09 Luglio 1996 – L’equanimità è il segno distintivo dell’essere umano

09 Luglio 1996

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L’equanimità è il segno distintivo dell’essere umano

“Un vero devoto è colui che rimane equanime nella felicità e nell’afflizione,
nella prosperità e nell’avversità, nella lode e nel biasimo.”

Esercitate il controllo sul modo di guardare, di parlare e di ridere

Studenti, Incarnazioni dell’Amore!
In questo mondo, bene e male, ricchezza e povertà, lode e biasimo vanno insieme; non può esserci afflizione senza felicità e la felicità non ha valore senza sofferenza.

Na sukhât labhate sukham
Non si può ricavare felicità dalla felicità.

La felicità non deriva dalla felicità; essa consegue solo alla sofferenza. Un uomo ricco può diventare povero domani e un povero può diventare ricco un giorno o l’altro; oggi vi approvano, ma domani potete essere criticati. Considerare la lode e il rimprovero, la felicità e il dolore, la prosperità e l’avversità con mente equanime è il segno distintivo dell’essere umano autentico.

Acquisite l’equanimità

Anche la Gîtâ afferma la stessa cosa: “Si dovrebbe rimanere equanimi nella felicità e nella sofferenza, nel guadagno e nella perdita, nella vittoria e nella sconfitta.” Si può davvero godere della vita come esseri umani soltanto quando si considera il dolore e la contentezza, il profitto e la perdita con equanimità. Se non c’è sofferenza, l’uomo non dà valore alla felicità, per cui, se si vuole sperimentare la felicità vera, si deve accogliere il dolore.

Piacere e dolore, bene e male coesistono, nessuno può separarli;
non potete sperimentare piacere o dolore, bene o male escludendo uno dei due.
Il piacere si manifesta quando le difficoltà danno frutto.”

Anche nella vita quotidiana, noi non daremmo valore al giorno se non ci fosse la notte e viceversa. Comprendere questa verità e agire di conseguenza è molto difficile; la gente che non la capisce desidera soltanto felicità permanente, è preda dell’illusione di poter essere sempre contenta, ma questo non è possibile. Prima di tutto dovreste capire che cosa significhi felicità: soltanto quando si è stanchi di camminare sotto il sole si comprende il valore del riposo all’ombra di un albero. Le persone che chiedono perché l’essere umano debba subire dispiaceri e sofferenze mancano di buon senso. Lo studente che ha parlato poco fa ha detto che l’istruzione moderna non lo ha sviluppato, ma questo non è tutto: essa non impartisce neppure la conoscenza generale. In effetti, nel sistema educativo attuale, sia il buon senso sia la conoscenza generale sono ridotti a zero. Chi desidera il cibo quando non ha fame? Chi compra un condizionatore quando non fa caldo? Solamente coloro che hanno buon senso e conoscenza generale possono capire veramente il valore delle coppie di opposti come felicità e dolore, profitto e perdita, prosperità e avversità. In ogni campo della vita, sia sociale, sia fisico, morale o spirituale, l’uomo può ottenere nome e fama soltanto quando affronta delle difficoltà. Il re Harishchandra sopportò molte difficoltà e sofferenze al fine di sostenere la verità. Ciò avvenne grazie alla sua ferma aderenza al proposito: “Accada qualunque cosa, io non devierò dalla verità”. Egli sacrificò il regno, vendette la moglie e il figlio, e divenne lui stesso un servo per essere coerente guadagnandosi l’eccelso appellativo di Satya Harishchandra solamente dopo aver affrontato difficoltà, angosce e sofferenze enormi. Se non avesse agito così, sarebbe stato ricordato come Harishchandra e non come Satya Harishchandra. Egli sacrificò ogni cosa sull’altare della verità, il che indica una determinazione vera. L’uomo dovrebbe far sorgere in sé una determinazione simile, dovrebbe esser pronto a sacrificare anche la vita per raggiungere lo scopo senza considerare le sofferenze, i dispiaceri e le difficoltà; questa è la caratteristica di chi percorre il sentiero della verità senza deflettere. Voi conoscete la storia del bambino di sette anni di nome Prahlâda che meditava sempre sul Nome di Nârâyana. Suo padre lo sottopose a sofferenze indicibili e cercò perfino di ucciderlo, ma egli affrontò tutto con coraggio e determinazione ottenendo infine la vittoria, e meritò grandi nome e fama per aver sopportato tutte le difficoltà con enorme forza d’animo. Si lasciò mai abbattere dagli impedimenti? La sua determinazione fu mai fiaccata dalle afflizioni? No, no. Egli ottenne la vittoria contro tutti gli ostacoli. Ne deriva che le difficoltà sono la soglia verso una stima e una reputazione elevate e la vera felicità; la gente, però, non accoglie affatto di buon grado i dispiaceri e gli impedimenti e questo è un grosso errore: al fine di comprendere il mistero della vita umana, bisogna sperimentare sia la felicità sia la sofferenza altrimenti non si può mai godere di pace e felicità vere. Dovreste accettare le difficoltà e i dolori al fine di sperimentare la beatitudine senza fine.

