13 Aprile 2000 – Compagnie buone per avere pace e unità

13 Aprile 2000

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Compagnie buone per avere pace e unità

Fuggi dalle cattive compagnie,
unisciti a quelle buone,
compi giorno e notte azioni meritorie.
Distingui sempre ciò che è eterno
da ciò che è temporaneo.

Incarnazioni del Divino Amore,

il Tamil Nadu ha dato i natali a molti grandi che si sono adoprati per divulgare in tante maniere gli insegnamenti spirituali. Si deve ammettere che in India il Tamil Nadu è una terra ricca di tesori spirituali. Sfortunatamente, a causa dei tempi che cambiano e di intelligenze in declino per la perdita del buon senso e la carenza di discriminazione, la popolazione odierna impiega il proprio tempo in cose materiali, dimenticando l’eterna verità del Divino.

Ogni uomo vuol essere libero, esige felicità. Se si vuole raggiungere la felicità, è importante che si attuino tre tipi di trasformazione: spirituale, sociale e individuale. Il diritto ad avere l’esperienza dello Spirito si matura solo dopo che si sono portate a termine queste tre trasformazioni.

1) Con la trasformazione personale dobbiamo eliminare i pensieri e i ragionamenti cattivi, come pure vanno fermate alcune abitudini negative. Quali? Il bere alcolici, il mangiar carne, il fumare, il gioco d’azzardo. L’individuo progredirà solo quando ha tolto di mezzo questi vizi. Se ognuno frequentasse compagnie cattive, l’intera società finirebbe per andar male. Perciò, è meglio non avere assolutamente alcun rapporto con gente perversa. “Dimmi con chi vai – dice il proverbio – e ti dirò chi sei”. Le vostre qualità si modificano a seconda del tipo di persone che frequentate. Quindi, per prima cosa, è di fondamentale importanza la trasformazione dell’individuo.

2) La seconda trasformazione è quella sociale. A che cosa intendo riferirmi? Sostenere menzogne, tenere un contegno indecoroso, rubare, prendere e dare bustarelle: queste sono le cattive qualità che stanno prendendo sempre più piede nella società. Perciò, solo quando si saranno soggiogate queste abitudini, la società potrà raggiungere uno stato di maggior purezza.

3) La terza trasformazione è quella spirituale. Che cosa significa trasformarsi spiritualmente? Significa aggregarsi a persone buone, compiere azioni virtuose, applicarsi ad opere meritorie, fare tutto ciò che serva ad aiutare agli altri, ottenere il darshan di Dio e recarsi in pellegrinaggio. Questa è la trasformazione spirituale che ci vuole, ed è per queste tre trasformazioni che Sai è venuto al mondo (applausi). Infatti, SAI è un acronimo che le sintetizza tutte e tre: S per quella Spirituale, A che sta per Associativa, e I per quella Individuale. Nella parola SAI sono racchiuse la trasformazione spirituale, sociale e individuale.

Non importa quante e quali penitenze facciate, non importa tutta la meditazione che fate o le preghiere che recitate: tutte queste pratiche sono contenute nel servizio al prossimo.

Non sono le penitenze, né le abluzioni nel fiumi sacri,
né lo studio delle Scritture, né le continue preghiere
che vi faranno attraversare l’oceano della vita terrena,
bensì il servizio alla buona gente.

Partecipate alle attività di soccorso e assistenza; solo facendo tutto per piacere a Dio avremo ogni pace e felicità.

Nel Tamil Nadu ci fu un regno assai rinomato, il regno di Pandya. Questi fu un re che patrocinò tutte le nobili arti, come la pittura, la scultura e la musica. Un giorno, mentre se ne stava seduto a pensare, decise che nel suo regno si doveva aumentare il numero e la qualità dei cavalli in funzione dell’esercito. Intorno a sé aveva dei ministri, tutti giovani, perché era assolutamente convinto che solo con la gioventù al governo un Paese si sarebbe salvato. Infatti, quei ministri erano tutti al di sotto dei trent’anni. Il re convocò il più importante fra di loro, il primo ministro, e gli disse: “Vai a fare un giro di perlustrazione, trovami dei cavalli che siano sani e forti; poi torna qui”. Con quest’ordine lo inviò dandogli una scorta di alcuni soldati.

