Se perdete i soldi, gli amici, la moglie o le terre,
potrete sempre averne altre.
Ma, se perdete il corpo, non lo riavrete mai più.
Incarnazioni dell’Amore!
Se perdiamo la ricchezza, ci sono moltissimi mezzi per riguadagnarla. Avete perso degli amici? Quanti altri ne potrete avere! Avete perso la moglie? Vi potrete risposare. Avete perso dei terreni? Con qualche sforzo la riavrete. Ma se perdete il corpo fisico, non potrete recuperarlo mai più. Qualunque tentativo facciate, a qualsiasi penitenza vi sottoponiate, una volta perduto il corpo, non lo riavrete più.
La vita umana è profondamente sacra, rarissima da ottenere, bellissima e dal valore incalcolabile. Le sue caratteristiche sono del tutto singolari, di conseguenza sta all’uomo proteggere il proprio corpo, anche se può risultare difficile. La protezione del corpo è essenziale se si vogliono realizzare tutti i compiti e le esperienze che abbiamo in programma di fare. Senza il corpo fisico, non esiste nemmeno la possibilità di ottenere o realizzare la benché minima cosa. Il corpo vale più dell’esser ricchi, è più prezioso dell’oro, delle proprietà, delle comodità, delle automobili; è necessario sperimentarlo e servirsene nel giusto modo, imprimendogli la giusta direzione di vita, portandolo sulla via della santificazione.
I giorni e le notti, una volta passati, non tornano più indietro. Di tutta l’acqua che scorre nel Gange non possiamo riavere indietro nemmeno una goccia sola, quando ormai si è immersa nell’oceano. Un frutto ingerito non riavrà più la sua forma! Così pure, non è più possibile restituire la vita a un uomo dal quale se n’è andata, qualsiasi prezzo siate disposti a pagare.
Un essere umano vale ben più di tutto l’oro del mondo. Chi ha deciso il valore dell’oro? Chi dà valore ai diamanti? Chi stabilisce quanto vale un patrimonio o un terreno? È l’uomo! Se non ci fosse l’uomo, che valore avrebbero tutte queste cose? Che cosa vale una cosa se manca chi la valuta? Ecco perché la vita dell’uomo ha un valore superiore a tutte le altre ricchezze.
Lo dichiarano anche i Veda: Jantûnâm narajanman durlâbham, “Fra tutte le creature, la nascita umana è la più difficile da ottenere”. Quante cose ci sono da realizzare in una vita! Il prâna, il respiro vitale dell’uomo è più importante del corpo; tuttavia, esistono alcuni compiti per i quali dobbiamo essere pronti a sacrificare la vita stessa.
Incarnazioni dell’Amore, è indispensabile saper valutare l’importanza del corpo fisico, poiché esso costituisce la protezione della Divinità che ospita interiormente. Il corpo è simile a una cassaforte, che in sé non vale un gran che, ma custodisce un preziosissimo Tesoro e inestimabili gioielli quali le virtù, le buone abitudini, i buoni pensieri, le buone considerazioni.
Che cosa accadrebbe se perdessimo queste preziose qualità? Non ci sarebbe più possibile riaverle. La vita infatti ha valore solo grazie ad esse. Tutto il gran valore che si dà all’uomo dipende dalle virtù che gli sono proprie: compassione, amore, pazienza, pentimento e sacrificio. Purtroppo, gli uomini d’oggi sono poveri di queste virtù e le ignorano sottovalutandole.
Il corpo è come un orologio che ha tre lancette: quella delle ore che sono gli anni, quella dei minuti primi che sono i mesi e quella dei secondi che sono i giorni. Anni, mesi e giorni girano come le sfere di un orologio, sebbene l’uomo non se ne accorga. Ad ogni ora un orologio a pendolo suona le ore — dong… dong…— ma nessuno conosce l’ora in cui il corpo cesserà le sue funzioni. Mentre ne abbiamo il pieno possesso, dunque, serviamocene correttamente.
Il corpo è il mezzo che serve all’uomo per compiere il suo lungo viaggio. Se non lo si utilizza bene, questo strumento così importante a metà percorso ci procurerà un’infinità di guai. Ecco perché vale la pena svolgere una buona ricerca sulle virtù umane: “Che significa “divino”? Che significa “santità”? Che cos’è la determinazione? Che cosa significa pensiero o azione disinteressata?” Tali domande ci faranno capire quanto siamo disinformati in un campo tanto prezioso.
