“Vi sono saggi che, splendenti come dei soli, privi di ogni attaccamento al corpo,
senza illusioni riguardo al corpo fisico, senza alcun sentimento d’attaccamento,
posseggono caratteristiche di sacrificio e aiutano i bisognosi.
Oggi come allora, questi sono i veri precettori.
Questa parola di Sai è parola di Verità.”
Incarnazioni dell’Amore!
Dio è impegnato a divulgare, far risplendere, dichiarare e far risaltare la Sua Presenza in ogni cellula e in ogni atomo. Anche le Upanishad dichiarano che Dio è onnipresente, si muove dappertutto e può essere visto ovunque. Ai giorni nostri, l’uomo non sta compiendo lo sforzo appropriato di riconoscere queste parole pronunciate dai grandi saggi.
Le Upanishad insegnano in modo semplice che la natura dell’Assoluto circola in ogni atomo. È perciò davvero sorprendente come l’uomo di oggi non cerchi di comprendere Dio, presente in ogni cellula.
Le opportunità di riconoscere questa Divinità sono molte. Chi è all’origine della dolcezza nella canna da zucchero e del piccante nel peperoncino? Per riconoscere il Divino in ogni oggetto, (basta comprendere che) Egli, il Principio vitale, è presente in ogni guna (attributo, qualità, caratteristica).
Chi è all’origine dell’amaro nel nîm e del profumo nel fiore? È la natura di Dio, e ogni atomo, ogni cellula, con la caratteristica (guna) che manifestano. Ne è l’espressione.
Non solo. Per riconoscere tale Divinità, si possono fare molti esempi. Com’è possibile riconoscere il profumo di un fiore? Traiamo la conclusione che è la sua natura; tuttavia, da dove deriva tale natura? No, no! Si sperimenta molta gioia osservando una montagna; la gioia fluisce traboccante anche quando si guarda un fiume, o se si guarda una foresta. Sono, queste, (esclusivamente) caratteristiche della natura (prakriti) o sono le meraviglie di Dio? Non è certo il potere di prakriti, bensì il Divino che si esprime in svariati modi, fra i quali anche il potere della natura.
Un uccellino nell’uovo: come possiamo vederlo? Queste sacre indicazioni sono segni atti a provare la Divinità. Per questo, per riconoscerLa, non abbiamo bisogno né di andare chissà dove, né di compiere alcuna sâdhanâ: Dio si trova in ogni cellula e in ogni atomo.
Il bambino prende forma nella madre e l’uccellino nel guscio. Come facciamo a riconoscere nostra madre (tanto facilmente)? Al contrario, è difficile riconoscere la Divinità. Gli esseri umani nascono dalla madre e dal padre. Tu, Io e chiunque altro, ovunque, siamo nati dal grembo di una madre. Tuttavia, l’uomo, nato dal grembo materno, sta dimenticando la Divinità della madre. Per quale ragione?
Nell’umanità prendono forma determinati tratti naturali e, fra la Divinità e la specie umana, si possono notare molte differenze. Dio è capace di riconoscere i desideri dell’uomo, mentre l’uomo non è in grado di riconoscere il volere di Dio. Nessuno, infatti, può conoscere il sankalpa (volontà, intenzione, proposito, decisione) di Dio, mentre Egli può riconoscere le tue decisioni. Dio può riconoscere il tuo bene e il tuo male. Questa è la differenza fra il Divino e i genitori. Il padre e la madre percepiscono e riconoscono la decisione del figlio; la madre comprende ciò che al figlio piace o non piace. I devoti, invece, non possono riconoscere ciò che a Dio piace o non piace. Il bambino sa che cosa è caro alla madre, mentre i devoti non possono riconoscere il sankalpa di Dio. Ecco la differenza fra (dei veri) esseri umani e una natura ordinaria. Si possono dunque osservare moltissime differenze fra l’uomo, di ordinaria qualità, e il Divino, che è straordinario.
Così noi, esseri umani, siamo incapaci di comprendere gli (altri) esseri umani. Come possiamo, allora, comprendere Dio? I Suoi sentimenti sono trascendentali, mentre i sentimenti umani sono molto ristretti. Come può la limitazione umana comprendere la trascendenza divina?
La natura di Dio
Non è facile adorare Dio e pregarLo. È un problema serio! Infatti, solo quando comprenderemo bene la Sua Natura, potremo capire il significato celato della Sua adorazione. Dio è:
Senza attributi, Incontaminato,
Eterno, Rifugio Supremo, sempre Nuovo.