Il piacere è un intervallo tra due dolori.

Chi comprende questa verità non sarà mai esaltato dalla felicità né abbattuto dal dolore. Oggi, però, le persone sono disposte a rovinare la loro preziosa reputazione per insignificanti, meschini e momentanei piaceri terreni e miseri conseguimenti esponendosi così al discredito. Questo può esser dovuto all’influenza dell’Era di Kali. Oggi, disgraziatamente, l’uomo rincorre scopi dappoco senza impegnarsi minimamente a ottenere la felicità imperitura. Ecco un piccolo esempio: il proprietario di un autobus da cinquanta posti, che fa servizio da un villaggio all’altro, lo sovraccarica imbarcando settanta persone per guadagnare del denaro in più. Egli può ricavare venti rupie extra in questo modo, ma non capisce che i pneumatici che valgono duemila rupie si rovineranno. Similmente, oggi l’uomo rovina la sua preziosa reputazione per guadagni insignificanti.

Fate un uso sacro dei sensi

Come dovrebbero comportarsi le persone, e i giovani in particolare, per guadagnarsi una buona reputazione? Dovrebbero chiedersi quale sia il modo corretto di usare gli occhi, le orecchie e la lingua e come tenerli sotto controllo. Osservare tutto e tutti semplicemente perché si hanno gli occhi non è opportuno; guardate soltanto ciò che serve guardare. Osservare tutto e tutti è peccato. Che cosa ottenete usando gli occhi in modo non sacro? Le persone cercano un piacere meschino gettando sguardi perversi verso le donne, ma non capiscono quanta reputazione negativa ottengano inseguendo piaceri così spregevoli; questi individui non possono andare in giro a testa alta. Dovreste vedere solamente ciò che vi serve vedere. Non guardate mai ciò che non è necessario. Voi siete tutti giovani e non dovreste pensare diversamente quando Swami vi dice queste cose; rendervi consapevoli delle vie del mondo e mettervi sulla strada giusta è Mio dovere. Supponiamo che un giovane di venticinque anni stia viaggiando con sua sorella che ne ha venti; anche se sono fratello e sorella, vedendo la loro età, la gente può pensare che siano marito e moglie. Vedete voi stessi che cattiva reputazione si facciano viaggiando insieme! Secondo le nostre antiche tradizioni e la cultura di Bhârat, i giovani fratelli e sorelle non dovrebbero viaggiare insieme, dovrebbero evitare di andare al cinema, alla spiaggia e al mercato insieme. Essi dovrebbero andare con i genitori. Nei tempi antichi, la gente si atteneva strettamente a questi princìpi. Prendiamo un altro esempio di un uomo di sessant’anni e una ragazza di sedici che viaggiano insieme: la gente può ritenerli nonno e nipote anche se non lo sono. Quando due giovani, fratello e sorella, viaggiano insieme, le persone si formano idee errate su di loro, mentre nel caso di un uomo anziano che va con una ragazza con intenzioni perverse, la gente li considera nonno e nipote. Non si dovrebbe dar luogo a situazioni di questo tipo. Se dovete viaggiare, fatelo da soli e, se dovete portare vostra sorella, fatevi accompagnare da vostra madre; questo è l’insegnamento della nostra antica cultura. Questi princìpi e metodi puntano a difendere il nome e la reputazione della famiglia nella società, ma, sfortunatamente, il modo di vedere dei giovani d’oggi è macchiato da intenzioni maligne. Questa visione non è dell’essere umano: è quella di un corvo, del tutto instabile e irrequieta. Per il volatile, che ha un becco lungo, è naturale, ma perché dovreste voi guardare di qua e di là se non avete un becco simile? Tenete lo sguardo sempre diritto; una sacra visione simile è del tutto essenziale per i giovani. Essa è definita sunetra e sudarshana (visione buona). Acquisendo questo modo di guardare, otterrete una reputazione elevata.

