25 Giugno 1996 – La compagnia dei buoni

25 Giugno 1996

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La compagnia dei buoni

Incarnazioni dell’Amore,

se il sentimento ed il pensiero che stanno dietro un’azione sono buoni, otterrete risultati positivi; se, invece, sentimento e pensiero sono cattivi, avrete sicuramente risultati negativi.

La mente è un’accozzaglia di pensieri. Le nostre azioni si basano sui pensieri che alimentiamo. Gioie e dolori sono il risultato delle nostre azioni. Il termine manusha (uomo) deriva da manas (mente). Chi possiede una mente è un uomo. Anima (Âtma), ego (aham), mente (manas) e parola (vâk) sono correlate. Solo quando fra di esse esiste armonia, l’uomo riesce a manifestare la propria divinità. Il corpo è il tempio di Dio. Come in una famiglia tre fratelli che si sentano uniti fra di loro raggiungono qualsiasi obiettivo, così l’uomo può riuscire in ogni cosa se in lui pensiero, parola ed azione sono in perfetta consonanza.

Ratnâkara (vero nome del saggio Vâlmîki) era un ladro di strada, che era solito derubare ed uccidere i viaggiatori per procurarsi da vivere. Un giorno si imbatté nei sette saggi; tentò di ucciderli, ma non vi riuscì. Essi gli consigliarono di abbandonare quel tipo di vita e di diventare onesto. Gli dettero anche da cantare, come mantra, il nome di Râma. Dopo aver visto, avuto contatto ed ascoltato i saggi, un assassino dal cuore di pietra come Ratnâkara subì una trasformazione. Cantando continuamente il nome di Râma, egli arrivò a scrivere i versi del Râmâyana. Il nome di Râma, come protettore del mondo non sarebbe stato ovunque conosciuto se Vâlmîki non avesse scritto il grande poema epico. Capite, dunque, quanto sia importante frequentare buone compagnie: questo condurrà alla liberazione mentre si è ancora in vita (Jîvanmukti).

Non esistono poteri che non siano dentro l’uomo. Una volta che egli sia stato purificato di tutti i propri errori, otterrà la beatitudine. Oggi l’uomo ha perso il potere della fede. Mai nessuno ha mandato in rovina qualcuno solo perché questi aveva fede. Possono esserci stati alcuni che hanno perso tutto perché non credevano, ma non una sola persona è mai stata messa da parte solo perché aveva fede in Dio. Noi, magari, crediamo a qualche sconosciuto erudito che prepara il calendario con l’indicazione delle festività, facendoci notare, ad esempio che il tal giorno è Ekâdashî e noi, in quel giorno, manteniamo tutti i nostri buoni propositi; oppure ascoltiamo qualcun altro che ci invita ad osservare le feste comandate come la domenica. Non siamo però pronti a credere ai Veda che affermano grandi Verità come: “Tu sei Quello” (Tat tvam asi) o “Io sono Dio” (Aham Brahmâsmi).

Un giorno Mîna, la figlia di Nana (un sincero devoto di Shirdi Baba) si trovò in preda alle doglie che precedevano il parto. La ragazza continuò a soffrire per tre giorni, ma il bambino non nasceva. Nana, intanto, pregava continuamente davanti al ritratto di Baba. Il collegamento fra Dio e il devoto è più veloce di un telegrafo senza fili. Baba chiamò una persona di nome Bhan, e gli chiese di precipitarsi al villaggio ove abitava Nana con la udi. Bhan, però, era perplesso e disse a Baba di aver con sé solo due rupie, che gli sarebbero servite a mala pena per il viaggio fino a Jalgaon, a trenta miglia di distanza dal villaggio di Nana.

Il maestro allora disse: “Non preoccuparti. Abbi fede in me e vai. Mi occupero Io di tutto”. Avendo fede nella parola di Baba, Bhan prese il treno ed arrivò a Jalgaon. Era l’una e trenta di notte. A quel punto, egli si chiese come avrebbe potuto raggiungere il villaggio di Nana. Ad un tratto, vide un uomo alto, elegante e di bella corporatura giungere in stazione e chiedere di un certo Bhan proveniente da Shirdi. Bhan si presentò e lo sconosciuto lo condusse ad una carrozza trainata da cavalli. Il viaggio fu veloce e confortevole e, in men che non si dica, lo sconosciuto potè indicare la casa di Nana a Bhan.

