucche. Proteggile e perdonaci.” Questa fu la loro richiesta.
Krishna scoppiò a ridere: “O pastorelli! Non (Mi) avete sperimentato abbastanza nonostante siate stati con Me, abbiate giocato, cantato e provato beatitudine insieme a Me? Molte volte ho ucciso i messaggeri mandati da Kamsa e vi ho dato gioia. Ora però siete incapaci di sopportare la situazione vedendo il pericolo che corrono le mucche. Dove sono andate? Come stanno? Non lo sapete.” Egli chiamò tutti vicino: “O pastorelli, non preoccupatevi!”
Quando avete il Kalpavriksha (l’albero dei desideri) che dona i frutti desiderati,
perché desiderare fiorellini di cortile?
Quando c’è Kâmadhenu (la mucca celestiale che esaudisce tutti i desideri)
che dà tutto il “latte” voluto,
perché pagare per comprare un’altra mucca?
Quando c’è il radioso e splendente monte Meru (montagna d’oro),
perché cercare pochi carati d’oro e d’argento?
“Quando Krishna, che possiede tutti i poteri, è al vostro fianco, con voi, di fronte a voi e dentro di voi, perché siete così confusi da questa insignificante difficoltà? Chiudete gli occhi una volta e pensate a Me.”
I pastorelli ascoltavano e ubbidivano sempre agli ordini di Krishna. Immediatamente chiusero gli occhi e contemplarono: “Krishna, Krishna, Krishna.”
Dopo un attimo (Krishna li chiamò:) “O pastorelli, aprite gli occhi! Guardate dove sono le vostre mucche!” Quando essi aprirono gli occhi, l’incendio si era spento e ogni mucca si avvicinò al suo padrone. A questa scena i pastorelli furono travolti da una tale felicità, da essere incapaci di contenerla. Corsero ai propri villaggi e testimoniarono ai loro genitori questa stupefacente meraviglia.
Wolf Messing
Questi sbalorditivi prodigi sono sempre accaduti dappertutto e non solo nella nazione di Bhârata. Infatti, questi prodigiosi poteri si manifestarono anche in Russia.
Wolf Messing nacque in Russia (Polonia) il 10 settembre 1899. Fin dalla sua nascita irradiava una particolare luce. Da bambino, senza rendersene ben conto, roteava la mano, scoppiava improvvisamente a ridere, parlava da solo e compiva azioni strane e misteriose. I suoi genitori erano sorpresi e incapaci di comprendere queste stranezze. Durante il suo secondo anno, egli cominciò a parlare. Parlava da solo, si grattava la testa, rideva, correva da una parte all’altra e si comportava come se fosse in compagnia di qualcuno.
I suoi genitori non erano in grado di comprendere questo mistero. “È pazzo o che altro? Perché si comporta così? Con chi sta parlando? Chi vede che lo fa ridere tanto?” essi si chiedevano stupiti. Provavano gioia, ma, nello stesso tempo, erano intimoriti.
Questa situazione andò avanti così. Dopo 1806 giorni (quasi 5 anni – N.d.T.), un uomo alto, con una tunica bianca, arrivò davanti alla porta di casa e chiamò il ragazzo: “Messing, Messing, Messing! Vieni qui, vieni.”
Lo fece avvicinare: “Mio caro, i tuoi genitori, credendoti pazzo, sono indecisi se chiuderti in un ospedale psichiatrico o mandarti in collegio. Tu non andare. La tua follia spirituale è compresa da chi capisce, ma che ne possono sapere gli stolti materialisti? La tua è una pazzia spirituale. Se tutti la possedessero, la nazione progredirebbe. Perciò, non frequentare una scuola secolare. La conoscenza materiale e fisica non si fisserà in te. Apprendi la Conoscenza spirituale. Sono venuto a dirti questo.”
Il bambino chiese: “Nonno, da dove vieni?”
Egli rispose: “Te lo dirò in seguito. Ora sto per tornare da dove sono venuto. Non scordare ciò che ti ho detto. Acquisisci solo un’educazione spirituale; non lasciarti coinvolgere nell’istruzione profana, fisica e materiale. Ora sei nell’adolescenza: finché non raggiungi l’età adulta, non frequentare nessuno. Bene, ora vado”, e,con queste parole, sparì. Messing lo vide svanire e si chiese: “Da dove è venuto e dove è andato? Sono anch’io così? Ora sono qui. Sparirò anch’io per tornare da dove sono venuto?” Chiedendosi dove quell’uomo potesse mai essere andato, (cercando di fare lo stesso) cominciò a correre a destra e a manca, su e giù; corse fuori, corse dentro, saltò in basso, saltò in alto, fece una cosa e l’altra. “Non mi è possibile fare lo stesso. Quel grande essere è riuscito a farlo, mentre io sono solo una persona ordinaria; perciò mi è impossibile”, pensò.
Il tempo passò ed egli crebbe, crebbe, crebbe. Nel frattempo i suoi genitori non cercarono più di allontanarlo, ma lo protessero dentro le mura di casa. Il 9 febbraio 1909 egli “vide” (capì): “Dovrei recarmi altrove. Non dovrei più stare in questa casa. Qui mi si insegna solo conoscenza terrena. Ciò che invece quella grande anima ha detto, è di apprendere la Conoscenza spirituale.”