Il ministro partì per quella ricerca e, cammina cammina, a sera giunse in un villaggio di nome Perrendurai, dove si fermò per riposarsi. La mattina dopo, al suo risveglio, udì provenire da qualche parte il suono della OM. S’informò per sapere donde provenisse quel canto e gli fu detto che lì vicino viveva uno yoghi di nome Shiva. Desiderando avere il darshan di quel grande essere, il giovane ministro si recò da lui con tutti i soldati. Ebbe il darshan dello yoghi e quella sera andò ancora da lui per seguire il suo programma.

Lo yoghi Shiva alla gente là raccolta dava insegnamenti su come cambiare interiormente ed elargì molta ricchezza spirituale agli uditori.

La cosa interessò enormemente il ministro e quelle parole gli s’impressero intensamente nel cuore. A poco a poco, quell’esperienza gli fece dimenticare la ragione per cui si era mosso ed egli si concentrò a tal punto su quegli insegnamenti che decise di rimanere a vivere presso l’ashram dello yoghi Shiva.

Durante una visita, che volle comunque fare con alcuni suoi soldati per visitare alcuni dintorni, s’imbatté in un tempio di Shiva in completo stato di abbandono. Pensando che Dio è il sostegno di tutto, si rattristò al vedere come fosse ridotto quel tempio dedicato a Dio, e decise di far qualcosa, dal momento che la gente comune si dà da fare per costruire dei gran templi, ma poi non ne curano la manutenzione.

O Signore, chi potrebbe edificare un tempio a Te
che pervadi l’Universo intero?
Chi potrebbe accendere una lampada votiva a Te
che risplendi con il fulgore di milioni di soli?
Chi potrebbe capire quale forma hai Tu
che sei l’unico Signore adorato da tutti,
Tu che appartieni a tutti?
Com’è possibile attribuire un nome a Te che
dimori in tutti gli esseri?
Tutti al mondo cercano il Signore Dio.

“Nessuno riesce a capire queste cose, o Signore;– disse il primo ministro – o Signore dell’Universo, io debbo far qualcosa per dimostrare quale sia il rispetto dovuto a un Signore come Te”.

Ciò detto, spese tutte le ricchezze che aveva portato con sé per restaurare il tempio di Îshvara. La cosa giunse all’orecchio del re Pandya, il quale montò su tutte le furie: “Questo ministro sta facendo tutto il contrario di quanto gli ho ordinato, usando per altri scopi le ricchezze che gli avevo dato perché mi procurasse dei cavalli”. E così dicendo, gli ordinò di presentarsi a rapporto.

Il ministro, coi suoi soldati, partì alla volta del palazzo reale. Il re Pandya lo stava aspettando fuori di sé: “Ministro, per quale scopo ti ho mandato in missione e qual era il tuo compito? Dov’è il denaro che ti avevo consegnato?” Il ministro si mise a ridere, e rispose: “Mio signore, ho offerto il denaro di Dio a Dio. Di chi è infatti tutta questa ricchezza se non di Dio? Dunque, i soldi di Dio li ho impiegati per il tempio di Dio. Ho fatto una buona azione, no? Ho riedificato un sacro tempio e ho preparato il darshan divino per dar gioia a molti fedeli. Che c’è di più santo di ciò?”

A queste parole il re divenne ancor più livido di rabbia, poi disse: “Quand’è così, sarà Dio a proteggerti!” E diede ordine di imprigionare il ministro; ma, mentre gli altri ministri lo portavano in cella, lui era giubilante ed esclamava: “Ho avuto la gran fortuna di glorificare Dio”.

Il tempo è l’incarnazione di Dio; è specifico compito dell’uomo usarlo santamente. È mediante il tempo che si forma il corpo di cui siamo dotati, ed è dunque col corpo che dobbiamo santificare il tempo.

