Le celebrazioni per il 78° Compleanno di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba hanno avuto inizio alle ore 8 con la banda del campus di Anantapur, seguita da quelle delle ragazze della scuola e del campus di Prashânti Nilayam, seguite a loro volta da Swami, che era seduto sul sedile anteriore di una nuova vettura a batteria della ditta italiana Lamborghini (regalata a Swami dagli italiani in occasione del 78° Compleanno – N.d.R .). Swami è arrivato percorrendo il solito tragitto che compie durante il darshan , ma facendo un giro extra dalla parte degli uomini, così che questi hanno ricevuto due volte il darshan che attendevano da molto tempo, e che Swami ha accompagnato con profuse benedizioni. Baba è arrivato all’ingresso alle 8,20 circa. Shrî Chakravarthi ha dato il benvenuto ai presenti e ha presentato i tre oratori in programma. Il primo era l’ex ministro della Giustizia, seguito dal dottor Jumsai, proveniente dalla Tailandia, e dal dottor Goldstein (USA). Swami ha cominciato il Suo Discorso alle 8,50 e ha parlato fino alle 10.
Il programma del mattino ha avuto termine dopo l’ ârati.
Nel pomeriggio, Swami è arrivato nel mandir alle 16 indossando una veste gialla. È stato accolto da un gruppo che suonava delle percussioni tipiche del Kerala (pañchavadhyam) e un tipo di musica dell’India del sud (nâdasvaram), considerata di buon auspicio. Il programma musicale di Parveen Sultana è cominciato alle 16,10 e si è protratto fino alle 17. La cantante si è esibita in un concerto di musica classica dell’India del nord. Immediatamente dopo, ha avuto inizio la performance di Dana Gillespie. La cantante inglese ha cantato fino alle 17,50. Swami ha mostrato di apprezzare molto entrambe le esibizioni.
Anche il programma pomeridiano ha avuto termine con l’ ârati.
“Senza la Verità, la Rettitudine, l’Amore e la Pace,
il valore della vostra istruzione ammonta a zero.
Senza la Verità, la Rettitudine, l’Amore e la Pace,
il risultato di tutte le vostre azioni è uguale a zero.
Senza la Verità, la Rettitudine, l’Amore e la Pace,
l’utilità di occupare posizioni autorevoli è zero.
Senza la Verità, la Rettitudine, l’Amore e la Pace,
la santità di tutte le vostre azioni caritatevoli è zero.
Queste quattro qualità sono le quattro colonne che sostengono
l’edificio del Dharma eterno e primordiale (Sanâtana Dharma).”
Incarnazioni dell’Amore!
L’edificio della vita umana poggia sulle quattro colonne dei valori della Verità, della Rettitudine, dell’Amore e della Pace. La sicurezza e la tutela della vita dipendono da essi. Fin dai tempi più antichi, la cultura di Bhârat è riuscita a mantenersi intatta solo perché è stata costruita sul coriaceo fondamento di questi valori. I nostri antenati condussero la loro vita aderendo strettamente a questi valori eterni. Senza di essi, la casa della vita crollerebbe in un istante. L’umanità è esistita fino ad oggi perché questi valori sono stati praticati, almeno in una qualche misura.
Il benessere della nazione dipende dagli insegnamenti delle madri
La vita individuale di un bambino è estremamente influenzata dalle qualità dei genitori. Le amorevoli cure di Jijabai fecero di Shivajî un grande guerriero. La Divinità di Râma poté fiorire per merito delle nobili qualità di Sua madre Kaushalyâ. I gemelli Lava e Kusha poterono diventare potenti e famosi grazie a Sîtâ, la loro nobile e virtuosa madre. Possiamo dire la stessa cosa anche dei nostri antichi saggi e veggenti; anch’essi poterono santificare la loro vita grazie alla nobile influenza esercitata su di essi dai loro genitori. Oggi si rinnegano i propri genitori perché non si riesce a riconoscere l’impatto e l’influenza che essi hanno sulla vita dei figli. Ci si dimentica che è solo per merito dei genitori che si riescono a ottenere elevate posizioni sociali. Gandhi divenne un Mahâtma per merito di sua madre Putlibai, una donna molto pia. Ella osservava un voto molto stretto, per seguire il quale non cominciava a mangiare se non dopo aver sentito il verso del cuculo. Un giorno capitò che dovesse attendere molto a lungo, perché il cuculo non cantava, ed ella si rifiutava di mangiare. Il giovane Gandhi, non sopportando di vedere sua madre non mangiare per così tanto tempo, uscì e imitò il verso del cuculo. Poi rientrò in casa e le disse: “Madre, ora che il cuculo ha cantato, mangia, per favore.” Ella, però, si rese conto che suo figlio stava mentendo. Non riuscendo a contenere il proprio dolore, schiaffeggiò Gandhi e gli disse: “Quale peccato ho mai commesso, per aver dovuto partorire un simile bugiardo!” Mentre parlava, la donna piangeva. Gandhi, allora, si pentì e la pregò di perdonarlo. Fece poi voto di non mentire mai più. È in questo modo che i nostri antenati svilupparono le virtù e ottennero posizioni elevate: solo grazie alle loro madri. Oggi il Paese deve affrontare molte difficoltà, perché la gente non ha alcun rispetto della verità e indulge nella falsità di pensiero, parola e azione. Il benessere di una nazione dipende dagli insegnamenti che le madri impartiscono ai propri figli. Quando i genitori seguono il sentiero della verità, i bambini li emulano automaticamente.
