“La lingua porta prosperità.
La lingua fa guadagnare l’affetto di amici e parenti.
La lingua porta la schiavitù.
La lingua può portare a morte sicura.”
Le nostre parole sono la causa prima
Incarnazioni dell’Amore!
Le parole dell’uomo apportano ricchezza e prosperità. Le parole dell’uomo portano la schiavitù. Le vostre parole vi fanno guadagnare degli amici. Le vostre parole fanno sì che i vostri parenti vi stiano vicini. Le nostre parole sono, dunque, la causa prima sia del bene sia del male.
Prima di pronunciare ogni parola, dovremmo analizzarla, osservando il bene e il male che contiene, e solo dopo cominciare a parlare. In ogni essere umano ci sono molte parole sacre; queste sono le parole che causano situazioni positive e che ci aiutano. Riceveremo molto aiuto da esse nella vita.
Ogni essere umano dovrebbe stare attento e far sì che le parole che esprime non provochino sofferenza né agli altri né a se stesso. Per mezzo delle parole si perde la vita. Per mezzo delle parole si guadagna la vita.
Le parole del Râmâyana sono parole estremamente dolci. Le parole sono un profumo consacrato, sono l’essenza del nettare, sono delicate api da miele. Nel Râmâyana, Râma stava sempre attento alle parole e parlava dolcemente. Si deve inoltre parlare poco, e le parole devono essere piacevoli.
Fu a causa delle parole che Rama si recò nella foresta. E fu sempre a causa delle parole che Kaikâ acquisì una cattiva reputazione, e che Dasharatha morì. Tutte queste cose furono i potenti effetti dei suoni. Dobbiamo quindi riflettere su ogni parola che pronunciamo. A causa del suo amore per i figli, Dasharatha non poté sostenere la parola data e dovette sperimentarne le conseguenze. Dato che la moglie lo aveva aiutato in guerra, in cambio egli le aveva fatto delle promesse che non avrebbe dovuto fare. Usiamo quindi le parole con grande cura.
La vita nel mondo è transitoria.
La gioventù e la ricchezza sono transitorie.
La moglie e i figli sono transitori.
Solo la Verità e la Reputazione sono stabili.
Sanaka, Sanandana, Sanâtsujâta (altro nome per Sanâtana – N.d.T.) e Sanatkumâr (i quattro bambini Saggi – N.d.T.): questi quattro vivono in ogni essere umano. Dimorano in ogni essere umano, sempre. Aiutano l’uomo a fuggire dalle situazioni pericolose e lo proteggono quando sopraggiungono dei pericoli. Aiutano in tutti i modi. Quindi, questi quattro – Sanaka, Sanandana, Sanatkumâr e Sanâtsujâta – sono per l’uomo amici carissimi: essi non lo odieranno mai, in qualunque situazione, e lo proteggeranno notte e giorno, aiutandolo nella vita in modo adeguato.
Alla sua partenza per la foresta, Kaushalyâ benedisse Râma con queste parole: “Râma, che Sanaka, Sanandana, Sanatkumâr e Sanâtsujâta possano essere con Te, accanto a Te e in Te, e proteggerTi come le palpebre proteggono gli occhi.” Egli entrò quindi nella foresta e combatté con ogni metodo contro molti demoni. Nel corso di ogni combattimento, Sanaka, Sanandana, Sanatkumâr e Sanâtsujâta erano con Lui, accanto a Lui, e Lo protessero come le palpebre proteggono gli occhi.
Shântâ, la figlia di Kaushalyâ
Situazioni di questo tipo si verificano continuamente. Dasharatha invitò tutti al putrakâmeshti yajña (un rito sacrificale inteso a ottenere la grazia di avere figli – N.d.T.). Ora, dovete sapere una cosa. In passato Kaushalyâ aveva avuto una figlia, il cui nome era Shântâ. Shântâ era l’ombra di Kaushalyâ e le dava gioia in ogni modo. Ma era una femmina, e, secondo le regole vigenti a quel tempo, non aveva il diritto di regnare. Dasharatha la cedette in adozione a Roma Rishi. Ella, quindi, entrò nell’ âshram di Roma Rishi ed egli la dette in isposa a Rishyashringa. Più tardi il ministro, Sumantra, consigliò il re Dasharatha di chiedere a Rishyashringa di prender parte al rito sacrificale e ricevere la carità. Sumantra venne mandato a invitare tutti i rishi. In tutto il regno di Roma Rishi non c’erano mai né ashânti (mancanza di pace), né ingiustizia, né cattive azioni. Il regno era sempre al sicuro. Le piogge arrivavano al tempo opportuno, i raccolti maturavano al momento giusto e la gente sperimentava felicità e pace adeguate. Questo arrivò all’orecchio di Roma Rishi. Sumantra andò a chiamare Rishyashringa, ma questi disse: “Io non posso venire da solo. Accetto di diventare il primo sacerdote, ma solo se anche Shântâ verrà con me come sacerdotessa.” Essi accettarono, dicendo: “Accettiamo senza indugio.”