Esercitate il controllo sul modo di parlare, di guardare e di ridere

Dovete sapere anche come usare la lingua correttamente. È necessario che gli studenti sappiano che cosa dire di fronte a persone diverse, quando possono ridere e quando no. A volte voi cominciate a ridere nel vedere qualcosa di buffo, ma una risata fuori luogo può causarvi un grosso danno. Questo ridere inopportuno fu la causa principale delle difficoltà di Draupadî. Dharmarâja possedeva un palazzo splendido costruito dall’architetto Mâyâ, e quindi chiamato Mâyâ Sabhâ. Esso aveva molte splendide caratteristiche architettoniche. Per esempio, sembrava che ci fossero delle porte dove in realtà non c’erano e dove le porte effettivamente c’erano, non si vedevano. Similmente, il pavimento era tale da sembrare una piscina che invece non c’era e, dove c’era davvero un deposito d’acqua, avreste pensato che ci fosse un luogo asciutto. Duryodhana era pieno di gelosia nel vedere questo palazzo incantevole edificato dai Pândava. Quando vi entrò, non vide la porta che aveva davanti e, camminando deciso, andò a sbatterci la testa, ma fece finta di niente e, preso com’era dalla gelosia e dall’orgoglio, proseguì altezzosamente guardando di qua e di là. Più avanti credette di camminare su un semplice pavimento dove c’era invece una vasca d’acqua e ci cadde dentro. In quel momento, egli udì qualcuno ridere. Chiunque avrebbe potuto provare ilarità nel vedere una situazione simile. Chi aveva riso non era Draupadî, ma i suoi amici; lei non era lì in quel momento, ma, quando li sentì ridere, andò a vedere che cosa stesse accadendo. Sfortunatamente, Duryodhana la vide arrivare e pensò che fosse stata lei a deriderlo, al che giurò di vendicare quell’umiliazione decidendo di umiliarla in piena corte in modo che la gente ridesse di lei. Dovete quindi sapere dove, quando e in che modo ridere. Ci sono due modi di ridere: hasan, che significa fare un sorriso delicato, e prahasan, che indica la risata sonora “haha haha haha!” Quest’ultimo è un modo di fare molto brutto. Supponete che due o tre amici ridano sguaiatamente per strada; la ragione della loro risata può essere qualunque, ma le donne che passano possono pensare che ridano di loro. Non si deve quindi ridere forte, almeno per strada, specialmente quando ci sono donne vicino; in ogni caso, mai ridere delle donne. Nelle città grandi e piccole, ci sono persone che vagabondano davanti ai negozi ridendo delle donne e importunandole quando vanno a far spese; se essi ridono delle donne degli altri, non rideranno gli altri delle loro? Nessuno può sottrarsi alla reazione, al riflesso e alla risonanza delle proprie azioni: tutti devono subirne le conseguenze. Coloro che indulgono in comportamenti così riprovevoli si allontanano da Dio. Per quale ragione? Perché quelli che si fanno una reputazione cattiva con i loro atti malvagi non hanno posto nella vicinanza del Divino. Abbiate quindi il controllo della vostra ilarità e non soltanto di questa, ma anche del dire e del guardare. Dovete sapere che cosa dire e dove dirlo. Ci sono alcuni che cantano canzoni volgari quando vedono delle donne per strada; è affinché cantiate cose così volgari che Dio vi ha dato la lingua? Com’è sacra la lingua e che uso malvagio ne fate cantando volgarità simili! Agendo così, voi rovinate la vostra reputazione e vi esponete a esser derisi dagli altri. Esercitate quindi il controllo del linguaggio, della visione e del risata. Se volete essere rispettati dalla società, dovete comportarvi in modo consono. Se vi comportate bene, anche la vostra reputazione nella società salirà in alto.