“O Îshvara, quale grazia mi hai voluto elargire! Sono molto fortunato!”, andava ripetendo il prigioniero nella sua cella; e scriveva, scriveva, scriveva continuamente dei versi di devozione e di abbandono ai Piedi del Signore. Si mise a farne un libro, la cui introduzione si prolungava sempre più. Mentre era dedito a scrivere, il re di tanto in tanto assumeva informazioni sul prigioniero, il quale ripeteva sempre il nome di Dio, cantava in onore di Dio, si poneva al servizio di Dio, e cose di questo genere.

Alla fine, il re lo fece chiamare e gli disse: “Ministro, io non sono stato capace di capire la verità che proclamavi; ti ho arrecato tanto danno. Ti prego di perdonarmi”. Allora il ministro offrì tutti i suoi versi al re Pandya, sostenendo che si sarebbero potuti mettere a disposizione del popolo. Poi si congedò.

In Tamil, il titolo di quel libro è “Tiruvâchikam” e il ministro che ne fu l’autore e diffuse tutte queste nobili virtù divine si chiamava Mânikyavâchika. Infatti, tutte le parole dette da lui furono delle vere mânikya, delle gemme. Quelle parole furono di grande aiuto alla gente, poiché mostrarono il sentiero per ottenere la felicità in questo mondo e nell’altro. Sono scritti ideali e benefici anche per ciò che riguarda la vita fisica, il campo materiale e i problemi del mondo.

Nello Stato di Madras ebbero i natali grandi poeti come questo. Sono moltissimi i versi contenuti negli scritti di Mânikyavâchika; egli tratta in dettaglio tutte le situazioni della vita quotidiana, dal primo momento della nascita fino alla morte. “O uomo, tu non sei nato per questa vita terrena. Dio ti ha donato il corpo perché volgessi la tua contemplazione verso di Lui. Il corpo non va sprecato semplicemente mangiando e dormendo. Così fanno anche gli animali. È così importante per l’uomo mangiare? No, non lo è proprio!

Non il cibo, bensì la testa importa: testa e Dio.

(Swami lo afferma con molta enfasi). Cibo e testa li ha dati Dio”.

Queste furono le verità che Mânikyavâchika propagò nel mondo: col cibo e con la testa potete compiere molte buone azioni. Molti poeti hanno diffuso questi insegnamenti nello Stato del Tamil Nadu, arricchendone la fama.

Uno di loro, che si chiamava Brahmalvars (nome incerto, NdT) certe volte dimenticava di avere un corpo. Così diceva: “Signore, avrò bisogno di un piattino per l’ârati? Mi hai dato due mani; serviranno da piattini per il fuoco dell’ârati”. E così dicendo, un giorno prese della canfora nel palmo delle mani, l’accese e offrì l’ârati a Dio. Diceva: “Che schifo! Cì! (con tipica espressione telugu) Son così importanti le mani? Perché ce le ha date Dio? La carità è il gioiello delle mani. Per questo Dio ha dato le mani. Ma Dio mi ha dato anche una testa”. Allora si rasò completamente la testa; mise la canfora sul capo e l’accese per celebrare l’ârati.

Sono delle grandi anime, che offrirono il loro corpo a Dio; anime come questa nacquero nello Stato di Madras. Fra queste grandi anime ci furono anche donne, che divulgarono in tutto il mondo il senso del Divino. Ma oggi, dove sono le grandi anime? La gente d’oggi nemmeno pensa a Dio, e tanto meno Lo contempla. Dove son finite le parole delle grandi anime? Tutti i loro versi, come nacquero e si diffusero, furono gettati nei fiumi, nonostante fossero perle guadagnate con tanta fatica e sofferenza.

Anche Mîra lo disse:“Signore, ero immersa nell’oceano, giunsi in profondità e, con grande sofferenza, portai con me una perla. Fa’, ti prego, che non ricada in acqua. Proteggila, Tu che hai sorretto il monte Giridhara. Non ho altro sostegno che Te, nessun altro!”