(Tratto dalle Upanishad)
Come può l’uomo, sempre preoccupato, comprendere una Divinità sempre nuova ed eterna?
Dunque: prima ho citato il profumo del fiore e l’uccellino nell’uovo. Noi siamo incapaci anche solo sottilmente di capire una cosa simile. Da dove arriva la dolcezza della canna da zucchero? Quella dolcezza è la Divinità. Da dove ha origine il piccante del peperoncino, l’asprezza del limone, l’amaro del nîm? Sono tutte espressioni di Dio. Dio ha dato origine a questa creazione al fine di farci conoscere i Suoi atti attraverso le cose ordinarie.
Qual è la bellezza delle montagne? Qual è la bellezza del corso dei fiumi? Che bellezza si trova nel tempestoso oceano? Sono tutte meravigliose e stupefacenti bellezze di Dio. È impossibile descrivere la Sua bellezza; è impossibile riconoscere i Suoi poteri e le Sue capacità. Sono la tua mente mondana e i tuoi sentimenti ristretti a renderti incapace. (Con questi limiti) come puoi comprendere la forma infinita?
Incarnazioni dell’Amore!
Dio è oltre le parole e la comprensione mentale; non può essere raggiunto né con le parole né con la mente.
È impossibile esprimerLo a parole
ed è inaccessibile alla mente.
Tu cerchi di descriverLo solo tanto quanto puoi capire; quando invece non capisci, taci. In quel caso, persino le parole non bastano. Non hai una “grammatica” adatta a descriverLo. Anche gli ingegneri non Lo comprendono. Solo Dio può comprendere i Suoi piani, la Sua ingegneria e la Sua vera natura. Nessun altro.
Non cercare, quindi, di capire i Suoi attributi. Piuttosto acquisisci completamente le tue stesse qualità (divine). Cerca di riconoscere la tua vera qualità: la qualità della Verità. Invece non riesci a comprendere nemmeno i piccoli temi che sorgono nella tua mente: come puoi, allora, comprendere il Principio infinito? Non provare a capire la Divinità, ma cerca innanzitutto di afferrare la tua stessa natura. Per questo nel Vedânta viene menzionata una breve frase: “Mio caro, conosci te stesso. Scopri chi sei.” Oggi molti ragazzi moderni pongono la sciocca domanda: “Perché devo fare lo sforzo di conoscermi? (Lo so già). Io sono il figlio del tal dei tali. Questo è il mio nome, sto svolgendo il tale lavoro e provengo dalla tal nazione.” Puoi rispondere bene a tutte queste domande; tuttavia esse non sono le vere risposte, ma risposte terrene basate sull’attaccamento al corpo materiale. “Questo corpo è figlio del signor tal dei tali; questo corpo sta svolgendo il tal lavoro, nel tale ufficio. Questo corpo ha conseguito la tale laurea e proviene dalla tale nazione.” Se s’indaga così, si scopre che tutto è basato sull’attaccamento al corpo e non su âtmabhimana (l’attaccamento all’Âtma), vero?
Quando ti si dice di conoscere te stesso, rispondere: “Mi sono già conosciuto: il mio nome è questo, la mia altezza è quest’altra e questo è il colore della mia carnagione”, non è la risposta adatta. Tu non sei soltanto un individuo, bensì un Essere che ha indossato samasta svarûpa (la forma del Tutto). Tu, che sei nel Tutto, sei anche in te stesso. Dunque:
Con Mani, Piedi, Occhi, Testa,
Bocca e Orecchie che pervadono ogni cosa,
Egli permea l’intero universo.
L’Âtma onnipresente è Uno e non è differente per ogni corpo. I corpi possono essere diversi; ci possono essere diversità di altezza e peso, nomi e forma, istruzione e mentalità, ma la natura dell’Âtma è Una. Dovremmo cercare di riconoscere questa Divinità che possiede l’Unità. Incarnazioni dell’Amore!
Ai giorni nostri, quando indaghiamo riguardo a qualunque cosa, non lo facciamo per vedere l’unità nella diversità. Anzi, stiamo spezzettando l’unità in diversità. Considerare, invece, l’unità nella diversità è il segreto del Vedânta. Esso è la quintessenza delle Upanishad.
