22 Maggio 2002 – In virtù della benedizione materna

22 Maggio 2002

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

In virtù della benedizione materna

“Imparare una via che porti la pace nel mondo,
eliminare i sentimenti ristretti,
raggiungere l’unità e vivere in equità:
ciò che trasmette tutto questo, è l’educazione.
Queste sono le cose che uno studente dovrebbe apprendere.”

Incarnazioni dell’Amore!
La natura di Râma attrae tutti. Per quanti giorni venga descritta, non raggiunge mai un punto di saturazione. Se lo si continua ad ascoltare, ci si stanca persino del canto dell’usignolo; se lo si continua a mangiare, anche il nettare diventa amaro; ma per quanto la si ascolti e la si assapori, della storia di Râma non se ne ha mai abbastanza. Che la si canti, ascolti o la si legga, che la si faccia recitare o leggere, la storia di Râma è traboccante di nettare.
Nessuno sa quando la recitazione, la divulgazione e l’insegnamento del Râmâyana ebbero origine. Tuttavia, in base ad alcuni indizi, le persone stabiliscono che essa risalga a questa o a quell’epoca.
Prima che Râvana portasse Sîtâ nell’ Ashoka Vana , mentre erano ancora in viaggio con il carro (volante), Râvana, in base all’età di quei tempi, le disse: “Sîtâ, io ho 2.000 anni. Tuo marito ne ha 40 e tu ne hai 99…..”
(Swami corregge il traduttore: 39!). (Risate).
Vedete come errori simili continuino ad accadere quando si racconta il Râmâyana?!
(Scoppio di risate).

Sîtâ, figlia della Madre Terra

La terra possiede un potere infinito.
Fra la terra e il cielo esiste una forza potentissima, tanto che il cielo non è in grado di attrarre la terra. Il potere della terra è davvero formidabile: grazie ad esso la terra sostiene ogni cosa. Tale potere è il potere magnetico (la forza di gravità – N.d.T.). Per quante ricerche ed esperimenti vengano fatti in merito, nessuno di essi ha successo. Il potere della terra, dunque, è davvero grandioso.
Sîtâ è la figlia di Bhû Devî (la Madre Terra): per questo viene chiamata Bhû Jâta (figlia della Terra). Quando Râma sollevò l’arco di Shiva, Madre Terra gioì. Tutti gli altri re che si erano presentati (come pretendenti di Sîtâ), erano avanti con l’età e il loro aspetto era sgradevole. Râma invece era giovanissimo, attraente, di una bellezza indescrivibile.
Madre Terra, dunque, decise: “Râma è il marito giusto per mia figlia; devo quindi fare in modo che nessun ostacolo impedisca il Suo successo.” Quando Râma sollevò l’arco di Shiva, lo sorresse con la mano sinistra. Lo fece per mostrare al mondo intero che era capace di sollevarlo con la sola mano sinistra. Questo è il potere grandioso e sacro di Madre Terra: ella ridusse il peso dell’arco (ridusse la forza di gravità). Questo aumentò la forza di Râma. In questo modo, quando e dove conviene, Madre Terra agisce in base al bisogno del momento. L’immensa natura della Terra è dunque assolutamente indescrivibile. Tutto, ogni rasa presente in questa Madre Terra, è presente anche nel corpo umano. Il potere del rasa è in questo corpo, così come vi è il potere elettrico. Non serve descrivere solo questo o quel potere, in quanto negli esseri umani sono presenti tutti i poteri di Madre Terra. Sfortunatamente l’uomo è incapace di riconoscere ciò che possiede. Potete considerare quanto sia sacra la Divinità nella natura umana. L’uomo è potentissimo. Egli può fare qualsiasi cosa pensi. Grazie agli effetti della scienza di oggi, egli è stato in grado di andare sulla luna, dalla quale ha anche portato dei campioni di terreno. Tutti questi non sono altro che i poteri che sorgono dall’uomo. Se decide, l’uomo può compiere qualunque cosa. Invece l’essere umano, che è tanto potente, non riesce a riconoscere i suoi poteri.
Ogni persona al mondo continua a chiedere a chiunque incontri: “Chi sei tu? Chi sei tu? Chi sei tu?” L’uomo sta continuando a chiedere agli altri: “Chi sei? Chi sei?”, ma non sta chiedendo a se stesso “Chi sono io?” Se tale domanda venisse posta, tutti i problemi sparirebbero. È tutto contenuto in quest’unica domanda.

