Felicità, valore, coraggio, forza, intelligenza ed eroismo:
Dio si manifesta a coloro che possiedono queste sei qualità;
Dio andrà in loro soccorso.
Incarnazioni del Divino Amore,
chiunque abbia queste sei virtù – felicità, ardimento, coraggio, devozione, forza ed eroismo – avrà anche con sé lo splendore di Dio.
Il piacere e il sacrificio
Piaceri sensuali e sacrificio non possono stare insieme. Dove c’è sacrificio, non ci sono godimenti materiali e il piacere non attira il sacrificio. Com’è possibile, infatti, sperimentare il piacere mentre ci si sacrifica? Quando però non c’è ego e non si attendono i frutti dell’azione, la vita di sacrificio soddisfa quanto il piacere.
I piaceri del mondo non sono destinati a un singolo individuo; tutti ne hanno pari diritto e parte, ognuno sperimentando la propria porzione. Ciascuno goda la propria, avendo cura però di badare a che tutte le buone qualità che Dio ha messo a disposizione siano messe in pratica. “L’Universo intero è permeato dal Divino”, recitano le Upanishad. Tutto il Cosmo ha preso forma grazie all’Energia Divina. In qualunque direzione si guardi, si noterà che non esiste oggetto che non ci parli di Dio. Eppure, non tutti riescono a capire questa verità; molti, infatti, hanno il cuore immerso in desideri sensuali, sono attratti dalle cose materiali del mondo, le desiderano e ne fanno lo scopo principale della loro vita.
Le cose di quaggiù e di lassù
Ci sono due sentieri: uno si chiama preyo-shakti, l’altro shreyo-shakti. Che significa preyo-shakti? Questo sentiero include le principali scelte di vita, come il brahmacharya, lo stadio del noviziato celibatario, il grihasta o stadio del capofamiglia, il vânaprastha o stadio dell’eremita, e il sannyâsa o stadio del monaco rinunciante. Sono tutti dei doveri che danno una felicità ancora legata ai sensi.
L’altra via, la shreyo-shakti, è fatta di compassione, amore, eroismo, tolleranza, sacrificio e altre virtù consimili. Krishna la propone nella Bhagavad Gîtâ col nome di sva-dharma, o para-dharma. Che significa sva-dharma? Sva- è desinenza che si riferisce a quattro condizioni di salvezza: vivere nello stesso luogo dove vive il Signore (sâlokyam), gustare la forma del Divino (sârûpyam), avere costante coscienza della vicinanza di Dio (sâmîpyam) e immergersi in Dio (sâyujyam).
Tutto ciò che riguarda l’anima, o il Sé, si chiama sva-dharma. Tutto quanto vi si oppone, invece, avendo a che fare coi sensi, è preyo-shakti. Gli uomini d’oggi vanno dietro ai piaceri e alle gioie sensuali, percorrono la via di preyo-shakti, che dà solo qualche gioia passeggera, e dimenticano del tutto quella di shreyo-shakti, che conferisce la vera ed eterna energia del Divino.
Se sulla terra cade la pioggia è per effetto del Volere e della Grazia di Dio: è da Lui che abbiamo la gioia di copiosi raccolti, di un sole che risplende, di una luna che rinfresca, di fiumi che scorrono. Si può forse dire che quella gioia sia di qualcuno in particolare? Dell’Energia Divina tutto il genere umano ha il diritto di fruire indistintamente; tutti possono sperimentarla e goderne. Ciò è dovuto all’intima correlazione tra preyo-shakti e shreyo-shakti. Ognuno può svolgere l’attività che gli compete dopo aver curato la crescita dei raccolti, se n’è nutrito ed ha tesaurizzato le energie fisiche e le possibilità che gli sono date per mettersi all’opera. Allo stato di beatitudine, che riguarda la sfera spirituale e morale, si può avere accesso solo dopo che si sono espletate le azioni fisiche.
Lo Spirito non fa parte dello scibile
Se ognuno s’impegnasse in una ricerca personale, vedrebbe che nulla al mondo sfugge al controllo del Volere di Dio. Dal microcosmo al macrocosmo, dalla particella subatomica al cosmo intero, tutto procede per un Comando Divino.
Perché affermare che esiste questo o quello,
quando c’è un’unica realtà?
Dalla formica al Brahman nessuno può conoscere l’Âtma.
Voi non capite né sperimentate la beatitudine;
folle è chi crede di poterla conoscere razionalmente,
mentre, in definitiva, non sa nemmeno
che cosa stia per accadere in ogni istante.