Upa – ni – sad. Qual è il recondito significato di ciò? Upa = vicino; ni = in basso; sad = sedersi. C’è un detto: “Nonostante tu sia onnipresente, siediti e ascolta.” Perché lo si dovrebbe fare? Il precettore è colui che insegna; l’allievo è colui che ascolta. Colui che ascolta dovrebbe sedersi (in basso), mentre colui che insegna dovrebbe sedere più in alto, occupando l’alta posizione di insegnante. In qualunque classe entriamo, troviamo solo la sedia dell’insegnante, mentre i bambini siedono (più in basso). Questo significa che le Upanishad hanno indicato il livello basso e quello alto. Questi sono gli insegnamenti dati da tutte le Upanishad.
Upanishad significa “sedere vicino” (a Dio).
Ciò significa che le Upanishad insegnano la natura della Verità, sentimenti elevatissimi, sentimenti sacri. Tale Verità risiede esclusivamente nell’Âtma.
Che cosa vuol dire “Âtma”? Possiede una forma? No. Ha una sagoma? No. Si muove? Sì.
Si espande dappertutto, ascolta ogni cosa, afferra ogni oggetto e circola ovunque. Tuttavia, nessuno può afferrarLo; l’Âtma non può essere preso da niente. Tutto si sottomette ad Esso. Questo potere si trova unicamente nell’Âtma.
Indaga adesso su un piccolo tema riguardante la mente. Ci sono due fatti: se rispettiamo tutti, tutti ci rispetteranno. Questa è shakti (il potere o l’energia). Se tu rispetti il prossimo, Dio rispetterà te. Se quindi desideriamo guadagnarci il rispetto di Dio, dobbiamo rispettare tutti. (Applausi).
Dovremmo rispettare tutti. Questa è la natura della mente. Verrai rispettato da chiunque rispetterai; verrai amato da chi amerai. Qual è la seconda natura (il secondo fatto)? Se ami tutti, Dio amerà te. (Applausi). Dovresti perciò meritarti l’Amore di Dio. Il sankalpa divino nell’uomo è tanto vasto. Nessuno può assolutamente descriverne l’immensità. Possiamo, tuttavia, considerare le varie forme fisiche come la prova (della Divinità interiore).
(La registrazione del Discorso sull’audiocassetta, a questo punto, si interrompe. I paragrafi seguenti sono stati tradotti dal “booklet” distribuito nell’âshram – N.d.T.).
Quando qualcuno ti chiede: “Signore, avete visto Anil Kumar a Prashânti Nilayam?” tu rispondi: “Sì, l’ho visto. Indossa un bell’abito, parla un buon inglese, è di carnagione scura e si esprime in modo spiritoso.” Tuttavia, sei in grado di riconoscerne esclusivamente le caratteristiche fisiche e comportamentali, mentre ci sono molte più cose di lui che non riesci a vedere. Puoi riconoscere i sentimenti del suo cuore e i suoi pensieri? Impossibile.
Sei soltanto in grado di vedere il corpo fisico e il comportamento esteriore, senza riuscire a visualizzare l’eterno fluire della Beatitudine interiore. Latenti nell’uomo risiedono tutti i poteri. Puoi essere altamente istruito, ma da dove hai acquisito tale educazione? Non dall’esterno. Essa è originata dal Sé.
(La registrazione riprende – N.d.T.).
L’uomo mezzo cieco
Il Vedânta non può essere compreso facilmente. Che cos’è il Vedânta? È la conclusione dei Veda. Qual è il significato delle Upanishad? Jñâna, la Saggezza Suprema. Che cos’è?
La percezione della Non dualità è Saggezza.
Tale Non dualità è inaccessibile a tutti. Ogni uomo possiede, infatti, una mente duale, duale, duale, che lo fa vacillare molto. È detto:
“Un uomo con una mente duale è mezzo cieco.”
Egli è mezzo cieco. Come gli è possibile, perciò, riconoscere questa visione tanto sacra? Non tutti, quindi, possono comprendere il Vedânta. Tuttavia la sua sacralità non è presente in niente altro. Se si descrive, si osserva e si indaga in ogni suo shloka (versetto), si noterà come esso contenga una profonda Beatitudine. Ma non sarebbe possibile descrivere tutto questo nemmeno se tutta l’acqua dell’oceano si trasformasse in inchiostro. In ogni shloka è racchiusa tanta sacralità.
Incapaci di comprendere il significato corretto degli shloka, le persone soccombono alla sfortuna e annegano nello shoka (il dolore). Chi sprofonda nella sofferenza non potrà comprendere lo shloka.
