Incarnazioni dell’Amore,
l’uomo egoista non sarà mai amato da nessuno, perché tutti disapprovano l’ego; però, nonostante ciò, questo ego è presente in tutti. Oggigiorno si verifica che i cuori degli uomini esultano nello scovare i difetti del proprio prossimo legati all’ego, nonostante essi stessi ne siano pieni. L’ego è una qualità demoniaca.
L’uomo carico d’ira si crogiola nella meschinità. Il giorno in cui abbandonerà questa qualità negativa sarà felice e pieno di beatitudine. Anche l’ira è una qualità demoniaca.
Finché siamo pieni di desideri, rimaniamo lontani dalla felicità. Finché mantiene vivi i desideri, l’uomo è tagliato fuori dalla beatitudine. L’eccesso di desideri è una qualità demoniaca.
L’avaro non è mai felice, ma il giorno in cui riuscirà a recidere la sua avidità, saprà che cos’è la gioia. L’avidità è una qualità demoniaca.
Narakâsura possedeva queste quattro caratteristiche demoniache, cioè l’ego, l’ira, l’avidità e il desiderio.
La vita umana è la cosa più nobile che ci sia. Perché e in che modo questa vita umana è così sacra? Essa è la scintilla divina, presente in ogni creatura vivente, che si manifesta soprattutto nel genere umano, rendendo la vita dell’uomo la cosa più rara e nobile. Infatti il principio atmico può essere compreso solo dall’uomo e non dalle creature viventi.
La vita umana con i suoi involucri, ha le seguenti forme di saggezza: annamayakosha, prânamayakosha, manomayakosha, vijnânamayakosha, ânandamayakosha.
L’essere umano dovrebbe passare da vijnânamayakosha, l’involucro della saggezza, ad ânandamayakosha, l’involucro della beatitudine; questo significa che l’uomo dovrebbe procedere dall’involucro del cibo, annamayakosha, a quello della beatitudine. Invece egli, in realtà, inizia il suo viaggio dall’involucro del cibo (corpo) e si ferma a quello della mente (manomayakosha). Dato che non capisce che cosa sia la saggezza, come può aspettarsi di conoscere la beatitudine?
La vita umana è considerata tanto nobile e sacra proprio grazie alla saggezza che sboccia e si manifesta nell’essere umano; prima di questa, c’è l’involucro mentale.
L’involucro della mente è davvero misterioso. Giacché tutto è contenuto nella struttura mentale, come possiamo aspettarci di ottenere la beatitudine dal momento che pensiamo? La mente è una scimmia che non ci permetterà mai di provare tranquillità; essa non è mai stabile, in nessuna occasione. A causa di questa natura perversa della mente, l’uomo non può provare lo stato di beatitudine e saggezza.
I tre attributi, detti anche i tre guna, sono legati all’illusione.
Completamente travolto da queste inclinazioni, l’uomo si ritrova in balìa degli attaccamenti e sperimenta la sofferenza e la disperazione. Come i tre guna, sattva, rajas e tamas, sono legati alla mente, così anche gli attaccamenti sono vincolati a queste tre qualità e, a causa loro, noi sperimentiamo vari livelli di sofferenze.
I guna vengono sperimentati quotidianamente. Come? Se indaghiamo minuziosamente, capiremo quanto ne siamo influenzati. L’attaccamento ai figli, l’attaccamento alla moglie, l’attaccamento ai soldi: essi derivano dalla stessa fonte di attaccamento chiamata moha. Questi tre attaccamenti mentali sono un enorme ostacolo per l’uomo che vuole ascendere ad altezze superiori. Una volta che siamo riusciti a eliminarli, moha si trasformerà in Moksha, l’eliminazione dell’attaccamento. Moha diventerà Moksha, la Liberazione.
Perciò, l’uomo deve fare ogni sforzo possibile per ridurre questo attaccamento ai figli, alla moglie e al denaro. Nonostante egli si sforzi di ridurre gli attaccamenti, la loro influenza cresce sempre più e ogni suo tentativo risulta vano; infatti è l’uomo stesso a crearsi questa influenza degli attaccamenti.
Orgoglioso com’è della nascita del proprio figlio, in che modo può l’uomo eliminare un simile attaccamento? Questo sentimento, tuttavia, cresce e aumenta solo dopo la nascita del figlio. Prima del matrimonio, dov’era in voi l’attaccamento per vostra moglie? Tale attaccamento nasce solo dopo il matrimonio! Per mantenere questi due attaccamenti, l’uomo se ne crea un terzo, che è quello per i soldi.