Non si muove foglia che Dio non voglia! Da una parte si pone la materia, dall’altra chi ne ha il completo dominio. Si dice che un conto è parlare di conoscenza, un altro parlare d’ignoranza, oppure che il mondo fisico è una cosa e la Somma Verità un’altra: si vedono in forma distinta ma, in realtà, tra i due opposti esiste una stretta relazione. Infatti, tutte le azioni che compiamo col cuore e per il bene altrui sono spirituali.
Lo yoga del Sé
Gli uomini considerano degli aspetti spirituali secondo criteri materialistici e la loro attenzione si concentra su esperienze materiali. Al mondo esistono molti yoghi – o uomini d’azione – che conducono una vita retta, una vita di sacrificio e di pratiche spirituali. Ve ne sono di tutti i tipi, ma non tutti sono animati da una coscienza spirituale. E per coscienza spirituale (âtmamulu) non intendo la Via dell’Azione (Karma-yoga) o la Via della Devozione (Bhakti-yoga) o la Via della Conoscenza (Jñâna-yoga), bensì la Via del Sé (Âtma-yoga).
In questo mondo non si riesce a trovare un solo uomo che segua fedelmente lo Yoga dell’Âtma. Ciò che voi vedete è il corpo, il quale risente delle qualità mentali; perciò, non capita d’incontrare qualcuno che conosca appieno le profondità dello spirito. Chi conosce il Sé reale e lo vive è un vero sapiente. Non c’è bisogno che indirizziate la vostra ricerca sul corpo; esso non è che un insieme di cinque elementi.
È così fragile, debole. Non si sa quanto vivrà.
A che serve interessarsi tanto ad una cosa effimera, fugace quanto il corpo? Ecco come la pensa chi batte il sentiero di shreyas, la via spirituale.
Noi e la Trinità
L’altro giorno vi dissi che, se si va a fondo nello studio della mente, si scopre che essa è Vishnu. Che s’intende per Vishnu? Significa “onnipervadenza”; Vishnu è Colui che permea tutto. È caratteristico della mente il potere di permeare ogni cosa, dovunque si trovi. Le Scritture dicono che “la mente è il fondamento di tutto l’Universo”.
Poi, dal fiore di loto dell’ombelico di Vishnu, nasce Brahmâ. Quindi, chi è figlio della mente, del pensiero? Brahmâ simboleggia la facoltà della parola. Brahmâ è la parola, Vishnu è la mente che pervade tutto e Îshvara (Shiva) è il corpo. Non c’è nessuno al mondo che abbia mai avuto la visione delle forme fisiche di queste Tre Persone.
Dove sta l’Âtma?
Dove trovare chi ha avuto esperienza diretta della Trinità? C’è gente che si ritira nella foresta per avere la visione dell’Âtma che hanno in sé, con sé. Pazzi!
Perché andate a cercar luce in un’altra casa,
quando la vostra è già completamente illuminata?
Se lo Spirito dimora proprio dentro di voi, che senso ha andar lontano in una foresta a sottoporsi ad austerità? Non avete bisogno di penitenze per vedere il vostro Sé interiore. È ignoranza bell’e buona! Poiché non sapete guardar bene dentro di voi, ignorate perfino l’esistenza del vostro Sé, che si trova proprio dentro di voi.
I Cinque Elementi
Dove c’è acqua ed aria, c’è l’Âtma, il Sé. Dio vi ha fatto dono di questi due elementi, acqua ed aria; quest’ultima s’innesta tra la terra e lo spazio eterico, o âkâsha. Nel combinarsi fra di loro, gli elementi diventano cinque.
Dio ha stabilito i tre elementi dell’acqua, spazio ed aria per venire incontro ai bisogni del genere umano. Mentre acqua ed aria sono stati creati e donati da Dio per sostenersi in vita, la terra, il fuoco e lo spazio hanno lo scopo di fornire dei vantaggi all’uomo.
L’acqua e l’aria sono per alimentare. Tra la terra e lo spazio c’è l’aria: tre elementi che servono ad offrire benessere e prosperità.
Quando c’è benessere? Dopo aver mangiato si sta bene. Se non mangiate, v’indebolite. “Il cibo è il naturale sostegno della vita”, lo dicono anche le Scritture. È indispensabile nutrirsi per sopravvivere.
Dunque, tutti e cinque gli elementi della natura provengono dal Sé, e questo è un aspetto che va approfondito. In tutti gli elementi è sempre presente lo stesso Spirito, l’Âtma. Non è che ci siano molti âtma! Ce n’è uno solo, “lo stesso presente in tutti”.