Questo è il nostro destino

Râvana rapì Sîtâ dalla foresta e, da lì, la portò oltre l’oceano. Poiché i suoi desideri sensuali erano grandi, egli desiderò prima di tutto mostrarle l’interno dei suoi appartamenti, la sua influenza, il suo potere, le sua abilità e i suoi gioielli. E così la portò negli appartamenti. Ma Sîtâ non aprì gli occhi e non guardò niente. Vedendo la scena, Mandodarî (la moglie di Râvana – N.d.T.) ci restò male: “Râvana, che cosa sono (arrivati)? I tuoi tempi duri?”

Nel momento della rovina,
si prendono decisioni perverse.

Mandodarî chiese: “Perché hai portato qui madre Sîtâ, una moglie tanto casta?”

C’è un detto:

“Questo è il nostro destino.”

“Il nostro destino è così. Tuttavia tu non stai cercando di riconoscere il potere e le capacità di madre Sîtâ. Riconosci quindi, innanzitutto, la tua natura. Non è possibile tenere Sîtâ negli appartamenti all’interno del palazzo. Scegli per lei un posto speciale, dove possa vivere in pace.” Grazie al consiglio dato da Mandodarî, Râvana preparò, nel giardino Ashoka, una casa a parte dove tenere Sîtâ.

“Quando il suo malvagio marito prese in considerazione di fare cattive azioni,
come il ministro dà consigli al re, così Mandodarî consigliò suo marito.”

Ella lo consigliò molto, gli diede molti buoni suggerimenti, facendogli, così, controllare la mente: “Râvana! Invece di meditare su Râma, tu stai contemplando il desiderio. Il tuo destino non sarà sacro. Il tempo della tua morte si avvicina. Molto presto abbandonerai la vita. Questo è il motivo per cui stanno sorgendo in te questi pensieri perversi.
Non si dovrebbe far piangere le donne. Se fai versare lacrime a Sîtâ, dovrai versare lacrime mille volte tanto. Per questo non si dovrebbe mai far soffrire una donna. Non fare mai in modo che le donne abbiano preoccupazioni.” Con queste parole, Mandodarî diede molti insegnamenti. Un giorno la stessa Mandodarî si avvicinò a Sîtâ: “Madre, figlia della terra, omaggi a te! Tu sei una moglie castissima, un essere altamente sacro. Mio marito è molto malvagio, e tale natura meschina fa sì che egli si rovini con le sue stesse mani.

Con i buoni sentimenti, l’uomo ottiene la felicità.
Con i sentimenti cattivi, egli diventa malvagio.

Questi cattivi sentimenti, perciò, hanno aumentato la sua malvagità. Perdonalo, dunque! Abbi pietà di me e proteggi il mio stato coniugale.” Questa richiesta, fatta da Mandodarî a Sîtâ, non si trova scritta da nessuna parte. Tuttavia Sîtâ non ascoltò la richiesta di Mandodarî né la richiesta di Râvana. In realtà ella non aveva altro pensiero che la contemplazione di Râma.
Stando così le cose, nella situazione mondiale scoppiò il disordine. Proprio come oggi, anche in quei giorni tutti i sentimenti si confusero. Non c’era più alcuna felicità; ovunque si guardasse, non si trovava altro che preoccupazione, sofferenza, pianto. Persino l’intera Lankâ era in lacrime. Per paura di Râvana, nessuno si faceva vedere (piangere) da lui; tuttavia, nel profondo dell’essere, stavano tutti soffrendo.

