L’uomo superficiale si sofferma sul mondo esteriore;
l’uomo saggio contempla Vishnu.
Il primo diventa un uomo del mondo;
il secondo realizza il Divino.
Ascoltate, o coraggiosi figli dell’India!
Incarnazioni d’Amore,
L’uomo non è consapevole di essere l’incarnazione vera e propria di Essenza, Coscienza e Beatitudine (Sat-Cit-Ânanda) e si trova quindi a cercare la pace nel mondo fenomenico. Ciò accade perché egli considera il mondo fisico come la realtà ultima, dimenticando la sua vera natura che è divina. Questo è un segno di ignoranza. Quando la sua visione viene invece rivolta verso Dio, allora questa ignoranza scompare.
Molte persone desiderano ardentemente Dio, Lo venerano e meditano su di Lui, ma Dio non può esser realizzato in nessuno di questi modi. Infatti, tutti questi esercizi non fanno altro che separare quelle stesse persone da Lui. Quello di cui c’è bisogno è il senso dell’unione. In che modo Lo si può ottenere? Coltivando il sentimento: “Tu ed io siamo uno”. Questa unità con il Divino supera la comprensione della mente e dei sensi. Solamente l’Intelletto (Buddhi) è in grado di sperimentare ciò che va oltre i sensi.
Per realizzare l’unità col Divino non occorre far penitenze o recitare preghiere, oppure intraprendere altre austerità. L’Amore, da solo, è sufficiente. Questo è il messaggio che il Vedanta insegna.
Âdi Shankara, durante un viaggio attraverso il Paese, intrapreso per diffondere il Non-dualismo (Advaita), incontrò il grande erudito dei Veda Mandana Misra. Volendo intavolare un dibattito filosofico, essi si trovarono a dover scegliere un giudice che decretasse chi dei due avesse avuto ragione alla fine della discussione. Âdi Shankara, che conosceva passato, presente e futuro, scelse la moglie di Mandana Misra, Ubhayabhârathi, donna capace di andare oltre i propri attaccamenti personali. Il dibattito ebbe inizio e Shankara vinse. Subito dopo il verdetto, Mandana Misra decise di abbandonare ogni legame terreno per dedicarsi interamente alla contemplazione del Signore (sannyâsa) e lo stesso fece sua moglie che diventò una rinunciante.
Lezione per un sadhu
Ubhayabhârathi fondò da sola un ashram che accettava come discepoli solo donne. Un giorno, accompagnata da alcune di esse, si incamminò verso il Gange per fare un bagno. Lungo il sentiero, vide un sadhu vestito di abiti color ocra che si riposava sotto un albero con la testa appoggiata su un vaso per acqua. L’uomo era un rinunciante solo esteriormente, non nel profondo del cuore. Egli teneva il recipiente in quel modo, per paura che cadendo addormentato, qualcuno potesse portarglielo via.
Affinché il sadhu potesse apprendere un’autentica lezione sulla rinuncia, Ubhayabhârathi si rivolse alle donne che erano con lui, parlando a voce alta: “Signore, guardate l’atteggiamento di rinuncia di quest’uomo! Non è riuscito a liberarsi dall’attaccamento verso quell’inutile vaso ed è preoccupato che qualcuno glielo porti via”.
L’uomo, udendo quelle parole, si adirò e quando Ubhayabhârathi fu di ritorno dal bagno nel fiume, gettò a terra il recipiente in direzione della donna. Questa allora esclamò: “Che peccato! Pensavo che il sadhu fosse solo vittima dell’ attaccamento, invece ha anche un grande senso dell’ego. Se non fosse stato così pieno di ego, avrebbe forse lanciato verso di me quel recipiente?”.
Ella stava in piedi davanti al sadhu, e gli disse: “Il tuo egoismo cresce insieme al tuo attaccamento. Questo non si addice al vestito che indossi. Non puoi considerarti un rinunciante finché sarai gonfio di egoismo e di attaccamento. Liberati dall’attaccamento che nutri verso il corpo e sviluppa piuttosto quello verso l’Atma”. Impartì questa lezione in modo sereno e convincente.
Non esistono distinzioni di sesso, casta o credo nell’ambito della saggezza.
Udendo le parole di Ubhayabhârathi, il sadhu si precipitò verso di lei inginocchiandosi ai suoi piedi e, implorando il suo perdono, esclamò: “O Madre, ho condotto una doppia vita perché non ho mai trovato nessuno che mi insegnasse la verità nel modo in cui l’hai fatto tu. Da ora in poi tu sarai il mio guru”.
La grazia del Signore
Nella vita umana, molti seguono forme differenti di esercizi spirituali.
Qualsiasi abito color ocra essi vestano,
qualunque sacra ghirlanda di fiori essi indossino,
per quanto velocemente possano far scorrere i grani del rosario,
alla fine dovranno venire da Baba.
Essenziale è la Sua grazia
a qualsiasi rango essi appartengano.
Solo la Sua grazia può redimervi.
(Poesia telugu)
Sono molte le persone che praticano esercizi spirituali di vario genere. È forse attraverso questi che si può ottenere la grazia divina? State cercando il sentiero che vi indichi come conquistare l’Amore di Dio? Troverete la risposta quando indagherete scrupolosamente dentro voi stessi.
Tra le nove forme di devozione, la prima fra tutte è quella di coltivare l’amicizia con Dio (sakhya); la totale resa al Divino ne sarà la diretta conseguenza.