Îshvarâmmâ seguiva le ingiunzioni delle Sacre Scritture
Nei tempi antichi, fra le donne di Bhârat, era pratica comune officiare, nei giorni di luna piena, il sacro rito del Sathyanârâyana Vratam (particolare rito religioso che si teneva nei giorni di luna piena e consisteva nell’offerta a Nârâyana di latte e ghî – N.d.T). Anche madre Îshvarâmmâ lo celebrava a ogni plenilunio assieme a Karnam Subbâmmâ, la sua vicina di casa. Karnam Subbâmmâ diceva spesso a Îshvarâmmâ: “Tu celebri il Sathyanârâyana Vratam . Con le benedizioni del Signore, partorirai un figlio. Voglio che tu lo chiami Sathyanârâyana.” Un certo giorno di luna piena, Îshvarâmmâ, durante la celebrazione del Sathyanârâyana Vratam a casa di Subbâmmâ, rimase a digiuno per tutta la giornata. I membri della famiglia, incluso suo marito Pedda Venkama Râju, si inquietarono molto nel vederla restare senza cibo così a lungo. Pedda Venkama Râju osservò che non c’era alcuna necessità di fare una penitenza così austera, ma Îshvarâmmâ era determinata a continuare, e disse loro di non aspettarla, dicendo: “Per me il rito del Sathyanârâyana è molto più importante del cibo.” Dopo che il rito fu completato, Subbâmmâ portò il prasâdam (cibo benedetto) a Îshvarâmmâ. E fu solo dopo il prasâdam che Îshvarâmmâ mangiò il primo pasto della giornata. Le donne a quei tempi celebravano i riti con la massima sincerità e devozione. Solo dopo aver consumato il cibo benedetto, Îshvarâmmâ fu in grado di concepire.
Yad bhavam tad bhavati
Come sono i sentimenti, tali saranno i risultati.
Alcune persone hanno fede nelle ingiunzioni delle Sacre Scritture e aderiscono a esse con serietà, mentre altre le ignorano. Îshvarâmmâ le seguiva strettamente. Cominciava a fare i lavori domestici solo dopo aver celebrato il rito e aver mangiato il prasâdam . Era analfabeta, ma aveva un’incrollabile fede in Dio.
Il Nome di Sathyanârâyana
Una volta, durante il suo settimo mese di gravidanza, Subbâmmâ le disse: “Îshvarâmmâ, il bambino nel tuo grembo è salvo solo per grazia del Signore Sathyanârâyana”, strappandole la promessa che al bambino sarebbe stato assegnato il nome ‘Sathyanârâyana’. Anche la madre di Pedda Venkama Râju era un’ardente devota del Signore, ed era anch’essa del parere che al bambino dovesse esser dato il nome del Signore Sathyanârâyana. Prima della nascita del bimbo accadde un evento alquanto significativo. Puttaparthi era allora un piccolissimo villaggio, nel cui centro c’era un pozzo, da cui la gente attingeva l’acqua.
Il raggio di luce nel grembo di Îshvarâmmâ
Un giorno, mentre Îshvarâmmâ stava tirando su l’acqua dal pozzo, vide improvvisamente una fulgida luce bianca formarsi, come fulmine, in cielo, e penetrarle nel ventre. Ci fu un’improvvisa raffica di vento. Subbâmmâ, che in quell’istante era uscita dalla propria casa, vide la luce entrare nel ventre di Îshvarâmmâ.
Fino a oggi non ho mai rivelato questa cosa a nessuno. Oggi ve la rivelo affinché possiate comprendere il significato associato all’avvento di un Avatâr. Il giorno precedente il verificarsi di questo episodio, mentre Pedda Venkama Râju stava passando davanti alla casa di Subbâmmâ, questa lo invitò a entrare e gli disse: “Venkama Râju, quando il bambino sarà nato, chiamalo Sathyanârâyana.” Egli, però, respinse il suo consiglio, dicendo che si trattava della sua stupida immaginazione.