Noi soffriamo una gran quantità di squilibri, dovuti ad un’idea frammentaria che confonde la diversità con l’unità. È l’unità che va esaltata al di sopra della molteplicità. Questo è il sentiero che il vero conoscitore del Sé percorre. Suddividere in tanti frammenti ciò che è unico e indivisibile è tipico dell’ignorante. Non dividiamo, dunque, ciò che va visto come unità, perché ciò provocherebbe una caduta di energia in tutto. Per riconoscere il Divino, il vero Spirito, è sufficiente il valore dell’unità.
Natura di Brahma
Intorno alla terra fluttuano delle nubi e cade la pioggia. Quando le messi giungono a maturazione, le raccogliamo per alimentarcene. Chi produce tutto ciò? La causa di tutto è l’Âtma, che è la natura di Brahma. Che significa Brahma? L’onnipresenza è la natura di Brahma; Egli è la parola che esce dalla bocca. C’è bisogno di pratiche spirituali per riuscire a individuare il principio brahmanico nella parola.
Shabda brahma mayî,
Brahman è il Suono,
Charâchar mayî,
Egli è movimento e immobilità,
Jyotir mayî,
Egli è Luce,
Vâk mayî,
Egli è Parola,
Nityânanda mayî,
Egli è Beatitudine costante,
Paratpara mayî,
Egli è questo mondo e quell’altro,
Mâyâ mayî,
Egli è Illusione,
Shrî mayî.
Egli è Prosperità, Auspicio.
La parola o il discorso è Brahmâ. E chi è Brahmâ? È Colui che è nato dal fiore di loto dell’ombelico di Vishnu. Che si deve intendere per “ombelico” di Vishnu? È la forma di Vishnu, la mente. Dunque, la parola nasce dal pensiero. La mente dell’uomo odierno si comporta come una scimmia: ogni sua parola è una bugia lampante.
“Shiva pervade tutto il Cosmo”. Ai quattro lati del mondo non c’è che Îshvara: “Shiva è in tutti gli esseri viventi”. Dentro ciascuno di noi si trova la natura di Îshvara, e la mente è originata da Lui; la parola nasce da quella mente. Quindi, l’essere umano consiste in quell’unità trinitaria: Îshvara, Vishnu e Brahmâ.
Accettare il bene e rigettare il male
Il Divino in noi si manifesta allorquando abbiamo eliminato l’ego dalla nostra esperienza quotidiana e rinunciato ad aspettarci i frutti del nostro operato. E invece oggi, a che cosa si rinuncia? Si rinuncia alle cose sante. No, no! Bisogna accogliere ciò che è puro e rigettare tutto ciò che non lo è.
Lo facciamo anche quando assumiamo del cibo: respingiamo quel che non ci piace, mentre accettiamo le cose che sono di nostro gradimento. Dopo aver mangiato della frutta buona e dolce, espelliamo delle feci maleodoranti. Ma che cosa abbiamo ingerito? Delle sostanze dolci, no? Chi ha quella dolcezza allora?
“Il Signore di Mathurâ, Krishna, è dolcezza, dolcezza”. Dio è dolcezza. “Egli è dolcissimo. Gli occhi sono dolci, le parole sono dolci, tutto è dolce in Lui. Il Signore di Mathurâ è dolce”.
L’amrita, l’ambrosia dell’immortalità, può essere gustata, ma non è possibile descriverne a parole il sapore. “Nel tentativo di valutare la Divinità, il pensiero e le parole si riducono a niente”. Dio è qualcosa che sfugge ad ogni descrizione verbale e ad ogni pensiero.
Oggi è andata perduta la coscienza del vero Sé e si manda in rovina la vita. Se si spreca la vita, con che cosa si potrà raggiungere quella coscienza?
Si respira biossido di carbonio e si rigetta l’ossigeno: una decisione davvero deleteria. È di ossigeno che abbiamo bisogno ed è il biossido di carbonio che va esalato. Gli alberi ci danno una mano in quest’operazione di rigetto dell’anidride carbonica. Le piante sono altruiste; le vacche sono altruiste e molte altre creature viventi aiutano il prossimo. Gli animali sono altruisti, perché si sacrificano per l’uomo.
Aiutare sempre e dire la verità
L’uomo d’oggi è peggiore degli animali; in lui non si vede traccia d’altruismo. Qualsiasi cosa faccia è per egoismo, per interesse personale, caratteristica questa che è propria delle bestie. Non dev’essere l’egoismo ciò che distingue l’uomo, perché egli è un’incarnazione di Verità e di Amore, una persona di Pace. La verità, la rettitudine e l’amore sono il sostegno dell’uomo. Per questo, sin dall’antichità, in India si è sempre proclamato: Satya vada, dharma chara, “Di’ la verità, pratica la rettitudine”. In ciò si distingue la cultura più antica: non mettere mai da parte la verità.