Quando Rishyashringa arrivò con Shântâ, ella fece namaskâr ai suoi genitori, cioè a Dasharatha e Kaushalyâ. Poiché anche Dasharatha aveva dimenticato chi fosse, disse: “È la moglie di un rishi; perché ci fa namaskâr?” Era diventata anch’ella una rishi, e, in qualsiasi regno entrasse, questo diventava un posto prospero, le piogge cadevano a tempo debito e nel paese non c’erano più carestie. Quindi, per far loro ricordare chi fosse, rispose: “Sono vostra figlia.” Kaushalyâ ne fu molto felice (e disse): “Non ho mai pensato, neppure in sogno, che avrei potuto avere una figlia così.” Dasharatha l’aveva ceduta in adozione a Roma Rishi. Allora come oggi, era naturale non prestare molta attenzione alle figlie femmine. A quei tempi c’era la folle convinzione che le donne non avessero sufficiente autorità per essere capi di stato o diventare re.
Alla fine, Shântâ non solo prese parte al putrakâmeshti yajña , ma anche all’ ashvamedha yajña (un rito che includeva il sacrificio di un cavallo, al fine di ottenere altri regni – N.d.T.). Fu lei a officiarlo. Se si riflette e se ne capiscono le ragioni, (diventa chiaro che) fu per merito di Shântâ, infine, che in casa di Dasharatha venne la pace. La gente sentiva ch’ella era la moglie di un rishi, ma nessuno avrebbe detto che fosse la figlia di Dasharatha. Râma e Lakshmana non avevano alcuna familiarità con Shântâ. Questo è ciò che successe.
Vishvâmitra portò Râma e Lakshmana al siddâshram
Poi Vishvâmitra portò Râma e Lakshmana al siddâshram. Li portò a proteggere lo yajña (il rito sacrificale – N.d.T. . Andarono entrambi, obbedendo agli ordini di Vishvâmitra, e compirono il loro dovere. Non ebbero mai né fame né sete. Non dormirono mai. Mantennero saldamente tutta la loro concentrazione sulla protezione del fuoco sacrificale, notte e giorno, e sul tentativo di uccidere i demoni.
Infine i demoni furono uccisi. Râma e Lakshmana ebbero la gioia di (poter dire): “Abbiamo eseguito l’ordine di nostro padre.” Pregarono Vishvâmitra: “Se ce lo concedi, torniamo ad Ayodhyâ.”
Quando aveva portato via i ragazzi a Dasharatha, Vishvâmitra gli aveva fatto una promessa. Dasharatha era stato malissimo, e gli aveva chiesto: “Li stai portando a uccidere dei demoni. Come pensi di proteggere i miei figli?” Vishvâmitra aveva risposto: “Dasharatha, essi sono tuoi figli; per questo li ami e provi per loro un amore da genitore. Ma non andranno incontro ad alcun pericolo, e non soffriranno per niente. Non appena il mio rito sarà completato te li riporterò io stesso a casa sani e salvi e te li riconsegnerò.”
Perciò, non poteva far altro che dar loro il permesso di ritornare ad Ayodhyâ. In quel momento arrivò un messaggio da Mithilâ: “A Mithilâ verrà officiato un rito (yajña). Verrà portato l’arco di Shiva. Siete invitati a venire.” Il re Janaka aveva invitato solo Vishvâmitra. Janaka non sapeva che anche Râma e Lakshmana si trovavano al siddâshram.
Comunque, Vishvâmitra comandò: “Figlio mio, puoi andare ad Ayodhyâ anche passando da Mithilâ. C’è qualcosa di molto potente che devi vedere a casa del re Janaka. L’arco di Shiva è qualcosa che devi vedere. Guardalo una volta e poi vai.”