In questo modo costoro offrirono la loro vita e Dio si manifestò a loro. Sono grandi donne che pure ebbero i natali e diedero prova della loro santità nello Stato di Madras. Non dobbiamo assolutamente dimenticare questi dati storici. Quando mai avrete altri esempi simili?

La pace è un’importante verità per il mondo. Ci sono stati dei grandi esseri che l’hanno propugnata. Tirutunda fu uno di questi grandi uomini. Aveva una piccola attività di tessitore; portava al bazar tutto quanto aveva tessuto per venderlo e, col ricavato, manteneva la sua famiglia. Nello stesso villaggio viveva il figlio d’un ricco; era un ragazzo pigro e somaro, che si aggirava oziosamente per il mercato.

Un giorno si avvicinò al tessitore, che sedeva vestito poveramente. Il ragazzo, indicando delle stoffe, chiese: “Che cosa sono?” “Sono dei sari che ho fatto io, figliolo”, rispose l’uomo. Il ragazzo prese un sari e chiese: “Quanto costa?” Tirutunda, con aria pacifica e assolutamente tranquilla rispose: “Cinque rupie”. E quello strappò il sari in due, poi, presane la metà, chiese di nuovo: “E questo quanto costa?” “Due rupie e mezza”.

Il ragazzaccio continuò a lacerare il sari, facendone dei pezzi sempre più piccoli, ma Tirutunda non se la prendeva affatto. Il ragazzo, assai sorpreso, esclamò: “Nessun uomo comune sopporterebbe un tal dispetto. Eppure, lui è in pace, ha tanta pazienza e autocontrollo. Uno come lui deve aver ricevuto qualche grazie divina”.

Deciso a saperlo, il ragazzo prese le mani del tessitore nelle sue e disse: “Come mai rimani così calmo e pacifico mentre io ti faccio tutti questi danni?” E Tirutunda rispose: “La forza d’un uomo sta nella pace, e la pace nasce dal cuore. Hridaya (cuore) significa proprio ciò che ha dayâ, ossia “compassione”. In ogni uomo c’è un cuore pieno di compassione e quella compassione mi dà pace. Ecco tutta la Grazia del Signore che ho ricevuto”. Tirutunda fu dunque un grande uomo che aveva tutto grazie all’esperienza della pace interiore.

Come si fa ad ottenere questa pace? Oggi se ne parla tanto, ma è solo una parola che corre sulla bocca di tutti. Dopo i bhajan o dopo la meditazione diciamo “Om Shântih, shântih, shântih”. Che cosa significa shânti? È solo una parola? No, no. Persino quando la pronunciamo, non c’è pace nel nostro tono di voce. (Swami ripete tre volte la parola “shânti”, con voce dolce) Shântih, shântih, shântih: ecco come va pronunciata.

Alcuni invece fanno: Shântih, shântih, shântih (Swami lo dice con tono aspro). È pace questa? Se persino le parole vengono pronunciate senza il potere loro proprio, senza la qualità che le contraddistingue, dove altro potremo trovare pace? Shânti viene ripetuta tre volte per indicare le tre dimensioni in cui s’invoca la pace: fisica (âdhibhautika), mentale (âdhidaivika) e spirituale (âdhyâtmika). La pace dev’essere raggiunta in tutti questi tre campi.

“Solo quando il corpo è in pace, la mente sarà in pace; quando la mente è in pace, il cuore pure avrà pace. Perciò, innanzitutto, dammi la pace del corpo; poi, benedicimi con la pace della mente; infine, assicurami la pace dello spirito”.

Con queste tre fasi sulla pace Tirutunda mise a segno tre slogan.

Oggigiorno non c’è pace in qualsiasi cosa si faccia. Ci sono alcuni che, mentre fanno l’ârati e cantano “Shântih,…” pensano a tutt’altro e bisbigliano al vicino: “Ehi, hai visto se per caso è arrivato il barbiere?” (risate) Persino quando stanno pregando pensano alle cose materiali da fare! Ciò non è corretto.