Obbedite ai comandi di Dio

L’uomo dovrebbe essere equanime nella lode e nella riprovazione, nel bene e nel male. L’equanimità è il segno distintivo dell’essere umano. Solamente una persona equanime è in grado di salire al livello del Divino, mentre, se si comporta contrariamente alla natura umana, l’uomo scende al livello di un animale. Che cosa significa questo? Egli va in direzione contraria e degenera dal livello umano a quello animale. L’essere umano dovrebbe andare sempre avanti e fare progressi, mai tornare sui suoi passi. Alcuni funzionari ottengono retrocessioni invece che promozioni. Perché? La causa sono i loro difetti. Si ottengono delle promozioni quando si è scevri da difetti. Se in un piccolo ufficio l’uomo ottiene retrocessioni o promozioni come conseguenza del suo comportamento buono o cattivo, quanto più attento dovrà stare se vuol ottenere la grazia divina? Quando prendete il sentiero sacro, Dio vi promuove coerentemente; se fate nascere in voi le virtù, non c’è alcun bisogno che intraprendiate una sâdhanâ per compiacere Dio. Egli Stesso chiama la persona virtuosa dicendo: “Mio caro, Io sono contento delle tue virtù. Vieni!” Non c’è neppure bisogno che Lo preghiate: Egli vi accoglierà. Dovreste obbedire alle ingiunzioni di Dio e maturare una fede sicura e sentimenti sacri; se agite contrariamente alle Sue aspettative e prescrizioni, Egli vi retrocederà invece di promuovervi.

Shâsanam vâchanam iti shâstram
Che cos’è lo Shâstra?
Shâstra è ciò che propone la normativa per la condotta dell’uomo.

Esso dice: “Non guardate niente di malvagio, non ascoltate niente di malvagio e non dite niente di malvagio”, perché per voi non va bene.

Non guardare niente di malvagio; guarda ciò che è buono.
Non ascoltare niente di malvagio; ascolta ciò che è buono.
Non dire niente di malvagio; di’ ciò che è buono.
Non pensare niente di malvagio; pensa ciò che è buono.
Non fare niente di malvagio; fai ciò che è buono.
Questa è la via che porta a Dio.

Questo è il codice di condotta che le Shâstra prescrivono per l’uomo. Se seguite questi princìpi, Dio vi accoglierà; se agite contrariamente a questo codice, vi allontanerete da Lui. Non soltanto vi allontanerete da Lui, ma Egli non vi guarderà neppure in faccia. Perché? Perché Ne violate i comandamenti e quindi perdete la reputazione, la ricchezza e il rispetto della società. Come può Egli avvicinarvi a Sé se non seguite i Suoi precetti? Per prima cosa, dovete quindi generare in voi stessi le buone qualità. Sforzatevi di diventare equanimi. Anche la Bhagavad Gîtâ dichiara:

Samatvam yogamuchyate yoga karmasu kaushalam
L’equanimità è definita vero yoga; la perfezione nell’azione è vero yoga.”

Certe persone potranno criticarvi, ma voi non dovete essere avviliti dalle critiche né esaltati dalla lode. Se in voi non ci sono mancanze, che importanza ha il fatto che gli altri vi critichino? Dovete affrontare la situazione con coraggio pensando: “Io non ho mancanze, quindi perché dovrei essere disturbato dalla critica? Questo non è colpa mia.” Al fine di maturare un coraggio e una convinzione simili, bisogna seguire la strada giusta. A volte gli studenti ridono forte. È vero che certe situazioni li fanno ridere; quando si vedono dei fatti buffi in una commedia, è naturale fare una risata. Il queste situazioni rido anch’Io. Tuttavia, dobbiamo controllare le nostre risate quando siamo in compagnia di altri.