La nascita di Sîtâ nel Râmâyana
Vâlmîki disse: “Nel Vâlmîki Râmâyana, ho dimostrato il mio totale sforzo.” Non è possibile riconoscere il significato sottile del Râmâyana scritto da Vâlmîki, definendolo in questo o quel modo. Tempo fa un grande astrologo (e santo, G.G Krishna – N.d.T.), stava leggendo il Vâlmîki Râmâyana. Durante la lettura, continuando a leggere, gradualmente comprese nuovi significati.
Nel Râmâyana viene raccontata la nascita di Sîtâ. Come la descrisse, Vâlmîki? Mentre stava arando un terreno per prepararlo a uno yajña (rituale vedico), re Janaka trovò la neonata. Che cosa scrisse Vâlmîki di quella situazione, a proposito di Sîtâ? (G.G. Krishna) volle scoprirlo. E così lesse lo shloka successivo.
Esso diceva che Sîtâ era stata trovata in un solco di terra, ma nessuno sapeva dire da dove fosse arrivata. Ella era Bhûjâta (nata dalla Madre Terra), per questo anche Janaka la chiamò Bhûjâta, “la bambina nata da Madre Terra”. Non Bhûmâtâ (Madre Terra), ma Bhûjâta. Anche le Upanishad hanno descritto molto bene la Natura (divina).
Come può l’evento della nascita di Sîtâ essere capito? Il grande astrologo non riusciva a comprenderlo e cercava di capirne il potere. Janaka osservava attentamente ogni passo che Sîtâ compiva quando si muoveva per la casa. In essa Janaka teneva un’arma (l’Arco di Shiva), regalatagli dai saggi del passato. Una volta, mentre stava giocando con gli altri bambini, Sîtâ si avvicinò ad esso. Anche quel gioco servì a far conoscere al padre di che natura ella fosse fatta. Infatti, improvvisamente la palla finì sotto l’Arco. Le altre bambine fecero molti sforzi per cercare di prenderla. Considerate quanti amici avevano: arrivò così tanta gente! Arrivarono tutte le persone del palazzo, arrivarono uomini forzuti, arrivarono anche gli ospiti (presenti a palazzo provenienti) dagli altri regni. Arrivarono tutti, ma nessuno di essi fu in grado di spostare l’Arco.
Janaka era seduto e osservava la scena dall’alto. Come avrebbe, Sîtâ, recuperato la palla? Ella, tuttavia, non sapeva che il padre la stesse guardando. Dopo un po’ la bambina, sorridendo, disse: “Andate via tutti”, e, con la sola mano sinistra, sollevò l’Arco di Shiva. Al suo tocco, esso si spostò facilmente.
“Sîtâ non è un essere ordinario”, disse Janaka, dopo aver osservato la scena. “Non solo. È anche piena di virtù. Ho potuto scoprire un’anima tanto virtuosa, grazie a qualche merito da me acquisito; ho potuto ottenerla (come figlia), grazie ai meriti accumulati nascita dopo nascita.” Janaka rimase seduto e, in cuor suo, commentò il fatto. Quel giorno fece un voto: “Sîtâ, che ha sollevato lo Shivadhanus, sarà data in moglie a colui che può fare lo stesso. Solo colui che sarà capace di sollevare l’Arco sposerà questa ragazza.”
Il grande rituale
Va bene. Per questo motivo, Janaka (anni dopo) organizzò un grande yajña (rituale vedico) al quale parteciparono tutti i re; tutti volevano tentare di sollevare l’Arco di Shiva. Erano molti i giovani sovrani arrivati con il desiderio di sposare Sîtâ. Che tipo di giovani? I partecipanti partivano da un’età giovanissima, fino ad arrivare a personaggi quali il grande Râvana, il quale era potentissimo e del quale nessuno sapeva stabilire né l’età né la forza.
Era dunque arrivato anche Râvana. Quando l’Arco di Shiva venne portato e sistemato in un dato luogo, come avvenne il trasporto? Esso fu trascinato da alcune centinaia di elefanti, al che le persone pensarono: “Chi può sollevare una cosa simile? È ridicolo!” Nonostante ciò, furono molti i valorosi a sedersi nei primi posti.