Entrò in casa e prese 8 anna (mezza rupia – N.d.T.) da uno scaffale. Prese quei soldi e iniziò il suo viaggio. Egli non sapeva dove sarebbe andato e che cosa avrebbe fatto. Nel tempo, con quegli 8 anna, girò il mondo. Nessuno infatti gli fece mai domande. Nessun controllore gli chiese mai: “Dov’è il biglietto?” Nessuno gli chiese: “Dove sono i tuoi soldi?” Nessuno lo avvicinò mai. Vagando, vagando, vagando e ancora vagando in questo modo, egli andò in giro per 10 anni. All’epoca aveva 19 anni.
(Il giorno 19 di diversi anni dopo) arrivò in India e, a Cuddapah, prese il treno per Anantapur. Il treno viaggiò, viaggiò, viaggiò, viaggiò, viaggiò e si fermò alla stazione di Kamalapuram.
In quei giorni Io stavo studiando proprio a Kamalapuram. Che tipo di studi? Studi folli! Ero in terza o quarta classe. Tutto qui. In classe Ramesh e Suresh sedevano in banco con Me. Ramesh veniva da una ricca famiglia; suo padre era funzionario delle tasse.
Io, Ramesh e Suresh eravamo soliti passeggiare ogni sera verso la stazione e parlare di argomenti spirituali. All’epoca passavano solo due o tre treni al giorno. Non molti. Noi tre camminavamo fino là. Accanto alla stazione c’era una roccia sulla quale ci sedevamo. Essi Mi facevano delle domande e Io rispondevo. Ridevamo anche molto.
Quel giorno Messing si trovava sul treno per Anantapur proveniente da Cuddapah. Quando ci vide dal finestrino, mentre il treno non si era ancora fermato, aprì la portiera e saltò giù, ma cadde male.
Ramesh e Suresh, che erano con Me, ci rimasero malissimo, pensando: “Santo cielo, forse si è rotto le gambe!” Io, però, li rassicurai che niente era successo e dissi loro: “Per chi è venuto? È venuto per Me. Per questo nessun pericolo può toccarlo! State calmi.” (Applausi). Messing si avvicinò. Non aveva niente con sé, nemmeno una borsa. Mi venne vicino, ma non molto. Si sedette a circa tre metri di distanza. Mi guardava senza un battito di ciglia e le lacrime gli scendevano dagli occhi.
Ramesh e Suresh videro la scena. In quei giorni i bambini avevano paura di tutto. Dicevano sempre: “La gente bianca afferra i bambini e li fa arruolare nell’esercito. Non dobbiamo quindi farci prendere dai bianchi.” Pensando che gli stranieri li avrebbero presi, li avrebbero portati via e fatti arruolare, i bambini indiani avevano molta paura. Messing si avvicinava sempre di più, sempre di più. Allora Ramesh scappò a casa, corse da suo padre e gli disse: “Papà, devi prendere la jeep e venire immediatamente. Porta urgentemente Râju a casa nostra. Qualcuno è venuto a portarLo via. È uno straniero, un bianco.
Quell’uomo continua a fissarLo; guarda solo Lui, senza mai toglierGli gli occhi di dosso.” Questo fu ciò che disse a suo padre.
Immediatamente suo padre venne con la jeep. Mi prese e Mi mise in macchina dicendoMi: “Râju, Ti porterò dopo a casa Tua. Per il momento vieni da noi”, e Mi portarono a casa loro. Ma Messing seguì il tragitto della macchina e rimase seduto giorno e notte di fronte alla casa di Ramesh.
Ogni volta che Mi vedeva, si metteva a ridere, Mi chiamava, Mi guardava, perso nell’estasi, e diceva qualcosa. I genitori di Ramesh dissero: “Questa situazione non va bene. Se gli inglesi ci vedono, non sappiamo come giustificarci.” Perciò le porte di casa vennero chiuse e a Messing venne chiesto di andarsene.
Venne mandato un messaggio a casa (Mia) per informare la famiglia. Seshama Râju era un maestro della scuola. Il messaggio diceva: “È venuto uno straniero per portare via Râju. Lo sta aspettando fuori. Per il momento Lo abbiamo nascosto qui da noi. Non abbiate paura: Lo riporteremo a casa sano e salvo.”
Messing aspettò senza togliere gli occhi dalla porta e, dopo tre giorni, prese un altro treno e se ne andò da qualche parte. Ma prima di andare, si avvicinò alla casa e con una matita scrisse sulla porta: “Gli abitanti di questa casa sono così fortunati! Hanno questo bambino in casa loro e Lo servono. Questo, invece, è tutto ciò che io sono riuscito a ottenere.” Li ringraziò e se ne ritornò in Russia.
La “camera Kirlian”
Dopo 20 anni egli ritornò in India e portò con sé la “camera Kirlian”. La portò per usarla qui e da nessun’altra parte. Quella macchina fotografica era in grado di mostrare l’aura, ovvero quell’energia di luce che circonda le persone. Le persone buone e satviche avranno intorno a sé una luce splendente; intorno a colui che è pieno di qualità tamasiche, apparirà un’aura nera. Questo è ciò che si genera con la qualità tamasica. Intorno a colui che possiede qualità rajasiche, appare un’aura rossa.
Egli arrivò a Kamalapuram e chiese dove fosse Râju. Nel frattempo Io ero cambiato: non ero più Râju. Le persone gli risposero: “È diventato un guru per tutti noi indù. Il Suo Nome significa Verità. Si chiama Sathya Sai Baba. (Applausi). In questo momento può essere o a Puttaparthi o a Bangalore.” E così egli partì per Bangalore. Quando il treno arrivò a Whitefield, trovò una grandissima folla ad aspettare. “Che cos’è tutta questa folla?” chiese.