L’uso che l’uomo odierno fa di questo strumento tanto valido è finalizzato a scopi egoistici e a interessi personali, mentre il suo vero fine sarebbe quello di aiutare il prossimo e rendere servizio alla società. In realtà dovreste assicurare protezione non solo alla vostra persona, bensì anche agli altri esseri umani. Anche nel caso di maggior disinteresse, c’è sempre una parte di egoismo in tutto ciò che si fa e, in ogni caso, non pare proprio che l’uomo moderno sia minimamente incline a servire il prossimo!
Vyâsa in due enunciati riassunse l’essenza dei diciotto Purâna: “Sempre aiutare, mai far del male”.
Il corpo è un dono che Dio vi ha fatto affinché siate di aiuto agli altri; ma è così ottuso l’uomo nel comprendere che cosa significhi essere altruisti! Non si vede che egoismo, egoismo, egoismo; sempre e dappertutto. C’è un lavoro da fare? È l’egoismo che detta legge. Si pensa a qualcosa o a qualcuno? È l’egoismo il termine di confronto. Qualsiasi cosa si faccia, è l’egoismo che la muove. Possiamo dire che l’uomo sia come un giocattolo nelle grinfie dell’egoismo e dell’interesse personale, una marionetta manovrata dall’ego. Con che coraggio possiamo affermare che l’uomo sia indipendente?
Che fare per liberarsi? Bisogna sacrificare l’ego. Occorre fare delle scelte che vadano a beneficio dell’altro. Solo così il corpo sarà santificato e il suo scopo verrà realizzato. E non esiste solo il corpo, ma anche la mente a cui conferire la dovuta beatitudine.
Ci sono tre importanti settori nel corpo: il cuore, la mente e la facoltà della parola. I Veda hanno nominato il cuore “Spirito” (Âtma). Per questo ieri abbiamo detto che Colui che risiede nel corpo sotto forma di cuore è Îshvara o Shiva. La nostra mente è la forma di Vishnu, mentre la parola è Brahmâ. Atteso che Îshvara, Vishnu e Brahmâ costituiscono gli aspetti principali della vita umana, non si comprende come l’uomo, depositario d’una Divinità tanto preziosa, misconosca la verità riguardo l’immenso valore della sua vita. Quando una persona ha capito se stessa, saprà comprendere anche tutti gli altri. Come potrebbe essere altrimenti? Perciò, la prima parola da comprendere è “io”; c’è tutto nelle parole che pronunciamo.
Ci sono alcuni devoti che vengono a chiedermi: “Swami, io voglio la pace”. E io rispondo loro: “Perché ti dai tanta pena? Che è mai questo “io”? È l’ego. E “voglio” che cosa significa? È il desiderio. Eliminali tutti e due — ego e desiderio — e rimarrà solamente la pace. Così ti sarà data”.
È un esempio istruttivo: in ogni circostanza ci sono sempre delle cose da sottrarre ed altre da aggiungere; e la vita, a causa di questi “più” e “meno”, passa da uno stadio all’altro. L’ego trova mille modi per rovinare la nostra esistenza: è necessario dunque fare di tutto per eliminarlo. Voi pensate sia un compito difficile; ma è un errore grossolano. Al contrario: è molto facile eliminarlo. Perché siamo così attaccati a quest’ego? È nostro dovere trovare una facile soluzione.
L’“io”, o ego, è il nome più comune con cui una persona s’identifica; ed è un nome che viene mantenuto per tutta la durata della vita. Questo fa sì che l’uomo dimentichi il suo vero nome originale, il suo vero “Io” (che lo identifica con lo Spirito). Il nome acquisito fin dalla nascita non viene mantenuto per sempre. Può anche cambiare, e, in effetti, serve solo finché il corpo è in vita. Ma quanto tempo dura un corpo?
Il corpo fisico, formato dai 5 elementi, è debole e nessuno sa quando perirà.
Nonostante siano concessi cent’anni di vita, non potete dare per scontata la durata della vostra esistenza.
Potreste dover lasciare il vostro corpo in qualunque momento, nell’infanzia, in giovinezza o in vecchiaia; che vi troviate in città, nella foresta o nelle profondità del mare.
Convincetevi, mentre ancora siete in vita, che la morte è certa;
perciò, utilizzate la vostra intelligenza per comprendere la vostra vera natura.