Râma e Lakshmana erano affascinati dall’arco di Shiva. Perciò risposero: “Andiamo, Swami. Andiamo, senza indugio, guardiamo l’arco di Shiva, e poi andiamo ad Ayodhyâ.” E andarono. L’arco di Shiva si ruppe e venne fissato il matrimonio con Sîtâ.
Ma Râma e Lakshmana non accettarono il matrimonio (e dissero): “Come nostro padre ha detto, noi siamo venuti per la protezione del tuo fuoco sacrificale e non per sposarci. Non faremo un passo in più senza il permesso di nostro padre. Quindi, aspetteremo il suo ordine.”
Vishvâmitra non era una persona qualsiasi
Vishvâmitra non era una persona qualunque: (prima di diventare un asceta) era il re Kaushika. In passato era stato imperatore. A causa del fatto che aveva rubato a Vashishta la mucca sacra Shabala, era scoppiata una guerra e Vishvâmitra aveva perso tutta la sua armata. Alla fine era diventato un asceta. Vashishta aveva la mucca, e Vishvâmitra gliela aveva tolta con la forza. Vashishta non aveva accettato la cosa ed era scoppiata una guerra, dalla quale re Kaushika (Vishvâmitra) era uscito sconfitto e nella quale tutti i suoi figli erano morti.
A questo punto re Kaushika era diventato un rinunciante.
Sanaka e Sanandana lo aiutarono dal di dentro. Vishvâmitra aveva molta familiarità con Sanaka e Sanandana. In certe situazioni e in certi momenti, soleva ripetere i nomi di Sanaka, Sanandana, Sanatkumâr e Sanâtsujâta.
Râma aderì alla Verità
Vishvâmitra, infine, portò Râma e Lakshmana alla casa del re Janaka. Il loro padre stava arrivando. Vishvâmitra disse: “Solo in questa cosa potreste trasgredire ai comandi di vostro padre.” Râma rispose: “Precettore, noi non trasgrediremo neppure a uno dei comandi di nostro padre. Non accetteremo niente al di fuori di ciò che egli dice. Una caratteristica importante della stirpe degli Ikshvâku è quella di seguire i comandi del padre. Nel clan degli Ikshvâku non si può venir meno alle promesse. Non ha più senso vivere dopo aver rotto una promessa.”
Râma aderì alla Verità. Il Suo è un carattere di Verità; Egli non conosce altro che la Verità.
Tutto è stato creato dalla Verità.
Tutto si unirà alla Verità.
Non esiste un luogo senza lo splendore della Verità.
Vedete, questa è la pura Verità!
Verità significa che non c’è Verità più grande di Râma. “L’intera creazione è sorta dalla Verità; essa è mantenuta nella Verità, e, alla fine, si unirà di nuovo alla Verità. La Verità è il principio vitale ( prâna ) della stirpe degli Ikshvâku.”
Così dicendo, arrivarono a Mithilâ, e vi ho già detto prima che cosa vi successe.
Anche il matrimonio venne deciso: Dasharatha accettò, e anche Kaushalyâ, Sumitrâ e Kaikâ accettarono. Tutti furono d’accordo e il matrimonio venne celebrato sfarzosamente.
L’arrivo di Parashurâma
Comunque, dopo che il matrimonio fu celebrato, mentre stavano tornando ad Ayodhyâ, arrivò Parashurâma (un Avatâr guerriero – N.d.T.). Facendo un gran rumore disse: “Chi è il pazzo che ha rotto l’arco di Shiva?” Parashurâma sapeva che Râma era Dio. Ma dei sedici kalâ (aspetti della Divinità – N.d.T.), Râma ne aveva dodici, altri due appartenevano ai Suoi fratelli, per un totale di quattordici kalâ . Parashurâma ne possedeva due. Solo se i due kalâ di Parashurâma fossero passati a Râma, si sarebbe arrivati a sedici.
Parashurâma aveva accettato di donare i suoi due kalâ a chi avesse ottenuto la vittoria contro la sua arma, un’ascia. Proprio come aveva fatto re Janaka, che aveva promesso: “Darò mia figlia in isposa a chi solleverà l’arco di Shiva”, Parashurâma aveva detto: “Cederò tutti i miei poteri a chi riuscirà a tenere e rompere la mia ascia.” Parashurâma era in piedi in mezzo al sentiero. Râma vinse con la giustizia e con l’amore invece che con la paura. Parashurâma offrì l’arma a Râma, e, nell’arrendersi a Lui, Gli disse: “Râma, ora hai tutti e sedici gli aspetti della Divinità.”
