09 Aprile 2000 (Brindavan) – I cinque volti della Gayatri

09 Aprile 2000 (Brindavan) 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

I CINQUE VOLTI DELLA GÂYATRÎ

…Entusiasmo, audacia,
coraggio, devozione,
energia, valore.

O incarnazioni dell’Amore,

o rinati, la vita del brahmacharya è davvero santa, ed è la migliore. In questo sacro e puro periodo del brahmacharya, la prima nascita in assoluto è rappresentata dall’iniziazione al mantra della Gâyatrî. Con il Gâyatrî Mantra, l’uomo comune si trasforma in saggio (vipra), il giovane studente (vatu), mediante la recita dei Veda, diventa gradualmente un saggio e, con la pratica della Gâyatrî, deliziandosi con essa fin nel profondo del proprio cuore, si trasforma in Dio.

Nessuno è totalmente divino alla nascita; si può essere di casta bramina, ma la vera rinascita (dvija) avviene con l’iniziazione al Gâyatrî Mantra. Successivamente, praticandola e condividendola gioiosamente con altri, si raggiunge lo stato della saggezza, dal quale, votando completamente la propria vita alla Gâyatrî, si raggiunge lo stato bramanico, divino. C’è dunque uno stadio di vita ordinaria, comune a tutti, un secondo stadio che è la rinascita al Divino, un terzo di saggezza e un quarto bramanico. In una sola vita umana, si possono verificare quattro mutazioni.

La Gâyatrî non è una formula comune. Che cos’è? La Gâyatrî è la Madre di tutti i Veda, l’essenza di tutti i Veda, la base di tutte le Scritture, la sostanza di tutte le mete e la meta di tutti i sentieri. Nel nome della Gâyatrî sono inclusi tre nomi: il primo è Gâyatrî, il secondo è Sâvitrî, il terzo è Sarasvatî.

Gâyatrî, Sâvitrî e Sarasvatî: quali vantaggi apportano? Che benedizione racchiudono? Chi è Gâyatrî? Gâyatrî è colei che domina i sensi. Sâvitrî è la padrona della vita. Fu infatti per un voto di verità che ella poté salvare la vita del marito. Poi, c’è Sarasvatî. Chi è costei? È la personificazione autentica della parola. Dunque, Gâyatrî, Sâvitrî e Sarasvatî sono le forme simboliche del sentimento, della parola e del corpo. L’uomo otterrà la vera forma dell’umanità quando avrà in sé tutte e tre queste caratteristiche ben armonizzate tra loro.

Quindi,

The proper study of mankind is man.
È proprio del genere umano studiare l’uomo.

Vale a dire che, quando c’è unità e coerenza tra ciò che proviene dal cuore, dalla lingua e dalle mani, c’è umanità. Sentimenti, parole ed opere: dove si trovano? Nell’uomo. Non esiste potere più grande di quello che c’è nell’uomo, e la sua vita è l’essenza di tutti i poteri, come il cuore è l’essenza di tutte le mete. Quindi, l’uomo non è solo ciò che si dipinge come un comune individuo; occorre essere uomini in concreto.

In che modo la Gâyatrî è racchiusa nell’uomo?

Bhûh bhuvah svah
tat savitur varenyam
bhargo devasya dhîmahi
dhiyo yo nah prachodayât.

Bhûh è la Terra; bhuvah sono i Cieli; svah è il Cosmo infinito. Perciò, Terra, Cielo e Universo si trovano tutti nell’uomo.

La Terra è il mondo fatto di materia; bhuvah è l’energia vitale che fa vibrare il corpo. Questa energia vitale dà al corpo stabilità, sviluppo, felicità e gli conferisce la facoltà dell’azione. Poi c’è svah, il Cielo.

Allora, bhuvah è il mondo materiale, è la forza vitale che mette in vibrazione i corpi. Svah conferisce un tipo di conoscenza (jñâna), che chiamano impropriamente “radiazione”. Però, non si tratta di una conoscenza materiale; non è la conoscenza della natura. Nel linguaggio vedico si chiama Prajña Brahma, per indicare che è una conoscenza che supera ogni altra conoscenza: è la Completa Costante Consapevolezza.