Questi tre attaccamenti, dunque, non sono naturali in noi, in quanto non ce li portiamo fin dalla nascita, ma sono un qualcosa creato da noi stessi.
La disperazione, il dispiacere, le preoccupazioni, i problemi e le difficoltà sono cose che l’uomo provoca da sé: sono una sua creazione. Infatti essi sono sostenuti sia da fattori interni, che da cause esterne.
Quando riempite un recipiente con dell’acqua e poi lo ponete nell’acqua stessa, troverete che l’acqua è sia dentro che fuori il recipiente medesimo. Allo stesso modo, quando sviluppiamo la Divinità sia dentro che fuori di noi, riusciamo a vedere il Divino che pervade ogni cosa; così, quando vi chiedete: “Dov’è Dio?”, dovete rispondere che Egli non è solo all’interno di voi, così come non è solo all’esterno. Non potete limitare la Divinità e confinarla ad un particolare posto o situazione: è un grosso segno di ignoranza circoscrivere Dio. Infatti in ogni attività, in ogni situazione, potete trovare il riflesso del Divino. Dio è presente ovunque.
Vediamo Dio, Lo sperimentiamo e riceviamo da Lui la beatitudine divina, ma, nonostante tutto, aspettiamo di scoprirLo! In vero, colui che, mentre vede Dio anela a vederLo, è uno sciocco! Questo atteggiamento rivela che l’uomo non sta vedendo con sentimento divino, ma sta ragionando con pensieri umani; egli vede e considera i fatti da una prospettiva terrena, mondana, e perciò tutto si riduce a livello terreno e assume quei connotati.
La Natura, infatti, insegna in maniera molto chiara; perciò l’errore consiste nel nostro modo di vedere e giudicare, non nella Creazione. Questi tre attaccamenti ai figli, alla moglie e al denaro, sono di tal natura (l’errato modo di vedere degli uomini – Ndt). La vera moglie è la Pace, e la Saggezza è la vera ricchezza, mentre l’attaccamento al figlio simbolizza l’attaccamento allo Spirito, perché il vero figlio è lo Spirito.
Dimenticando questi nobili, eterni, unici, bellissimi, meravigliosi sentimenti, siamo abbagliati e trascinati via dall’effimero mondo materiale con le sue sensazioni fisiche e ci autocondanniamo a soffrire.
Il Divino non è in nomi e forme separati. Dio si manifesta in conformità ai sentimenti e alle immaginazioni dell’aspirante, del devoto, ma Egli è Uno! Come si può affermare ciò? In una casa c’è il capofamiglia: il figlio lo chiamerà “padre”, il nipote lo chiamerà “zio”, mentre l’altro nipote lo chiamerà “nonno”. Ognuno lo chiama con nomi differenti, ma questo significa forse che esistono tante persone? No. Si tratta sempre della stessa persona. Ciò che differisce è la relazione che li lega: è la diversa relazione che farà sì che uno sia chiamato “padre” e l’altro “figlio”. Quando poi nasce il figlio del figlio, il padre sarà da quest’ultimo chiamato automaticamente “nonno”.
Perciò l’uomo di conoscenza saprà che l’esperienza dei devoti si basa sulla loro natura spirituale e che essi sperimentano Dio in molti modi diversi.
A causa della sua immaginazione artificiale, l’uomo da mânava (uomo), si è trasformato in dânava (demone). Queste qualità demoniache sono legate alla natura del desiderio e anche le qualità umane sono confinate alla limitazione del desiderio. La Divinità è, essa pure, all’interno del desiderio; perciò la vita umana è una combinazione di qualità umane, demoniache e di Divino.
Quando sorge la natura demoniaca, si sarà spinti a commettere attività negative.
La capitale dove viveva Narakâsura era Prâgjyotishapuram. Pra significa “prima”: Jyoti significa “luce”; Sha vuol dire “ciò che è stato dimenticato”. Perciò il significato del nome della capitale in cui Narakâsura risiedeva è: “La conoscenza della luce, che prima esisteva, è stata dimenticata”.
Infatti, all’inizio, non esisteva nessuna luce, ma c’era solo Paramjyoti, la Luce Suprema, che regnava a livello spirituale. La Luce spirituale, infatti, è la sola e unica.