Qual è la lezione che dobbiamo imparare oggi? Chi sono io? Io non sono il corpo, non sono la mente, non sono l’intelletto, non sono la coscienza (citta), non sono il complesso della ragione e dei sentimenti (antakharana). Chi sono dunque?
Io sono l’Io. L’ego si manifesta alla nascita del corpo; infatti, diciamo “io” per indicare questo nostro corpo. Innumerevoli sono gli “io”; di conseguenza, basterà conoscerne anche uno solo per conoscere tutti gli altri.
Incarnazioni dell’Amore, nella vita umana sono celati certi segreti sottili che nessuno cerca di scoprire; la vita nasconde moltissimi aspetti occulti e di valore inestimabile. All’interno dell’uomo esistono tutti i poteri della Natura e l’uomo racchiude in sé poteri che non esistono in nessun’altra parte della creazione. I santi d’un tempo viaggiavano per insegnare a tutti coloro che migravano da una nazione all’altra: “Folli! Voi vagate di nazione in nazione come vagabondi! A che pro tanti vagabondaggi? Che cosa andate cercando, se tutto è già dentro di voi? Tutto ciò che desiderate e in cui sperate, per le quali espatriate, sono già vostre. Malauguratamente non sapete riconoscere la magnificenza che sta in voi”.
I Veda dichiarano che l’“io” è vyakti. Che cosa vuol dire? Vyakti significa “uno che deve rendere manifesto ciò che è latente in lui”; colui che palesa l’energia divina presente al suo interno si chiama vyakti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, vyakti non riguarda il corpo fisico: è vyakti colui che percepisce e manifesta la natura divina, l’Avyakti, ossia l’Immanifesto, l’Essere Supremo, che ha in sé. Non può certo dirsi vyakti l’uomo che non sa riconoscere la propria essenza interiore. Non si può definire vyakti, nel senso di “individuo” o “persona”, (1) colui che non individua la Divinità latente, interiore. Per essere “persona” è necessario saper sviluppare l’identità e l’unità con Dio.
Le Scritture affermano: Satyam vada dharmam chara, “Di’ la verità. Segui la rettitudine”. Sono i due princìpi che danno sostegno all’individuo. La cultura indiana invita a dire la verità e a seguire il dharma: è questo lo scopo per cui Dio vi ha donato un corpo come strumento grazie al quale osservare la via sacra. Per questo motivo dobbiamo tentare gradualmente di manifestare esternamente il potere divino racchiuso in noi.
Nessuno, appena nasce, possiede un’istruzione; nessuno nasce erudito. Gradualmente, praticando la disciplina spirituale, si è in grado di manifestare i propri talenti nascosti. Questo è lo scopo dell’educazione. Ed è per questo che si dà il nome di “educazione” al processo il cui scopo è di far affiorare dall’interno all’esterno i talenti nascosti.
Purtroppo, oggi si può parlare solo di istruzione, e di un’istruzione artificiale, laddove con il termine “artificiale” si sottintende ciò che è artefatto, invece di intenderlo come qualcosa che viene dal heart, dal cuore. Diciamo allora che art è l’istruzione e heart l’educazione. All’esterno dobbiamo portare ciò che abbiamo dentro. Essendo una cosa naturale, non c’è nessuno al mondo che abbia mai studiato un metodo; chi però ce l’ha fatta, ne ha dato prova.
Nonostante tutta la sua istruzione e la sua intelligenza, l’uomo insensato non sarà capace di conoscere il suo vero Sé e una persona malvagia non correggerà mai le sue qualità meschine.
L’istruzione moderna conduce solamente a polemiche e non alla Saggezza totale.
A cosa serve esser tanto colti nelle scienze del mondo se esse non vi possono condurre all’immortalità?
Acquisite l’Educazione che vi renderà immortali!
Questo è ciò che dobbiamo far sgorgare dall’interno. Qual è l’aspetto che non muore mai? Non esiste morte per l’io, il Sé. Esso non morirà mai, così come non esiste morte per la forma di Vishnu — la mente — che da Lui prende origine. Vishnu è la natura dell’onnipresenza, la quale diffonde Brahmâ — la parola — in ogni direzione. Brahmâ, Vishnu e Maheshvara (Shiva) sono le Incarnazioni della Verità, la quale viene espressa con il termine “Io”. Non dobbiamo mai identificare il corpo con la parola “io”: “Io” è il suono che permette al corpo di manifestarsi. Il corpo è materiale, come ogni altra cosa.