Tale il cibo, tale la testa

Durante la guerra del Mahâbhârata, Bhîshma giacque su un letto di frecce per cinquantasei giorni. Come la sua fine si avvicinò, Krishna condusse lì i Pândava allo scopo di far loro apprendere da lui i princìpi del Dharma. Tutti conoscevano la sua grandezza e saggezza. I grandi saggi sedevano da un lato, e i parenti di Bhîshma dall’altro. I Kaurava erano già morti nella battaglia; la loro malvagità li aveva distrutti, e anche Shakuni e Karna non erano più. Soltanto i cinque Pândava e Draupadî, che li seguiva sempre, erano lì. Vi andò anche Vidura. I Pândava e Draupadî non sopportavano di essere separati e, insieme, offrirono i loro rispettosi omaggi a Bhîshma. Draupadî aveva sempre un grande rispetto per gli anziani; in effetti, ella era nata dal fuoco e anche Krishna lodava molto le sue virtù. Quando qualcuno chiedeva chi fosse la donna più casta (pativratâ), Egli non menzionava Sathyabhâmâ o Rukminî, ma diceva che Draupadî, che aveva dovuto servire cinque mariti, era la pativratâ più grande e, se Gliene veniva chiesta la ragione, Egli spiegava: “Draupadî obbedì rispettosamente ai comandi dei suoi mariti. Ella non avrebbe mai detto ad alcuno di loro di non avere tempo di servirlo e accettava qualunque cosa le accadesse nella vita. Fu esempio supremo di castità e nessuno poté eguagliarla in questo senso.” A quel punto, Bhîshma cominciò a insegnare i princìpi del Dharma ai Pândava. Egli disse: “Dharmarâja! Voi avete vinto la guerra soltanto per grazia di Krishna. Chi pensate che Egli sia? Credete che sia vostro amico e cognato, ma quest’idea vi inganna: Egli è la manifestazione diretta del Signore Nârâyana; non fatevi sviare dalla relazione fisica che avete con Lui. Come siete fortunati di poter conversare con Dio, giocare con Lui e passare beatamente il tempo in Sua compagnia!” Questi insegnamenti di Bhîshma costituiscono lo Shânti Parvan del Mahâbhârata (il 12° libro di tale poema epico – N.d.T.) che mostra all’uomo come comportarsi in situazioni particolari, come affrontarle con coraggio e fiducia e come condurre rettamente la vita di tutti i giorni. Tutti i Pândava ascoltavano con la testa china in segno di umiltà, ma Draupadî non riuscì a trattenersi e rise sonoramente. Questo non intendeva mostrare irriverenza verso Bhîshma: era semplicemente l’espressione dei suoi sentimenti. Mentre Bhîma espresse il suo dispiacere con dei gesti fisici, Dharmarâja le gettò uno sguardo severo e anche Arjuna la guardò con disapprovazione come a dire: “Che cosa significa ciò? Tu manchi di sensibilità e conoscenza generale. Come puoi ridere sguaiatamente alla presenza di tante persone?” Bhîshma, però, comprese il significato recondito della sua risata e disse ai fratelli Pândava: “Vi siete fatti un’idea sbagliata della risata di Draupadî. Ella è persona di grande purezza e non le si possono imputare delle manchevolezze. Non ha riso senza una ragione. Io stesso sono la ragione del suo ridere.” Poi la chiamò amorevolmente vicino a sé e disse: “Per favore, spiega a tutti la ragione della tua risata in modo che possano conoscere la verità e il loro fraintendimento essere cancellato.” Allora ella rispose: “Nonno! Io rispetto sempre le tue parole. Tu hai dedicato la vita al sostegno della Verità e del Dharma. Come potrei ridere di te? Tu eri il comandante in capo dell’esercito dei Kaurava, tu sei quello che li ha allevati dall’infanzia; perché dunque non hai mai dato loro questi insegnamenti? Al contrario, li stai dando ora ai miei mariti che sono l’incarnazione effettiva della verità e della rettitudine. Dove i tuoi ammaestramenti erano necessari non li hai dati e li dai invece dove ce n’è poco bisogno. È per questo che non ho potuto trattenermi dal ridere.” Allora Bhîshma disse: “Sì, è colpa mia. Io ho mangiato il cibo che essi mi servivano e vivo in loro compagnia. A causa del cibo impuro che ho mangiato, tutti i princìpi del Dharma sono stati messi da parte in me e soltanto i sentimenti malvagi sono diventati rilevanti. Ora, tutto il sangue cattivo che avevo se ne è andato grazie alle frecce che tuo marito Arjuna mi ha lanciato e anche i miei sentimenti e pensieri malvagi sono scomparsi con quel sangue. Questa è la ragione per cui, solo adesso, i pensieri e i sentimenti puri emergono da me, ed è il motivo per cui ora posso insegnare il Dharma ai Pândava. È stato il cibo impuro datomi dai Kaurava a rendermi incapace di comunicare questi sacri insegnamenti per tutto questo tempo.” Quindi, il cibo che si mangia influenza moltissimo la mente. Se mangiate cibo impuro, avrete soltanto sentimenti impuri. Bhîshma era uomo di grande saggezza, ma anche la sua mente fu influenzata dal cibo impuro. Com’è il cibo, così è la testa. Bhîshma ammise dunque il suo errore e disse che non c’era colpa nella risata di Draupadî. Tutti i rishi, gli yogî e gli altri presenti compresero la verità del fatto che il cibo che l’uomo mangia ha grande influenza sulla mente. Draupadî aveva tutto il diritto di ridere degli insegnamenti di Bhîshma perché si era sempre comportata con verità e rettitudine; in effetti, ella aveva dedicato tutta la vita a sostenere la Verità e il Dharma.