La moglie di Vibhîshana

Saramâ, la moglie di Vibhîshana, si prese cura di Sîtâ. Saramâ diede a Sîtâ molti buoni consigli: “Madre, è mia grande fortuna ottenere il merito di servirti. Le tue qualità sacre porteranno pace a Lankâ. Râvana non è un essere ordinario. È una grande sfortuna per te essere caduta nelle mani di un essere così malvagio..Con queste parole cercava di consolarla in molti modi.
Una mattino, appena alzata, Saramâ si ricordò di aver fatto uno strano sogno. La figlia di Saramâ si chiamava Shâkinî. Anche Shâkinî aveva fatto lo stesso sogno, nel quale aveva visto che Lankâ si prosciugava, gli alberi cadevano, tutti le case, persino il palazzo reale, crollavano, e Râvana soccombeva senza nemmeno una goccia d’acqua da bere. “Questo non è altro che il risultato del peccato che ha commesso.” Pensando così fra sé, ella criticò Râvana.
Mentre Sîtâ stava soffrendo, arrivò Râvana, il quale era solito andare da lei ogni giorno. Non aveva altro da fare che recarsi da lei, fissare un tempo stabilito (la minacciava di morte se non avesse ceduto ai suoi voleri – N.d.T.), per poi andarsene. “Ancora tre giorni, ancora due giorni.” Faceva il conto alla rovescia in questo modo. Ma Sîtâ non teneva affatto conto di nessuna di quelle parole.
Un giorno Saramâ si avvicinò e afferrò i piedi di Sîtâ: “Madre, questa è la mia buona sorte e la buona sorte di mia figlia. Solo la madre e la figlia compiono questo servizio ai tuoi piedi. Inoltre mio marito è virtuoso ed è un devoto di Râma. Egli Lo ha raggiunto sulle rive dell’oceano. Nessuno, eccetto la nostra famiglia, ha potuto guadagnare questa grande fortuna.” Dopo che ella ebbe parlato così, Sîtâ trovò un po’ di pace.