“Siamo venuti per il darshan di Sathya Sai Baba”, gli venne risposto. A quelle parole, egli pensò: “Deve trattarsi dello stesso Sathya Sai Baba (che sto cercando io ).”
Egli si unì alla folla ed ebbe il darshan: “Questo è lo stesso ragazzo che vidi allora. Il Suo splendore sta ancora brillando!” (egli pensò). Dopo il darshan, si recò dal direttore del nostro istituto. Il direttore di allora si chiamava Narendra. Era un grand’uomo, erudito anche in sanscrito. Insegnava agli studenti in modo eccellente. Suo padre si chiamava Damodhara ed era un giudice. In quel momento erano lì entrambi.
Messing disse: “Fate che quel ragazzo mi veda una volta.” Dopodiché egli aprì l’apparecchio e mostrò loro qualcosa: “Voi non avete la giusta visione. Egli è la manifestazione di Dio. (Applausi). Voi, però, siete incapaci di riconoscerLo e vedete una forma ordinaria. Guardate l’aura attentamente”, disse Messing. In quel momento c’era il Nâgarasamkîrtana e Io stavo dando il darshan dal balcone. Egli si posizionò sotto il balcone e scattò la fotografia. In quel momento fu inondato da una moltitudine di fasci di luce.
Messing mostrò la foto. Intorno al Mio volto c’era una vasta luminosità. (Applausi). Il Mio Corpo era completamente in una luce bianca. Nella foto nient’altro veniva visto se non il Mio Corpo. Ogni dito, ogni unghia…. Si vedeva ogni cosa. Narendra prese la fotografia e fece una richiesta: “Fotografie del genere non si trovano nella nostra nazione di Bhârata. La voglio.”
Messing rispose: “Vi darò la fotografia, ma non la macchina (Kirlian). Ci sono molte cose che devo sperimentare con essa. Per me è sufficiente che mi portiate da Baba. È la cosa più importante.”
“Tu sei tutto per me!”
Venne organizzato un incontro con gli studenti per quello stesso pomeriggio, al quale partecipai anch’Io. Che ci fossero i professori e gli insegnanti, a Messing non importava. Egli non guardava nessuno. Chiedendosi dove fossi seduto e che cosa stessi facendo, egli continuava a guardare a destra e a sinistra, fra la gente. Questo fu ciò che successe.
Alla fine Mi vide. “Mio caro, mio caro, mio caro!” Con queste parole, Mi venne incontro. “Tu sei tutto per me. Io sono un Tuo strumento. Tu sei tutto per me, sei tutto per me! Tu sei tutto per me! Tu sei tutto per me!” Finora non avevo detto questo a nessuno.
Così egli rimase a Whitefield 10 giorni, durante i quali gli mostrai tutto quello che c’era da mostrare e gli dissi tutto ciò che c’era da dire.
La Mia sembra essere una natura umana ordinaria.
Dio è nella forma dell’uomo.
“Dio non viene mai con la forma di Dio. Egli viene in forma umana. Questo è detto anche nelle Scritture.” Dicendo così, Messing scrisse un grosso libro sull’argomento e lo consegnò a Gokak. Gokak conosce l’inglese e un po’ il francese, ma non tanto bene. Però, a parte ciò, non conosce affatto il russo. Tenne comunque il libro finché, alla fine, imparò la lingua tramite le persone che venivano qui e così poté tradurlo.
Dopo alcuni giorni Messing se ne andò senza essere visto da nessuno. Dalla Russia arrivò una lettera a Narendra. Era di Messing che gli scrisse: “Voi siete un insegnante che lavora per Dio. Siete così fortunato!” In quella lettera egli lo pregò di riferirgli tutte le vicende riguardanti Swami che succedevano qui.
Un giorno Io e Narendra eravamo seduti. Egli Mi faceva delle domande e Io rispondevo. Improvvisamente Messing apparve. Com’era arrivato? Non aveva alcun biglietto, né niente del genere. Egli arrivò, Mi vide, poi sparì. Non tutti possono osservare fenomeni del genere. Anche se lo descrivo, non tutti possono comprendere.
Questi sono poteri divini
La Divinità è così misteriosa! Detto questo, da allora egli insegnò la natura di Krishna.
Un giorno i pastorelli e Krishna, sulle rive dello Yamunâ, si misero a fare il gioco dei “tre rami”. (Swami chiede, probabilmente, ad A. Kumar: “Lo sai, saltare da un ramo all’altro” – N.d.T.).
Facendo quel gioco, molti ragazzi si stancarono. In quel mentre arrivarono due saggi di nome Vamanamurthi e Maharishi Bharadvaja, che stavano viaggiando da quelle parti. Arrivarono sulle sponde dello Yamunâ e chiesero ai ragazzi: “Cari, in quale punto del fiume si può fare il bagno senza pericolo? Dov’è il punto più profondo? Dove quello meno profondo? Dove possiamo bagnarci?”
Krishna, che era arrampicato su un albero, saltò giù e con Lui Balarâma. I due saggi chiusero gli occhi e pensarono: “Questi due ragazzi sono la manifestazione del Jîvâtma (l’Anima individuale) e del Paramâtma (l’Anima universale). Questa è la Divinità e quelli sono i Poteri divini.” E dicendo questo si misero a mani giunte.
Bharadvaja chiese a Krishna: “Carissimo, dov’è più alta l’acqua? Dove si tocca? Dobbiamo fare il bagno.”