Perciò, colui che si impegna a ricordare incessantemente questa Luce spirituale, è Nârada, l’essere umano (nara = uomo), mentre chi la dimentica è Narakâsura.
L’uomo è pieno di debolezze causate da condizionamenti, sentimenti cattivi e perversi e, a causa di tali attività meschine, egli diventa un uomo debole: ecco perché è chiamato asura (demone). La natura demoniaca ha un cuore di pietra; colui che possiede questa natura è un râkshasa (un demone), senza un briciolo di compassione, con un cuore di pietra
Narakâsura fece innumerevoli azioni che possiamo davvero considerare cariche di vizio e debolezza: arrestò i re di altri regni, fece uccidere le regine, e compì altre cose egualmente cattive. Causò anche sofferenze a moltissime donne. Sedicimila erano state infatti le donne che Narakâsura aveva fatto imprigionare, ma, nonostante ciò, la sua crudeltà non era ancora soddisfatta. La sua malvagità cresceva di giorno in giorno e la popolazione non ne poteva più. Fu allora implorato Krishna, ma Egli non era favorevole all’uccisione di Narakâsura.
Per quale motivo? “Dovrei uccidere un uomo così cattivo?”, disse Krishna. Persino Dio ci pensa due volte e si ritrae prima di uccidere un uomo cattivo; Dio non è incline a sopprimere una persona debole e cattiva; infatti un essere simile dovrebbe esssere eliminato da una persona altrettanto debole e malvagia!
Satyabhâmâ era una donna e Krishna pensò di uccidere Narakâsura assieme a lei. Quando questo avvenne, le principesse vennero rilasciate; solo che, a quel punto, avevano il problema di dove andare. Esse dissero: “Dopo essere state così tanto tempo in prigione, dove possiamo andare, adesso? Chi ci accetterà? Non possiamo più sopportare questi abusi e umiliazioni! Poiché sei stato Tu, o Krishna, a uccidere questo uomo malvagio, adesso noi vogliamo stare sempre con Te”. Krishna rispose alla loro preghiera e permise loro di stare con Lui.
Anche Tyâgarâja cantò questo episodio:
(Baba canta:)
“Tu hai protetto 16.000 devote:
adesso sono sotto la Tua custodia”.
È un errore credere che Krishna abbia sposato tutte e 16.000 le principesse. Molti sono convinti che Krshna godette della loro compagnia: solo gli sciocchi e gli ignoranti possono fare un simile errore, perché essi non sono in grado di capire la vera natura della Divinità.
Che età aveva Krishna quando abitava a Vrindavan? Aveva 6-7 anni. A quel tempo raggiunse la città di Mathurâ.
Qual è il significato del rapporto che Krishna aveva con le gopî? Non vediamo forse le madri che giocano con i loro bambini? Il rapporto fra Krishna e le gopî era perciò fondato sugli stessi intenti che ha una madre quando gioca con il figlio. La gente deve comprendere questa verità.
Le donne, a causa della malvagità di Narakâsura, erano sottoposte a grandi patimenti. Questa è la prima caratteristica di un demone; perciò nessuno, mai, dovrebbe causare sofferenza a una donna in nessuna maniera. Colui che ferisce e fa soffrire una donna è un demone!
Oggigiorno nessuno sta seguendo e praticando questi sentimenti nobili e innati. Come potete trasformare in negativi questi sentimenti, che sono naturali, e ribellarvi a Dio? Infatti, parlando fuor di metafora, l’uomo non è altro che una scintilla del Divino.
Siete scintille di Dio! Siete parte del Divino e non della natura. Siete parte di Dio. Ogni persona è una scintilla della Divinità, ma questo principio non viene capito dagli uomini. L’uomo non è differente da Dio; una volta compresa la vera identità e identicità con Dio, potremo capire il principio atmico.
Dopo la morte di Narakâsura, tutte le donne erano estremamente felici. Per questo motivo cominciarono ad accendere lampade e lumini fuori dalle loro abitazioni. Prima di quel giorno, nessuna luce veniva accesa nelle loro case, perché esse avevano il timore di essere scoperte e fatte prigioniere da Narakâsura; avendo paura di essere rapite dal demone, esse trascorrevano il loro tempo nelle tenebre dell’ignoranza.