Tutto ciò che può esser visto dagli occhi, è destinato dopo qualche tempo a scomparire. Gli uomini considerano invece reale tutto quanto andrà verso la distruzione! Credono che gli oggetti materiali siano reali. Ma tutto ciò che si può vedere, svanirà; persino la creazione intera avrà termine.
La facoltà della vista ci è stata donata da Dio perché godessimo della creazione. È grazie alla vista, infatti, che possiamo osservarla. Invero, se non ci fosse nessuno che vede, non esisterebbe creazione. Il corpo vi permette dunque di sperimentare e di avere sotto gli occhi la Natura.
Anche Adi Shankara, interrogandosi sullo scopo dell’esistenza, si chiedeva: “A che serve tutto ciò?” Un giorno, mentre camminava per strada, s’imbatté in uno studioso, il quale andava ripetendo a memoria una regola di grammatica. Shankara gli si avvicinò e gli disse: “Senti un po’, studioso! Perché stai ripetendo una regola della grammatica di Panini? (3) Che vantaggi credi di averne?” Lo studioso rispose: “Diverrò un grande erudito”. “Ma che pensi di guadagnare da tutta questa cultura?”, riprese Adi Shankara. E lo studioso: “Un sacco di soldi!” “E che ci farai con tutti quei soldi?” “Vivrò felicemente godendomi una vita piena di comodità”. “E poi, che farai?” “E poi… poi, non resta che morire”, concluse lo studioso. Shankara allora gli domandò: “E quando sarai morto, a che ti serviranno tutti quei soldi che hai accumulato?” “Non ho idea”, rispose perplesso lo studioso.
A questo punto Adi Shankara disse: “Che pazzo! Non c’è animale, uccello o belva che, finché vive in un corpo, non se ne serva per mangiare, dormire, sopravvivere nella lotta quotidiana e godere piaceri sensuali. Non serve essere uomini per questo, né serve studiare. Gli animali mangiano e dormono anche senza aver studiato, non ti pare? E non godono forse anch’essi dei piaceri della vita? Folle che non sei altro! Un essere umano non ha il corpo per quegli scopi!”
Bhaja Govindam, bhaja Govindam
bhaja Govindam, bhaja Govindam
Govindam bhaja mudhamate…
Folle uomo, canta la Gloria di Govinda (Dio); canta il Suo Nome ininterrottamente.
Quando si presenterà la morte non ci sarà grammatica che ti possa salvare.
Non c’entrano gli anni della tua vita; non importa se si è longevi:
prima o poi, si dovrà affrontare la morte.
I messaggeri della morte saranno pronti a trascinarti via;
i tuoi familiari, persa ogni speranza, chiederanno che il tuo corpo sia portato fuori, mentre tua moglie e i tuoi figli piangeranno.
In quel momento, la tua bocca ripeterà il Nome del Signore?
Chi potrà venire a salvarvi nel momento della vostra agonia, quand’anche gridaste “Oh! Proteggimi!” Il tempo della redenzione e della giusta via verso la santità è solo quello della vostra vita, mentre ancora siete attivi e coscienti. In ogni caso, la vita quotidiana è un’esperienza che ci tocca fare. Che tipo di esperienza? Un’esperienza di qualità umane e di quelle virtù nascoste che devono essere messe in pratica. In vita dobbiamo agire con comportamenti positivi e, al momento della morte, abbandoneremo il corpo con buoni pensieri e buoni sentimenti. Tant’è il corpo non durerà per sempre.
Il corpo, fatto di ossa, carne, urina e feci,
produce ogni tipo di odori sgradevoli;
non esalerà mai il dolce profumo del gelsomino!
Eppure, che cosa può nascere da questo corpo? Nei nostri sentimenti interiori ci sono delle qualità sacre; è per proteggerle che dobbiamo prenderci cura del nostro corpo. Una volta ottenute queste qualità pure, il corpo non ha più ragion d’essere, può essere sacrificato. È la morte: il momento in cui non ci sarà più un amico che lo segua.
Dobbiamo partecipare alle attività di servizio.
Non attraverso le penitenze,
né bagnandosi nei fiumi sacri,
né studiando le Scritture,
né ripetendo il Nome di Dio,
ma solamente servendo il prossimo
è possibile attraversare l’oceano della vita terrena.