Rispondendo: “Ve lo mostro. Venite”, Krishna saltò nell’acqua. L’acqua Gli arrivava qui. (Swami mostra il punto all’altezza del collo – N.d.T.). “Qui è sicuro. Fare il bagno qui è sicuro. Fatelo subito. Mentre fate il vostro bagno, noi cucineremo per voi. Vi prepareremo tutto il cibo che mangiate di solito. Fate il bagno e poi venite.” Tuttavia, Krishna non aveva niente con Sé; non aveva portato niente da casa. In quei giorni, infatti, non c’erano i contenitori con i quali portare via il cibo. A quel punto Krishna disse: “Venite qui”, e aprì un fagotto, dal quale uscì un buonissimo odore. Era riso al latte. Sulla pietanza c’era un piatto: Krishna lo prese, vi mise il riso e lo servì ai due saggi dicendo loro di mangiare.
Anche qui ci sono dei bambini. Sapete come sono. Scimmiette! I bambini guardarono verso Krishna facendo un gran di chiasso: “Da dove è arrivato questo cibo? Da dove lo hai preso?”
Krishna disse: “Questi sono grandi saggi. Che cosa si può dire con loro presenti? State dunque tranquilli.”
I due saggi presero il cibo, pregarono e mangiarono. (Poi chiesero:) “Caro Krishna, chi ha cucinato questo cibo?”
“Chi? (rispose Krishna). Ma Mia madre Yashodâ.”
I due saggi pensarono a lei per un attimo, dopodiché iniziarono a mangiare. “Non abbiamo mai mangiato cibo tanto saporito”, esclamarono. Dopo aver pranzato, bevvero l’acqua dello Yamunâ e tornarono da dove erano venuti.
Brahmâ osservò tutte queste misteriose meraviglie: “Da dove è arrivato il cibo? Da dove è arrivato tutto questo cibo? Krishna deve essere fermato.”
Il giorno dopo i pastorelli portarono le mucche al pascolo. Arrivarono nella foresta.
“I poteri divini e le capacità di Krishna e di Balarâma devono essere resi pubblici.” Brahmâ si aggirava sul luogo con questo pensiero. I pastorelli stavano giocando dimentichi delle loro mucche e totalmente immersi nel pensiero di Krishna. Erano completamente occupati a parlare con Lui, saltando di qua e di là. Brahmâ capì che era il momento giusto; perciò nascose tutte le mucche, i vitellini e anche tutti i pastorelli! Non erano rimasti in giro né una sola mucca né i pastorelli.
Krishna osservò: “Questa è opera di Brahmâ. Ricreerò tutto.” Così dicendo, chiamò un ragazzino e gli disse: “Va’ a nasconderti anche tu senza farti vedere. Io intanto ricreerò ogni cosa.” Con queste parole, Krishna creò tutto: ognuno dei pastorelli, ogni mucca con il suo vitellino. E non solo per un giorno o due, ma per un anno! Un anno intero.
Per un anno intero, ogni giorno, i pastorelli (creati) andarono e tornarono dal pascolo con le mucche, preoccupandosi che mangiassero dai secchi tutto ciò che veniva loro dato; per un anno intero, i pastorelli (creati) si occuparono delle loro faccende quotidiane, mangiarono e vissero la loro vita, tanto che i genitori stessi pensarono fossero i loro veri figli, senza accorgersi che erano bambini creati.
A questo punto Brahmâ si vergognò: “Questa cosa è durata troppo a lungo. Non ce la faccio più. I lîlâ di Dio sono così stupefacenti!!” Nel Bhâgavata è detto:
“È straordinario!
I campi, gli amici, gli abitanti della foresta,
le persone e i cittadini sono sacri nei tre mondi.
È la storia di Vishnu.”
Così dicendo, il giorno dopo Brahmâ andò da Krishna: “Krishna! Ho perso. Ecco qui i Tuoi bambini e le Tue mucche”, e Gli rese tutto. Quando apparvero le mucche originali, quelle create scomparvero. Lo stesso accadde ai bambini. Vedete dunque come, fin dall’infanzia, Krishna, attraverso i Suoi lîlâ, abbia mostrato segni potenti e grandiosi.
Volevano avvelenarMi e ucciderMi
Ora vi racconto un altro prodigio accaduto con questo Corpo, che non ho mai detto a nessuno. Dopo aver inaugurato Prashânti Nilayam ed essere venuto ad abitare qua, ero solito mangiare nella stanza su questo lato (Swami indica il lato orientale della parte sopra la veranda – N.d.T.). Ogni volta che mangiavo, gruha ammâyî (Îshvarâmmâ) stava lì con Me e non smetteva mai di dirMi: “Swami, mangia di più. Mangia. Non vedi come sei magro?!” Con queste parole, ogni volta Mi dipingeva in modo esagerato.
Io le rispondevo: “Devo forse combattere con qualcuno? Perché Mi vuoi grasso? Ci, ci! (espressione telugu di disgusto – N.d.T.). Non voglio essere così. Non Mi piace.”
Un giorno alcune persone Mi invitarono a pranzo a casa loro. Perché lo fecero? Per avvelenarMi e ucciderMi. (Questa gente pensava:) “La grandezza (di Swami, della Sua Missione – N.d.T.) sta aumentando ogni giorno di più. Come si permettono di costruire un così grande tempio a Prashânti Nilayam (Puttaparthi), un villaggetto tanto piccolo?” Consideravano la cosa dal punto di vista materiale.