Sapete bene – non è vero? – che, ovunque ci si rechi, ai VIP vengono dati dei posti speciali. Così, anche in quell’occasione, ai VIP erano stati offerti dei posti riservati. Osservando i vari re, si poteva notare lo splendore della loro luce, mentre, osservando i servitori del loro seguito, si poteva notare il timore che inducevano. Con l’obiettivo primario di sposare Sîtâ, Râvana si fece avanti. Tutti ebbero paura (e pensarono:) “Questa Sîtâ così bella e delicata, sposare quella forma malvagia e disgustosa?!”
Sunayanâ era la “madre” di Sîtâ e, in quell’occasione, soffriva davvero molto: “Santo cielo, dare la mia bambina delicata a quello stolto?” Così pregò Dio. Siccome l’oggetto dell’evento era l’Arco di Shiva, ella si mise a pregare Shiva. Pregò a occhi chiusi.
Intanto Râvana, nel tentativo di sollevare l’Arco, cadde e lo Shivadhanus finì addosso a lui. Tuttavia non c’era nessuno in grado di spostarglielo di dosso; non c’era nessuno capace di rimuoverlo. Râvana era in grossa difficoltà.
Sîtâ, donna virtuosa
Vedendo ciò che era accaduto, Sîtâ si avvicinò lentamente e si fermò davanti al luogo della scena. Era una ragazza davvero virtuosa!
(Sîtâ è) Colei che è di beneficio al mondo intero.
Colei che possiede tutta la saggezza.
Colei che possiede tutte le qualità benefiche.
Colei che è di beneficio a tutti gli esseri viventi.
Ella amava tutte le creature viventi.
Quando arrivò Sîtâ, Vishvâmitra sussurrò a Râma di farsi avanti: “Va’ e solleva l’Arco.”
Lakshmana stava osservando ogni cosa e comprendeva l’umiliazione di Râvana. “Ma a mio fratello non capiterà di dover affrontare la stessa umiliazione. Non dovrà esser sottoposto a questo vilipendio.” questo pensò Lakshmana, anch’egli pieno di coraggio.
Fra tutti i presenti, si fece avanti quel ragazzino dalle sembianze di uno studente di collegio, delicato, bello, nobile, con una buona nomea; Egli, lentamente, passo dopo passo, si avvicinò a Râvana.
Molte persone gioirono alla vista del Suo portamento, e si colmarono di pace e felicità alla vista del Suo volto. Così rasserenarono Sunayanâ: “Madre, perché ti preoccupi? Guarda, è arrivato un bellissimo giovane in grado di sollevare l’Arco di Shiva. Sarà Lui a diventare il marito di tua figlia.”
“Un ragazzo così giovane?” rispose Sunayanâ. “Sarà in grado di sollevarlo?” Era preoccupata. Ma Râma si avvicinò e sollevò l’Arco con la sola mano sinistra, proprio come, tempo prima, aveva fatto Sîtâ. Râma cercò anche di tenderlo, ma, nel farlo, l’Arco si ruppe e i presenti udirono tutti i sette suoni. A quel punto, gli strumenti musicali di corte cominciarono a suonare (in segno di vittoria). “È Lui lo sposo giusto per Sîtâ. Chi è adatto a chi? Chi è in grado di conoscere il potere presente nella Divinità? Solo colui che possiede lo stesso potere. Come possono gli esseri umani, pieni di bassi pensieri, comprendere la Divinità dai poteri infiniti? Non è possibile.” Vishvâmitra disse queste parole.
Immediatamente dopo che Râma ebbe sollevato l’Arco di Shiva, Janaka e Sîtâ arrivarono con le ghirlande: “Figlio, ecco (mantenuta) la mia promessa. È mia volontà dare mia figlia in matrimonio a chi è in grado di sollevare e tendere l’Arco.”
Colui che è di beneficio a tutti.
Questa è una delle qualità di Râma.
Colui che possiede tutte qualità benefiche.
Ecco che è venuto qui Colui che possiede qualità sacre. Quali sono le loro caratteristiche?
“Non sono pronto al matrimonio”
A quel punto Janaka pregò (Râma di accettare Sîtâ in moglie), ma Râma rispose: “Re Janaka, adesso non sono pronto al matrimonio. Voglio l’approvazione di Mio padre e di Mia madre. Finché i Miei genitori non daranno il loro consenso, nemmeno guarderò tua figlia in faccia.” Janaka si scoraggiò: “Perché questo ragazzo parla così?”
Ai giorni nostri, invece, se qualcuno offre una ragazza in sposa, il ragazzo non capisce più niente. Dov’è la considerazione per gli ordini dei genitori?