“Tutto il creato è partito dalla verità e tornerà alla verità. C’è forse qualche posto nell’Universo dove si trovi escluso il principio della verità? No! Dappertutto regna la pura e immacolata verità”. È l’autentico puro Brahman.
Sâdhanâ = conversione del male in bene
Dove si trova il Parabrahma, il Sommo Dio? Non si trova all’esterno, bensì dentro di noi. Ma oggi si è abdicato a questa sacra, eterna e vera potenza. Si fa un gran leggere sulla pratica spirituale, proponendosi di raggiungere qualcosa di invisibile. In che consiste la sâdhanâ? La disciplina spirituale consiste nel convertire il male in bene. La sâdhanâ non è altro che questo.
Invece che si fa oggi? Si mette da parte il bene e si aprono le porte al male. Ecco la sâdhanâ odierna! Non si cerca nemmeno di capire il significato etimologico della parola “sâdhanâ”. Sâ si riferisce al Sé, all’Âtma, allo Spirito; dhana significa “ricchezza”: la ricchezza del Sé. Quella ricchezza (wealth) è la nostra unica salvezza (health): è la via della Verità.
Che significa essere felici?
Oggi ci si dà un gran da fare per avere del denaro, buona salute e felicità. Ma dov’è la felicità? E pensare che essa sta proprio al centro del nostro essere; siamo nati nella felicità, ma l’abbiamo dimenticato. Se la felicità è il vostro luogo di nascita, perché non la sapete trovare? Voi credete in ciò che vi dicono Tizio, Caio e Sempronio, ma non credete alla voce del vostro cuore che vi sussurra la chiave della felicità.
“So ham”
E che cosa vi dice il cuore? Per 21.600 volte al giorno esso vi sussurra “So-ham”, “Sono Dio, sono Dio,…”, ma voi non gli date retta. Com’è che credete ai suoni che ricevete dall’esterno? Siete dei pazzi. Ebbene, numerosi pazzi del genere stanno seguendo vari sentieri spirituali in nome della devozione. Macché pazzi (mad); scellerati (bad)! Non andate dietro a gente simile!
Il tempio del corpo
Dov’è Dio? Dentro di voi, si è detto: “Il corpo è un tempio e l’anima che vi dimora è l’eterno Dio”. Se il corpo è il tempio, l’anima dell’individuo è la divinità che vi dimora. Ogni corpo è un tempio e tutte le anime sono Dio. E allora, perché odiare l’uno, imprecare contro l’altro, amarne un altro ancora? Sentimenti così contrastanti non dovrebbero trovar posto in voi.
Tutti i templi sono riconducibili ad uno solo, poiché la Divinità installata in ciascuno di essi è l’unica anima, il Sé. La dovete riporre là dentro senza colpe, senza infamie. Elogi, biasimi e calunnie sono indici di debolezza. La posizione più corretta è quella di amare tutti. (Swami dice in inglese)
The best way to love God
is to love all, serve all.
Il miglior modo di amare Dio è
amare tutti e servire tutti.
In ciascuno dimora il principio dell’amore; è quell’amore che dobbiamo sviluppare e comprendere.
“Io sono Dio”
Quell’amore porta il nome del Brahman, Dio. Quell’amore si chiama “Conoscenza”. Molti sono i nomi di Dio. Aham è un nome divino. Se dite Aham Brahmasmi, “Io sono Dio”, ci sono due entità: “io” e “Dio”. Siamo in pieno dualismo; dvaita, non advaita. Se invece dite solo Aham, “Io sono io”, siete nel non-dualismo, siete un advaitin. Non dite dunque “io sono questo o quello, sono così o cosà”, perché creereste due entità separate.
Quando dite: “Questo è mio”, vi estraniate da qualcosa di diverso da voi. “Io sono io, nient’altro che io, tutto è me!” Nomi e forme sono differenti, ma tutte le cose si riducono all’unità.
Molti sono i gioielli, ma uno è l’oro.
Differenti sono le mucche, ma unico è il latte.
Molti sono gli esseri viventi, una è la vita.
Molti i darshan, ma unico è Dio.
Molte sono le varietà di fiori, ma una è l’offerta.
La diversità non dà che illusioni e, se prendete la via del mondo, i risultati che avrete saranno illusori quanto il mondo. Non fatevi prendere da questi pensieri negativi. State sul positivo, sempre; è la vostra natura atmica che ve lo chiede: essa è positiva, come la vostra coscienza. Voi avete una natura di amore, di pace, di beatitudine. La beatitudine non è lontana da voi, ma dentro di voi, cioè, nel vostro stesso corpo.