Saluti reverenziali a Colui che ha una bella e folta chioma;
saluti reverenziali al Signore (marito) di Lakshmî (la Dea della ricchezza).
Saluti reverenziali a Vishnu;
saluti reverenziali al protettore delle vacche.
Saluti reverenziali all’uccisore del demone Madhu;
saluti reverenziali a Vâmana (la quinta incarnazione di Vishnu).
Così dicendo, al posto delle parole “Krishnâya Namah” , Parashurâma mise le parole “Ramâya Namah”. Ora Shrî Râma aveva sedici kalâ e tornò ad Ayodhyâ con tutti gli aspetti della Divinità.
La natura di Parashurâma era davvero grande. Egli era uomo di Verità; ovunque ci sia energia divina, là si trova la pura Verità. Nessuno può essere al di là della Verità. La Verità è Dio. La Verità è la dimora di Dio. La Verità è la Sua casa. Quindi Parashurâma si arrese alla Verità (Râma), che è divina. Di conseguenza, Râma divenne un grande Signore, con tutti e sedici gli aspetti divini. Questo significa che divenne onnipotente, onnisciente e onnipresente.
Incapaci di sopportare oltre la sofferenza
Una volta, molto tempo prima, tutti gli abitanti di Ayodhyâ erano andati da Dasharatha, e lo avevano pregato: “Dasharatha! Noi soffriamo moltissimo, e con noi soffrono notte e giorno anche i rishi, gli yogî, gli asceti e i re, per le azioni compiute da Râvana. Dobbiamo liberarci da questa sofferenza.” Dasharatha rispose: “Miei cari, dovete andare da Brahmâ e pregare Lui per questo.” Allora i rishi, gli yogî, gli asceti, i saggi (muni) e tutta la gente andarono da Brahmâ. Ci andarono anche Sanaka, Sanandana, Sanatkumâr e Sanâtsujâta. Brahmâ rispose: “Il beneficio ottenuto da Râvana è inattaccabile; Egli non può essere ucciso da nessuno. Lo può fare solo un essere umano. Perciò andate da Vishnu (a pregarLo di incarnarsi come essere umano e uccidere Râvana).” Allora andarono tutti da Vishnu, ed Egli, al vederli, fu mosso da compassione. “Miei cari, perché questa sofferenza? Ditemelo.” Essi risposero: “Non riusciamo più a sopportare la sofferenza arrecataci da Râvana. Non solo uno o due di noi soffrono. Dal mattino quando ci alziamo fino a quando non andiamo a dormire la sera, per noi c’è solo sofferenza.” Tutti chiesero di venir sollevati da quel dolore.
Allora Vishnu promise: “Miei cari, Io sono al corrente di tutto questo. Perciò presto nascerò da Dasharatha e Kaushalyâ nella città di Ayodhyâ, e metterò fine alle vostre sofferenze.”
Credendo che queste siano solo favole, molta gente si prende gioco del Râmâyana in molti modi.
Come promesso, Vishnu mantenne la Sua parola, nacque come Râma e infine uccise Râvana.
Lankinî aveva saputo quando Brahmâ aveva dato il dono a Râvana. Quando Hanuman andò a Lankâ e cercò di entrare, Lankinî gli ostruì il passaggio. “Io sono la guardiana del cancello principale di Lankâ. Non ti sarà possibile andare oltre: io sono potentissima.” Così dicendo, si fece avanti per combattere con Hanuman. Ma Lankinî non era a conoscenza della potenza e delle capacità di Hanuman. Con la mano sinistra, questi sollevò Lankinî da terra e la gettò di lato. Ella si ricordò delle parole che Brahmâ le aveva precedentemente detto: “Quando una scimmia verrà e riuscirà a batterti, Lankâ sarà distrutta entro breve, e le sofferenze causate dai demoni a Lankâ avranno fine.” Ricordandosi di quella storia, ella fece un grande inchino a Hanuman e disse:”Mio caro, i miei peccati, al tuo tocco, sono stati rimessi.”
La visione del Signore distrugge tutti i peccati.
Toccare il Signore libera ogni persona dalle conseguenze delle sue azioni.
La conversazione con il Signore libera da ogni problema.