L’uomo è rivestito di questo tipo di sacra energia; pur avendo tutti i poteri, li ha perduti dimenticando che può riporre ogni fiducia in sé stesso. Quando un uomo perde ogni fiducia in sé stesso, perde tutti i poteri che ha in sé. Dunque, bhûh bhuvah svah sono le vostre tre forme.

Ragazzi, ognuno di voi non è una singola persona, bensì tre persone: la prima è quella che pensate di essere, cioè il corpo fisico; la seconda è quello che gli altri pensano che voi siate, la terza è il principio vitale che è dentro di voi. Quello solo è l’OM, che proviene da dentro, dalla regione dell’ombelico; è questo che proviene dal sito di Brahma (Brahma sthâna), ed è pure una sorta di forza vitale propria dell’uomo.

Quello che gli altri pensano che voi siate è il corpo mentale e quello che voi realmente siete è il principio dell’Âtma. Il corpo fisico, il corpo mentale e il corpo spirituale: ecco le tre persone che voi siete. Quindi, non c’è differenza fra voi e Dio; voi siete semplicemente l’incarnazione di Dio ed è solo per un vostro attaccamento al corpo che avete dimenticato la vostra vera dimensione divina. L’uomo non è altro da Dio, non è qualcosa che Gli sia estraneo.

Il pandit che prima ha preso la parola, ha detto:

Saha nâvavatu saha nau bhunaktu
saha vîryam karavâvahai
tejasvi nâvadhîtamastu mâ vidvishâvahai.
Om shântih shântih shântih.

Qual è il significato essenziale di questo mantra?

Viviamo tutti insieme, lavoriamo tutti insieme,
diffondiamo la conoscenza che
abbiamo acquisito insieme,
viviamo in armonia senza fraintenderci.

Questa è l’unità di cui parlano i Veda; in essi non c’è alcun senso di divisione, ma vi si proclama il sommo sacro non dualismo.

I corpi possono essere differenti; nomi e forme possono essere diversi, e tuttavia il principio atmico è uno solo: “La Verità è una, ma i saggi la definiscono con molti nomi”. Come vedete, studenti, ci sono molte lampadine accese; esse non sono tutte uguali, hanno colori e dimensioni diversi, ma la corrente elettrica è una sola. Così pure i corpi sono differenti, per forma e nome, ma il principio spirituale è in tutti sempre lo stesso. Ecco la vera non dualità.

Che significa “Advaita” o non dualismo? È l’impulso di conoscenza (jñânashakti) che tocca tutti; la vera conoscenza (jñâna) non è dualistica. Qui non si parla di jñâna come di conoscenza fisica, non s’intende la scienza del mondo o il nozionismo profano. No, assolutamente. Si parla dell’Âtma jñâna, che è la Conoscenza del Sé, la quale non è dualistica; è una forma del Sé che è in voi. Voi lo state dimenticando, oggi dimenticate di essere quell’incarnazione d’amore.

A che cosa sono dovute tutte le sofferenze che ci sono in India oggi? Al fatto che si è persa la fede nell’Âtma e si è accresciuto l’attaccamento al corpo, con conseguente diminuzione dell’attaccamento allo Spirito. Perciò, oggigiorno gli uomini non fanno che alimentare i propri desideri, evitando di applicarsi alla vita interiore. Ciò che dovrebbe fare l’uomo, dunque, è di crescere gradualmente nella vita spirituale, che è la sua vera vita.

Tutte le ricchezze che si guadagnano, come sono venute, così se ne vanno. Ed è così anche del corpo, che cresce e perisce. Solo la beatitudine non viene mai meno, quella eterna, suprema beatitudine dello yoga, che è beatitudine trascendentale, non dualistica: “la suprema felicità, la forma della sapienza che è al di là degli opposti dualistici, estesa quanto il cielo, unica, eterna, inamovibile, testimone di tutto, trascendente i sensi e i tre guna”.