“Non siete corpo”
Voi non siete il corpo; infatti, dicendo “Questo è il mio corpo”, lo ritenete distinto da voi, come lo sarebbe un fazzoletto. Dunque, posso affermare “Io non sono il corpo”. Il corpo è come una bolla di sapone, è solo uno strumento. Ma possiamo dire che sia uno strumento se non lo usiamo come tale? Io non sono lo strumento, ma ne faccio uso a seconda del mio comodo. Non c’è un’altra persona. Ci sono soltanto io a manovrarlo.
Se mi piace un oggetto, è forse perché all’oggetto piace essere amato? Volete mangiare una mela: è la mela che ve lo chiede per la sua soddisfazione? Certo che no. Volete mangiare la mela per il vostro piacere. Così, tutto al mondo si usa non per la soddisfazione delle cose usate, bensì per la soddisfazione di chi ne fruisce. Il mondo in sé non prova soddisfazione né dispiacere. Tutto, quindi, porta alla soddisfazione di sé. Dalla soddisfazione di sé viene il sacrificio di sé, e dal sacrificio di sé viene la realizzazione di sé.
Il Dharma
Incarnazioni dell’amore, Dio non è separato né distinto da voi; Egli è in voi, con voi. Sono gli attributi che creano differenze, dovute principalmente al cibo e alle abitudini. L’attaccamento al corpo genera desiderio, rabbia, avidità, infatuazione, orgoglio e invidia; mentre dal cuore nascono l’amore, la compassione, la pazienza, il perdono. Queste sono le qualità del Sé e fanno parte dello sva-dharma; le altre sono invece del paradharma, inutili. Il dharma superfluo si chiama para-dharma, mentre lo sva-dharma è di utilità al Sé e serve ad ottenere la propria autentica dimensione, la svarûpa. Le azioni dello sva-dharma servono altresì ad avere esperienza della sva-ânanda, la beatitudine del proprio Sé. È una beatitudine quella del proprio Sé che va sperimentata; non è destinata a nessun altro, poiché, in realtà, non esistono altri.
Gli errori dello specchio
Se entrate nella casa degli specchi, vedrete il vostro riflesso in qualsiasi direzione guardiate, e in quel riflesso vi riconoscete. Tuttavia, a volte, invece di vedere il vostro viso rotondo, lo vedete deformato e allungato. Non è il vostro volto che è difettoso; dipende dallo specchio. Lo specchio è la Natura, o Prakriti, il mondo materiale, e, a causa del suo modo erroneo di riflettere, crediamo che ci sia qualcosa di sbagliato in noi stessi. Invece no! Chi ha coscienza della propria natura reale, del proprio Sé, non baderà a ciò che vede allo specchio.
Se sono certo di avere un neo sulla mia guancia sinistra, basterà che mi guardi allo specchio per convincermi che si trova a destra? Se avete fiducia e fede in voi stessi e sapete bene chi siete, non presterete fede a ciò che vi fa vedere uno specchio. La persona che non ha fiducia in sé crede a tutto quello che gli vien detto dal primo che passa. È un grosso sbaglio, perché voi siete degli esseri umani, dotati di facoltà mentali, capaci di avere ciò che volete, destinatari di felicità, in grado di sperimentare la vostra realtà interiore. Seguite dunque i comandi di Dio, non quelli dei vostri simili. Conoscete voi stessi; innanzitutto, voi stessi.
Amare Dio
Incarnazioni del Divino Amore, voi tutti siete personificazioni dell’amore. Nessuno è privo d’amore; è naturale per chiunque provare piaceri o dispiaceri, ma questo è il sentiero di preyas, dell’attaccamento alle cose esteriori. Seguite il cammino di shreyas, il sentiero di Dio.
Tutto ciò che è preferibile, più felice, più amato, appartiene alla via di shreyas. Seguiamo dunque il cammino del Sé, lo sva-dharma, l’âtma-dharma. Non fermiamoci assolutamente al para-dharma, il dharma che ci fa rimanere nella coscienza di essere un corpo, sebbene, per ciò che riguarda gli impegni del mondo, anch’esso a volte vada seguito.
Scavando un pozzo nel greto d’un fiume, avrete acqua dentro e fuori dal pozzo, la medesima acqua. Così pure Dio è presente dentro e fuori in ogni cosa: “Nârâyana è all’interno, all’esterno, e pervade tutto dovunque”, affermano le Scritture. Egli è il solo che sta in voi, sopra di voi, sotto di voi, intorno a voi. Dobbiamo credere fermamente in questa unità. Qualunque problema od ostacolo si presenti nella vita, accantonateli. Avete una mente, potete decidere; decidete dunque fino in fondo. Non lasciate a metà le vostre scelte, non seguite le decisioni degli altri; che cosa credete di ottenere seguendo cose che andranno perdute?