Il giorno in cui Narakâsura fu ucciso, tutte le luci e le lampade si accesero in ogni casa e in ogni strada. E non solo: tutte le donne danzarono gioiose per esprimere la loro gratitudine a Satyabhâmâ. Per lo stesso motivo, colme di beatitudine, esse cominciarono a lanciare fuochi d’artificio. Questo significa che, quando la crudeltà è sconfitta, la beatitudine che ne deriva va oltre ogni dire.
Questo giorno celebra anche il ritorno di Râma ad Ayodhyâ. L’uccisione di Narakâsura avvenne nel periodo del Dvâpara Yuga. Come ha potuto una festa sopravvivere durante tutti questi secoli? Ciò è avvenuto perché Dîpâvalî è la festa che celebra la vittoria ed è arrivata fino a noi passando attraverso tutti i problemi e le difficoltà.
Anche Râvana, un altro debole, venne ucciso e Sîtâ venne liberata. Râma, dopo la vittoria, ritornò ad Ayodhyâ accompagnato da Sîtâ.
Quando avremo risolto tutti i nostri problemi e le nostre preoccupazioni, sperimenteremo la beatitudine: quel giorno per noi sarà Dîpâvalî, infatti, non si deve limitare all’atto di accendere le lampade, ma deve ricordarci che non dobbiamo mai dimenticare la Luce dello Spirito interiore che è necessario mantenere accesa.
Prâgjyotishapuram è la Luce primordiale che Narakâsura aveva dimenticato; egli aveva dimenticato la Luce della Conoscenza del Sé. Colui che si dedica alla Conoscenza del Sé è Nara, cioè “umano”. Dobbiamo capire chiaramente la differenza fra Nara e Narâsura. La natura demoniaca non è qualcosa che era presente solo a quell’epoca: essa è presente anche ai nostri giorni.
Affermiamo che la battaglia del Mahâbhârata si protrasse per 18 giorni: no, no, non è così. Dal punto di vista esteriore la battaglia durò 18 giorni, ma in realtà si tratta di una battaglia eterna che si svolge sul campo di battaglia del cuore umano!
Nell’uomo ci sono lotte e conflitti fra bene e male; infatti, nel momento in cui sorge un pensiero, se ne forma immediatamente uno contrapposto. Perciò questi conflitti continuano a livello del corpo fisico, della mente e dei sensi. Questa battaglia è senza fine; finché saremo legati a causa del corpo, della mente e dei sensi, non ci potremo liberare dalla lotta e, a causa dell’attaccamento al corpo, continueremo a soffrire sempre più intensamente. Perciò, per raggiungere la Liberazione, dobbiamo sradicare l’attaccamento al corpo.
Nei tempi antichi, non c’erano molte attività viziose e cattivi pensieri: la gente mirava alla Liberazione e l’esperienza della devozione era più intensa. All’epoca, la popolazione mondiale assommava a un miliardo di individui, mentre la popolazione attuale ne annovera cinque miliardi. Nonostante vi sia così tanta gente, non esistono anime liberate! Infatti ci sono solo pochissime persone che aspirano alla Liberazione perché la maggioranza di esse è vincolata dagli attaccamenti. La loro massima aspirazione si limita a moha, l’attaccamento, ma non a Moksha, la Liberazione.
Qual è la ragione di ciò? La causa è l’attuale comportamento. I desideri terreni e materiali sono senza limite e così quelli spirituali sono sempre meno. L’egoismo aumenta e la soddisfazione spirituale diminuisce; idee perverse e malsane aumentano giorno dopo giorno.
Râma potè affrontare la lotta per difendere i princìpi di Verità e Rettitudine, e riuscì a raggiungere la Meta primaria dell’esistenza umana.
Râmarâja, il re Râma, divenne così Kâmarâja, Colui che regna sul desiderio (Kâma = desiderio; Râja = re). Nell’essere umano, invece, i desideri stanno aumentando di giorno in giorno.
Il princìpio di Râma è tanto sacro, tanto prezioso, Egli brilla raggiante ed è un esempio, ma noi abbiamo dimenticato questo Râmatattva, il princìpio di Râma, e siamo sopraffatti e accecati da Kâmatattva, il princìpio del desiderio.
Che cos’è, perciò, che deve essere cambiato nella nostra vita? Dobbiamo gradatamente controllare e mettere dei limiti a questi desideri: man mano che limitiamo i desideri, togliamo spazio alle idee cattive, proseguendo così nella nostra evoluzione. Questo atteggiamento, nel linguaggio vedantico, è chiamato vairâgya, cioè rinuncia, distacco.