Siate meritevoli dell’Amore di Dio

Una volta, durante l’esilio dei Pândava, il Saggio Durvâsa andò nel loro eremitaggio con migliaia dei suoi discepoli e chiese del cibo. Egli disse che sarebbero andati a bagnarsi nel fiume vicino e sarebbero poi tornati per mangiare. I Pândava erano angustiati di non poter provvedere a un pasto a quella moltitudine non avendo nulla. Draupadî, temendo la maledizione del Saggio Durvâsa, pregò Krishna di salvarli dalla difficile situazione. Egli apparve immediatamente sul posto e la pregò di darGli qualcosa da mangiare, al che Draupadî rispose: “Krishna, se fossimo in Hastinâpura, io Ti avrei certamente servito un banchetto sontuoso. Purtroppo, noi viviamo in una foresta mangiando radici e tuberi. Che cosa posso offrirTi in questa situazione?” Krishna, allora, le disse di guardare se qualche pezzetto di cibo fosse rimasto nella zuppiera che aveva appena pulito. Ella fece subito come le era stato detto e trovò un pezzetto di foglia appiccicata al recipiente. Krishna mangiò quell’avanzo e, non appena l’ebbe fatto, la fame di Durvâsa e dei suoi discepoli fu saziata ed essi andarono via senza importunare i Pândava. In questo modo, Egli salvò i Pândava dalla maledizione di Durvâsa. Quando voi soddisfate Dio, il mondo intero soddisfa voi; se Dio vi disconosce, anche il mondo vi disconosce. Chi è disconosciuto da Dio non verrà accettato da nessuno; se Dio vi accetta, tutti vi accetteranno. Per questo, quando la fame di Krishna fu soddisfatta, il Saggio Durvâsa e tutti i suoi discepoli si sentirono sazi e, dopo il bagno nel fiume, non tornarono dai Pândava per il cibo. La devozione di Draupadî e il suo senso di abbandono a Krishna non avevano paragoni. Dio Stesso esaltò le sue virtù quando ella sopportò tutte le difficoltà incontrate con forza d’animo. Non occorre che vi sforziate di compiacere una persona o l’altra. Non sprecate la vita correndo dietro a desideri meschini e futili: sforzatevi sinceramente di compiacere Dio. Se fate questo e diventate a Lui cari, il mondo intero diverrà vostro. Anche Tyâgarâja disse: “O Râma! Se ho la Tua Grazia, tutti i nove pianeti diverranno miei servitori.” Al fine di diventare recettori della Grazia di Dio, dovreste trattare con equanimità le coppie di opposti come il piacere e la pena, la felicità e l’afflizione, la lode e il biasimo. Meditate sempre sul Divino Nome del Signore e diventate meritevoli del Suo Amore. Una volta diventati oggetto del Suo Amore, non dovrete temere nulla e dalla vita riceverete tutto. Quindi maturate l’equanimità e sforzatevi di meritare la Grazia Divina.

(Baba ha concluso il Discorso con il bhajan: “Govinda Gopâla Prabhu Giridhârî…”)

Prashânti Nilayam, 9 luglio 1996, Sai Kulwant Hall

(Da “Sanâtana Sârathi”, luglio 2011)