Anche la maggior parte di voi lo sa, ed io ne ho visti tre o quattro esempi concreti; qui ci sono alcuni che vengono da Madur. Alla festa di Bhîshma Ekâdashî, la gente osserva tre giorni di digiuno; nemmeno la saliva inghiotte. Intanto, mentre da una parte digiunano, dall’altra preparano la pastella per le dosa (crocchette di riso e farina di lenticchie, cotte a vapore, NdT) che mangeranno abbondantemente il quarto giorno. Per questo, Karnam, il poeta kannada disse: “Passato Ekâdashî mangeranno quaranta dosa!” (risate) Pare davvero che mangino 40 dosa! (risate).

Così, mentre tritano la pastetta delle dosa, digiunano. I figli stanno tutti intorno, il padre si siede fuori a fare una pûjâ con la pasta di sandalo, che prende e mette qui in fronte dicendo “Keshavaya namah”. Gli altri rispondono “Nârâyanaya namah”. Poi, nel bel mezzo della pûjâ, s’interrompe per sgridare i figli: “Che fate ancora qui? Non guadagnerete mica tanti soldi a star qui seduti! Forza! Andate, su; andate a guadagnare un po’ di soldi!” (Baba aggiunge alcune parole dure di uso familiare nel Kannada) E li picchia anche.

Accade spesso oggi che, sia uomini che donne, facendo del lavoro in cucina, non facciano altro che parlar male degli altri e far pettegolezzi. Anche i ragazzi, mentre studiano, non fanno che criticare, criticare, criticare gli altri. Sembrano essere dei grandi devoti all’apparenza, ma, in realtà, invece di avere bhakti (devozione) hanno della gran bhukti, cioè della gran voglia di mangiare e godere delle comodità. Se avessero della devozione, invero, non sarebbero inclini a parlar tanto male degli altri!

Non si dovrebbe mai fare del turpiloquio; eppure, oggi c’è molta gente che fa della maldicenza. Sarebbe il colmo, una vergogna, definire queste persone devote. Date dunque maggior spazio nella vostra vita ai buoni sentimenti e a un buon comportamento.

Ecco perché vi ripeto che “la carità è l’ornamento della mano”. Dobbiamo fare un tantino di carità per quanto ci è possibile, in proporzione a ciò che guadagniamo. Qual è l’ornamento del collo? “La verità è il gioiello della gola” è stato detto. A che scopo è stata data la gola? Non certo per indossare delle collane. Dio ci ha dato la gola perché da essa proferissimo la verità. E le orecchie? Perché ci sono state date? Per ascoltare le Sacre Scritture (Dharma Shâstra).

Questi sono i gioielli che costituiscono il vero ornamento del nostro corpo. Se così stanno le cose, pensate a qual pessimo uso destiniamo il corpo, ignorando il fatto che il Divino ne pervade ogni membro sotto forma di linfa vitale! E non solo; ci si serve del corpo perfino per parlar male di Dio. Non si può dire di quante nascite prodotte dal peccato il corpo sia la conseguenza. Perciò, non commettiamo peccati.

Help ever. Hurt never.
Siate sempre di aiuto; mai di danno.

Se non puoi esser d’aiuto, non aiutare; ma almeno non fare del male. Un uomo che fa del male è una specie di demonio: sempre egoismo, interessi personali, individualismi. Fish is better than selfish: i pesci sono migliori dell’egoista. Il pesce almeno, nuotando nell’acqua, la purifica mangiandone tutte le impurità; l’egoista invece si aggira negli ambienti sociali più puri e li rovina inquinandoli coi propri ignobili sentimenti. Dobbiamo dunque evitare un simile modo di vivere; dobbiamo santificare la nostra vita, con la purezza dei sentimenti.

Dio ci ha dato un corpo perché ne facessimo l’uso migliore; non ce l’ha dato perché ce ne servissimo solo a scopi individuali, ma ce l’ha dato per gli altri, per servirli. Se qui c’è un fazzoletto, non è per il vantaggio suo. Qualcuno ha messo qui questo fazzoletto perché servisse ad altri. Allo stesso modo, il corpo non esiste per sé. Qualcuno l’ha dato perché servisse ad altri.