Studenti e studentesse, voi state studiando. Per che cosa lo fate? Per una professione. Anche il lavoro, certo, è necessario; ma quella che acquisite per il lavoro è una conoscenza materiale, profana, fisica, accanto alla quale dovete cercare di avere anche quella spirituale. Il primo tipo di conoscenza riguarda il sentiero di preyas, il secondo è del sentiero di shreyas. Ci vogliono entrambi per l’uomo; sono come la mano destra e la sinistra. Vi siete mai chiesti perché ci sono due mani? Perché il lavoro sia svolto in armonia da entrambe.
Significato del namaskâra
Ve l’ho detto molte volte: perché si fa il namaskar? Ci sono dieci dita nelle mani; la mano destra è per i doveri spirituali, la sinistra per quelli del mondo. Cinque dita da una parte e cinque dall’altra; congiungendo le due mani, diventano dieci dita: ecco il namaskâra. (Swami accompagna coi gesti delle mani le parole).
Dunque unione, e non divisione, è ciò che significa il namaskar. Oggigiorno c’è tanta gente che dice “Namaskar, namaskar!” (Swami fa il gesto di portare una mano alla fronte) Ma che significa battersi una mano sulla fronte? È un gesto che si fa per dire “Ah, karma mio!” (un’abitudine tipicamente degli Indiani, che immaginano la fronte come il libro su cui stanno registrate le conseguenze delle azioni passate, NdT). Ma quello non è un namaskar, il cui significato etimologico è “senza ego” (na-ma). Con quel gesto si dovrebbe indicare che si rinuncia al proprio io: na-ma vuol letteralmente dire “non-io”; mama significa “io”, na-mama “non sono questo io”. Completa assenza di ego. È l’ego che vi rovina, imprigionandovi nell’illusione. Non siate egotisti.
Troppi desideri avete, e l’ambizione, quand’è eccessiva, v’infiacchisce. Ma sì, abbiate pure un desiderio; ma quale? Il desiderio di Dio. Tale fu l’esempio di Mîra, Sakhubai e altre figure di santi, i quali non ebbero che il desiderio di Dio, avendo estinto ogni altro desiderio terreno. Il loro amore era incentrato sul Sé. L’unico ad occupare il vostro corpo è il Paramâtma, l’Onnipotente Sé, nessun altro. Non c’è posto per nessun altro!
Il vero Amico
Voi parlate dei vostri amici dicendo “è mio amico”; ma vi è forse possibile portare il vostro amico dentro di voi? Gli amici rimangono all’esterno. E allora, chi può esservi davvero amico? Dio, che potete collocare dentro di voi, mentre ciò non è possibile per nessun altro. In voi c’è un solo cuore, c’è un solo posto, non un divano, né una sedia per il gioco della musica. Là dentro c’è posto per uno solo.
Se manteniamo questo sentimento durante la nostra vita, ne ricaveremo gioia, una beatitudine che raggiungerà anche gli altri. La famiglia sarà in pace e, con la famiglia, anche l’intero villaggio e, quando i villaggi sono in pace, il mondo intero è in pace.
Pace e unità
Si ripete spesso “Shântih, shântih, shântih”, ma chi pronuncia le parole non ha pace in sé. Che fare per stare in pace con tutti gli altri? La pace non è qualcosa che si ottiene ripetendone la parola. C’è pace quando si bada a che non nascano pensieri malvagi; c’è pace quando si controllano i sentimenti. Se s’intrattiene un pensiero cattivo che ha appena fatto capolino, esso si farà sempre più vigoroso.
Le gopî dei tempi antichi si struggevano per raggiungere l’unione con il Signore: “O Signore, mi trovo in un corpo che non so quando dovrò lasciare. Tu pure sei venuto qui sulla Terra con un corpo; perciò, è giusto che il mio corpo entri in rapporto stretto con il Tuo. In qual modo sarà possibile?
Se Tu sei l’albero, lascia che ci arrampichiamo
come edera sul Tuo tronco.
– l’edera non deve strisciare a lato, bensì avvinghiarsi all’albero e salire –
Se Tu fossi un fiore che sboccia,
io sarei l’ape che Ti ronza attorno;
se Tu fossi il firmamento, io sarei una piccola stella che vi brilla
– questo era il senso d’unione bramato dalle gopî di quel tempo
Se Tu fossi il Monte Meru, accettami come torrente che scorre sui Tuoi pendii;
se Tu fossi l’oceano, io sarei il fiume che vi sfocia, per diventare una sola cosa con Te”.