Il Bambino sorrise
Il bambino nacque alle tre del mattino, in un momento carico di buoni auspici. Per un bambino è naturale piangere alla nascita, ma questo bambino non pianse per nulla. La levatrice e la gente che si trovava in casa temevano che il bambino fosse nato morto. Anche Îshvarâmmâ era molto preoccupata e, senza che gli altri se ne rendessero conto, pizzicò il figlioletto per farlo piangere, ma, con sua grande sorpresa, il bambino sorrise. Tutti rimasero stupefatti alla vista di un neonato che sorrideva. Proprio in quel momento, però, Subbâmmâ entrò in casa e disse: “Îshvarâmmâ, ho sentito che hai dato alla luce un bambino in un momento di estremo buon auspicio. Posso dargli uno sguardo?” Îshvarâmmâ avvolse il bambino in un panno e lo mise davanti a Subbâmmâ. Subbâmmâ era una bramina ortodossa. A quei tempi i bramini ortodossi mantenevano le distanze dagli altri. Se accadeva loro di toccare inavvertitamente qualcuno, facevano subito un bagno. Questo era il motivo per cui Îshvarâmmâ teneva il bambino a debita distanza da Subbâmmâ. La suocera di Îshvarâmmâ, nel vedere il comportamento della nuora, le disse: “Îshvarâmmâ, Subbâmmâ è venuta qui con grande amore e interesse per vedere il bambino. Perché non glielo lasci tenere un po’ in braccio? Perché lo tieni lontano?” Îshvarâmmâ rispose: “Oh, madre! Subbâmmâ è una donna molto pia, ma è una bramina ortodossa. Non le è consentito toccare il neonato! Ecco perché glielo tengo lontano!” Invece, Subbâmmâ stessa non aveva alcun sentimento discriminatorio. Madre Îshvarâmmâ si prese cura del bambino con molto amore e sollecitudine. Il tempo passò e il bambino crebbe, fino a diventare un ragazzo che parlava poco ( mitabhâshi ) e mangiava ancora meno ( mitâhâri ). Îshvarâmmâ era sconcertata dallo strano comportamento del Figlio. Generalmente ai bambini piace mangiare. Molti desiderano persino mangiare carne, o pesce, ma suo Figlio aveva una forte avversione per qualsiasi cibo che non fosse vegetariano. Non entrava nemmeno nelle case in cui veniva cucinato del cibo non vegetariano. Rendendosi conto delle nobili qualità del Figlio, Îshvarâmmâ capì che non si trattava di un ragazzo ordinario, ma di un essere divino. Anche la sua figlia maggiore, Venkâmmâ, si rese conto della natura divina del Fratello. Insieme, Venkâmmâ e sua madre, allevarono il Bambino amorevolmente e con cura. Gli cantavano canti devozionali al posto delle ninnenanne. Il Bambino venne allevato in un ambiente spiritualmente nobile ed elevato.
Sull’altare del Signore Virûpâksha
Dato che a Puttaparthi a quei tempi non c’erano scuole, Sheshama Râju, il fratello maggiore di questo Corpo, Mi portò a Uravakonda e là Mi iscrisse a una scuola. Il sovrintendente comunale di Bellary in quel periodo era Rama Râju, un amico di Sheshama Râju. Durante le vacanze ci portò tutti al tempio di Virûpâksha, a Hampi. Io ero riluttante a entrare nel tempio, perciò Sheshama Râju Mi dette alcune istruzioni: avrei dovuto far la guardia alle loro cose mentre essi sarebbero entrati nel tempio per avere il darshan della Divinità. Acconsentii prontamente e rimasi fuori. Mentre il sacerdote faceva l’ ârati alla Divinità, essi, con loro grandissima sorpresa, Mi trovarono in piedi sull’altare, al posto del Signore Virûpâksha. Sheshama Râju non riusciva a credere ai propri occhi. Infatti, era molto arrabbiato pensando che avessi superato ogni limite, mettendoMi in piedi sull’altare! Ma, quando uscì dal tempio, Mi trovò dove Mi aveva lasciato! Allora corse nuovamente dentro e Mi trovò anche là! Ma ancora aveva dei dubbi. Disse allora a sua moglie: “Esci e tieni d’occhio Sathya. Non permetterGli di muoversi. Io intanto entrerò nel tempio e vedrò se sarà ancora dentro!” Lei obbedì, ed Egli vide di nuovo un sorridente Sathya sull’altare! Si chiese se stesse sognando, se fosse in preda alle allucinazioni o se si trattasse della realtà. Fu allora che il suo amico Rama Râju vide un’aura brillante attorno al Mio viso. Egli rivelò questa sua visione soltanto a sua moglie e a nessun altro; non lo disse neppure a Sheshama Râju. Infatti, Sheshama Râju era molto dubbioso.
Le vacanze finirono e dovevamo tornare a Uravakonda. Rama Râju comprò un paio di pantaloncini e una camicia per Me, da regalarMi per ricordo. Ma Io Mi rifiutai di accettare quel dono. A quei tempi andava di moda usare una spilla fermacolletto. Allora Rama Râju Me ne regalò una d’oro con la preghiera di ricordarMi sempre di lui. Indossare una spilla da colletto era molto comune fra i bambini di famiglia ricca. La spilla cadde strada facendo mentre Mi recavo a scuola a Uravakonda, e non fu più trovata. Gettai poi da parte i libri, tornai a casa e dichiarai:
“Sappiate che, in verità, Io sono Sai.
Rinunciate alle vostre relazioni terrene.
Abbandonate i vostri tentativi di trattenerMi:
gli attaccamenti mondani non possono più vincolarMi.