Molte sono le azioni che intraprendiamo. Grazie a che cosa riusciamo a compierle? Grazie al corpo. Voi fate grandissimi affari e guadagnate milioni, ma con che cosa conseguite questo benessere? Con il corpo. Avete ottenuto un’istruzione d’alto livello; grazie a che cosa avete studiato? Grazie al corpo. Il corpo, perciò, è assai importante ed è nostro dovere santificarlo mentre è ancora in vita. Il corpo è un’autentica Grazia, perché serve a darvi gioia, bellezza, beatitudine. Non serve solo per sbarcare il lunario. Dopo tutto, che sono mai le gioie terrene?
Nella guerra tra Francia e Germania, i Francesi persero. Dopo la sconfitta, il generale dell’esercito francese, nobile combattente, disse: “La vera sconfitta della Francia non è stata sul campo di battaglia. Il popolo ha perso perché si circonda d’ogni genere di comfort e di piaceri materiali. La nostra autodistruzione dipende dal lassismo che ci ha gettati in pasto ad ogni genere di piaceri e di perversione. Chi amerebbe un basso e spregevole uso del corpo, quando il piacere che promette sfuma in un baleno?”
Non crediamo che Dio ci abbia dotato di un corpo fisico per godere dei piaceri sensuali.
Un giorno Dakshinâmûrti, (la deità che presiede allo sforzo umano di acquisire sapienza) che qui rappresenta l’intelletto, stava passeggiando sulla riva del mare. Com’era suo solito, di ogni cosa voleva scoprire la ragione esistenziale. Durante la sua passeggiata, si fermò un attimo a contemplare l’oceano. Vide della polvere sollevarsi e cadere in acqua. Poi, dell’altro vento ancora più forte, sollevò la sabbia e la scaraventò sulle onde. Le onde, per tutta risposta, sollevandosi, riportarono la polvere a riva. A ogni nuova sfuriata del vento, le onde rigettavano indietro la sabbia.
Dakshinâmûrti, che osservava la scena, si mise a riflettere: “O infinito oceano! O potente oceano! Sei tanto immenso e maestoso, e non sai sopportare nemmeno un po’ di polvere? Sei davvero così egoista? Che sarà mai se un po’ di polvere cade nelle tue acque?”
Dopo questo pensiero, Dakshinâmûrti si sedette a meditare. Là, nel silenzio della meditazione, l’oceano gli venne incontro per dargli la sua risposta: “Dakshinâmûrti, dentro di me ci sono infiniti tesori, gemme, oro, diamanti, perle, infinite possibilità di energia, ecc. Se lasciassi ogni volta che un po’ di polvere si posasse in me, a poco a poco, polvere dopo polvere, le mie acque s’insozzerebbero, diverrei totalmente inquinato. Ecco perché non voglio che la mia forma e la mia purezza si guastino. È per questo che non permetto alla polvere di sporcarmi. Le onde sono il mio ornamento”.
Case e palazzi decorano città e villaggi;
le onde sono l’ornamento dell’oceano;
la Luna dona bellezza al cielo;
l’ornamento della donna è la reputazione;
la vibhûti è l’ornamento dei devoti di Shiva.
A noi scoprire quale sia il nostro ornamento. Le virtù sono l’ornamento dell’umanità, ma gli uomini d’oggi preferiscono i ninnoli esteriori, dal cui illusorio luccichio sono abbagliati, e hanno scartato i veri gioielli, quelli interiori.
Studenti, incarnazioni dell’amore, la vostra giovane età vi prospetta ancora un lungo viaggio. Non innamoratevi del vostro corpo, ma premuratevi solamente del suo buon stato di salute. Non siate attaccati al corpo più di tanto, quel tanto che basta a proteggerlo dalla malattia. Abbiate cura di mantenervi in salute, poiché è solo grazie a un corpo sano che si può aderire alle attività di servizio da svolgere.
Effimera è la vita, effimera la giovinezza,
effimera la ricchezza,
effimeri sono gli affetti e la famiglia.
Solo due cose durano per sempre: la Verità e il buon nome.
È nostro dovere proteggere la via della verità, senza mai abbandonarla; senza verità, non avremo una buona reputazione; senza verità, non avremo mai stima. Per questo motivo dobbiamo proteggerla continuamente.
È assai frequente oggi udire una tipica frase dalla bocca dei politici, quando si rivolgono agli studenti: “Proteggete la nazione! Proteggete la nazione!” Ma chi è in grado di farlo? Non sono altro che parole vuote, giacché la protezione di una nazione intera dipende dalla verità e dalla rettitudine.