Che cosa s’intende per rinuncia? Non vuol dire scappare dalla propria moglie, dai figli o dalle proprietà, ma significa mettere un tetto ai desideri. Nel momento in cui si limitano i desideri, vengono automaticamente ridotti anche gli attaccamenti. Non dobbiamo avere desideri in eccesso.
Quando trasformiamo così la nostra vita, anche il Kali Yuga si trasforma nel Dvâpara Yuga. Si parla di quattro ere principali: Krita Yuga, Tretâ Yuga, Dvâpara Yuga e Kali Yuga.
Dopo quest’era di Kali, ricomincerà l’era Krita. Come arriva la domenica quando il sabato è passato, allo stesso modo avviene il susseguirsi delle ere. I giorni della settimana, infatti, sono solo sette e alla fine del settimo si ricomincia da capo. Quest’era di Kali è la più fortunata. Per quale motivo?
Perché sta per tornare l’era Krita e allora regneranno la meditazione, la disciplina spirituale, la ripetizione del Nome di Dio. Per affrontare la nuova era in arrivo, dobbiamo sviluppare buoni pensieri, buoni sentimenti, buone azioni.
Nelle ere passate era molto difficile trovare dei dottori, mentre adesso troviamo laureati in medicina in quasi ogni famiglia, ma questo succede perché la malattia regna in ogni famiglia!
In questo Kali Yuga vediamo convivere gli opposti: lo spreco di denaro da una parte e l’avido accumulo dello stesso dall’altra; l’agonia mentale da un lato e la felicità mentale dall’altro. Per questo, il principale insegnamento di Bhârata, la Madre India, è di mantenere l’equanimità sia nel momento della perdita che in quello del guadagno: colui che riesce a mantenere questa equanimità riesce a sperimentare la pace.
Non si dovrebbe essere soggiogati né dalla felicità né dalla depressione; a seconda dei due casi, non dovremmo né esaltarci né sentirci frustrati. Quando ci capitano delle avversità, dovremmo capire che esse arrivano solo per il nostro bene. “È solo per il mio bene che mi sento così”, dovremmo ripeterci.
Dovremmo restare sempre in pace e rendere gli altri partecipi di questa pace; dovremmo essere felici e spartire questa felicità con il prossimo; dovremmo condividere il bene con gli altri e sradicare le cattive abitudini e i cattivi pensieri.
La vita umana è altamente sacra ed è la cosa più rara che ci sia; ma, con una vita tanto sacra e rara, com’è possibile che si soffra? È possibile perché le sacre e nobili qualità, che dovrebbero essere in voi, sono andate perse. Al giorno d’oggi i valori umani sono in declino; perciò dobbiamo rigenerare, risvegliare queste qualità. Solo così la vita umana sarà redenta.
L’educazione moderna non ha niente a che vedere con la cultura e la tradizione indiane. Essa serve solamente, nella vita odierna, a garantire la sopravvivenza. Dovremmo studiare solo per il sostentamento della nostra vita? No, no! Lo studio serve a ottenere la saggezza; a tal fine, bisognerebbe mettere in pratica le verità che si imparano.
Incarnazioni dell’Amore,
nei tempi antichi, il Divino assorbì, aspirò le qualità demoniache della natura umana affinché si prendesse coscienza dell’identità con Dio. Perché intraprendete tante pratiche spirituali? Le qualità animali dell’uomo devono essere completamente annientate.
I valori umani devono trionfare e l’uomo deve trasformarsi in Divino: questa è la sola pratica spirituale. Non sono necessari bhajan, rituali, o pellegrinaggi, ma servono solo buone azioni. Questo è tutto!
Dovete eliminare da voi tutto ciò che non è Âtma e sviluppare relazioni atmiche. Al giorno d’oggi, invece, troviamo necessario tutto ciò che facciamo: beviamo, mangiamo, fumiamo, dormiamo, andiamo in giro…e tutto ci sembra necessario! Per quanto tempo durerà?
Finché non si va a dormire, tutto sembra reale, ma, nel momento in cui ci si addormenta, tutto scompare. Voi, però, siete presenti sia durante il giorno che durante la notte; perciò, colui che è presente in entrambi gli stati (veglia e sonno), è onnipresente. Voi siete, pertanto, incarnazioni dell’onnipresenza.