Nessuno, per quanto grande, potrà fermarMi!”
Seshama Râju non era in casa quando cantai questa poesia. Più tardi, quando sua moglie gliene parlò, si mise a ridere e liquidò la cosa dicendo che dovevo esserMela fatta comporre da qualcuno. Essendo egli stesso un poeta, pensò fosse impossibile, per un ragazzino come Me, comporre una poesia tanto pregevole.
L’ispettore dell’ufficio delle imposte, Hanumantha Rao, nutriva grande amore per Me. Anche i suoi figli Mi erano molto affezionati. Quando egli venne a conoscenza dell’accaduto, arrivò subito in macchina e Mi portò a casa sua, dove con insistenza Mi chiese: “Mio caro, Tuo fratello e Tua madre Ti hanno per caso sgridato o picchiato? Perché hai deciso di lasciare la casa?”
Cantai allora una canzone:
“Il legame col mondo se n’è andato sotto forma di una spilla.
Anche il pellegrinaggio a Hampi è servito a quello scopo.
Baba ha lasciato casa dicendo che mâyâ (l’illusione)
non avrebbe più potuto legarLo!”
Dissi: “L’attaccamento terreno è come una piccola spilla a cui Io ho rinunciato. Pertanto, ho lasciato la casa e non vi rimarrò più.” Non entrai neppure nella casa di Hanumantha Rao. Davanti a quella casa, c’era un grosso masso: Mi ci sedetti e non rivolsi la parola a nessuno. Tutti erano oltremodo stupefatti nel notare il cambiamento che si era verificato in Me.
Quella sera, Seshama Râju, che stava tornando a casa da scuola, tentò di portarMi con sé, ma Io ero fermo nella Mia decisione di non tornare a casa.
Hanumantha Rao, allora, lo convinse dicendo: “Non forzare Sathya a venire con te. Fallo restar qui per un po’; te Lo porterò io personalmente più tardi.”
Fantasma o demone?
Rimasi là per qualche tempo. Molta gente veniva da Me a porMi ogni sorta di domande, del tipo: “Sei un fantasma o un demone? Chi sei?” Io rispondevo: “Né un fantasma, né un demone. In verità, Io sono Sai Baba.” Mi chiedevano: “Come possiamo credere che Tu sia Sai Baba? Puoi provare le Tue affermazioni?” A quei tempi nel distretto di Anantapur nessuno aveva mai sentito parlare di Sai Baba. Presi dei fiori e li gettai sul pavimento. La gente poté osservare, trasecolata, come i fiori si disponessero a formare le lettere ‘Sai Baba’ in telugu. Qualcuno portò una macchina fotografica e scattò una foto di Me seduto sul grosso masso. Davanti a Me c’era un piccolo sasso, che nella foto apparve come Shirdi Sai Baba. Di quella foto vennero fatte molte copie, che vennero distribuite dappertutto.
La stessa grossa pietra su cui Mi ero seduto quel giorno si trova ancora oggi là dov’era allora. In quello stesso posto, il Presidente dell’Organizzazione Shrî Sathya Sai dell’Andhra Pradesh, Anjanaiah, ha fatto costruire un bellissimo, spazioso mandir.
La fama di Baba si diffonde
Gradualmente la Mia fama si diffuse in lungo e in largo. La gente di vari villaggi e città cominciò ad affluire verso di Me, e Mi furono portate, su carri trainati da buoi, le persone possedute dagli spiriti maligni. Credevano che Io potessi liberarli dagli spiriti. Mi venne portata anche della gente mentalmente ritardata. In conformità alla loro fede, gli spiriti maligni venivano allontanati e i pazienti guariti dalle loro malattie mentali. Così cominciarono a credere nella Mia Divinità.
Quando la gente cominciò ad arrivare in gran numero, per Sheshama Râju non fu più possibile tenerMi con sé. Così scrisse a Pedda Venkama Râju, chiedendogli di venirMi a prendere per riportarMi a Puttaparthi. A quei tempi Puttaparthi era un villaggio molto lontano, ragion per cui una lettera impiegava molti giorni ad arrivare a destinazione. Comunque Pedda Venkama Râju ricevette la lettera mentre si trovava a Bukkapatnam, dove era andato a fare acquisti al mercato. La lettera diceva: “Padre, non ci è più possibile tenere Sathya con noi. Ti prego di venire e di riportarLo subito a casa.” Pedda Venkama Râju si precipitò a Uravakonda direttamente da Bukkapatnam. Non aveva soldi sufficienti in tasca, così prese l’autobus per venire da Me, facendo pagare (all’arrivo) il biglietto a Seshama Râju e, sempre in autobus, Mi riportò a Bukkapatnam. Di là dovemmo camminare fino a Puttaparthi, perché a quei tempi non c’erano mezzi di trasporto. Infatti, il nome di Puttaparthi era quasi sconosciuto, fuorché nella zona circostante.