All’epoca Mi piacevano molto i vada; le lenticchie Mi piacevano molto. La donna che Mi invitò, quindi, Mi preparò vada avvelenati e Me li fece mangiare. Prima di uscire di casa, avevo detto a gruha ammâyî: “Non avere alcuna paura.” Anche a Subbâmmâ dissi: “Me ne occuperò Io. Tu non aver timore.”
Bene. Quando tornai a casa, avevo la bocca piena di schiuma e il corpo tutto blu. Dissi a Îshvarâmmâ: “Rotea la tua mano.”
“Mi ha detto di roteare la mano?!” (ella si chiese stupita). Lo fece e da essa uscì la vibhûti! (Applausi).
Era molto spaventata: “Ma che succede? La vibhûti esce quando è Swami a roteare la mano. Come ha fatto a uscire quando ho roteato la mia?” Per un po’ avevo dato a lei quel potere. (Applausi).
Îshvarâmmâ fece sciogliere quella vibhûti nell’acqua e Me la fece bere. Immediatamente tutto si aggiustò.
“Giochi con i serpenti?”
In passato, quando ancora stavo nel vecchio mandir, andavamo sempre sul Citrâvatî.
Mentre ci recavamo là, lungo il tragitto tutti i bambini si univano a noi. All’epoca non c’erano questi studenti, ma solo ragazzi del villaggio. Una volta là, dicevo loro: “Che ognuno di voi faccia un mucchietto di sabbia e, mettendo dentro la mano, estragga ciò che vuole.”
Uno diceva di volere una matita, un altro voleva una penna, mentre un terzo desiderava un laddu (un dolce – N.d.T.). In questo modo ognuno estraeva dal mucchietto di sabbia ciò che voleva. Erano tutti bambini che non conoscevano niente di meglio: per questo desideravano cose del genere. Così tutti ottenevano ciò che desideravano.
Un giorno, dopo che tutti ebbero avuto ciò che chiedevano, tornammo al vecchio mandir. “Dobbiamo precedere Swami per farGli l’ârati.” Con questo pensiero, Kuppam Sushilâmmâ e sua sorella minore Kumârâmmâ (Vijayâkumârî), che – sapete? – ha scritto anche un libro intitolato “Anyathâ sharanam nâsti ” (Tu sei l’unico mio Rifugio), si misero a correre. Perché? “Quando Swami arriva, vogliamo offrirGli l’ârati.” Al tempio, infatti, non era rimasto nessuno: era stato chiuso. Pensando perciò questo, si misero a correre.
A quel punto feci cenno a Subbâmmâ e le dissi: “Spingile da parte. Vai tu per prima.” Subbâmmâ, allora, disse alle due sorelle: “Aspettate qui, voi. Vado io.” Le due donne provarono dei sentimenti terreni: “Siamo entrambe due donne sposate; siamo dunque noi a esser autorizzate a offrire l’ârati a Swami. Subbâmmâ è vedova. Come può fare l’ârati?” Esse ebbero questi pensieri.
Subbâmmâ arrivò al tempio per preparare l’ârati. In quel momento, vide un grosso serpente sulla porta. Ecco perché avevo mandato avanti Subbâmmâ! Lei era sempre molto prudente; per questo fece attenzione. Quando vide il serpente, lo chiamò: “Sai Nâgeshvara! Sai Nâgeshvara! Sai Nâgeshvara!” Sentendola dire così, le due sorelle arrivarono correndo. Poco dopo eravamo tutti là.
Subbâmmâ prese coraggio: “Swami dice che Dio è in tutti: è in ogni essere vivente, in ogni creatura.” Dicendo ciò, afferrò il serpente e disse a tutti: “Non colpitelo, non colpitelo; non uccidetelo!” Ella lo prese per posarlo lontano. Non appena lo afferrò, il serpente le si arrotolò intorno al braccio.
Nel vedere la scena, la presi in giro: “Che fai, Subbâmmâ? Giochi con i serpenti?”
“Sei stato Tu a mandarmi avanti per proteggere tutti gli altri”, rispose. “In questa scena, mi hai dato la parte della protagonista.” In questo modo facevo accadere così tante cose tramite Subbâmmâ! Poverina! Karnam Subbâmmâ fu una donna di grandi meriti e altamente fortunata. Mi servì fin dall’inizio. E non solo Me: ella cucinava e serviva il cibo anche a tutti i devoti che venivano a vederMi. Tutti i suoi parenti le si misero contro, ma lei rispose: “Non ho bisogno di nessuno. Se ho Sai Baba, è sufficiente. Qualunque cosa Lui mi dirà, io la farò.” Aveva una fede davvero incrollabile.
“Desideri vedere tuo marito?”
Un giorno, mentre eravamo seduti, le chiesi: “Subbâmmâ, desideri vedere tuo marito?” Ogni tanto facevo scherzi del genere.
Mi rispose: “Chi (disgusto). Non desidero niente del genere, Swami! Che cosa ho io a che fare con i morti? Non hanno avuto la fortuna (di stare con Te) e sono morti, mentre io ho tutte le fortune perché sono qui a servirTi.”
Le dissi: “Se desideri vederlo un’ultima volta, anche quel desiderio ti sarà esaudito. Allontanati un po’. Vai fuori.”
Subbâmmâ aveva piantato in giardino un albero. Quando uscì vide che sotto quell’albero c’era Narayan Rao (suo marito) che stava fumando una sigaretta. Ella lo vide; lo vide direttamente (realmente, come se fosse vivo – N.d.T.). Non solo ne fu felice, ma lo rimproverò perfino: “Nemmeno da morto abbandoni le cattive abitudini! (Risate). Persino adesso fumi! Ci! Non voglio guardare cose simili.” Con queste parole, tornò dentro.
