Incarnazioni dell’amore
Quando si è perfettamente compreso che lo spirito di ciascuno è il medesimo spirito che dimora in ogni altro essere esistente al mondo, che siate un monaco rinunciante o conduciate una vita di famiglia, che siate impegnati nell’azione o viviate ritirati, quel sentimento di beata unione a tutto il resto del mondo vi farà dimorare in Dio; voi sarete in Dio, con Dio.
Quand’anche sapeste recitare a memoria i sacri testi dei Veda, conosceste a menadito tutte le epiche o ascoltaste tutti i discorsi spirituali, ciò non basterebbe a farvi scoprire l’intimo contenuto del Sé. Un albero può essere gigantesco, ma tutta la sua mole è contenuta ancor prima in un piccolo seme. Così pure lo spirito del Sé, l’Âtma, è presente in forma sottile in ogni punto del corpo dalla cima dei capelli sino alla punta dei piedi, ma può assumere anche dimensioni cosmiche. Lo Spirito, puro e senza macchia, è circondato da cinque involucri e, a causa dell’identificazione con questi involucri, ne riporta su di sé le caratteristiche.
Incarnazioni dell’amore
Voi siete fatti di beatitudine, siete esseri di gioia. Voi siete davvero l’incarnazione, l’autentica personificazione della beatitudine, la metafora della felicità, ma l’avete dimenticato e andate cercando gioia e felicità a destra e manca. Che ignoranza andare in cerca di gioie, quando voi stessi siete l’autentica incarnazione di tutte le gioie! Il fulcro della conversione spirituale sta nel comprendere la propria innata natura.
Entrambi i vicerettori, l’attuale e quello precedente, che hanno parlato prima, mi hanno pregato perché vi spiegassi i cinque involucri.
Il Corpo Fisico, che è materiale e impermanente, è l’involucro del cibo, detto annamaya-kosha. È il livello fisico e noi diciamo che è l’aspetto grossolano. I Veda attribuiscono un altro nome a questo aspetto grossolano, lo chiamano vishvadu, in quanto è connesso con gli organi d’azione e di senso. Essendo interessato a svolgere diverse attività esterne, il corpo è anche chiamato vyâvahârika. Come soggetto a vari impulsi e sentimenti, ha anche il nome di svabhâva, “di natura propria”, o anche svâtiphasa. Così, i Veda hanno attribuito parecchi nomi al corpo fisico.
Il Corpo Sottile comprende l’involucro della vita o guaina vitale, l’involucro della mente e l’involucro dell’intelletto (vijñâna): prâno-, mano-, vijñâna-kosha. Si chiama Shukshma-sharîra, o Corpo Sottile. Perché questo nome? Voi non vedete il prâna (il principio vitale), né vedete la mente, né l’intelligenza; per il fatto che non appaiono e non si vedono, sono chiamati aspetto sottile. Ma non è tutto. Nel linguaggio spirituale, si dice che il Corpo Sottile sia il vero principio spirituale. Ha anche un altro nome: prabhodhaka, “conoscenza o consapevolezza”; viene anche detto vijñânam, “intelletto, ragione”. Vari sono i nomi, varia la nomenclatura, ma la mente ne è il principio basilare. Per quanto la mente sia sottile (e quindi ancora limitata), è tuttavia d’una vastità infinita, nel senso che può espandersi per tutto l’Universo. Per questo si dice manomûlam idam jagat, e cioè che “la mente sta alla base del mondo intero”. È dunque ciò che viene denominato “Corpo Sottile”.
Il terzo involucro è quello della beatitudine: ânandamaya-kosha. Corrisponde al Kârana Sharîra, o Corpo Causale e, benché sia chiamato “di beatitudine”, non rappresenta la beatitudine in senso stretto; sembra un’esperienza di beatitudine, ma è solo uno stato di oblio totale, di incoscienza. Per essere nella vera e completa beatitudine bisogna andare oltre i cinque involucri.