Le cure del nonno Kondama Râju
Quando arrivammo a Puttaparthi, Kondama Râju, il nonno di questo Corpo, si trovava a casa. Era molto severo e aveva la mente rivolta a Dio. Disse a Venkama Râju: “Venkâppâ, faGli fare tutto ciò che vuole, non ti opporre. Egli è immerso nella Coscienza Divina; lasciaLo qui ad abitare con me per un po’.” Mi tenne con sé e si prese cura di Me con grande amore e premure.
I quattro fratelli – Pedda Venkama Râju, Chinna Venkama Râju, Venkatarama Râju e Venkata Subba Râju – un giorno decisero di andare a vivere separatamente. Kondama Râju divise le sue proprietà equamente fra i figli. Pedda Venkama Râju, allora, gli chiese: “Padre, ma tu con chi andrai ad abitare?” Kondama Râju replicò: “Non andrò a stare con nessuno. Non voglio per me alcuna proprietà. Datemi Sathya: mi basta. Egli si prenderà cura di me.” A quei tempi, nessuno Mi chiamava con il Mio nome per intero, Sathyanârâyana. Mi chiamavano tutti ‘Sathya’. Da allora in poi, rimasi con Kondama Râju e lo servii. Ogni mattina e ogni sera Venkâmmâ veniva da Me.
A volte, ella chiedeva: “Sathya, hai dei sogni? Qualcuno Ti appare e Ti parla?” Ma Io non le rispondevo. Lei aveva una fede immensa in Sai Baba. Un giorno pregò: “Sathya, ti prego, dammi una foto di Sai Baba”. Subito gliela materializzai e gliela detti. Lei la tenne con sé fino al momento in cui esalò l’ultimo respiro.
Il vero nome di Îshvarâmmâ
Un giorno, Kondama Râju la chiamò e le disse: “La nostra gente vive nell’ignoranza: non riesce a realizzare la natura divina di Sathya. Lui è veramente Dio stesso. Non ha mai fame, né sete. Ha trasceso la fame e il sonno.”
Il vero nome di Îshvarâmmâ, quello impostole dai genitori, era Namagiriâmmâ. Quando Kondama Râju riconobbe la Mia Divinità, disse a suo figlio Pedda Venkama Râju di cambiare il nome di Mia madre in Îshvarâmmâ, perché era diventata la madre di Îshvara (Dio).
Nel bel mezzo della notte, Kondama Râju avvicinava dolcemente la mano alle Mie narici per vedere se stavo respirando o no. A volte vedeva che non respiravo. Sentiva soltanto il suono ‘So-ham ‘ provenire da Me. Le persone cominciarono a fare la fila davanti alla casa di Kondama Râju per vederMi. Se qualcuno chiedeva loro perché, rispondevano: “Il nipote di Kondama Râju ha poteri divini. Appare nei nostri sogni e risolve i nostri problemi.”
Sathya dall’esorcista
Una volta Sheshama Râju venne a Puttaparthi durante le vacanze. Non gli piacque vedere tutta quella gente a casa di Kondama Râju. Allora era oltremodo scettico. Ebbe una discussione con Kondama Râju e gli disse di non far entrare in casa nessuno. A quei tempi le persone istruite erano tenute in gran rispetto nei villaggi. Seshama Râju aveva appena finito il tirocinio per gli insegnanti. La gente del villaggio lo considerava pertanto un uomo di grande cultura. Egli disse a Kondama Râju: “Nonno, non permettere a nessuno del villaggio di avvicinarsi al ragazzo. Non ha poteri divini: è solo isterico.” Sì, Mi derise in questo modo.
A Kadiri c’era un esorcista che era considerato un esperto nel liberare la gente posseduta dagli spiriti maligni. Fui messo su un carro e venni portato a Kadiri. Venkâmmâ venne con Me. Non Mi lasciò mai, neppure per un istante. Questo cosiddetto ‘esorcista’ di Kadiri era un alcolizzato cronico. Asserì che ero posseduto da uno spirito molto potente e, vantandosi di poterMi liberare dal male, Mi picchiò violentemente con canne, bastoni, fruste e cose del genere. Arrivò al punto di versarMi dei liquidi corrosivi negli occhi, credendo, in tal modo, di riuscire a mandar via lo spirito maligno. Mi sottomisi a tutta questa tortura senza reagire. La sera, quando finalmente Mi lasciò andare, Mi avvicinai a Venkâmmâ e le dissi di prendere un po’di liquame di sterco di mucca e dissolverlo nell’acqua. Con questo trattamento durante la notte Mi tornò la vista. Per ogni maltrattamento di tal sorta, andavo da Venkâmmâ e la situazione si sistemava. Alla fine, egli Mi rasò la testa e vi fece dei tagli con un coltello affilato. Il cuoio capelluto cominciò a sanguinare, coperto com’era da serie ferite. FattoMi sedere, vi fu versata dell’acqua da un’altezza di circa tre metri; fu un’operazione tremendamente dolorosa. Dopo che anche questo trattamento fallì, l’esorcista cominciò a strofinarMi succo di limone sulle ferite. Venkâmmâ non riusciva più a sopportare la vista di questa tortura. Silenziosamente chiamò il carrettiere e, nel buio della notte, Mi portò a casa a Puttaparthi.