Arrivò allora Vishvâmitra che disse: “Figlio, questo è un ordine del re. Accetta”, ma Râma rispose: “Non accetto niente.”
Sarvo hite ratah
Colui che è di beneficio a tutti.
“Io accetto ciò che Mi piace. Che cosa Mi piace? La natura del Mio Âtma.”
Sarvo guna sampannah
Colui che possiede tutte qualità benefiche.
“Io voglio qualcuno che possegga tutte le virtù. Pertanto, fino a quando non arriva Mio padre, non acconsentirò affatto a una cosa simile.”
Allora Janaka mandò carri e messaggeri a prendere Dasharatha. Vishvâmitra disse: “Râma, puoi aspettare finché i Tuoi genitori non arriveranno, ma guarda Sîtâ almeno una volta!”
Sarvo dharma hitoratah
Colui che pratica il Dharma benefico a tutti.
Egli spiegò gli insegnamenti del Dharma: “Finché il matrimonio non sarà stato celebrato, non alzerò il Mio sguardo per guardare una donna. Ella è come una madre per Me: finché la cerimonia non (sarà terminata), tutte le donne sono (solo) madri, per Me.” Con queste parole, Egli si ritirò nella Sua stanza.
“Senza meno, accetterò”
Nel frattempo arrivarono Vashishta e Dasharatha.
Râma, con umiltà, aveva parlato molto del Dharma: “Sono regole del Dharma stesso; questo è ciò che il Dharma insegna. Io lo seguirò, senza minimamente ascoltare gli ordini dei vari individui, anche se li rispetto tutti.”
A queste Sue parole, Vishvâmitra aveva risposto: “Va bene. Questa volta Râma non deve essere forzato”, e non aveva insistito oltre.
Dopo tre giorni, tutti gli invitati giunsero da Ayodhyâ; arrivò anche Vashishta. Quando s’incontrarono, Vashishta si avvicinò a Râma e Gli chiese: “Domani, alle 8, verrà celebrata la funzione. Hai accettato?” “Chiamate Mio padre”, disse Râma.
Dasharatha arrivò e affermò: “Figlio, siamo tutti venuti qui per il Tuo matrimonio. Siamo tutti felici.”
“Se le cose stanno così, se Mi avete dato il permesso, accetterò senz’altro”, rispose Râma.
(A questo punto Swami parla di quando Dasharatha fu costretto a mandare in esilio Râma, il quale disse: – N.d.T.) “Solo una cosa ho rifiutato: quella di essere incoronato (re di Ayodhyâ), anche se Mio padre lo vorrebbe. E non ascolterò nemmeno se Me lo ordinerà guru Vashishta. Sono determinato a seguire gli ordini di Mio padre (di andare nella foresta); devo eseguirli. Se invece seguo i vostri suggerimenti, gli mancherò di rispetto. Non farò mai una cosa simile. Non voglio questo regno; non voglio questa incoronazione. Vado nella foresta.” Questo è ciò che Râma disse. Anche per quanto riguardava il matrimonio, Râma obbedì al padre.
Râma non rivolse sguardi a Sîtâ
La cerimonia iniziò e il telo venne sollevato. Prima di quel momento, i due sposi non dovrebbero guardarsi. È solo dopo la sua rimozione che la ragazza dovrebbe guardare il ragazzo e il ragazzo dovrebbe guardare la ragazza. Râma non era il solo a esser grandioso: anche Sîtâ era altamente virtuosa. Infatti i due non si guardarono nemmeno quando il drappo fu rimosso. Dove guardava, Râma? Per terra.
Vashishta intervenne: “Mio caro, Sîtâ è Bhûjâta. Tu stai guardando la terra, ma non colei che dalla terra è nata.” Ma Râma continuò a non guardare. Perché? Perché la cerimonia di matrimonio non si era ancora conclusa: Râma ammoniva: “Prima che il rito sia terminato, è un terribile peccato guardare le donne.” Questa era la Sua determinazione! A matrimonio concluso, si fecero avanti anche i genitori e, in virtù delle loro sollecitazioni, Râma guardo Sîtâ. I voti dei grandi esseri erano voti talmente sacri!
Si dovrebbe avere il diritto di (intraprendere) qualunque cosa. Se il marito è altamente virtuoso, ma la moglie no, è tutto inutile; non va bene neanche se la moglie è virtuosa mentre il marito non lo è. Le persone virtuose dovrebbero avere (sposare) persone virtuose. Una persona dal carattere nobile dovrebbe avere (sposare) una persona dal carattere nobile.