Se ci prenderemo cura della verità e del dharma, saranno la verità e il dharma stessi a prendersi cura della nazione. Dharmo rakshati rakshitah: “Il Dharma protegge chi lo difende”.
Se proteggete il Dharma, il Dharma vi proteggerà.
Se uccidete il Dharma,il Dharma vi distruggerà.
Con una mano difendete la nazione, mentre con l’altra reggete il Dharma. Se state dalla parte del Dharma, la nazione avrà automaticamente protezione. Una nazione che trascura la vita morale, rimane indifesa; che cosa potrebbe fare per difendere una nazione chi calpestasse i princìpi della morale? Se proteggiamo il Dharma, sarà il Dharma stesso a proteggere la nazione.
Disgraziatamente, per l’uomo d’oggi la morale vale quanto uno zero: non c’è giustizia, da nessuna parte; si occulta e si mette a tacere la verità. Come sarà possibile dunque per taluni proteggere la nazione? Per esprimere un’idea, non basta incantare con dei bei discorsi; occorre sincerarsi se ci sia della veridicità in quelle parole, serve il giusto linguaggio della coerenza, nell’interesse della nazione.
Una volta un attore di strada si presentò al palazzo del re. Travestito da sannyasi, espose l’essenza dei Veda e spiegò la filosofia di Adi Shankara. Il re ne fu molto lieto e offrì al monaco un piatto pieno di monete. L’attore disse: “Sire, oggi sono qui nei panni di un sannyasi; la ricompensa che intendi offrirmi non è dharmica, non si adatta al mio stato di rinunciante. Salvaguardare la nazione implica che si adotti il comportamento appropriato rispetto al ruolo di ciascuno, se non vogliamo che la cultura ne sia sconvolta. Di conseguenza, non intendo accettare queste monete”.
Il giorno seguente, l’attore si presentò nuovamente a palazzo, questa volta in costume da ballerino. Eseguì delle danze e dei canti con estrema bravura. Fra le altre cose, predisse al re anche il futuro; poi danzò, e danzò ancora. Alla fine dello spettacolo, come compenso per la rappresentazione, il re offrì all’artista solo una manciatina di monete. Ma l’attore protestò: “Sire, è una somma insufficiente, irrisoria per me!” “Ieri ti ho offerto una grossa somma — gli obiettò il sovrano — era un bel po’ di monete, ma tu le hai rifiutate; e oggi dici che queste non sono sufficienti. Che significa tutto ciò?” “Ogni ruolo intepretato vuole la sua mercede; altrimenti ne va della professionalità dell’artista”, rispose il “ballerino”.
Lo stesso vale per voi. Oggi siete nella veste di studenti: è dunque vostro dovere esprimere le qualità proprie dell’abito che indossate, dovete guadagnarvi il rispetto che si merita ogni studente, comportandovi con autenticità e coerenza col ruolo che ricoprite. Dovete mostrare umiltà e rispetto. L’umiltà sarà una protezione per le conoscenze acquisite: è una virtù che, insieme all’obbedienza, al rispetto e alla gentilezza, dovrebbe caratterizzare ogni studente che difenda la verità e sia retto nel pensiero e nell’azione.
Virtù, intelligenza, verità,
devozione, disciplina e senso del dovere:
sono le sei qualità che l’istruzione,
(che è educazione), deve impartire.
C’è un tipo di comportamento che dev’essere proprio di ogni studente; se il vostro agire non è in accordo con l’abito che indossate, tradite il vostro ruolo.
Incarnazioni dell’Amore, so perfettamente che tutti voi godete di un grande rispetto. Ciò che vi dico riguarda una situazione generale; io vi dico ciò che serve a creare condizioni normali, spiegandovi tutto quanto a modo Mio. È per prevenzione che ritengo giusto ripetere che chi indossa un abito da studente dovrebbe adottare il comportamento appropriato a tale abito.
La vista. Durante gli anni dell’educazione scolastica, è molto importante curare la purezza dello sguardo e guardare solamente le cose che si suppongono meritevoli. Non è bello vedere degli studenti che volgono lo sguardo a destra e a sinistra per guardare tutti quelli che passano per strada. Non si dovrebbero mai vedere degli studenti bighellonare in giro passando da un negozio all’altro. A furia di guardare in quel modo, vi verrà lo sguardo da avvoltoio!