“Il Tuo darshan, il toccarTi e la conversazione con Te hanno avuto luogo. Lankâ, ora, sperimenterà il disastro. Guarda, io me ne vado.” Fece un altro inchino (namaskâr) e morì. Se si conoscono e si capiscono i dettagli delle rinascite, è possibile riconoscere la sacra natura di Dio e della Verità.
Nessuno sapeva che Shântâ era figlia di Kaushalyâ. Nessuno sapeva nemmeno che era la moglie di Rishyashringa. Fu per merito suo che il putrakâmeshti yajña ebbe luogo, come fu sempre grazie a lei che ebbe luogo anche l’ ashvamedha yajña. Quindi, anche Râma nacque per merito suo.
Non ci furono carestie mentre Shântâ era in visita al regno. C’era abbondanza di cibo e bellezza, tutto era bello e abbondante, senza carenze e sofferenze. E dopo la partenza di Shântâ e Rishyashringa, le cose andarono nel modo desiderato (a Dasharatha nacquero molti figli – N.d.T.).
Egli ha poteri divini
Kaushalyâ era molto triste. Osservò Râma e pensò: “È grandioso. È Dio stesso. Ma, dato che si è incarnato come mio figlio, io non lo percepisco come Dio. Finché è in forma umana io Lo considererò come essere umano. Ha poteri divini, ma a me non sembra che li abbia. Perciò, finché non vedrò che ha poteri divini, avrò fede solo nel fatto che Egli è mio figlio.” Ella credeva che Râma fosse suo figlio, in questo modo. Poi venne Sumitrâ e parlò molto con Kaushalyâ: “Sorella, Râma non è una persona comune né lo sono Lakshmana, Bharata e Shatrughna.”
Ecco un piccolo esempio. Quando Râma andò nella foresta, Sîtâ insistette di andarvi essa pure. Disse che non avrebbe sopportato di restare separata dal marito neppure per un istante, e che marito e moglie sono una cosa sola e non due cose separate.
Anche Bharata prese i sandali e andò ad Ayodhyâ. Dicendo che quei sandali erano il fondamento, li adorò. (Invece di tornare ad Ayodhyâ Râma aveva dato i Suoi sandali a Bharata. Questi li aveva installati sul trono di Ayodhyâ, in rappresentanza di Râma – N.d.T.).
Intanto Bharata era a dodici miglia da Ayodhyâ. Tenne i sandali ad Ayodhyâ e rimase in costante contemplazione di Râma.
Anche i Veda ci trasmettono molti segreti. Râma fu l’incarnazione dei Veda e la personificazione dei mantra. Era una specie di rappresentazione dei Veda. Râma fu definito una rappresentazione del Rig Veda. Lakshmana ripeteva in continuazione i mantra dello Yajur Veda. Egli stesso era lo Yajur Veda. Bharata trascorse tutto il suo tempo a meditare col nome di Râma a fondamento della sua meditazione: Bharata, quindi, è il Sâma Veda.
Poi Shatrughna. Egli aveva il potere e la capacità di rimuovere le sofferenze e risolvere i problemi dei quattro fratelli. Fu colui che distrusse le sofferenze, ragion per cui fu chiamato Atharva Veda. Rig Veda, Yajur Veda, Sâma Veda e Atharva Veda: i quattro Veda si erano incarnati nei quattro figli e andavano in giro nei pressi di Ayodhyâ.
Sempre in contemplazione di Râma
Bharata era sempre in contemplazione di Râma nel villaggio di Nandi. Dimenticò tutto nella meditazione su Râma. Smise persino di mangiare e andare in giro. Mândavi (la moglie di Bharata – N.d.T.) era una donna molto casta. Pensando che niente dovesse disturbare il marito, e che egli non dovesse avere difficoltà, si trasferì, ella pure, nel villaggio di Nandi e meditò anch’essa per quattordici anni sul Nome di Râma.