Râma aveva una tale determinazione da fare quel voto (di non guardare Sîtâ). Perché? Perché non aveva ancora legato il mangalasûtra (al collo della sposa). (Il Suo criterio era:) “Prima che il mangalasûtra sia legato, ella non è Mia moglie. Prima di allora Sîtâ è come una madre.”
“Non Mi chinerò”
Bene. Portarono le ghirlande e gli sposi se le misero reciprocamente al collo. Sîtâ e Râma, invece, non lo fecero. Per quale motivo? È la sposa la prima a dover mettere la ghirlanda intorno al collo dello sposo. Ma Sîtâ stette a lungo con la ghirlanda in mano.
Poverina! Râma non voleva chinare il capo.
Vishvâmitra Gli si avvicinò e disse: “Chinati.”
Rispose Râma: “Gurujî, se Mi chino davanti a una donna di fronte a una assemblea tanto vasta, che ne sarà del Mio rispetto? Che cosa accadrà al rispetto che hanno per Mio padre? Non Mi chinerò. Non lo farò. E nemmeno le metterò la ghirlanda prima che ella l’abbia messa a Me.” Il loro dialogò andò avanti così.
Pensando che Lakshmana fosse il giusto sûtradhari (il direttore di scena) della situazione, Râma gli disse sottovoce: “Lakshmana, fallo.” Che cosa vuol dire? Râma chiese a Lakshmana di sollevare un po’ il suolo sul quale poggiava Sîtâ. Lakshmana possedeva un’intelligenza acuta.
“Avrebbe potuto una scimmia (Hanuman) attraversare l’oceano?
Avrebbe potuto (Krishna) essere legato a una macina?
Lo avrebbe, la Dea Lakshmî, amato?
Lo avrebbe, Lakshmana, servito?
Lakshmana, dall’intelligenza sottile,
dopo aver osservato e indagato dappertutto, si sarebbe a Lui inchinato?
Com’è grande la devozione per Râma!”
Nessuno uguagliava la devozione che Lakshmana aveva per Râma. Egli Gli aveva offerto tutto il suo cuore. Tuttavia, a quella particolare richiesta, Lakshmana rispose: “Non è possibile.”
“Qual è, allora, il giusto stratagemma per questa situazione?” domandò Râma.
“Lascia fare a me. Stai tranquillo”, rispose Lakshmana.
Così dicendo, Lakshmana si buttò a terra e cadde ai piedi di Râma, rimanendo fermo in quella posizione. Pensando: “Perché Lakshmana è caduto così?” Râma si chinò per risollevarlo. In quell’istante Sîtâ Gli mise la ghirlanda al collo. (Applausi).
Râma non avrebbe spontaneamente chinato il capo, in un comune gesto naturale. Quando, però, per rialzare Lakshmana, lo fece, Sîtâ, con intelligenza sottile e destrezza nel calcolare i tempi dell’azione, colse l’occasione per metterGli la ghirlanda al collo. (Applausi). Mariti e mogli di questo stampo erano fatti gli uni per le altre. Ognuno ottiene la persona delle sue stesse capacità. Allo stesso modo, se si desidera ottenere Dio, bisognerebbe essere di qualità consona a Lui. Dovremmo, pertanto, ottenere l’energia adeguata a realizzarLo. Questa è vera spiritualità.
L’essenza delle Upanishad
Anche le Upanishad e la Gîtâ lo dicono. Hai ottenuto la Grazia di Dio? Vien detto che, se conoscerai l’essenza delle Upanishad, tutto sarà sotto il tuo controllo. L’incarnazione delle Upanishad (Dio), dunque, sarà ottenuta solamente da coloro che comprendono bene la natura delle Upanishad stesse.
Qual è la forma delle Upanishad? È Râma, Krishna, Govinda o Nârâyana? Nessuno di loro. Non esiste forma per questa energia. Oggi, Navarâtrî (Dasara), è la manifestazione di tale energia, è la forma manifesta della Saggezza: Shiva Shakti. Non esiste altro, se non la Saggezza totale. Non ve n’è penuria alcuna.