Santificare il corpo
Un grande devoto si doleva del fatto che le sue membra ed i suoi organi fossero totalmente inutili, a meno che non venissero usati per servire il Divino, per vedere il Divino o per ascoltare le glorie del Divino. Il santo Surdas si espresse allo stesso modo quando disse che il dono della vista sarebbe privo di valore se gli occhi non si dedicassero a guardare la bella forma del Divino. Coloro che attraverso le orecchie non ascoltano i canti che rendono gloria al Signore, potrebbero anche essere sordi. (Swami ha intonato alcuni canti che deplorano lo stato penoso di coloro che non usano gli organi, donati loro da Dio, per sperimentare il Divino). Per potersi considerare esseri umani autentici è necessario utilizzare tutti i propri sensi e le proprie membra per propositi sacri e non per scopi di altro genere.
L’uomo di fede non ha bisogno di preoccuparsi di chi si prenderà cura di lui se dedicherà tutto il suo tempo a pensieri divini. Il Signore, che provvede a tutto, si prenderà cura dei Suoi devoti. Purandaradasa (1), nei suoi canti, proclamò con enfasi questa fede in Dio.
Il potere del Divino
Quanti comprendono le meraviglie della creazione divina? C’è un pulcino all’interno dell’uovo. Da un minuscolo seme nasce un albero di proporzioni gigantesche. L’essere umano nasce da un altro essere umano. Chi è il responsabile di tutto ciò? Solamente la volontà divina. Gli uomini ottengono la maggior parte dei loro risultati senza riconoscere che dietro di essi si celano i poteri miracolosi del Divino.
Guardate quello che sta accadendo qui. Per quale motivo arrivano in questo ashram persone dall’Australia, dall’Argentina e da tanti altri paesi? Che tipo di potere li attira fin qui? Verrebbero in questo posto senza il potere del Divino?
Tyâgarâja (2) glorificò in una canzone il potere divino di Râma. Tale potere aveva permesso ad Hanuman di superare d’un balzo l’oceano ed indotto Lakshmana e Bharata a venerare Râma.
E’ lo stesso divino potere magnetico che, come una calamita, attira gente da ogni parte del mondo e la conduce qui da Swami.
Una lezione per Hanuman
In questo contesto, Swami ha raccontato la storia del desiderio di Râma di installare un lingam di Shiva prima di partire verso sud alla ricerca di Sîtâ. Egli aveva chiesto ad Hanuman di portargli, entro un certo periodo di tempo, un lingam dall’Himâlaya. Hanuman però ritardava e così lo stesso Râma creò un lingam ed eseguì la cerimonia dell’installazione. Hanuman, che adorava Râma più di qualsiasi altra divinità, con noncuranza gettò via il lingam.
Più tardi, mentre stava camminando, Râma urtò un sasso con il piede e sembrò aver perso l’equilibrio, tanto che Lakshmana Gli chiese che cosa fosse successo. Râma replicò che era stato solo un piccolo sasso ad averLo fatto inciampare. Hanuman allora si fece avanti dicendo che avrebbe rimosso la pietra affinché nessun altro potesse inciamparvi. Râma intimamente, voleva mettere alla prova Hanuman allo scopo di insegnargli una lezione e, rivolgendosi a lui, osservò: “Hanuman, tu sei in grado di muovere le montagne. Per quale motivo ti preoccupi di questo piccolo sasso? Non è sua la colpa di quanto è accaduto; quando camminerò starò più attento”.
Hanuman, tuttavia, era ben deciso a spostare il sasso, segno questo della sua natura scimmiesca. Provò così a spostarlo con la mano sinistra, ma non ci riuscì. Poi usò tutta la sua forza, ma non accadde nulla. Sorpreso, chiese a Râma: Signore, che mistero è mai questo?” Râma rispose: “Oh! Non è niente” e, facendo un passo avanti, sollevò con il dito del piede il piccolo sasso lanciandolo lontano. Quel sassolino era il lingam che Hanuman aveva buttato via. Improvvisamente il lingam cominciò a risplendere e la sua luce entrò in Râma, il quale, pieno di splendore, trasferì a sua volta la luce al lingam. In questo modo, Râma aveva voluto dimostrare ad Hanuman che tra Lui e Shiva non esisteva alcuna differenza. Insegnò così come Vishnu e Shiva debbano essere adorati allo stesso modo.
Oggi le persone hanno delle preferenze riguardo alle divinità da adorare: Râma, Krishna, Shiva, Sai e così via. Perché continuate a prediligere queste differenze? Dio è uno. Nomi e forme differiscono solo perché esistono diversità di gusti, ma il Divino è uno soltanto. Quando svilupperete il sentimento di unità spirituale con tutti gli esseri diverrete una sola cosa con Dio.
Studenti, Dio non è distante da voi. Non alimentate l’idea insensata che se Lo adorate, Egli apparirà dinanzi a voi. OffriteGli voi stessi e, immediatamente, Lo sperimenterete dentro di voi. Non c’è bisogno di alcun altro tipo di penitenza.
La verità è Dio. La saggezza è Dio. Tutto è Dio.
Swami ha concluso il Discorso con il bhajan: “Sathyam, jñânam, anantham Brahma!”.
Prasanthi Nilayam, Sai Kulvant Hall, 5 Settembre 1996
da: Mother Sai n° 2/1997