Non dovreste mai valutarvi basandovi sul corpo, che è nato e presto morirà. Il corpo è una bolla di sapone e la mente è una scimmia pazza. Non seguite il corpo, non seguite la mente: seguite la vostra Coscienza, perché in essa è presente ogni cosa.
Tutti i nostri studi, tutto ciò che sperimentiamo, tutti i nostri scritti sono come gioielli preziosi che noi indossiamo. Però, dai gioielli, voi non potete ottenere niente. Che cosa, allora, vi può dare tanto? Nityânanda, l’Eterna Beatitudine! Dovremmo vivere in modo da meritarci questa Beatitudine.
Tutto avviene a causa del trascorrere del tempo e tutto è destinato a passare e svanire come fosse una nuvola passeggera. È forse possibile godere del bene senza la presenza del male? È impossibile. Entrambi, bene e male, sono necessari. Il bene non può esistere senza il male e il male non può esistere senza il bene. Dobbiamo capire il legame che esiste fra i due. Ci sono un livello alto e un livello basso, e noi dobbiamo conoscere il significato di questi due livelli; senza la comprensione di questi due, non è possibile capire la natura umana.
Differenze come queste le troverete dappertutto; il piacere e il dolore si mescolano ed è impossibile per chiunque separarli. Non esiste una felicità pura: sono solo i frutti del lavoro del cuore che possono rendervi felici!
Con tutte queste difficoltà, come potete aspettarvi di essere felici? Tutti gli eventi arrivano e poi se ne vanno come fossero delle nuvole di passaggio: dobbiamo capire chiaramente questa verità.
Di notte, alla luce della lampada, potete vedere molto distintamente, ma vi è forse di qualche utilità la lampada durante il giorno? No. Allo stesso modo, durante le difficoltà, dobbiamo apprezzare il valore della pace.
Una volta Nârada volle conquistare l’ira al fine di ottenere la pace; per questo cominciò a sottoporsi a delle penitenze. Poiché durante tutto il periodo delle penitenze egli non si arrabbiò mai, credette di aver sradicato l’ira da sé. Molto fiero, andò subito da Nârâyana (Vishnu) che lo accolse dicendo: “Ma dove sei stato? È da tanto che non ti vedo!” Nârada rispose: “Swami, mi sono ritirato per fare delle penitenze e ho sconfitto l’ira!” Nârâyana volle mettere alla prova Nârada e gli disse: “Hai davvero sradicato l’ira?” “Certamente Swami!” “Tu hai conquistato l’ira?” “Si, l’ho conquistata!!” “Davvero hai conquistato l’ira?” “Sììì, l’ho fatto!!!” “Ma…Nârada, – osservò Nârâyana – tu ti stai arrabbiando!” (Risate).
Ma che cosa aveva conquistato, allora? Egli aveva fatto penitenza nella foresta isolata, dove non c’erano tentazioni e stimoli per arrabbiarsi. Chi si potrebbe arrabbiare in un posto simile? Era un segno di stupidità aver pensato di essere riuscito a conquistare l’ira.
Potete dire di aver eliminato la collera quando venite provocati e non vi arrabbiate, quando ci sono occasioni per adirarvi e non lo fate. Allora siete diventati i padroni dell’ira!
Dovete raggiungere questa pace in mezzo alle agitazioni; dovete avere la luce dove ci sono le tenebre. Dovete trovare la vostra pace e la vostra Divinità in mezzo alle tenebre: Ashânti (la mancanza di pace) si trasforma in Prashânti (la Pace Suprema); Prashânti diventa Prakânti (la vicinanza al Divino); Prakânti si trasforma in Paramjyoti (la Luce Suprema) e Paramjyoti si fonde nel Paramâtma (Dio). In questo modo, partendo dalle tenebre, si arriva all’Assoluto, al Paramâtma.
Il bene e il male si compenetrano, non sono separati; ma l’uomo non riconosce questa verità e crede di poter raggiungere la Meta attraverso la pratica spirituale. Attraverso le discipline spirituali non potrete ottenere niente! Dal momento che tutto è dentro di voi, che cos’è che volete raggiungere? Che cosa c’è da ottenere? Qualcuno dice di essere alla ricerca della Verità: dato che la Verità è ovunque, dove andate a cercare? Non c’è bisogno di cercare qualcosa che è ovunque. Infatti non siete voi ad essere alla ricerca di Dio, ma è Dio a cercare voi!