Pensate che gli occhi siano stati dati per guardare ogni minima cosa? No, no, no, no! Andrebbero guardate solo le cose che uno studente dovrebbe ordinariamente osservare. Guardate i libri, per studiarli; guardate i vostri genitori, i vostri amici. Questo solo. Tutto il resto, e naturalmente ciò che non andrebbe guardato, non va guardato.
Alla vostra età dovreste considerare come fratelli e sorelle tutti gli adulti che incontrate. “Guarda quella ragazza…!”, si sente dire: non guardate le ragazze facendo certi pensieri su di loro. Dovreste sentire che tutte sono nostre sorelle minori o maggiori, tutti nostri fratelli minori o maggiori. Alla vostra età dovreste considerare come vostre sorelle tutte le donne e vedere le donne adulte come madri, manifestando loro tale rispetto.
È superficiale pensare: “In fin dei conti, ho degli occhi per guardare”; non avete scusanti se guardate tutto ciò che vi pare. Il modo perverso di guardare fa perdere la vista: così sta scritto nel Sûryanamaskâra, il sacro testo che riporta il rituale del “Saluto al Sole”. In tale Sacra Scrittura si narra che Sûrya abbia sentenziato: “Toglierò la vista a chiunque possiede uno sguardo perverso”. Perciò, non guardate chiunque.
Quando camminate per strada, tenete gli occhi abbassati e andate dritti per la vostra strada. In questo modo sarete fuori dai pericoli e crescerete in virtù. Se camminate per strada o andate in bicicletta e vi distraete per guardare una scritta, un’insegna, un cartellone pubblicitario, questa o quella persona, andrete sicuramente a sbattere! È chiaro che, non guardando più la strada e volgendo lo sguardo altrove, rischierete un incidente. E allora, quando siete per strada, mantenete l’attenzione sulla strada stessa. Imparate questo tipo di concentrazione; tenete a freno e ben vigili i vostri occhi.
Questo fu uno dei principali insegnamenti anche del Buddha: Samyag darshanam, “la retta visione”. È importante che sviluppiamo una buona visione, perché, a guardar pazzie si diventa pazzi!
Una volta, Aristotele stava camminando a fianco del suo Maestro, (5) il quale impartiva insegnamenti a tutti i ragazzi che lo avvicinavano. Il Maestro di Aristotele era Platone. “La Verità è la nostra vista, — diceva nei suoi insegnamenti — la Bontà è la nostra vista, la Bellezza è la nostra vista. Che cos’è la Bellezza? (6) La Natura è Bellezza e non l’individuo. La Natura è il miglior maestro”. Questa è la nostra bellezza la quale viene definita Satyam (Verità), Shivam (Bontà), Sundaram (Bellezza). Aristotele osservava il suo Maestro camminare lungo la strada; Platone, infatti, non era tipo da guardare chiunque. Per questo venne considerato il leader di tutti i giovani. Come insegnante, doveva anch’egli agire coerentemente con ciò che insegnava. E così camminava guardando per terra.
Durante la sua solita passeggiata serale, Socrate finì per scontrarsi sul marciapiede con un ufficiale che proveniva dalla direzione opposta; così…! (Swami batte i due palmi delle mani). Immediatamente l’ufficiale chiese seccato (Swami ne imita il tono sgarbato): “Chi sei tu?” “Signore — rispose Socrate cadendo ai piedi dell’uomo — me lo sto chiedendo anch’io! Vi supplico: ditemelo voi, chi sono? Sto ininterrottamente ponendomi l’interrogativo: chi sono io? chi sono io? chi sono io? La prego, me lo dica lei: chi sono?”
E questi era Socrate! Spesso riuniva tanti giovani insieme e li istruiva in modo eccellente. Non era certo il tipo d’uomo che avesse sguardi maliziosi; nemmeno prestava orecchio alle cattiverie. A proposito di orecchie, era solito esprimersi così: “Credete che le orecchie siano degli imbuti atti a raccogliere tutto quanto si dice in giro?” Ascoltate solamente ciò che vale la pena, non qualsiasi cosa.