Arriva Hanuman

Nel frattempo Hanuman entrò in Lankâ.
Cercava Sîtâ e si chiedeva dove mai potesse essere. A un certo punto si rimproverò: “Se si desidera vedere Sîtâ, bisogna cercare fra le donne e non fra gli uomini, non è vero?” Perciò egli entrò innanzitutto negli appartamenti privati, dove vide donne dal cuore malvagio, prive di ogni santità, compiere azioni abiette. Si biasimò: “Ci! (Espressione telugu di disgusto – N.d.T.). Che peccato ho mai commesso! Ho visto certe scene! Andrebbe guardata la forma di Râma, l’Incarnazione della Beatitudine. Perché ho dunque guardato quelle scene orrende? Tuttavia l’ho fatto tenendo a mente l’obiettivo di trovare Sîtâ, senza essere ingannato da esse.”
Dopo essere salito nelle camere interne e aver cercato, Hanuman scese e vide Râvana, seduto in una vasta sala della corte. Râvana gli fece una domanda: “Tu appartieni alla razza delle scimmie. Hai compiuto tipiche azioni da scimmia (acrobazie). Chi ti manda?”
Hanuman non era un essere ordinario. “Mi ha mandato il principe che amputò le orecchie e il naso di tua sorella.”
(Râvana): “Ehi! Nemmeno i re si sono mai rivolti a me dicendo yemirâ . Chiudi la bocca.”
(Hanuman): “Tu possiedi la natura di uno spirito maligno, mentre io ho una natura divina. Io sono il servitore di Râma. Può darsi che nessuno prima si sia mai rivolto a te dicendo ‘ yemirâ’ , ma io sì.” Litigando così con Râvana, Hanuman riprese le ricerche, mentre Râvana, che ribolliva di furore, pensò: “Hanno scoperto dov’è Sîtâ. Ora, forse, Râma verrà qui. Potrebbe scoppiare una guerra.” In quel momento la coscienza di Râvana si risvegliò ed egli si sentì in colpa. Hanuman si guardò in giro e salì le scale. Da una parte c’era il giardino Ashoka pieno di alberi. Egli saltò lì, e, sotto un albero, vide Sîtâ colma di dolore, con il capo chino e vestita con abiti sporchi.
Hanuman si sedette su quell’albero e si mise a cantare l’intera storia di Râma, il figlio di Dasharatha. Ella alzò il volto e lo vide. “Chi è questo Mâruti? Non l’ho mai visto prima.” L’incontro di Râma e Lakshmana con Sugrîva e Hanuman era avvenuto dopo il rapimento di Sîtâ: per questo Hanuman le era sconosciuto.
“Madre, io sono un servitore di Râma. Madre, sono un servitore ai tuoi piedi.” Ma per quante parole egli dicesse, ella non faceva alcun segno con il capo. Stava male e pensava: “I demoni prendono così tante forme! Utilizzano la mâyâ (l’inganno) in questo modo. Forse anch’egli mi sta solo ingannando.”
Hanuman saltò giù dall’albero. Cantando il Nome di Râma disse: “Madre!”, e le diede l’anello (di Râma) che aveva portato con sé. Râma le aveva mandato quell’anello come prova. Sîtâ se lo appoggiò sugli occhi: “Hanuman! Sei così fortunato! È stato Râmachandra a darti questo?” Era l’anello che re Janaka Gli aveva dato durante la celebrazione delle nozze. Ella lo ricordava, e chiese: “Dov’è Râma?” Fece anche altre domande.
Hanuman rispose: “Madre, sta arrivando, sta arrivando! Ti riporterà a casa. Non stare male. Se sei così ansiosa, siedi sulla mia schiena: ti libererò in un attimo.”
“Hanuman”, ella disse. “Se siedo sulla tua schiena e raggiungo Râma, avrai compiuto anche tu la stessa azione fatta da Râvana. Perciò, non sarò certo io la causa di una reputazione tanto infame. Râma deve venire personalmente. Râvana deve essere ucciso ed è Râma a dover prendere la mia mano e condurmi via da qui. Fino a quel momento, resisterò.” Disse a Hanuman di far giungere tutto alle orecchie di Râma. Con queste parole e un sentimento di grande dolore, rimandò Hanuman indietro.
Hanuman, incapace di sopportare la sofferenza di Sîtâ, ritornò da Râvana e lo criticò in ogni modo possibile, accusandolo di essere un terribile peccatore: “È stato un grosso errore da parte dei sudditi nominarti re. Se un tale malvagio diventa re, tutti i sudditi diventeranno malvagi come lui.” Con queste parole, lo accusò senza riserve. “Non bisogna rimandare oltre, pensò Hanuman. Bisogna subito riferire a Râma questa buona notizia.” Con questo pensiero, se ne andò. Râma, Lakshmana e tutto l’esercito delle scimmie erano seduti in riva all’oceano. Hanuman arrivò con un gran balzo e tutti gridarono di gioia: “Vittoria, vittoria, vittoria, vittoria! Hanuman! Grazie al tuo sacro servizio, hai dato a Râma una gioia immensa. Hai portato buone notizie. Hai avuto buone notizie e sei venuto a riportarle. Possa Râma avere ogni fortuna!” Pronunciando queste parole, tutte le scimmie traboccavano di gioia.
Quando, tempo prima, (Râma, Lakshmana e Sîtâ) nella foresta avevano incontrato Anasûyâ, la moglie di Atri, ella aveva donato a Sîtâ alcuni gioielli e dei sari che Sîtâ aveva messo in salvo da qualche parte. Ella, perciò, (come riconoscimento e prova del loro incontro – N.d.T.) diede a Hanuman uno di quei gioielli. Râma sapeva di quel particolare gioiello regalato a Sîtâ da Anasûyâ, perciò, quando lo vide, provò contemporaneamente un’immensa gioia e anche una grandissima tristezza. Comunque, aveva ricevuto la notizia che Sîtâ stava bene. Hanuman Gli raccontò tutto quello che era successo.

“Shrî Râma, ascolta le mie umili parole di sottomissione.
Prendi il gioiello (preso) dalla testa di Sîtâ,
la quale si trova, tremante, come un pappagallo in gabbia.
Tutte le potenti streghe stanno facendo ondeggiare, davanti a lei,
le loro spade, minacciandola di tagliarle la testa.
Ho visto Sîtâ aspettarTi ansiosamente.
Indrajit, e il suo primo ministro Prahasta,
mi hanno portato trionfalmente in parata di strada in strada.
Per le strade e sulle terrazze c’era un grande fragore.
Ho visto i demoni guerrieri e le loro case.”

Hanuman descrisse così tutto ciò che aveva visto. Udendo tali parole, Lakshmana afferrò una freccia: “Fratello, alzati! Non dobbiamo aspettare nemmeno un solo istante. Andiamo immediatamente! Madre Sîtâ sta soffrendo oltre ogni dire. Devi andare a prenderla.”