Il Quarto Stato, detto anche Turiya o mahâkârana svarûpa, il supremo aspetto causale, sopraggiunge dopo lo stato di Sonno Profondo, o Sushupti, detto anche paramârtika, “eterno, reale, Divino”, o anche prâtibhâsika, “che ha solo un’esistenza apparente, non reale”. È uno stato di vera beatitudine; una beatitudine che non può essere sperimentata né coi sensi, né con la mente, né con l’intelletto, né con la ragione, e nemmeno coi sogni. Rappresenta l’ultimo stato di coscienza, per il quale i cinque involucri sono degli ostacoli.
Ci sono cinque tipi di ostacoli, che provocano dolore, sofferenza, afflizioni (klesha). Il primo è l’ignoranza (avidyâ); il secondo è l’imperizia (abhinava); il terzo è il piacere (asthita); il quarto è la passione per le cose del mondo (râga); il quinto è l’insoddisfazione rabbiosa (dvesha). A causa di questi cinque ostacoli, l’uomo si separa, allontanandosi dalla propria realtà atmica, non riesce a sperimentare il darshan dello Spirito, non può gustare le gioie dello spirito. Perché? La ragione fondamentale è data dal fatto che egli s’identifica col corpo. I cinque involucri vengono erroneamente presi per fonte di gioia, ed è così che l’uomo si taglia fuori dallo stato di beatitudine spirituale.
1° ostacolo: Ignoranza. Essa è dovuta alla completa identificazione con il corpo. Ignorante è chi considera il corpo come qualcosa a cui sacrificare tutto, qualcosa che non ha fine, principio e fine di tutta la vita. Non sono poche le seccature procurate dal corpo: malattie, ambizioni, piaceri sensuali. Al corpo è legato il dolore e, se messo al centro della nostra attenzione, ci prostra in uno stato di infelicità.
2° ostacolo: Imperizia, propria di chi prende il mondo per vero, dimenticando il proprio sé innato. In che consiste questa imperizia? La sofferenza che provoca è dovuta al fatto d’ignorare che la mente è la principale responsabile di tutto. Ci si lascia trasportare dalla scena del mondo, dagli attaccamenti, e ci si butta a capofitto all’insegna del “mi voglio godere la vita”. In realtà, vi si è trascinati per mancanza di abilità nel controllare la mente e per la continua domanda di attaccamenti avanzata dal corpo. Si dà ogni importanza alla mente e ai desideri; si crede che il corpo sia l’unità di misura della vita. È così che ci si procura un sacco di problemi e di sofferenze.
3° ostacolo: Piacere, inteso come interesse riposto nella soddisfazione dei sensi. Si considerano i piaceri sensuali e mondani come l’autentico respiro senza il quale non si può vivere. E da ciò si genera un mucchio di sofferenze che opprimono.
4° ostacolo: Passione. È un genere di amore sviscerato per le ricchezze, il denaro, le comodità e le macchine. È un tipo di attaccamento destinato a crescere in continuo e, quindi, a procurare molti dolori.
5° ostacolo: Insoddisfazione. Voi fate assegnamento su una persona e ne dipendete; se questa soddisfa il vostro desiderio, siete felici; se non siete accontentati, incominciate a odiarla, perdendo la vostra prerogativa di esseri umani. Molti devoti pregano Dio perché i loro desideri siano soddisfatti e, quando ciò non avviene, se la prendono con Dio, odiandolo. È un genere d’avversione che, tra delusioni e frustrazione, sta prendendo sempre più piede nel mondo. In tale situazione d’insoddisfazione, si guastano molte relazioni, tra madre e figlio, fra marito e moglie, tra fratelli e sorelle.
I cinque involucri incatenano l’uomo e l’assoggettano a questi cinque tipi di sofferenza. È l’involucro della beatitudine il solo in grado di darci felicità e pace. Lo si può ottenere nell’ultimo stato di coscienza, lo stato di unità, detto Turiya: una vera fortuna che si trova nelle nostre mani, sebbene indegnamente, per tutti i desideri per i quali ci struggiamo. In verità, gli uomini non sanno godere la pace del Supremo, che spetta loro di diritto.