Questo è il sentiero di un’unità che non lascia spazio ad alcuna discriminazione. In tale unione, che dobbiamo cercare, non c’è assolutamente posto per le differenze. Nessun senso di differenziazione ci deve toccare: sentite di poter dire di chiunque – guru, madre, padre o figlio che sia – “Sono tutti una sola cosa con me”. Ecco tutto.
Advaita e Dvaita
Può risultare difficile spiegarlo. C’è questo corpo qui (Swami intende parlare del proprio corpo), dove ci sono i cinque elementi; ed è così anche del vostro corpo. Dunque, entrambi, Io e voi, abbiamo un punto in comune. C’è forse qualche differenza? I cinque elementi sono sia in vostra madre, sia in vostro padre, sia nel vostro amico. Dal punto di vista oggettivo, c’è dualismo in ciascun elemento. E non si può dire che esista un sesto elemento; dovunque cerchiate, non lo troverete mai.
E invece nell’uomo c’è un sesto elemento, che è l’amore supremo, il Divino Amore. Lo chiamiamo Parama-prema, ed è della stessa natura del Paramâtma, l’Essere Supremo, l’Assoluto, il Tat-tvam, l’“Io sono”. Questa è l’unità (monistica) che dobbiamo realizzare.
Non lasciatevi deprimere dal senso di attaccamento al corpo; non andate fieri del vostro fisico. Sviluppate la qualità dello Spirito, che non si abbatte né si esalta. Immensa è la beatitudine che possiamo ottenere da questo genere di amore.
Studenti, la nostra beatitudine è direttamente proporzionale alla quantità di persone che amiamo. Più gente amate, maggior gioia avete, sempre di più. Se sono pochi coloro che amate, scarsa e in diminuzione sarà la vostra felicità. Amate dunque tutti. Che cosa avete da perdere? Assolutamente niente! Amate il prossimo e sarete felicissimi.
Il contagio del sorriso
Qualcuno vi sorride? Rispondetegli con un sorriso. Estendete il vostro sorriso a tutti; sarà come un contagio d’amore. Se qualcuno vi lancia delle critiche, voi ve la prendete a male e quello ride alle vostre spalle. E non è giusto! Se quello ride, ridete anche voi insieme a lui; e se vi arrivano delle critiche, non rispondete rendendo la pariglia, perché voi siete anche in colui che vi critica. E allora, sorridete!
Perché sorridere, vi chiedete? Pensate alla felicità che prova nel criticarvi chi vi attacca e siate felici di aver reso felice qualcuno, permettendogli di trarre gioia dal criticarvi. Voi siete la causa della sua soddisfazione; dovreste esultare di gioia: “Oh, come sono felice! Come sono felice!” Ciò dovrebbe arricchire la vostra vita di un nuovo entusiasmo.
Entusiasmo, ardore, coraggio, intelligenza, energia e valore: ecco i sei aspetti della ricchezza. Il Sé si manifesta in modo sempre più tangibile laddove ci sono queste sei caratteristiche. Allora: dove ci sono acqua ed aria, c’è l’Âtma. Non c’è luogo senz’aria; quindi, non c’è luogo senza Dio.
L’acqua sprofonda
Non c’è nemmeno un posto senz’acqua. Potreste anche non vederla in superficie, ma nel sottosuolo c’è. L’acqua scende più in profondità a causa delle cattive qualità che stanno prendendo piede in voi. L’acqua vuole sottrarsi alla vista di gente malvagia: “Che schifo! – dice – debbo vedere quelle facce?” E così l’acqua si ritira. Ma qual è l’acqua che sta per riaffiorare? È l’acqua delle lacrime che i malvagi dovranno versare, lacrime di dolore, mentre le lacrime versate per il Divino sono di nettare; sono le lacrime di gioia che si versano quando si cantano le glorie di Dio. Quest’acqua la chiamano toyam. Essa sgorga quando ci si dedica al santo nome di Dio con amore.
Dio, ladro… di cuori!
C’è un canto che definisce Dio: “Citta chora”, (Swami ne accenna l’intonazione) ossia “ladro di cuori”. Ma, se voi diceste in giro che “Dio è ladro”, i devoti vi prenderebbero per il collo e ve le suonerebbero di santa ragione. Vi direbbero: “Se Dio non ti piace, pazienza! Ma perché Lo bestemmi dandoGli del “ladro”?”
Invece, non sarebbe così quando cantaste quella parola con amore: (Swami intona e prosegue con il canto) Citta chora yashodâ ke bal, navanîta chora gopal… Non appena si canta con amore il bhajan che definisce Dio: “Ladro di cuori”, quelli che userebbero il bastone contro chi dicesse che Dio è un ladrone, rimarrebbero avvinti dal canto.