Voi credete di essere alla ricerca di Dio, ma è Dio a essere alla ricerca di un vero devoto, un devoto che abbia fermezza e perseveranza. Egli, tuttavia, non riesce a trovare nessuno!
Dappertutto, infatti, ci sono egoismo e interessi personali e Dio non riesce a trovare nessuno che abbia fiducia in se stesso; è l’assenza di fiducia in sé stessi che origina il dubbio. Dovremmo saldamente credere che Dio è presente ovunque.
La fiducia in sé stessi costituisce le fondamenta, e dovrebbe essere così salda e forte da permettere la costruzione del muro della soddisfazione di sé stessi; solo allora si potrà avere il tetto del sacrificio di sé che, inevitabilmente, condurrà alla luce della realizzazione spirituale. Per ottenere la luce della realizzazione è indispensabile il tetto del sacrificio, per avere il quale è però necessario raggiungere la soddisfazione di sé, la quale ha, come fondamento, la fiducia.
Oggigiorno non esiste fiducia e l’uomo dubita di se stesso; egli è insicuro e nutre dubbi in qualunque attività intraprenda. A queste condizioni, che cosa potrà mai ottenere? Nulla.
Egli dovrebbe avere fiducia in se stesso e piena fede in qualunque cosa compia. Colui che ha una fede così grande è un vero devoto!
Al giorno d’oggi, però, troviamo che l’uomo ripone fiducia nelle cose fisiche del mondo materiale, ma non nella consapevolezza dell’Âtma. È necessario, perciò, uccidere tutti i pensieri deboli, gli atteggiamenti cattivi e i sentimenti negativi che albergano in noi.
Quando ucciderete il demone Narakâsura, che abita dentro di voi, riceverete la grazia di Dio in abbondanza! Non potrete mai ricevere la grazia divina senza aver prima ucciso le qualità demoniache.
Quando la vostra testa è piena, impedisce l’ingresso a tutto quanto. Come può la grazia entrare in voi se ci sono già un mucchio di altre cose dentro di voi?
Solo quando la testa è libera potete riempirla con il risveglio spirituale.
Ecco qui un bicchiere pieno d’acqua. Se decidete di riempirlo con del latte, è necessario prima buttare via l’acqua. Con l’acqua già all’interno, come potete infatti riempire di latte il bicchiere? Perciò, allo stesso modo, dovete svuotarvi dalle qualità demoniache, dai cattivi pensieri e da tutti i sentimenti negativi, sostituendoli con pensieri buoni e sentimenti sacri.
Purtroppo, al giorno d’oggi, noi riteniamo che i due opposti siano la stessa cosa. Credete forse che tutti gli uccelli di colore verde possano parlare con i pappagalli? Credete che tutti gli insetti che volano sui fiori siano farfalle? No. Allo stesso modo, dobbiamo chiamare con il nome appropriato le azioni che intraprendiamo e i comportamenti che teniamo. Dovete sviluppare qualità che siano degne della vita umana: solo allora sarete esseri umani autentici. Infatti, al momento lo siete solo di nome, ma non possedete qualità umane. Come potete considerarvi esseri umani?
Dovete sviluppare l’amore, la compassione, il senso di sacrificio, la pazienza, perché in voi non c’è la benché minima traccia di compassione, e non esiste alcun senso di sacrificio: ogni vostro passo è pieno di ingiustizia e slealtà, ogni parola è piena di disonestà e ogni pensiero manca di saldezza. Ogni vostro sguardo è pieno di egoismo e in ogni azione si riscontrano qualità inumane. È quindi necessario sviluppare qualità umane al fine di condurre una vita da esseri umani. Dobbiamo riempire il nostro cuore di compassione. Ai giorni nostri, però, non c’è compassione e non esiste assolutamente amore. In una situazione simile, com’è possibile parlare di vita umana?
Ognuno dovrebbe essere l’incarnazione dell’Amore. Dove c’è Amore, non c’è odio; dove c’è Amore l’odio non ha alcuna possibilità di crescere. Solo quando diventerete uno con l’Amore potrete fondervi in Dio. Dio è Uno. Lasciate che esistano molte nazioni e molte religioni; le religioni sono tante, ma la via è una; i gioielli sono molti, ma l’oro è uno; le mucche sono di diverso colore; ma il latte è uno solo; i fiori sono differenti, ma l’offerta dei fiori è una. Nonostante i metodi e le religioni siano tante, Dio è Uno.