Narayan Rao aveva due mogli: Subbâmmâ e Kamalâmmâ. Kamalâmmâ è qui nell’âshram ancora adesso. Le dissi: “Kamalâmmâ, vai a vedere anche tu.”
Mi rispose: “Non lo voglio vedere. Sono venuta qui per vivere con Swami. Non ho affatto bisogno di altre forme.”
“Vai a guardare almeno una volta”, le dissi. Allora ella uscì e lo vide bere un caffè. Così le due mogli videro il marito impegnato in cose che generalmente faceva quando era ancora in vita.
Anche Krishna mostrava in questo modo cose accadute nel passato.
La grande devozione di Râdhâ
Quando Krishna sollevò il monte Govardhana, celebrarono la festa chiamata “Govardhana”, durante la quale tutte le ragazze nubili eseguirono il Vara Lakshmî Vrata, che viene celebrato da molti anche ai giorni nostri. Nel passato le donne si recavano ai piedi del monte Govardhana per compiere questa cerimonia.
Râdhâ era una grande devota. Molti le fecero del male e ciò avvenne perché anche allora c’erano molti atei. Sia nei tempi passati sia ai giorni nostri, gli atei, i credenti, i credenti atei o gli atei credenti sono presenti in tutte le epoche.
(Per impedirle di recarsi alla cerimonia) Râdhâ venne chiusa a chiave in una stanza. Io scrissi addirittura una recita su questo fatto, per insegnare ai bambini. (I parenti che l’avevano imprigionata pensavano:) “Krishna verrà e Râdhâ, non appena Lo vedrà, scapperà insieme a Lui. A quel punto, tutta la gente del villaggio lo verrà a sapere e la reputazione della famiglia sarà rovinata.” Con in mente quel pensiero, chiusero Râdhâ a chiave nella stanza.
All’interno ella piangeva e cantava. Krishna la udì, arrivò e aprì la porta. Vedendo quegli atei, li rimproverò: “Sono cose da fare? Non importa che non abbiate devozione, ma è un gravissimo peccato far del male ai devoti!” Tenne loro una lunga predica e portò via Râdhâ. Insieme a Rukminî e Satyabhâmâ, si recarono al monte Govardhana.
A quel punto Râdhâ – che cara! – espresse un desiderio: “Non voglio niente altro, Swami! Ma suona il Tuo flauto ancora una volta. Mi basta questo. Io ascolterò.” Dopo aver esaudito il desiderio di Râdhâ, da quella volta Krishna non toccò mai più il flauto. Perché? Appena erano arrivati là, Râdhâ si era gettata ai Suoi Piedi.
“Suona un canto, Krishna, che fluisca come denso miele.
Parlaci, o nostro Mukunda, per portare sollievo alla mente.
Raccogliendo il latte dalle mucche, convertilo in musica,
e con quella melodia riempi il Tuo flauto.”
In questo modo Râdhâ chiese a Krishna di suonare un canto. Ascoltando quella melodia, Râdhâ abbandonò la vita. Da quel giorno Krishna non toccò mai più il flauto. Per Amore di Râdhâ, Egli rinunciò a una cosa dopo l’altra; rinunciò addirittura al Suo flauto e a quel canto:
“Riempi il flauto di melodia e trasformalo in una canzone.
Canta un canto, o Krishna, che fluisca come denso miele.”
Con quel canto, Krishna smise di suonare. Nelle rappresentazioni e nei film di oggi fanno vedere che, dopo quell’evento, Egli suonò ancora, mentre invece quello fu l’ultimo canto di Krishna.
Krishna mostrò moltissimi lîlâ: Egli è la personificazione dei lîlâ in forma umana. Finora nessuno è stato in grado di descrivere la Sua natura. Essa è la personificazione dei lîlâ; è infinita e insondabile, oltre ogni valutazione. Non la si può misurare.
Nei lîlâ di Krishna avete potuto vedere la natura di Dio. Quelli visti nei film sono inventati; tuttavia, a volte, vengono mostrate anche cose vere. Comunque sia, Krishna è colmo solo d’Amore; in Lui non si trova altro. In quei giorni Krishna compì quei lîlâ e li mostrò al mondo intero in tutti i modi possibili.
Nel Dvâpara Yuga le persone avevano molta più fede in Dio. Nell’era Dvâpara, la Divinità divenne pubblica attraverso le donne. La natura femminile è la natura del sentimento. Sono infatti loro che permettono agli atti di Dio di manifestarsi e propagarsi.
Che grande fortuna!
Un giorno dei saggi stavano celebrando il Gâyatrî yajña (particolare cerimonia vedica del fuoco – N.d.T.) nella foresta. Poco più in là, Krishna chiamò i pastorelli e disse loro: “Andate dai sacerdoti che stanno compiendo il rituale. Siccome Io e mio fratello abbiamo fame, portateci del cibo.” Krishna disse di chiederlo ai sacerdoti. I bambini andarono là. “Signori, Gopâla e Balarâma sono qui. Hanno camminato, e ora dicono di aver fame. Ci dareste un po’ di cibo? ” essi chiesero.
“Che cosa dite?!” risposerò i sacerdoti. “Credete che questo sia un albergo o un luogo di ristoro? Dopo aver concluso il rito, dopo aver offerto il cibo a Dio e dopo avere mangiato, se ci avanza qualcosa, lo daremo a loro.”