“Shânti, shânti, shânti! Non dovremmo aver fretta per niente”, rispose Râma.
“A proposito del lavoro che deve essere compiuto,
considerando adeguatamente il bene e il male in esso,
se lo si compie senza pensarci, si trasformerà in veleno.”

Sugrîva mandò un messaggio a tutte le sue armate: “Si deve invadere Lankâ. Non ritornate finché Râvana non sia stato ucciso.” Tuttavia Sugrîva, Hanuman, Jâmbavat, e tutte le altre persone importanti, erano spaventati.
Quando la raggiunsero, Lankâ tremò.
I soldati di Sugrîva si arrampicarono sugli alberi e sulle cime delle montagne. Ovunque si guardasse, c’erano solo scimmie, scimmie, scimmie dappertutto. I residenti di Lankâ non avevano mai visto delle scimmie, ed esclamarono: “ Hanno una forma così strana! ” Tuttavia, ricordavano quale situazione critica si fosse creata il giorno in cui Hanuman aveva dato fuoco alla città. In quell’occasione si erano chiesti fra sé: “Chi è questa scimmia? Chi l’ha mandata? Sta distruggendo le nostre strade e dando fuoco alle nostre case. Quale sarà la prossima casa? Essa afferma:‘Sono il messaggero di Râma. L’aver visto Sîtâ (salva) mi ha tranquillizzato.’ Tuttavia, sta compiendo questo genere di azioni, distruggendo ogni casa. Chi l’ha mandata? Sta distruggendo le nostre strade. Questo è il risultato del peccato commesso da Râvana, che ha portato qui la moglie di un altro. Il Creatore ha dato a queste scimmie così tanta forza. Che c’è da dire di più?”
Tutta la gente della città fu molto felice (che Râvana, infine, potesse esser ucciso – N.d.T.): “Quella scimmia è tornata! Chi è? Chi l’ha mandata, questa volta?” Nel frattempo, l’intera Lankâ tremò. Ministri, primi ministri, tutti cercavano di mettere in salvo i loro averi. Intanto accadde un’altra cosa. Chi attraversò l’oceano? Hanuman. Chi altri sarebbe stato in grado di farlo? In quell’occasione Râma lanciò una freccia all’oceano. Poiché esso obbediva sempre agli ordini di Râma, creò un passaggio.
La battaglia iniziò. Le armate, emettendo urla, sparavano dalla cima delle montagne. Râvana non riusciva a sopportare tutto quel fracasso. Si stava svolgendo una grande battaglia e tutti avevano un unico pensiero: “In questa guerra, Râvana non potrà evitare di essere ucciso.”
Anche Lankinî aveva molta paura: “Perché mai quella persona malvagia si è fatta venire pensieri così folli? Egli non sta riducendo in cenere solo se stesso, ma anche tutti gli abitanti di Lankâ.” Con queste considerazioni, ogni suddito biasimò Râvana. Nessuno provava per lui sentimenti di simpatia.

Indrajit, il figlio di Râvana

Dopo la fase iniziale, alla fine scoppiò la guerra vera e propria.
Fu una guerra terribile. Vi partecipò anche Indrajit che sconfisse Indra. Indrajit era il figlio di Râvana, il primogenito. Egli entrò in battaglia il secondo giorno. Si presentò in maniera grandiosa, tanto che tutti pensarono fosse Râvana stesso. Poverini! Non si trattava invece di Râvana, ma di suo figlio. Il terzo giorno egli aveva già ucciso tutti, uno dopo l’altro. Prese molte vite. Il quinto giorno era come Râvana stesso. Non c’era nessun altro fra le armate che possedesse un tale potere e abilità.
ibhîshana si sedette vicino a Râma e Gli disse: “Râma, devi uccidere Indrajit. Se lo fai, sarà come se avessi ucciso Râvana stesso. Nell’esercito di Râvana, egli è il più grande. Colpiscigli il pollice.” Quando il pollice è colpito …

Dando via volontariamente il suo pollice destro,
egli (Ekalavya) divenne incapace di fissare la freccia sull’arco.
Il ragazzo della tribù della montagna
divenne privo della ricchezza del tiro con l’arco.
Ciò provocò tanta felicità al cuore di Pârtha (Arjuna).