La fama della grandezza di Sai andò via via diffondendosi in lungo e in largo. Ci fu un tale accorrere di gente, da esserci pochissimo spazio, nella casa, per le persone.
Pedda Venkama Râju, allora, disse loro di riunirsi in quel luogo solo il giovedì di ogni settimana, ma esse protestarono, dicendo che non sarebbero riuscite a tollerare quella sofferenza (di star lontano da Baba) fino al giovedì. Allora Subbâmmâ chiamò Venkâppâ e gli disse che, dato che era impossibile sistemare quella marea di gente nella sua casa, ella Mi avrebbe portato nella propria abitazione, soddisfacendo ogni necessità Mia e dei visitatori.
Poiché Subbâmmâ era (di casta) bramina, mentre Swami apparteneva alla casta dei Râju, i bramini di Puttaparthi contestarono la proposta di Subbâmmâ e decisero di boicottarla. Ella tuttavia disse che, non avendo figli e non interessandole affatto andare in giro a far visita a chicchessia, non era preoccupata del progettato boicottaggio. “Non rinuncerò mai a Sathya”, disse.
Nel villaggio c’erano le abitazioni di alcuni Harijan. Essi erano molto devoti a Swami, e Io ero solito far loro visita.
Anche Subbâmmâ Mi accompagnava alle loro case; non sopportava di separarsi da Me neppure per un istante. Si prendeva cura di Me come fossi stato suo figlio. Tutti i bramini del villaggio nutrivano un astio profondo verso Subbâmmâ, e anche sua madre e suo fratello le divennero ostili. Sul sentiero della Divinità incarnata, simili ostacoli sorgono necessariamente, ed ella era del tutto conscia della situazione. Dichiarò di non esser per nulla preoccupata circa l’inimicizia di chiunque. Era assolutamente risoluta nella sua decisione di starMi vicina.
Presto anche la sua casa cominciò a essere invasa da una folla di visitatori. Allora, un giorno, Venkâppâ andò da Subbâmmâ e le disse: “Perché devi avere tutto questo disturbo a causa di mio figlio? Mettiamolo in un’altra casa.” Subbâmmâ mise allora a disposizione della terra di sua proprietà situata fra i templi di Sathyabhâmâ e Swami Venugopâla, su cui venne costruita una piccola stanza per Me. Mi rinchiudevano a chiave in quella stanza, ma, nonostante ciò, Io uscivo e Mi sedevo in cima alla collina. Questo genere di miracoli erano eventi che accadevano con cadenza quotidiana.
Tentativo di avvelenare Sathya e di bruciarLo
Intanto, coloro che ostacolavano Subbâmmâ per motivi di casta, avevano deciso di liberarsi di Swami usando del veleno. A quel tempo, Mi piacevano molto i vada ( specialità indiane – N.d.T. ). Quindi, queste persone cucinarono dei vada e misero un potente veleno in alcuni di essi. Subbâmmâ Mi metteva in guardia continuamente da queste persone, e Mi diceva di non andare a casa loro. Ma Io andavo sempre ovunque, nonostante le sue obiezioni. In quella occasione, andai a casa di una di queste persone, presi proprio il vada avvelenato, e lo mangiai. Il seguito di questo attentato è già ben noto. Un altro ‘attentato’ di questo genere fu quello in cui alcuni di loro dettero fuoco alla Mia casetta improvvisata. Essa aveva il tetto di paglia, e alcuni mascalzoni vi appiccarono il fuoco. Mentre esso divampava furioso, la gente era preoccupata per ciò che poteva succederMi, in quanto ero dentro. Improvvisamente, un nubifragio si abbatté sulla casa ed estinse il fuoco. Però, non cadde neppure una goccia d’acqua da nessun’altra parte. Venkâmmâ, Subbâmmâ e Îshvarâmmâ vennero là piangendo: il tetto era completamente bruciato e solo le mura perimetrali erano rimaste in piedi. Sbirciarono da sopra il muro e videro che dormivo pacificamente. Ero completamente illeso. Subbâmmâ ruppe il lucchetto e Mi riportò a casa sua. Dopo molti di questi tentativi e prove di vario genere, a cui Mi sottomisero, la gente sviluppò una grande fede in Sai Baba. A Penukonda un’altra persona dichiarò di avere poteri miracolosi, affermando di essere un devoto di Sai Baba. Molti altri, in vari luoghi, cominciarono a imitare il Mio modo di vestire e di muoverMi, nel tentativo di procurarsi un seguito. Ma solo per il fatto di assumere il Mio nome e di imitare le Mie maniere non è possibile crearsi un seguito per un tempo indefinito: la gente si rese conto molto presto della verità.