Perciò, bisogna fare servizio; è l’azione stessa che ce lo impone d’autorità. Non possiamo esimerci dall’agire e l’azione che compiamo dev’essere orientata a servizio degli altri, perché la vita sia santificata. Non è così importante pregare e far penitenze; non importa se non avete fatto meditazione. Molti si mettono in posa per meditare: sembra che debbano fare una foto. Si mettono a sedere per far meditazione, ma chissà dove va la loro mente girovaga? Quella mente va dove le pare, per esempio, al mercato. Perché mai sciupare e contaminare il tempo con questo tipo di meditazione? Il tempo è vitale!

Il tempo è Dio: non sprecarlo.
Lo spreco di tempo è spreco di vita.
Dunque, non corrompiamo il tempo.

Incarnazioni dell’amore,

è per vostra grande fortuna che Madras si sia meritata la nascita di anime così grandi e sante, ed è doveroso che si rivivano ancor oggi i ricordi della loro santità.

Perciò, in questo santo giorno che cosa dobbiamo fare? “Fuggite dalle compagnie cattive!” si legge nelle Scritture. Tenetevi alla larga dalla gente malvagia. Star vicini a persone cattive è come essere accanto a un cobra: il vostro rapporto con loro si tradurrà in un morso velenoso. “Fuggi dalle compagnie cattive; stai coi buoni”. Non basta, ed è puramente inutile limitarsi a evitare le compagnie cattive; bisogna anche frequentare quelle buone.

Le Scritture ancora dicono: “Giorno e notte, fa’ sempre azioni buone”. Finché vi è possibile, fate sempre del bene, sia di giorno che di notte. “Discerni sempre tra ciò che è eterno e ciò che è temporaneo”. Bisogna approfondire bene la propria ricerca su ciò che è eterno e ciò che è effimero; bisogna saper bene distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Dobbiamo abbandonare tutto ciò che riconosciamo come falso. Dio è il fondamento di tutto.

Guardate questo piatto, questa tazza e questa scatoletta. Sono tre cose differenti: un piatto, una tazza, una scatoletta: tre forme, tre nomi. Tuttavia, c’è una base comune che le unisce tutte. Qual è? L’argento di cui son fatte. Se sparisse l’argento, non ci sarebbero più né tazza, né scatoletta, né piatto. Le forme e i nomi cambiano, ma l’elemento che li fa esistere è identico, immutabile.

Esistono innumerevoli tipi di gioielli, molti sono gli ornamenti, ma l’oro è sempre lo stesso. Avete visto? È l’elemento base che li costituisce tutti. Allo stesso modo, gli uomini sono differenti; hanno aspetti e nomi diversi, ma alla base c’è una sola realtà che li fa essere, la Potenza di Dio.

Quella è la natura del Brahman, la qualità di Îshvara; quella potenza è Dio, ed è l’unico fondamento per tutti.

Quindi, è uno sbaglio vedere distinti nomi e forme, fare scelte in base ad essi soggiacendo all’illusione da essi creata. Se gettaste tutti quegli oggetti sul fuoco nel crogiolo, ne ricavereste solo argento.

Molte sono le religioni, unica la via.
Molte le stoffe, unico l’abito.
Molti i gioielli, unico l’oro.
Molte le vacche, unico il latte.
Molte le razze, unica la vita.
Molti i fiori che si offrono, unico il culto.
Perché sono spuntati tutti quei fiori?
Per essere offerti a Dio.
Ogni fiore è una varietà diversa;
e tuttavia tutti sono presentati al Signore.
Quando si realizza quest’unità,
questa verità, il dualismo se ne va.