Nello stesso modo in cui Arjuna chiese al suo precettore il pollice di Ekalavya, così fu la richiesta fatta a Râma da Vibhîshana. Egli Gli chiese di colpire il pollice di Indrajit. Râma comprese. Se Râma decide, può colpire tutto ciò che vuole. Infatti, quando colpì il pollice di Indrajit, egli, che era il capo delle armate, cadde. Alla vista di quella scena, Vibhîshana si asciugò le lacrime. Lakshmana lo vide e gli chiese: “Vibhîshana, sono morte tante persone, ma tu non hai mai pianto per nessuna di esse. Perché per lui invece piangi?” “Swami, era il mio unico figlio . Ho un solo figlio. Le lacrime scendono a causa dell’affetto paterno. Tuttavia è un bene che sia morto, poiché Râvana, potendo contare sulla forza di Indrajit, stava compiendo azioni malvagie. Ci sono tante persone simili.” Fu così che egli spiegò il comportamento del figlio.

Kumbhakarna

Dal giorno dopo la morte di Indrajit, tutti gradualmente si calmarono. L’ultimo giorno arrivò Kumbhakarna, che venne immediatamente colpito dalla freccia di Râma. Come può qualcuno, sempre addormentato, combattere una battaglia? Aveva lo stomaco pieno di cibo e gli occhi pieni di sonno. Il suo corpo era estremamente pesante. Perciò cadde. Quando ciò avvenne, un poeta di Lankâ scrisse una poesia, che venne poi ripresa da Kâlidâs:

“C’erano tre fratelli: Râbhana, Vibhîshana e Kumbhakarna.
La seconda lettera (sillaba) di tutti e tre i nomi è bha;
la seconda lettera di Vibha + îshana è bha;
la seconda lettera di Kumbhakarna è bha;
la seconda lettera di Râbhana è bha.
Coloro che hanno questa lettera bha, diventeranno bhasma (cenere).”

La morte di Râvana

Dopo che tutti furono uccisi, si presentò Râvana.
Mentre avanzava ebbe paura. Durante il primo giorno di lotta fra Râma e Râvana, Râma colpi le teste di Râvana una dopo l’altra, ma quando una testa cadeva, al suo posto ne spuntava un’altra. Per ogni testa che cadeva, un’altra ne cresceva. Così egli non moriva.
Vibhîshana si avvicinò a Râma e gli disse: “Râma, se rivelo il segreto per uccidere Râvana, non commetto alcun peccato. Anzi, sarà di grandissimo beneficio alla nazione se quel malvagio verrà distrutto. Non desidero il regno. Tuttavia, quel perfido Râvana deve morire.” Così dicendo, Vibhîshana indicò a Râma l’ombelico. Così Râma colpì Râvana all’ombelico, e, in un attimo, egli cadde al suolo.
Mandodarî si precipitò da lui, provando un grande dolore: “Râvana, ti ho dato così tanti consigli: ‘Non avvicinarti alla moglie di qualcun altro, non toccare una moglie tanto casta. Tanto peccato verrà accumulato. Stai accumulando molti peccati. Non fare così.’ Te l’ho ripetuto così tante volte! Ma tu non mi hai ascoltato.”

Non ascolteranno le buone parole,
anche se dette con tutto il cuore.
Prestano solo orecchio alle cattiverie.
Come possono persone simili, conoscerMi?
A quali risultati porta possedere tanta forza?

Sarà, gente simile, in grado di conoscerMi? Râvana assolutamente non lo fu. Quando egli morì, furono tutti estremamente felici. Chi? Le scimmie. Anche molte di esse erano state uccise.