Incarnazioni dell’Amore,

in verità, se si riconosce il Divino, il mondo intero apparirà come una scena onirica. Anche Dakshninâmûrti dà questo insegnamento. Tutto il mondo è come uno specchio in cui si possono vedere molte immagini diverse. Lo specchio è uno. Gli anziani del giorno d’oggi stanno perdendo questo modo di vedere e persino le madri e i padri sono incapaci di dare insegnamenti giusti. Gli insegnanti hanno perso molta della loro capacità didattica. Che colpa ne hanno dunque i bambini? Il loro cuore è molto puro: “incondizionato, senza macchia, eterno”. Questi bambini dal cuore così puro sono trascinati per vie impure e sono indotti ad assecondare desideri materiali, ingiusti. La loro vita viene interamente invasa dalla confusione. No, no! Ai bambini insegnate l’unione, dite loro come camminare sul sentiero della purezza, dell’altruismo; esortateli a rinunciare a tutte le seduzioni mondane e a desiderare il bene di tutti: Lokâssamastâh sukhino bhavantu: “Che tutti i mondi siano felici”.

Noi siamo degli individui e l’individuo è un jîva, ossia un essere vivente, che ha un’anima. In tutti c’è un’unica realtà, che è Dio, il quale non è separato: il singolo è un’anima, il Tutto è Dio. Perciò, quando ci uniamo a qualcuno, là si manifesta Dio. Laddove c’è un solo albero non possiamo dire che sia una foresta; diremo che c’è un solo albero. Non si chiama villaggio un luogo dove c’è una sola casa; ci vogliono diverse case insieme per fare un villaggio. Un uomo solo non fa società; più uomini insieme costituiscono una società. La società non è qualcosa di separato da una collettività di uomini. Perciò, nei molti risiede la gioia dell’unione e nell’unione dei molti si ottiene l’Uno, il Divino cui dobbiamo giungere.

Dunque, perché ci siamo introdotti in un sentiero spirituale? La vita ci è stata data perché trasformassimo la nostra umanità in divinità; quindi, dobbiamo mutare l’umano in divino. Quando ciò avviene? Quando la verità affiora dentro di noi, quella sola è la Divinità.

Dio non è qualcosa di differente: “Dio permea l’Universo intero con piedi, occhi, teste, bocche, orecchie”. Dovunque guardiate, Egli è là: non esiste un posto senza Dio. “Egli è più piccolo dell’atomo e più grande dell’immenso”. Tuttavia, dipende da noi essere o no in grado di accogliere il Divino con la giusta ampiezza di sentimenti.

Studenti,

se ripeterete il Gâyatrî Mantra tre volte al giorno, all’alba, a mezzogiorno e al tramonto, la vostra Divinità rifulgerà in ogni parte del mondo. La Gâyatrî è l’essenza di ogni religione e il fondamento di tutti gli obbiettivi. Bisogna che la Gâyatrî sia cantata correttamente. Perciò va insegnata normalmente. Ogni uomo, a qualsiasi casta appartenga, ha il diritto di cantarla. Quindi, non create delle discriminazioni affermando che essa sia per un tipo di persone e non per altre. Come in tempi antichi, anche oggi, avendo preso abitudini scorrette, ci dimentichiamo delle tradizioni e delle usanze antiche.

Per che cosa ci ha dotati d’un corpo Iddio? È di facile deduzione. Abbiamo un corpo per compiere buone azioni, delle mani per far del bene, e anche una respirazione perché ne facciamo buon uso. Ecco ciò che insegna la Gâyatrî: quando inspiriamo aria, dobbiamo introdurre nel corpo il sacro respiro della vita divina; quando espiriamo, dobbiamo buttar fuori l’aria viziata. Ciò che dobbiamo dunque assumere oggi è l’aria buona, rifiutando quella cattiva e impura. Quando inspiriamo, facciamo “So” e, con questo “So”, introduciamo aria pura. Quando espiriamo, facciamo “Ham”, e rigettiamo l’aria impura. Dentro di noi deve entrare ossigeno e fuori deve uscire il biossido di carbonio. La nostra vita sussiste grazie a questo processo; così il corpo rimane in salute. Dobbiamo alimentarci bene, assumendo della buona frutta e del buon cibo; fuori espelleremo i rifiuti del cibo. È la creazione di Dio che ha sancito queste regole, ma nessuno sembra volere rendersene conto.