I pastorelli riferirono la risposta a Krishna, il quale disse loro di ritornare là, ma, questa volta, di chiedere alle mogli dei sacerdoti. I pastorelli tornarono là e andarono dalle donne, le quali stavano cucinando dei bobotlu (piadina dolce fatta di zucchero, lenticchie e ghî – N.d.T.).
I ragazzini dissero: “Madri, Krishna è affamatissimo. Krishna e Balarâma stanno aspettando: ci dareste del cibo?”
Esse esclamarono: “Oh! Abbiamo davvero guadagnato un merito tanto grande? Che fortuna! Quale immensa fortuna!” Con queste parole, prepararono velocemente diversi pacchetti e cartocci che portarono personalmente.
Altre donne obiettarono: “Dopo essere andate là, le accetteranno indietro i loro mariti, oppure no? Non è un errore dare del cibo a Krishna prima di averlo offerto a Dio? Quelle donne appartengono alla casta dei bramini, mentre loro sono pastori. Dare il cibo per primo a Krishna?!” Ma esse non prestarono attenzione a nessuna di quelle parole (poiché pensavano:) “Egli è Dio, Dio, Dio, Dio! Gopâla è Dio.” Perciò portarono il cibo e personalmente servirono Krishna e Balarâma, che mangiarono a sazietà. Dopo aver trascorso molto tempo con loro, le donne tornarono indietro.
I loro mariti le rimproverarono: “Dove siete state finora? Invece di dar da mangiare a noi, siete andate a servire un pastore?!” Con queste parole le sgridarono severamente. Ma dopo un po’ i sacerdoti sedettero in meditazione: “Ci! Abbiamo commesso un errore. Ciò che le nostre mogli hanno fatto era corretto.” Dicendo questo, fecero il bagno un’altra volta e chiesero: “Dateci il prasâd che è rimasto.” Durante l’avvento di ogni Avatâr, quindi, le prime a riconoscere la Divinità sono sempre state le donne. Sono sempre le donne a condurre il marito a Dio. Poiché possiedono devozione, tale devozione entra in qualche modo dentro gli uomini. Perciò, se non fosse per le donne, gli uomini non avrebbero devozione.
Un detto afferma che un luogo senza donne è come una giungla, mentre un luogo senza uomini è come un monastero (un luogo pieno di pace – N.d.T.). Le donne sono la radice della devozione. Se dunque nel mondo la Divinità deve essere sperimentata e resa salda, ciò avviene in primo luogo attraverso le donne.
Si dice che le donne simbolizzano la devozione, mentre gli uomini simbolizzano la conoscenza. Tuttavia la conoscenza è solo qualcosa di verbale, mentre la devozione si esprime attraverso la sacralità del comportamento. Le donne hanno il permesso d’accesso all’antahpuram (appartamenti interni del palazzo reale – N.d.T.), mentre gli uomini si devono fermare alla sala delle udienze, senza essere autorizzati ad andare oltre. La conoscenza, perciò, arriva solo fin lì; essa è solo in grado di raggiungere il luogo di Dio. La devozione, al contrario, porta dritti al Suo cuore: per questo le vien dato un valore tanto grande. Da quei giorni in poi, le pastorelle (gopî) resero nota e insegnarono che cosa fosse la devozione, così che venisse divulgata per tutto il mondo. Esse sono la causa primaria delle preghiere a Dio. Ovunque andassero, recitavano:
“Solo il Nome di Dio, il Nome di Dio, il Nome di Dio
concederà la Liberazione,
concederà la Liberazione nell’era di Kali.”
“Ricordate il Nome di Dio”: con queste parole, insegnarono alle genti.
“Non sono forse anch’essi devoti?”
Persino in questo villaggio di Puttaparthi, fu Karnam Subbâmmâ a essere la prima devota. Nessuno infatti contemplava Dio prima che qui arrivasse lei. A volte gruha ammâyî (Îshvarâmmâ) notava che degli alti ufficiali di polizia venivano a trovarMi. Era sufficiente che fossero in divisa perché si spaventasse: senza farsi notare, veniva da Subbâmmâ: “Subbâmmâ! È arrivata la polizia! Potrebbero portare via Swami. Fa’ in modo che non ci vadano, fa’ in modo che non vadano da Lui”. Diceva sempre così. Poverina!!
Subbâmmâ, allora, le rispondeva: “Madre, non sono forse anch’essi devoti? Da Swami vengono tutti. Non soffrire dunque, e non provare sentimenti di separazione. Nessuno può toccare Swami; nessuno Gli si avvicinerà per farGli del male.”
Quando Subbâmmâ le rispondeva così, Îshvarâmmâ si arrabbiava molto: “Questa è casa tua ed è qui che la polizia viene per vedere Swami. Non farli perciò entrare! Non permettere loro di entrare!”
“Non Me ne andrò”
Un giorno, da Madras, arrivò l’I.G.P. ( Ispettore Generale di Polizia) Ranga Nayakulu, per portarMi a Madras. Gruha ammâyî non smise un attimo di piangere. Era la prima volta che andavo a Madras. “Dicono che sia un grandissimo villaggio”, singhiozzava Îshvarâmmâ. “Che sia un paese lontanissimo. Vogliono portare Swami nello stato di Madras. Io Lo ostacolerò. Non Lo lascerò andare. Swami, non andare! Non andare!” Non faceva altro che piangere.
(Le chiesi:) “Dove Mi stai dicendo di non andare?”