La casta Sîtâ

Quando tutto fu concluso portarono Sîtâ, ma, quando ella arrivò, Râma chinò il capo. Ella desiderava tanto ardentemente vedere Râma: “Sono 10 mesi che non Ti vedo!” Desiderava vederLo almeno una volta. Tutti i preparativi per il loro incontro erano stati fatti, ma Râma non alzò la testa e disse a Lakshmana: “Accendi la pira. Sîtâ deve entrare nel fuoco. La riprenderò con Me solamente se la testimonianza del Dio del fuoco dimostrerà che ella è senza macchia.”
Râma conosceva l’innocenza di Sîtâ, ma le persone del mondo gracchiano come cornacchie. “Ora dicono di tutto, ma se Io riprendo Sîtâ con Me dopo la testimonianza del fuoco, dopo la prova del fuoco, nessuno potrà dire più niente”, (pensò Râma). Sîtâ si avvicinò, rese omaggio a Râma, girò intorno alla pira tre volte e si buttò nel fuoco.
Il Dio del fuoco apparve: “Râma, Sîtâ è senza macchia, senza macchia, senza macchia! È una moglie castissima e virtuosa. Non fare più niente contro di lei. Guardami: sono immobile.” Infatti il fuoco era immobile. (Non bruciava Sîtâ – N.d.T.). E così Sîtâ venne portata da Râma. Le scimmie dell’armata dicevano: “Dobbiamo vedere Sîtâ, dobbiamo vederla, dobbiamo vedere la grande madre Sîtâ. Che sembianze avrà? Come sarà?” Erano tutte molto ansiose e, se generalmente si comportavano da scimmie, in quell’occasione si saltarono addosso le une con le altre, per osservare.

Il vimâna, carro volante

Mentre Râma prese la mano di Sîtâ, Vibhîshana portò il vimâna , il carro volante. Dove si trova questo vimâna ? Alcuni, criticando, dicono: “Ha veramente la forma di un aeroplano?” Il vimâna apparteneva al fratellastro di Râvana; per impossessarsene, Râvana lo uccise e gli rubò il carro volante.
Râma si sedette al suo interno e fece accomodare anche Vibhîshana dicendo: “Mio caro, vieni anche tu ad Ayodhyâ.” Inoltre, poiché il suo interno era estremamente spazioso, fecero salire Sugrîva e anche molti capi di Lankâ. Così partirono tutti per Ayodhyâ.
Bharata era in preda allo sconforto, pensando: “Râma mi aveva promesso che, al più tardi, sarebbe arrivato oggi. Verrà o no? In base alla parola data, dovrebbe arrivare oggi, no? Deve arrivare oggi, non è vero? Arriverà o no? Arriverà o no? Arriverà o no?” Questo pensiero lo tormentava. Aveva preparato una carrozza che teneva pronta per Sîtâ, Râma e Lakshmana.
A un certo punto, vide avvicinarsi il carro volante chiamato Pushpaka Vimâna . Non c’è bisogno di descrivere che cosa fecero gli abitanti di Ayodhyâ quando essi arrivarono. Avevano sofferto la mancanza di Râma per 14 anni, per non parlare delle donne e della loro tremenda sofferenza che le rendeva incapaci di mangiare. Erano tutte magrissime e alcune erano addirittura morte. Tutto ciò che erano riuscite a fare, era stata l’incessante contemplazione di Râma: “ Râma, Râma !” Avevano sofferto moltissimo. Questo era quanto accaduto.
Quando arrivarono e scesero dal carro, videro che Bharata aveva preso una ghirlanda e anche tutto ciò che era stato preparato. Anche Sugrîva vide tutto ciò. Con Bharata c’era anche Shatrughna. Erano molti giorni che Bharata e Shatrughna non si vedevano, poiché Bharata aveva chiuso la porta della sua residenza di Nandi per poter contemplare il Nome di Râma. Anche Shatrughna prese una ghirlanda di fiori. Entrambi si avvicinarono. Bharata fu il primo a salire sul Pushpaka , poi fu la volta di Shatrughna. A quel punto a Shatrughna si confusero le idee: chi dei due era Râma e chi era Bharata? I due erano identici! Per aver contemplato Râma per 14 anni, anche il colore della pelle di Bharata era diventato scuro come le nubi dense di pioggia. Qual era Râma? Questo o quello? Mentre Shatrughna era confuso in quel modo, Lakshmana si alzò: “Guarda qui. Râma, il tuo fratello maggiore, è questo qui. Guarda.” Shatrughna mise una ghirlanda intorno al collo di Râma e una intorno al collo di Sîtâ, sua cognata.
Dal villaggio di Nandi, vennero tutti portati in processione (fino ad Ayodhyâ). Durante la processione, vennero eseguite molte danze. È impossibile descriverle tutte. Arrivarono ad Ayodhyâ e, da quel momento in poi, ogni giorno ci fu una grande funzione. Questo è ciò che accadde.