O uomo, assumi ciò ch’è puro ed espelli ciò ch’è impuro. Prendi il buono e rigetta il cattivo. Vedi il bene e non il male. Figlioli, anche qui stiamo dimenticando ciò che Dio ci ha dato!

Non vedere il male; vedi il bene.
Non prestare ascolto alle cose cattive; ascolta quelle buone.
Non parlare del male; di’ ciò che è buono.
Non far del male; fai del bene.
Non pensar male; pensa bene.
Questa è la via verso Dio.

Oggigiorno si usa la lingua per dir cose malvagie, le orecchie per udire atrocità, gli occhi per guardare immagini immonde. Non dovreste guardare cose brutte; dovreste posare lo sguardo su quelle buone. Dio ci ha dato tutti questi organi perché ne facciamo buon uso.

Perciò, anche Purandaradasa cantò: “Avete gli occhi, ma siete diventati ciechi e non sapete vedere Dio. A che vi servono gli occhi se non sapete vedere Swami? A che scopo avere occhi e vista?” Perché Dio ci ha dato degli occhi? “Perché volete avere occhi? A che vi servono se non vedete Dio?” Con gli occhi che ci sono stati donati dovremmo vedere cose pure, ma oggi i sentimenti di purezza sono ridotti a un nulla negli adulti e anche nei bambini. Questi bimbi, dunque, siano da oggi educati a sviluppare un buono e puro modo di vedere le cose, poiché Dio è in tutto. Non esistono il bene e il male, né peccato né merito. Anche questo fu affermato da Purandaradasa. Conoscete molto bene ciò che affermò.

Dio è Colui che protegge i devoti, ma anche Colui che li punisce. Guardate Krishna; punì Kamsa e protesse Shishupâla e suo padre. Ogni singolo atto compiuto dal Signore è per punire il male e proteggere il bene. Allo stesso modo, Râma punì Râvana e protesse Vibhîshana. Lo stesso Râma che usò protezione verso Vibhîshana, inflisse una punizione a Râvana.

Quindi, la protezione e la punizione coesistono entrambe nell’unico Dio. Ma sembra che sia impresa non facile capire a fondo questa duplice natura di Dio. Se Dio protegge e punisce, coloro che sono di mente equanime sono Dio. Ecco perché i Veda proclamano: “Ci protegga Egli e ci nutra…” (Saha nâvavatu…) Questo saha, lo “stare insieme”, è indispensabile all’uomo.

In ogni cuore esiste lo stampo della Gâyatrî, che ha cinque facce. Perché cinque facce? Lo avete visto: solo al centro c’è una faccia di colore blu. Per quale ragione? Le facce sono cinque: bhûh-bhuvah-svah, sono le tre dimensioni che stanno unite insieme per formare un solo volto. Tat è la seconda faccia; savitur-varenyam è la terza; bhargo-devasya-dhîmahi è la quarta; dhiyo-yo-nah-prachodayât è la quinta.

Poiché questo mantra si divide in cinque parti, si dice che la Gâyatrî sia Pañchamukhî svarûpinî, “la Dea dai Cinque Volti”. Ciò significa che la Gâyatrî non vede solo i quattro mondi, ma anche l’impegno, lo sforzo della disciplina (Udyoga). Perciò la Gâyatrî è preghiera, meditazione, anelito (per la liberazione).

Quindi, la preghiera è “Bhûh bhuvah svah”; la meditazione è “tat savitur varenyam”. Si prega dicendo “bhargo devasya dhîmahi”: “siano rimosse le tenebre dell’ignoranza che ci sono in me”; poi “dhiyo yo nah prachodayât”: “o Madre, concedimi una buona intelligenza (buddhi), dei buoni pensieri, una buona mente”. In definitiva, sotto lo stesso nome della Gâyatrî ci sono devozione, conoscenza e distacco. Perciò, non abbiamo assolutamente bisogno di pensare ad altro.