Dopo questi avvenimenti, cominciò il Mio soggiorno a Bangalore. Îshvarâmmâ e Venkâmmâ Mi chiesero di non lasciare Puttaparthi, e Io promisi loro di non abbandonarla mai. Molti nobili, inclusa la mahâranî di Mysore, venivano in visita a Puttaparthi. A quei tempi nel fiume Citrâvatî c’era acqua per la maggior parte del tempo. Per attraversarlo mettevano delle tavole e facevano dei ponti improvvisati che usavano per passarci sopra con le macchine. A mano a mano che i devoti crescevano, arrivando da ogni dove, tutti i tentativi di creare ostacoli da parte degli oppositori locali diminuivano, finché cessarono.
Tutti i grandi uomini sono stati forgiati dalle loro madri. L’alto carattere morale e il comportamento delle madri causano la grandezza della progenie. Le virtù di Kaushalyâ ebbero come risultato la grandezza di Râma, e quelle di Sîtâ furono causa della grandezza di Lava e Kusha. Quindi, madri virtuose creano figli esemplari.
“Non lascerò mai Puttaparthi”
Avevo promesso a Îshvarâmmâ che non avrei mai lasciato Puttaparthi. Il mondo intero poteva riversarsi qui, ma Io non Me ne sarei mai andato. In genere, tutti gli Avatâr restano nei luoghi in cui sono nati. Se sradicate una pianta e la trapiantate da un’altra parte, per quanto tempo sopravviverà? Un albero deve crescere dove il suo seme germoglia. È secondo questo principio che Sathya Sai Baba ha affondato le Sue radici a Puttaparthi e ne ha fatto un luogo di pellegrinaggio. In occasione dell’inaugurazione della scuola secondaria a Bukkapatnam, Mi venne chiesto di comporre un preghiera cantata, e Io composi una canzone e dei versi appropriati, in cui enfatizzavo l’unità nella diversità della gente di Bhârat.
Il potere della maternità
Il potere della maternità è indescrivibile. La vita retta e la stretta aderenza ai valori umani delle madri si manifestano nei figli. Le madri possono essere analfabete; la loro grandezza, infatti, non dipende dalla cultura e dall’istruzione libresca. Le virtù di Îshvarâmmâ, che era analfabeta, hanno portato alla grandezza del nome e della fama di Puttaparthi. Ci si deve angustiare del fatto che Îshvarâmmâ venga dimenticata, e suo figlio esaltato. Senza Îshvarâmmâ, come potrebbe esistere questa fenomenale Energia? Non dovete mai rinnegare i vostri genitori.
Significato dei nomi ‘Sai Baba’ e ‘Puttaparthi’
Qual è l’origine del nome del villaggio di Puttaparthi? C’è una strana storia associata ad esso. Vicino al tempio di Swami Venugopâla c’era un formicaio, in cui viveva un serpente. Ogni giorno i mandriani portavano le mandrie al pascolo nei campi subito fuori dal villaggio. Una mucca andava sempre al formicaio ad allattare il serpente. La mucca, pertanto, tutti i giorni tornava a casa senza latte. Quando i padroni della mucca ne scoprirono il motivo, fecero un piano per uccidere il serpente. Un giorno, mentre il serpente beveva il latte dalla mammella della mucca, lo colpirono con un sasso. Il serpente si arrabbiò e lanciò su di loro una maledizione, dicendo che né i mandriani né le loro mucche avrebbero più potuto vivere nel villaggio. Questo è il motivo per cui i mandriani abbandonarono Puttaparthi e costruirono le loro case vicino al gokulam . Ancor oggi potete vederli laggiù. Il masso con cui i mandriani avevano cercato di uccidere il serpente, viene oggi adorato come idolo nel tempio di Swami Venugopâla. Il motivo per cui oggi Mi sono dilungato su tutte queste cose è che intendevo farvi capire il significato dei nomi ‘Sai Baba’ e ‘Puttaparthi’. Puttaparthi ha una grande storia dietro di sé. Molte persone eminenti hanno visitato questo posto; molte persone facoltose hanno vissuto qui e apportato buon nome e grande fama a questo villaggio. A quei tempi il mahârâja di Mysore e sua madre venivano qui molto frequentemente. Molte illustri personalità hanno riconosciuto la grandezza di questo luogo e lo hanno riverito.
Il Signore di Puttaparthi vi proteggerà sempre;
Egli è l’incarnazione della Compassione.
Vi terrà la mano e vi farà attraversare l’oceano della vita,
Non vi abbandonerà mai, in nessuna circostanza.
La fortuna della vicinanza divina di Sai
Incarnazioni dell’Amore!
Voi siete realmente fortunati ad avere accumulato grandi meriti, che vi hanno permesso di trovarvi a godere della divina vicinanza di Sai. È vostra grande fortuna poter cantare con Swami e giocare con Lui. Voi siete con Sai e Sai è con voi. Ecco perché dico spesso: “Io e voi siamo uno.” Il potere e la gloria di Dio sono al di là della comprensione umana. Sviluppate in Lui una fede incrollabile.
Il più grande Magnete Divino esistente
Studenti!