Il potere della madre

Non appena i 14 anni di esilio si erano conclusi, Râma e Sîtâ erano tornati ad Ayodhyâ.
Tale è il potere della benedizione di una madre. (Infatti, in occasione della partenza di Râma per l’esilio nella foresta ) Kaushalyâ aveva detto: “Figlio, possano questi 14 anni passare veloci come 14 minuti. Non sarai mai in pericolo. Tu sei il Dio manifesto. Nessuno può crearTi difficoltà. Tornerai ad Ayodhyâ e arriverai sano e salvo.” Questo è quanto Gli disse. Non appena dunque Râma rientrò in Ayodhyâ, Kaushalyâ corse ad abbracciarLo.
Sumitrâ era una grande amica. Nessuno può descrivere le sue buone qualità. Quando vide arrivare Râma, provò una gioia incontenibile. È comunque vero che la sua gioia non l’aveva mai abbandonata, fin dall’inizio della vicenda: “Per quanto cerchino di danneggiare Râma, nessuno può metterLo in pericolo, nessuno può causarGli il benché minimo dolore. Non è nato nessuno al mondo in grado di farLo soffrire.” Continuando a parlare di Lui in questo modo, Sumitrâ portò sua nuora Ûrmilâ sul luogo e le disse: “Mia cara, guarda! Tuo marito è tornato.” Erano passati 14 anni dall’ultima volta che Ûrmilâ aveva visto Lakshmana. Ella dunque cadde ai suoi piedi (e disse): “Mio signore, la tua devozione a Râma ti ha protetto fino ad oggi. Hai sempre contemplato Râma e il Suo Nome ti ha protetto.” Disse queste parole piena di gioia. A quel punto applicò la sua sindhura (una polvere rossa propizia – N.d.T.) sui piedi del marito. In quei giorni era infatti usanza strofinarsi con quella polvere. Quando Ûrmilâ arrivò sul posto, sua suocera l’avvicinò e le disse: “Cara, le tue virtù hanno protetto mio figlio. Se tu non fossi stata così virtuosa, mio figlio non sarebbe vissuto.” Questo è ciò che successe.
Arrivò anche Kaikâ, la quale non era una donna malvagia. Ella sapeva che quei demoni dovevano essere uccisi da Râma. Erano nati quattro figli preziosi come gemme: Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna.
Le quattro nuore, Sîtâ, Ûrmilâ, Mândavi e Shrutakîrti, erano altrettante gemme. Queste quattro coppie si erano unite. A quel punto Sumitrâ li benedisse tutti e abbandonò la vita. “Figlio, sono stata qui a pensare a te. Passati i 14 anni, ho aspirato a vederti un’ultima volta con questi miei occhi, e ti ho visto. Ora sono felice.” Dette queste parole, lasciò la vita.
Immediatamente dopo, anche Kaikâ abbandonò la vita. Anche Kaikâ morì. “Sono stata sopraffatta da questa cattiva reputazione, che non ho creato io. È stato tutto dovuto al fatto che:

Le persone del mondo sono come cornacchie.

Hanno pensato che io fossi così. Ma è stato Râma a decidere di utilizzare questo modo per uccidere i demoni. Un giorno, mentre Gli stavo insegnando a tirare con l’arco, Egli mi disse: “Zia, Mi sono incarnato per uccidere i demoni. Devi quindi studiare un piano per far sì che questo avvenga.”
Questa fu la ragione per cui Kaikâ organizzò quel piano. Grazie alle parole di Mantharâ, che spinsero Kaikâ a chiedere la realizzazione dei suoi due desideri, grazie a Dasharatha che glieli concesse e, infine, grazie alla morte di Dasharatha, Râma guadagnò una buona reputazione. Infatti, mentre Dasharatha fu in vita, nessuno lodò le buone qualità di Râma, ma, dopo la sua morte, tutti si misero a descrivere le grandi virtù di Râma. Tutta Ayodhyâ, perciò, si colmò di buone prospettive.

(Baba conclude il Discorso cantando: “Râma Kodanda Râma …”) .

Whitefield, Sai Ramesh Krishan Hall, 22 Maggio 2002,
Corso Estivo 2002

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