Al fine di godere la Suprema Realtà, il Paramârta, bisogna tenersi alla larga dagli influssi della mente. Occorre poco alla volta ridurre l’attaccamento al corpo e a tutti i sensi coinvolti.
Il corpo è destinato a decadere, mentre Colui che vi abita dentro è eterno, non nasce né muore, non ha bisogno di liberazione né soggiace a legami, non porta segni esteriori, non ha caratteristiche di identificazione. In verità, Colui che dimora nel corpo è lo stesso Sommo Dio.
Finché si rimane attaccati al corpo, non è possibile comprendere la Divinità che vi abita dentro. In effetti, è il corpo che, correndo dietro ai piaceri fisici, mondani, sensuali, vi porta lontano dalla realtà. Proprio come un possente e gigantesco albero è racchiuso in potenza nella piccola forma di un seme, così il corpo racchiude in sé, in forma sottile, tutti i problemi.
L’inquietudine (ashânti) che vediamo tanto diffusa, l’insoddisfazione, l’infelicità, l’ansia e la depressione sono tutte dovute all’idolatria del corpo. Dovremmo invece considerare il corpo solo come uno strumento e Colui che vi abita come il fine per cui esiste. Dovremmo vivere la nostra vita per quello che è: un semplice soggiorno. Al di là della materia c’è un principio basilare, primordiale; in realtà, l’Universo intero è sorto da questo principio primordiale. Se dimenticate quel fondamento primario, perderete di vista anche tutto il resto.
Questo qui è un piatto d’argento; quest’altro è una coppa d’argento e questo è un bicchiere d’argento. Diversi nomi, che però indicano oggetti fatti unicamente d’argento. Ora, se vi concentrate sull’argento, sulla materia prima, non rimarrete affascinati dalle forme e dai nomi. Questo piatto potrebbe essere tramutato in un cucchiaio, e finirebbe di esistere come piatto. Il cucchiaio potrebbe poi essere foggiato di nuovo in una tazzina. Nomi e forme cambiano, periscono; ma l’essenza primordiale, principale che fa i nomi e le forme è eterna, senza nascita, immortale.
Senza principio e senza fine, arcaico e senza tempo, non nasce, non muore, non uccide.
L’eterno e arcaico principio è il principio della Verità. In qualsiasi oggetto v’imbattiate, scopritene il principio primordiale.
Qual è il fondamento su cui si basa il corpo? E dove si basa la mente? Dove il prâna, la vita? Il Divino è la base di tutto. Nell’oceano c’è acqua, la quale assume infinite forme. L’acqua è il principio essenziale dell’oceano? A causa della luce intensa del Sole, il cui calore induce l’evaporazione, l’acqua assume la forma del vapore, e il vapore si trasforma nelle varie forme delle nubi. Quando spira il vento freddo, i cumuli si condensano in acqua che cade sotto forma di pioggia, la quale in un incessante ciclo fluisce nuovamente all’oceano. Dunque, l’acqua che aveva lasciato l’oceano è passata attraverso molte forme: vapore, nuvole, pioggia, fiumi, e infine oceano.
Tutti i fiumi finiscono nel mare.
Tutto ha un fondamento, un’origine, sia le creature viventi, sia le persone, sia le cose; e tutto alla fine deve tornare a fondersi nella sua origine primordiale. Questo processo di ritorno, nel linguaggio vedantico si chiama mukti, o liberazione. Perciò il Bhâgavatam afferma che “è del tutto naturale per colui che è venuto al mondo, per chi ha avuto nascita, far ritorno al punto d’origine”. Tutta la Natura è orientata verso il principio d’origine.