Studenti,

dovreste dedicarvi ai vostri studi tenendo sempre a mente il Gâyatrî Mantra: ciò vi terrà lontani da ogni difficoltà, sia nello studio, sia in tutto il resto. La Gâyatrî non vi sarà in nessun modo d’impedimento, poiché fa parte della vostra intima coscienza. Oggi, dunque, dovete far sì che nel vostro cuore si stabilisca questo potere della vostra coscienza interiore. Il giorno in cui avrete installato nel vostro cuore il Gâyatrî Mantra, aumenterà in voi il fulgore del Divino oltre che la vostra capacità intellettiva.

“Dhiyo yo nah prachodayât”: Dhi significa che l’intelligenza si sviluppa. Si è detto che, nell’antichità, si dovevano iniziare al Gâyatrî Mantra i bambini di otto anni. Oggi, però, a causa di un peggioramento della situazione e ai cambiamenti della natura, è andata persa quella tradizione. Se cominciamo sin d’ora a cantare il Gâyatrî Mantra, la nostra intelligenza rifulgerà in tutto il suo splendore e ci tornerà alla memoria persino ciò che avevamo dimenticato; tutto quanto abbiamo studiato rimarrà impresso nel cervello.

Dunque, è la Gâyatrî che elargisce la conoscenza. La Gâyatrî non è allora una formula comune. Satyavan fu riportato in vita dalla devozione della moglie Sâvitrî, sfuggendo alla morte grazie a questo mantra.

La verità, la rettitudine, la pace, l’amore e la non violenza sono gli aspetti peculiari della Gâyatrî: sono i suoi cinque volti. Nel nostro cuore, dunque, dobbiamo mantenere sempre queste qualità pure. Non dobbiamo offendere nessuno, mai pensar male di nessuno. Pensiamo bene. Su questa linea Vyâsa offrì la sintesi di 18 Purâna in due semplici frasi:

Help ever. Hurt never.
Sempre aiutare. Mai far del male.

Ci bastano queste due frasi. Per quanto possibile, soccorrete gli altri e, comunque, non fate mai del male. Non c’è niente di più santificante dell’avere in animo questi due propositi e attuarli.

La gente ripete “Moksha, moksha, Liberazione!”. Ma che cos’è la liberazione? È qualcosa che si va a prendere da qualche parte? No, no! Moksha è la distruzione di moha, l’illusione. È l’illusione che va eliminata, per far posto all’infatuazione di Dio.

Sono stati definiti quattro obbiettivi che dominano l’esistenza: il dharma o rettitudine, artha o ricchezza, kâma o desiderio e moksha o liberazione. Questi quattro fini della vita devono essere ridotti a due. Infatti dharma e artha diventano uno solo, in quanto la ricchezza va acquisita con giustizia e rettitudine. Così pure gli altri due, kâma e moksha, si riducono a uno solo. Che cosa dobbiamo desiderare? Non certo cose materiali, bensì la liberazione.

In sintesi, le finalità della vita sono la rettitudine (dharma) con cui va guadagnata la ricchezza (artha), e la liberazione (moksha) cui bisogna tendere con amore e passione (kâma). Con questi quattro obbiettivi l’esistenza può essere trasformata in molte maniere e ognuno ne dà una versione propria.

Incarnazioni dell’amore, l’unica cosa che dovremmo desiderare è l’amore, poiché l’amore è Dio e Dio è amore.

Love is God. Live in love.
L’amore è Dio: vivete nell’amore.

Senz’amore l’uomo non potrebbe vivere un solo secondo. Quindi, dobbiamo far sì che cresca l’amore in noi e, con l’amore, invocheremo Gâyatrî. Fra tutti i nomi divini, Gâyatrî è il più elevato.

(Swami conclude col bhajan “Prema mudhita…”)

Brindâvan, 9 aprile 2000.

Upanayana, Iniziazione al Gâyatrî Mantra.

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