Poiché l’uomo non capisce questa Verità, è diventato uno stolto. Continua a soffrire insistendo su questo stile di vita ed è schiavo delle sue false convinzioni.
Pensate a Dio incessantemente. Pensate a Dio! Questo vi renderà liberi dalle catene e sarete tanto felici.
Il cuore è la cosa che conta di più. Non intendo il cuore fisico, ma Hridaya, il cuore spirituale, che si trova dappertutto ed è pieno di compassione. Dobbiamo sviluppare Hridaya, perché l’uomo è compassionevole naturalmente: la compassione è la sua vera natura.
L’umanità appartiene a una sola razza e tutti sono fratelli e sorelle. Tutto è uno e Dio è vostro Padre. Una volta che avremo compreso che Dio è nostro Padre, capiremo anche il concetto di “unità nella diversità”. Come? Sia l’uomo più povero che quello più ricco, presentano sé stessi usando il soggetto “io, io, io”. “Io sono tal dei tali”. Per ogni cosa si usa la parola “io”; non esiste nessuno che non usi questo termine. Questo “io” è in tutti.
Ma questo “io” da dove nasce? È solamente un riflesso della parola che rappresenta l’Âtma e cioè Aham. Quando questo Aham-io si riferisce al corpo, diventa ahamkâra o ego; perciò non dovete essere ahamkâra, bensì Aham Brahmâsmi, cioè “Io sono Brahma”. Voi siete Brahma; dobbiamo riconoscere questa unità.
In ogni persona l’amore è uniforme; ognuno fa uso di questo amore a modo proprio, ma l’amore è uno solo.Potete chiamarlo catenina, o anello, o braccialetto, o orecchini, ma l’oro è uno. Dovremmo conoscere chiaramente questa unità. Dio è l’oro e ognuno può far uso della natura divina a seconda delle proprie scelte e capacità, utilizzando nomi differenti a seconda dell’uso che ne fa.
Incarnazioni dell’Amore,
se siete devoti a Dio, questo è sufficiente. Con l’amore per Dio potete ottenere tutto.
Rafforzate la fede, non abbiate in voi cattivi pensieri e fate felici i vostri genitori. Contattate il vostro Sé in accordo con le vostre scelte e riservate a Dio un posto ben preciso e speciale nella vostra vita.
Se l’esistenza è vissuta in tal modo, l’umano automaticamente si trasforma in Divino.
Conoscete il significato del termine mânava (uomo)? Nava significa “nuovo” e ma significa “no”. Esso vuol dunque dire che voi non siete nuovi, ma antichi, vecchi. Voi siete antichi, siete eterni! Avete un corpo nuovo, ma siete eterni. Dovreste conoscere questo sacro principio: ciò che è esteriore può mutare, ma l’Abitante interiore è permanente ed eterno. Egli non è toccato da nascita e da morte, non ha principio né fine. Non è mai nato, perciò non può perire perché non può essere ucciso. Resta sempre immutabile e uguale a Se stesso. Egli è una scintilla del Brahman. È necessario sviluppare questa identificazione con Dio.
È la natura essenziale di Krishna a determinare questo principio di unità; è la dolce, meravigliosa melodia del flauto di Krishna a insegnare l’unità. Dove c’è musica, là risiede la beatitudine. La musica è il riflesso dell’Essere interiore, perciò dobbiamo goderne in completa beatitudine. La melodia è qualcosa di altamente prezioso. I bhajan vanno cantati con sentimento, con cuore puro, senza egoismo: così dovremmo cantare! I bhajan non sono solo un semplice movimento delle labbra: il canto dovrebbe infatti essere espresso con tutto il cuore, perché è nel cuore che risiedono la bellezza e la melodia.
Perciò la nostra musica dovrebbe essere tanto dolce da procurarci diletto. Dedicate la vostra vita ad ottenere l’esperienza della dolcezza della musica! Dovremmo perfezionarci sempre più nel canto dei bhajan e cantare senza sosta il Nome di Dio.
(Baba termina il Discorso con “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi” e “Govinda Krishna Jay Gopâla Krishna Jay”
Prashânti Nilayam, Sai Kulwant Hall, 31 ottobre 1997
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