Incarnazioni dell’amore,

gente di tutte le nazioni e di tutti i ceti, ciascuno di voi è un essere umano: siete la casta dell’umanità, avete la religione dell’amore, parlate il linguaggio del cuore. Assicuriamoci questi tre valori. Senza questa visione, vedremo delle differenze tra uno del Tamil, un altro del Kannada e un altro ancora del Malayalam. A che pro? Le lingue sono diverse, sì, ma gli esseri umani sono uguali fra loro. Sono tutti figli di Dio, tutti esseri umani. Perciò, esiste una sola casta: la casta dell’umanità, l’Umanità. Dio si sperimenta allorquando si saranno allontanati quei sentimenti di divisione e si adotterà il senso dell’unione. Pronunciate pure qualsiasi nome, adorate pure qualunque forma, ma Dio è uno solo, unico, Uno. Quindi, lasciate perdere ogni senso di differenziazione.

Per una volta, però, bisogna che vi si dica una cosa in tutta schiettezza. Nel mondo ci sono molte organizzazioni differenti; ma, se si analizza bene il fenomeno, dovrete riconoscere che non c’è alcun’altra organizzazione che sostenga sentimenti tanto sacri quanto l’Organizzazione Sai (applausi). In nessun’altra organizzazione si può trovare il senso di sacrificio compiuto dai volontari dell’Organizzazione Sai. Anche in situazioni di particolare disagio, è ammirevole la loro dedizione e il loro servizio pieno di abnegazione.

Come disse Tyâgarâja, “Quanto son nobili queste persone. A tutti loro vanno i miei omaggi e la mia venerazione”. Davvero grandi sono costoro e bisogna dire che l’energia, l’abilità, lo spirito di sacrificio che si riscontrano in queste persone qui che operano nel campo del sevâ, non si trovano in nessun’altra organizzazione.

Perciò, esorto le persone dell’Organizzazione Sai ad essere partecipi in futuro a questo spirito di sacrificio, ad essere disponibili al servizio, così da meritarsi la fama di santità. Fate in modo che, dovunque andiate, la gente che vi vede all’opera possa dire: “Questi sono dell’Organizzazione Sai!” Non si devono produrre delle divisioni religiose: che diciate Allah, Gesù, Râma, Krishna o qualsiasi altro nome, Dio è sempre lo stesso ed unico. Non date mai adito a differenze di casta o di religione; sentitevi tutti figli di Dio e lavorate uniti.

Siamo tutti una sola cosa:
abbiamo verso tutti gli stessi sentimenti.
Perciò, sentiamoci tutti uniti.

In questo sacro inizio d’Anno Nuovo, dovrebbero sorgere in noi delle sacre aspirazioni; dobbiamo sviluppare sentimenti ideali, evitando di cedere alla pubblicità e alle vane esibizioni. Addentriamoci nell’Anno Nuovo con umiltà e obbedienza. A chiunque prestiamo i nostri servigi, diamo con amore, che è quanto più importi. Non c’è penitenza più grande di un’opera compiuta per amore. Che bisogno avete dunque di sottoporvi a tanti sacrifici? È come versare dell’acqua in un colabrodo. Se invece il vaso è pieno d’amore, non ne andrà perduta una sola goccia.

Incarnazioni dell’amore,

coloro che si definiscono “devoti Sai” devono mantenere questa reputazione di santità. In qualsiasi posto vi rechiate, dovete mantener fede a questa reputazione di “devoti Sai”, dovete esserne consci e averne somma cura: nel vostro lavoro, nel vostro parlare, nel vostro contegno, in tutto si deve veder riflessa la qualità di Sai. Ecco il santo servizio che vi compete; ecco il vostro nâmasmarana. Quando prendiamo parte ad attività di servizio, la nostra vita procede nel cammino della santità.

Con il nuovo anno, abbandonate dunque le compagnie cattive; tenetevi alla larga dagli empi. Non intratteniamo rapporti con i malvagi. Stando con i buoni e i virtuosi, avremo ed otterremo ogni cosa. Allora, non abbiate niente a che fare con chi è contrario ai princìpi morali, ma aggregatevi a chi ama la virtù; seguite il cammino della bontà. Camminate su quel sentiero.

(Swami conclude con il bhajan “Pibare Rama”, e poi con “Subrahmanyam Subrahmanyam”)

Brindavan, 13 aprile 2000

Capodanno Tamil.

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