Il pensiero. Bisogna pensare solo a ciò che serve, ed è necessario valutare ogni volta quando, dove e che cosa sia giusto pensare. Non occorre rimanere seduti a pensare e a torturarsi incessantemente. L’intera stirpe dei Kaurava venne distrutta a causa di quel modo sbagliato di pensare. Non appena incontravano i Pândava, immediatamente sorgevano in loro atroci pensieri di distruzione nei loro confronti. Alla fine, poiché i Kaurava si crogiolavano sempre più in pensieri malvagi nei confronti del Pândava, che invece erano la personificazione della rettitudine, che cosa accadde loro? (7) Perciò, vedere il male, udire il male e pensar male sono negatività che l’uomo farebbe bene ad evitare.
La parola. Non dovrebbero essere pronunciate parole cattive; le parole dovrebbero essere usate per dar gioia alla mente. “Non potete sempre far cortesie, ma potete sempre parlare con cortesia”. Queste sono le buone qualità che uno studente deve possedere. Le virtù sono i gioielli di chi studia.
Studenti e studentesse, acquisite le virtù proprie della vostra età; in avvenire vi serviranno. Le potrete mettere in pratica domani, solo se le avete acquisite oggi. Se infatti non si coltivano fin da adesso, come potranno essere messe in pratica? Per questo dovremmo sviluppare buone qualità, buoni intelletti, buoni comportamenti e buone parole.
L’intelletto dovrebbe sempre essere nutrito dalla visione di cose buone e positive. Per questo Buddha insisteva nell’insegnamento della “retta visione”. Anche i suoi discepoli non guardavano mai a destra e a sinistra. Sapete che cosa accade a chi non sa controllare la vista? I cattivi sentimenti aumentano a tal punto da produrre vizi che uccidono! Perciò, non perdete così il controllo degli occhi. Sappiateli tenere a freno. Anche questo faceva parte degli insegnamenti del Buddha.
Studenti, questa è l’età in cui dovreste guadagnarvi una buona reputazione. Voi sarete alla guida dell’India, poiché i giovani d’oggi, saranno i cittadini di domani. Oggi siete dei ragazzi, ma domani sarete dei dirigenti, dei leader e a voi spetterà il compito di restituire alla nazione sacralità e purezza. Come i capi, così la nazione. Di conseguenza, se sarete persone buone, la nazione diventerà una buona nazione.
La sacra India. India, “terra del sacrificio”, “terra dell’azione”! Benedetto suolo indiano! Dovete vivere come persone benedette e far scendere sulla nazione ancora più benedizioni. Per poter fare tutto ciò, è necessario che proteggiate il vostro corpo; altrimenti, se il corpo se ne va, non potrà più tornare indietro. Se perdiamo qualsiasi altra cosa, potremo riaverla, ma se perdiamo il corpo, non lo riotterremo più. Continuate il vostro viaggio fino a raggiungere la Meta. Questo è ciò a cui dovete mirare; questo è il giuramento che dovete fare.
Se siete decisi in qualcosa,
rimanete saldi, ben aggrappati ad essa;
non mollate la presa finché l’obiettivo non sia raggiunto.
Se avete espresso un desiderio,
non arrendetevi finché non venga realizzato.
Se avete chiesto, non gettate la spugna finché non vi sia dato.
Se avete avuto un’idea, non abbandonatela finché il pensiero
non si sia trasformato in realtà.
O Iddio, esasperato dalle vostre insistenze,
vi benedirà, oppure verrete meno per via.
Dio, che non sa resistere alle vostre insistenze, non avrà altra scelta che venirvi incontro! Basta solo che chiediate. Ma se vi arrendete prima che i vostri desideri siano esauditi, non vi state comportando da veri studenti! Non è da studenti abbandonare il proposito. Il vero studente persegue e ottiene tutto, non abbandona mai il campo. Questo è il suo voto e la sua determinazione!
Incarnazioni dell’Amore, conservate con sollecitudine nel vostro cuore tutto ciò che i superiori vi dicono, tutto ciò che potete apprendere dagli (altri) studenti, tutto ciò che i professori v’insegnano. In avvenire il vostro sforzo sarà teso a mettere tutto in pratica. Santificatevi in questo modo; siate degli ideali. Mettete in pratica e raggiungete i vostri obiettivi.
Io vi benedico e auspico per voi tutto ciò. E con questo concludo il mio discorso.
(Swami conclude cantando due Bhajan: “Pibare Rama Rasam, Rasane …” e “Govinda Krishna Jay, Gopala Krishna Jay …”)
Brindâvan, Sai Ramesh Hall, 17 Maggio 2000.
Corso Estivo.
Versione integrale