Mândavi era molto virtuosa. Non solo obbediva ai comandi del marito e a quelli dei suoceri, ma trasmetteva anche un ideale al mondo intero. Era nel villaggio di Nandi, e aveva un’unica treccia di capelli arruffati; anche i capelli di Bharata erano legati in un’unica treccia arruffata. Quando Râma entrò ad Ayodhyâ (dopo la fine dei quattordici anni di esilio – N.d.T.), Bharata e Mândavi si recarono a dare il loro benvenuto. A guardarli non c’era alcuna differenza fisica fra Sîtâ e Mândavi, e fra Râma e Bharata. Bharata portava i capelli esattamente nello stesso modo in cui li portava Râma. A forza di contemplare Râma, la natura di quella contemplazione e la natura di quell’Amore erano entrati dentro di lui. Ovunque guardiate, nelle raffigurazioni del matrimonio di Râma o in qualsiasi quadro in cui Râma e Bharata siano presenti, noterete che essi erano entrambi di colore blu.
Contemplate sempre Râma, in ogni istante e in ogni luogo.
Non solo Bharata, ma anche Mândavi era sempre rimasta in concentrazione costante, e quando Mândavi incontrò Sîtâ, esse apparivano fisicamente uguali. Questo significa:
Come i sentimenti, così i risultati
I Veda affermano:
“Colui che conosce Brahman diventa Brahman stesso.”
Si prende la forma delle cose su cui si medita. A causa della sua contemplazione di Sîtâ, Mândavi ne assunse l’aspetto. E Bharata prese l’aspetto di Râma.
Da questo punto di vista, in ogni piccola cosa, Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna facevano parte di un’unità. Anche le mogli, Sîtâ, Ûrmilâ, Mândavi e Shrutakîrti erano un’unità. Le quattro mogli avevano uno stesso sentimento.
Vâlmîki espresse mirabilmente in versi tutto ciò. Le madri possono essere diverse, i padri possono essere diversi, i posti possono essere diversi, ma tutti i cuori sono Uno. Dopo aver imparato il telugu, una signora greca ha detto: “Vishva Kutumba” (la “ famiglia universale ” – N.d.T.). L’universo è la famiglia di Dio. Tutti hanno una stretta intimità con Lui. Nessuno è diverso da Râma. Anche Shrutakîrti ebbe gli stessi sentimenti. Esse erano tutte donne virtuose e ideali. La loro natura era nobile.
Le donne hanno una grande radiosità
Gli individui, incapaci di capire, danno significati errati e dimenticano la Verità. Innanzitutto si deve cercare di capire: in ogni donna ci sono sette energie. Gli uomini ne hanno solo tre, le donne ne hanno quattro di più. Per questo hanno una grande radiosità.
Savitrî, che riportò in vita il marito morto, ottenendo la vittoria sul Dio della morte,
appartiene alla sacra terra d’India, non è vero?
Chandramatî, che estinse le fiamme col potere della Verità,
era anch’essa una donna dell’India, non è vero?
Sîtâ, che mantenne alto il nome della famiglia sottoponendosi alla prova del fuoco,
era una donna indiana, non è vero?
Damayantî, che ridusse in cenere un malvagio cacciatore col potere della sua castità,
era una donna dell’India, non è vero?
È per merito di donne caste come queste che Bhârata si è conquistata la reputazione
di terra d’abbondanza, di prosperità e di ricco raccolto per quanto riguarda le donne illustri.
L’India ha da insegnare a tutto il mondo, non è vero?
Per quanto riguarda le donne, il paese di Bhârata ha assunto la posizione di insegnante nei confronti di tutti gli altri paesi. C’è un’altra moglie (in tutto il mondo) che sia riuscita a far resuscitare il marito morto? No! Queste cose succedono solo in India. Da allora ad oggi, anche se la gente non capisce, anche se non se ne sa nulla, in India ci sono donne caste di tale altissima levatura.
L’India è una terra altamente sacra e meritoria. Persone di questa levatura sono nate qui e hanno trasmesso esempi di una vita ideale a tutti, sperimentando esse stesse la beatitudine. Furono persone fortunate che non provocarono dolore agli altri e non sperimentarono il dolore esse stesse. Ogni essere umano deve prendere atto e comportarsi in conformità a questi eventi descritti nel Râmâyana.
Ieri vi ho raccontato che Bharata, Shatrughna, Râma e Lakshmana erano andati all’ âshram dei rishi . Erano arrivati al siddâshram. Oggi vi ho raccontato di come andarono insieme dal villaggio di Nandi ad Ayodhyâ. Domani, parleremo delle cose che successero in seguito.
(Baba termina il Suo Discorso cantando il bhajan: “Pibare Râma Rasam Rasane…“).
Whitefield, Sai Ramesh Krishan Hall, 19 Maggio 2002
Corso Estivo 2002
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