Allora egli si avvicinò all’abitazione e, quando si voltò per chiedere spiegazioni, non vide più né la carrozza né l’uomo. Entrò allora nella casa, si presentò a Nana, gli porse la udi e lo ringraziò per avergli mandato la carrozza. Nana rimase meravigliato, poiché, non era a conoscenza del fatto che qualcuno venisse da Shirdi; né aveva inviato carrozze per alcuno. Mettendo poi da parte ogni dubbio e ringraziando Baba per l’aiuto tempestivo, Nana si precipitò in casa per dare il prasad alla figlia.

Piangendo di gioia, cominciò a cantare le lodi di Baba davanti al Suo ritratto e, poco dopo, udì il vagito di un neonato. Dopo tre giorni, Nana e Bhan si recarono a Shirdi. Sopraffatto da un senso di gratitudine e di grande rispetto, Nana si mise a cantare di fronte a Baba: “Potremo mai conoscerTi, o Baba? Tu sei più piccolo dell’atomo e più potente dell’infinitamente potente. Tu sei l’Abitatore di 8,4 milioni di specie”. Non solo gli disse questo, ma lo chiamò “grandissimo ladro”.

Chiunque di noi venisse chiamato ladro, si offenderebbe; in questo caso, però, il significato era diverso. Quando si è colmi d’amore per Dio Lo si chiama “Ladro delle menti” (Cittachora). Si dice che Dio sia amante della musica. Se Gli cantate una lode invece che declamarGliela in prosa o in poesia, l’effetto sarà completamente diverso. Questo perché nel canto il cuore e l’anima vengono maggiormente impegnati.

Il nome di Râma è così efficace e potente che può sciogliere il cuore e persino la pietra. Cantando in continuazione il nome di Râma, Ratnâkara si dimenticò di tutto, tanto che un termitaio gli crebbe intorno. Poiché egli uscì fuori da un termitaio (vâlmîka) divenne noto col nome di Vâlmîki. Egli fece cantare ai figli di Râma, Lava e Kusha, la storia di Râma, proprio alla Sua divina presenza fisica. Tutto ciò fu possibile per grazia dei sette saggi. L’incontro con loro cambiò profondamente la vita di Ratnâkara. Gli studenti dovrebbero cercare la compagnia di anziani saggi come questi. Prima di tutto, essi dovrebbero ricordare che i genitori sono uguali a Dio, poi estirpare i pensieri negativi dal proprio cuore, rendendolo così, per Dio, una dimora degna. Il cuore non è un divano a due posti, né un luogo ove avvengano giochi di salotto. Esso serve solo come dimora del Divino.

Si dovrebbe sempre discernere fra pensieri buoni e cattivi. Mentre Râvana, essendo stato colpito dalla divina freccia di Râma stava morendo, tutti i saggi e i santi del tempo gli si fecero attorno per fargli pronunciare parole di saggezza, dato che era alla fine. Râvana fu uno dei più grandi scienziati ed eruditi di quel tempo. Grazie alla vicinanza di tanti uomini divini tutti i sentimenti migliori uscirono da lui. Infatti egli accettò la presenza dei santi uomini e consigliò loro due cose: “Non esitate ad agire dietro l’impulso di un pensiero buono. Compite immediatamente quanto esso vi suggerisce. Io avrei voluto cambiare l’acqua salata del mare in acqua dolce, avrei voluto alleviare le sofferenze di tutti coloro che si trovano all’inferno. Tuttavia, ho sempre rimandato, pensando che avrei potuto agire più avanti. Ora sto esalando l’ultimo respiro senza aver compiuto né una cosa né l’altra. Rimandate solo quando vi sorgono brutti pensieri. Quando siete certi che i pensieri che state alimentando sono negativi, cercate di non farveli venire più”.

Voi, o studenti, siete i futuri cittadini di questo Paese. Concentratevi ora sul vostro carattere: senza di esso la vita è sprecata, solo grazie ad esso diventerete dei capi. Solo questo potrà dar carattere anche alla nazione. Colui che non è fiero del proprio Paese, della propria lingua e della propria religione è come un corpo senza vita. Il cuore dovrebbe essere chiuso a tutti i cattivi pensieri, proprio come si chiudono porte e finestre della casa quando elementi indesiderabili come sudiciume, insetti o altri animali cominciano ad entrarvi. La nostra visione (drishti) dovrebbe essere buona. La statua del toro Nandi, che si trova sempre in posizione frontale rispetto a tutte le statue che rappresentano Shiva, è diventata oggetto di rispetto, da parte di tutti noi, perché la sua visione è rivolta verso Dio. Questa è una visione santa (sudarshanam).

Swami ha concluso il discorso con il bhajan: “Govinda Hare, Gopala Hare..”

Corso Estivo 1996

Estratto del Discorso del 25 Giugno 1996

da: Mother Sai – Supplemento 1996