Siete venuti a Puttaparthi e avete studiato qui. Perciò dovete fare ogni possibile sforzo per tenere alto il prestigio di questo luogo. Voglio portare alla vostra attenzione una cosa molto importante: in genere gli studenti desiderano trascorrere le proprie vacanze nelle proprie rispettive case. Ma qui gli studenti non vogliono andare a casa per le vacanze. Sono davvero in pochi ad andare a casa. La maggior parte di essi resta qui anche dopo aver finito il dottorato di ricerca! Per quale motivo? Il motivo è che qui c’è il più grande Magnete Divino esistente. Dio attrae tutto e tutti. Il Suo potere è al di là di ogni valutazione. Negli anni a venire avrete modo di sperimentare sempre di più il potere di questo Magnete.
(Baba canta il bhajan ‘Hari Bhajana Binâ…’; poi, indicando il dottor Anjanaiah, riprende il Discorso – N.d.T.)
Lui ha costruito un mandir a Uravakonda. Conserva gelosamente, come una reliquia, il masso su cui Mi sedetti il giorno in cui impartii il Mio primo insegnamento all’umanità. Dopo aver preso la laurea di terzo grado in scienze, si mise a lavorare. Poi si dimise per dedicarsi completamente al servizio di Swami. Al momento è il Presidente delle Organizzazioni Shrî Sathya Sai dell’Andhra Pradesh.
A Prashânti, chi dedica la vita a Swami vive cento anni
(Swami indica un devoto anziano – N.d.T. ). Egli è il suocero del dottor Anjanaiah, e anch’egli vive a Uravakonda. Ha tenuto da parte cento acri (l’acro è una misura di superficie pari a 4046 mq – N.d.T.) di terra per Swami. Vi coltiva molti tipi di frutta e li spedisce a Puttaparthi. Ha appena compiuto cento anni! Vi voglio dire un’altra cosa importante. Qui a Prashânti Nilayam, tutti i devoti che dedicano la loro vita a Swami vivono cento anni. Kasturi è venuto qui ed è vissuto fino a tarda età. Lo stesso è stato per Pujâri Kistappa. Tutti voi avrete sentito parlare di Kamavadhani. Era un grande studioso dei Veda . Venne qui e ci stette trent’anni. Non lasciò mai Puttaparthi. Un giorno, dopo aver celebrato il Râma Kalyânam (la ‘Gioia di Râma’), qui nel mandir Mi disse: “Swami, vado nella mia stanza. Faccio un bagno sacro e ritorno.” Gli dissi: “Non importa che tu torni qui. Dopo il bagno mangia e dormi in pace.” Andò nella sua stanza e fece un bagno, poi mangiò qualcosa e andò a riposare, secondo le Mie istruzioni. Morì pacificamente nel sonno. Il Nome di Sai era sempre presente nella sua mente. Non si ammalò mai. E poi ci fu un altro devoto: Soorayya. Era scapolo. Non aveva alcun desiderio. Prima di venire qui lavorava per il râja di Venkatagiri. Un giorno espresse al râja il proprio desiderio di andare a Puttaparthi. Il râja ne fu molto felice e organizzò tutto per la sua partenza. Soorayya è rimasto qui a servire Swami per più di trent’anni. Anche lui è vissuto cento anni ed è morto in pace durante il sonno.
(Swami chiama shrî Gopal Rao sul palco – N.d.T.). Molti di voi hanno sentito parlare di Gopal Rao. Anche lui sta per arrivare a cento anni. Anche a un’età molto avanzata è sempre andato alla canteen (mensa) regolarmente, a servire l’acqua ai devoti. Una volta, mentre era presidente della Banca Andhra, venne fatto un grande sciopero. Molte persone influenti vennero arrestate. Indira Gandhi gli spedì un telegramma. Proprio quel giorno ero invitato a pranzo a casa sua. Gli dissi: “Gopal Rao, non cedere alle pressioni politiche. Quello che tu hai scelto è il sentiero della verità. Non lasciarlo mai.” Egli obbedì al Mio comando e nessuno lo toccò. Attualmente, vive a Prashânti Nilayam, facendo felicemente il nâmasmarana.
Il padre del dottor. Padmanabhan, Seshagiri Rao, venne qui quando aveva sessantatré anni, dopo esser andato in pensione. Anche lui è vissuto cento anni ed è morto in pace. Tutti questi devoti hanno vissuto felicemente e in piena salute. Nessuno di loro ha mai avuto bisogno dell’aiuto di nessuno. Dissi a Gopal Rao che sarebbe morto in pace, senza dover mai dipendere dagli altri. Gli dissi di esser coraggioso. Questo è stato il genere di vita, lunga e pacifica, che molti devoti hanno condotto in prossimità del Divino. Il corpo fisico è destinato a perire un giorno o l’altro; ma si dovrebbe poterlo lasciare pacificamente e senza dover dipendere da nessuno.
(Alla fine Swami ha concesso a shrî Gopal Rao di dire qualche parola – N.d.T.)
Prashânti Nilayam, 23 Novembre 2003
Sai Kulwant Hall
78° genetliaco di Sathya Sai Baba
( Tradotto dal testo inglese pubblicato sul sito internet dello Shrî Sathya Sai Central Trust di Prashânti Nilayam)