Se vogliamo vedere questa sacra energia divina (shakti), dovremmo innanzitutto ottenere un’energia sacra. Se si ottiene solo una grazia impermanente, non saremo in grado di raggiungere tale shakti né di trattenerla. Non dovrebbe esserci niente di temporaneo, ma solo devozione permanente e una fede salda e incrollabile. In noi dovrebbe entrare la purezza. Bisognerebbe ottenere quello stato privo di attributi. Elimina l’egoismo; solo così vedrai questa divina shakti. Domani, perciò, parleremo del potere della shakti in modo tale che possa essere compreso. Oggi abbiamo cominciato a spiegare l’essenza delle Upanishad, anche se, in verità, nessuno può dire che tale essenza sia in questo o in quel modo. È comunque una grande fortuna anche solo ascoltare questo argomento.
Incarnazioni dell’Amore!
Tu non lo sai. Nessuno può riconoscere il potere e gli effetti dei mantra che i bramini recitano durante lo yajña. I bramini che li recitano qui, nella nostra Prashânti Nilayam, possiedono cuori molto sacri.
Ti faccio un piccolo esempio.
A mezzogiorno tutti sono andati a pranzare; tuttavia il Saptâ (Sahasra) Lingârchana è continuato. Infatti, finché tale rituale non è stato completato, il sacerdote non si è alzato (dal suo posto). Un altro sacerdote ha recitato il Mahâ Bhâgavata e anche Egli non si è mosso, mentre tutti gli altri sono andati a mangiare. È rimasto sul luogo anche il bramino che recitava il Veda Pârâyana ( l’accurata e solenne declamazione dei Veda – N.d.T).
Tutti loro hanno detto agli altri sacerdoti: “Andate avanti. Noi arriveremo quando la cerimonia sarà conclusa.” Ognuno di loro ha affermato che, finché ciò a cui si erano votati non si fosse concluso, non si sarebbero mossi. Così, chi recitava il Sahasra Lingârchana, è rimasto seduto lì fino alle 14!Poiché sono venuti qui questi bramini dalla mente tanto pura, ogni mantra ha acquisito un significato davvero sacro.
È una grande fortuna poterli anche solo ascoltare
È una grande fortuna riconoscere il significato profondo contenuto in questi mantra. Tuttavia, anche se non li si capisce, è una grande fortuna poterli anche solo ascoltare. Ho detto che l’ascolto dei mantra è una delle vie (della devozione). Dall’ascolto (shravanam), i mantra vanno in profondità, fino alla fusione.
Shravanam (l’ascolto delle storie di Dio);
Kîrtanam (il canto della Gloria di Dio);
Vishnu Smaranam (il canto del Nome di Dio);
Pâda Sevanam (il servizio ai Piedi di loto);
Vandanam (rendere omaggio a Dio);
Archanam (l’adorazione);
Dâsyam (l’essere servo di Dio);
Sneham (l’amicizia con Dio);
Âtma Nivedanam (l’abbandono).
Quando si raggiunge lo stato di sneham, l’amicizia, automaticamente arriva âtma nivedanam, l’abbandono. Finché non si raggiunge lo stato d’amicizia, non è possibile abbandonarsi. Dovremmo, quindi, compiere sâdhanâ con l’intento di diventare amici di Dio e questo ha inizio con shravanam, l’ascolto, grazie al quale nascono i sentimenti (d’Amore). In ogni rituale e in tutto ciò che facciamo qui, sono presenti sentimenti sacri. L’obiettivo non è quello di compiere anche noi dei rituali perché lo fanno gli altri. Il nostro yajña è fatto con tyâga (il sacrificio) totale. Non abbiamo alcun desiderio, nessuna aspirazione per il frutto dell’azione; non abbiamo assolutamente nessuna aspettativa. È solamente per il benessere del mondo, per il bene e la gioia di tutti. Ognuno dovrebbe colmare il cuore! (Applausi). Compiamo questo yajña allo scopo di riempire i cuori.
Alcuni compiono lo yajña pensando: “Lo yajña serve a rimediare alla carestia e alla siccità che hanno colpito la nazione”, ma Io non presterò attenzione a niente del genere. Che cosa sono queste siccità? Cose che vanno e vengono. Non agirò, dunque, in base a pensieri tanto insignificanti.
Qualunque cosa venga compiuta, dovrebbe mirare a risultati permanenti, mirare a risultati veri ed eterni, essere sacra, esser fatta in modo tale da originare merito.
Possiate, domani, ascoltare (circa la) natura delle Upanishad e il suo profondo significato.
(Baba conclude il Discorso cantando il bhajan: “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi…”)
Prashânti Nilayam, 11 ottobre 2002
Sai Kulwant Hall
Festività di Dasara
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