(Îshvarâmmâ:) “Dicono che Madras sia lontanissima. Non so che tipo di nazione sia.” A quei tempi per coloro che vivevano a Puttaparthi, andare a Madras era come andare all’estero; allora si credeva così. Per questo fatto Îshvarâmmâ si sentì malissimo e soffrì molto. Qual era la causa di tutto quel dolore? Era dovuto all’Amore che aveva per Swami. “Potrebbero portarLo via.” Îshvarâmmâ fu dunque il solo movente della futura costruzione di questo tempio.
Un giorno venne Sakâmmâ e Mi disse: “Swami, non ci è possibile andare avanti e indietro da questo villaggio tanto facilmente. Le automobili non hanno accesso ed è un’impresa difficile persino per i carri a buoi. Le macchine devono fermarsi a Penukonda (41 km. da Puttaparthi – N.d.T.) e, da li, bisogna proseguire in altro modo. Swami: vieni a Bangalore. Là costruiremo per Te una grande casa. Ti offriremo un palazzo.”
Risposi: “Non ho bisogno di un palazzo. Non voglio costruzioni maestose. Mi è sufficiente una stanzetta.” Nonostante queste Mie parole, non Mi ascoltarono. Inoltre, alla fine, a causa dei pianti di Îshvarâmmâ, le diedi la Mia parola che non avrei lasciato Puttaparthi: “Non Me ne andrò, non Me ne andrò, non Me ne andrò!” (Applausi). Îshvarâmmâ fece un esempio: “Swami, quando germoglia una pianta, le si costruisce intorno un recinto di protezione, la si concima e la si annaffia. Solo così diventerà un grande albero. Ma, se mentre sta crescendo, la si continua a sradicare e a spostare da un luogo all’altro, alla fine morirà. Rimani dunque nel villaggio nel quale sei nato. Se lo fai, ci sarà grande sviluppo.”
Io le diedi la Mia parola: “Resterò sempre qui. Visiterò altri luoghi, ma poi ritornerò qui.”
Gli uomini non hanno la stessa devozione e lo stesso abbandono che hanno le donne.
Nelle donne c’è molta viveka (discriminazione, intelligenza discriminante), c’è vijñâna (la Saggezza Suprema), c’è prajñâna (la Conoscenza spirituale), c’è sujñâna (la più alta sapienza). Dunque, tutte le forme di Jñâna (saggezza) sono nelle donne. Nessuno di voi, perciò, deve considerarle come esseri inferiori.
Certamente anche in loro ci sono alcune debolezze; tuttavia sono benissimo in grado di correggerle da sole. Nessuno di noi, quindi, deve considerare la donna inferiore. Non dovremmo parlare a nessuno in modo sprezzante. Oggi qualcuno può anche avere delle debolezze, ma domani come saremo noi?
Dovrebbero stare tutti bene È detto:
“Possano, tutti coloro che sono al mondo, stare bene.”
Tutti, dunque, come prima cosa dovrebbero stare bene. Questi insegnamenti vennero dati anche nella Bhagavad Gîtâ per il benessere di ognuno. Dovremmo desiderare il benessere di tutti.
Sono Uno. Diverrò molti.
Esiste solo l’Uno ed è presente in ogni essere. Dio è quindi l’incarnazione di tutti.
Krishna, nel Dvâpara Yuga, dimostrò in tanti modi una grande natura a tutte le persone. Vi dirò una cosa davvero straordinaria successa a Dvârakâ.
Krishna si trovava a Mathurâ ma, ovunque fosse, i tentativi di Kamsa di ucciderLo non cessavano. Kamsa continuava a mandare messaggi affermanti che avrebbe fatto del male agli abitanti di Mathurâ, causando loro indicibili sofferenze.
“Comprendete, una volta per tutte, i Miei poteri!”
Kamsa aveva due mogli che erano le due figlie di re Jarâsandha. Quando Krishna uccise Kamsa, Jarâsandha, il padre delle due donne rimaste vedove, andò per lottare contro Krishna. “Che cosa facciamo adesso? ” si chiesero preoccupati tutti gli abitanti di Repalle.
I pastori, le gopî e tutti gli altri abitanti stavano malissimo: “Per quanti giorni dobbiamo sperimentare questa situazione tanto difficile?” Krishna rispose: “Comprendete una volta per tutte i Mie i poteri e le Mie facoltà. Questa notte addormentatevi a Repalle e domattina guardate dove vi sveglierete.”
E così quella notte, a Repalle, andarono tutti a dormire. Ma quando si alzarono la mattina dopo, si ritrovarono a Dvârakâ!
Dove si trova Dvârakâ e dov’è Repalle? Distano mille miglia.
Tuttavia, gli abitanti di sera andarono a dormire a Repalle e si alzarono a Dvârakâ il mattino dopo. In questo modo Krishna li trasportò da un villaggio all’altro.
Una tale Divinità non si può trovare da nessun’altra parte. Non pensate dunque che Dio sia dappoco.
Egli può compiere qualsiasi cosa, può realizzare tutto; può andare ovunque e cambiare qualunque cosa. Non si deve dubitare di questo. Tuttavia, dubbi simili ci sommergono. Non dubitate di niente. Credete in Dio con fede incrollabile e agite di conseguenza. Il Dharma sorgerà se seguiremo Dio. Niente altro ci servirà.
Lokâssamastâh sukhino bhavantu
Possano gli esseri di tutti i mondi essere felici.
Abbiate dunque ferma fede solo nella Divinità.
(Baba conclude il Discorso cantando i bhajan: “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi…”, “Govinda Krishna Jay…” e “Subrahmaniam, Subrahmaniam…”)
Prashânti Nilayam, 31 agosto 2002
Sai Kulwant Hall
Ricorrenza della nascita di Krishna
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