Cantate dunque con amore, e tutti saranno immersi coralmente nell’amore. Dire con astio “Quello è un ladro!” fa montare su tutte le furie, mentre, se si dice la stessa cosa con amore, commuove. Usiamo dunque le parole con amore; facciamo qualsiasi cosa con amore.
Un “Benvenuto” a tutto!
Avete subìto delle perdite? Bene. Avete dei problemi che vi turbano? Bene. Sperimentate tutto mediante l’amore. Se rifiuterete ciò che è spiacevole con un “No” secco, non si risolverà. Date a tutto il benvenuto. Benvenuto! Benvenuto! Benvenuto! Avete un dolore? Benvenuto! Avete felicità? Benvenuta! “Trattate alla stessa stregua felicità e dolore, successi e fallimenti, guadagni e perdite”. Tanto, sono la stessa cosa.
Il piacere è un intervallo fra due dolori.
Se non ci fosse il dolore, non ci sarebbe nemmeno il piacere; come pure non ci sarebbe luce, se non ci fossero le tenebre. Tutto ciò che arriva è per il vostro bene. Qualunque cosa accada, fosse anche un’infamia, sarà per il vostro bene! Come fareste ad essere felici se non ci fossero anche le calunnie? Dunque, è perché siete stati calunniati che potrete alla fine rallegrarvi.
Il mondo è fatto di dualità; dev’essere ambivalente, non può essere uno. La dualità tipica del mondo porta con sé una mezza cecità. L’uomo che soggiace al dualismo è mezzo cieco. Voi siete quindi mezzi ciechi. Così va il mondo: esso deve allearsi con la dualità; non può sussistere nell’unità. Perciò, dobbiamo saper recuperare gioia anche dalla dualità.
“Incarnazioni dell’amore”
Incarnazioni dell’amore, voi siete sempre personificazioni dell’amore, proprio come Swami ve lo conferma ogni volta che vi tiene un discorso. Non faccio altro che ripetervi “Incarnazioni dell’amore”. Comportatevi in sintonia con quel nome. Non agite contro l’amore. Chiunque vediate, non odiatelo mai, non siatene mai gelosi, non adiratevi mai con lui. Chiunque incontriate, trasmettetegli gioia. Quella gioia è la vostra gioia, la gioia di tutti.
“Eterna beatitudine, suprema felicità, espressione di saggezza, trascendente, immenso quanto il firmamento, ultimo, unico, infinito, puro, perenne Testimone, superiore a ogni sentimento, scevro dai tre guna (sattva, rajas, tamas)”.
Quale sofferenza toccherà uno che possiede tutte queste qualità? Domani ve ne parlerò e vi spiegherò il significato del termine Nityânanda, Eterna Beatitudine.
La Meta da raggiungere
Studenti, giorno dopo giorno, il tempo passa e, man mano passa il tempo, la meta s’avvicina. Se vogliamo andare in auto a Bangalore, non ci arriveremo mai allontanandocene ma, per quanto adagio possiamo andare, se là siamo diretti, ci avvicineremo. Così, non dobbiamo assolutamente rinunciare al viaggio che abbiamo intrapreso. Non interrompete mai il viaggio finché non siete arrivati a destinazione. Alla meta dovete arrivare. Quale meta? La meta che sta dentro di voi. L’esilio dei sentimenti cattivi dal vostro cuore è la meta. Non date mai spazio alle decisioni cattive, ai pensieri e ai voleri maligni. Vedete il bene in tutto. Ho detto good (buono), non gudu (“uovo di gallina” in telugu)! (Swami ride della sua stessa battuta).
Dio vi circonda
Dobbiamo vedere la bontà in tutti, e in questo modo ogni singolo uomo amerà il Divino, non come qualcosa di separato. Dio è in voi, con voi, in te, intorno a te, davanti a te, sopra di te, accanto a te. Egli è con voi, in voi, intorno a voi, accanto a voi.
Dove credete di poter andare se abbandonate una tale Divinità? In qualunque altra parte troverete un dio artificiale; in realtà, potete vedere che il cuore è Dio: fuori c’è artifizio (art), dentro c’è il cuore (heart). Il vostro cuore è interiore. Guardate all’interno, sviluppate la visione interiore, come suggerisce il Vedânta.
(Swami conclude il discorso e, dopo una lunga pausa, intona il bhajan “Pibare râma rasam”, alternandolo con “Hari bhajana bina sukha shânti nahi”)
Brindâvan, Sai Ramesh Hall, 22 maggio 2000.
Corso Estivo 2000
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