L’Âtma, lo Spirito, è venuto da Dio. Fintantoché lo Spirito rimane nel corpo, deve svolgere delle attività; esso ha un dovere suo proprio da compiere, che lo fa essere l’Autore, il karta svarûpa. Quando dormiamo, vediamo un mucchio di immagini. Nello stato di sonno profondo, o sushupti, non ci sono sogni.
Perché si sogna? Andate a fondo della questione e provate a chiedervi quale sia la causa dei sogni. Alcuni dicono che dipenda dai pensieri, altri sostengono che siano i sentimenti. No, no. Niente affatto! La causa principale del sogno è il sonno. Voi sognate perché dormite. Se non dormiste, infatti, non sognereste. Dunque, la causa del sogno è il sonno.
Da dove provengono tutti i nomi e le forme che si vedono in sogno? Tutte le esperienze dello stato di veglia, con tutti loro nomi e forme rimasti impressi nella coscienza sotto forma di samskâra, si ricostruiscono nello stato di sogno. Là le esperienze prendono il nome di taijasu (“effulgente”) e si accompagnano al Principio che fa risplendere l’antahkarana, l’organo interno della mente. Perciò, nello stato di sonno profondo o senza sogni (sushupti) l’anima individuale prende il nome di prajña e si accompagna all’involucro di beatitudine.
Incarnazioni dell’amore
Che cosa si deve intendere per spiritualità? Non crediate che la spiritualità consista nell’isolamento o nella vita solitaria. Il principio atmico va oltre gli attaccamenti e i sentimenti di odio. Spiritualità significa ritenere tutti uguali, avere per tutti sentimenti di equanimità, per cui si riconosce lo stesso spirito presente in ogni essere vivente.
Che forma ha l’Âtma, lo Spirito? Come potrebbe avere una forma? Lo spirito che abita il mondo organico ha la forma dell’albero gigantesco che si trova in potenza nel piccolissimo seme. Potete forse stabilire quale sia la forma dell’edulcorazione? Potrete dire che lo zucchero è simile alla sabbia, ma chi può mostrare la forma della sua dolcezza assaggiandola? La dolcezza si percepisce nell’esperienza. È l’esperienza che importa qui. Nello stato del sushupti nemmeno questa esperienza è percepibile.
Davvero meravigliosi e misteriosi sono i cinque involucri! Ciascuno di essi ha una sua forma specifica; eppure, una volta che vi accingete a studiarli, ad approfondirne la ricerca, non riuscirete mai a raggiungere la meta.
Essa è pura, senza macchia, inalterata, eterna, immortale, nettarea.
Si crede che la causa dell’esistenza del corpo visibile sia da ricercarsi nei cinque elementi, ma non è così: sono i cinque involucri i responsabili. Avendo identificato totalmente i cinque involucri con il corpo, pensiamo che quella sia la natura del corpo e crediamo che essi si riflettano nello Spirito. Ciò che si riflette nell’Âtma si chiama prâtybhâsika, e, per una sorta di sovrimpressione che applichiamo ovunque, non riusciamo a vedere questo riflesso. Qual è il principio ultimo? È il pâramârtika, inteso come lo stato finale di beatitudine (prâtibhâsika) che si sperimenta nello stato del Turiya.
Tutte le azioni che compiamo, o almeno la maggior parte di esse, sono intraprese per la nostra soddisfazione esteriore. Tali azioni si trasformano in nove livelli di devozione: l’ascolto, il canto, la salmodia, il servizio, l’omaggio, l’adorazione, la sottomissione, l’amicizia, l’abbandono. Tutti questi nove sentieri affondano le loro radici nello Spirito, poiché è l’Âtma il loro fondamento basilare, il loro fine ultimo.
Per fare un esempio terra-terra, sono molti i dolci che conosciamo; c’è il pak di Mysore, il Galub jamun, il burfie, il pâla kova, il mîtai, il jîlabi e così via. Di che cosa son fatti? Di zucchero. Lo zucchero quindi ha assunto nomi diversi. Non basterebbe assaggiare lo zucchero sic et simpliciter? No. Voi dite di preferire il pak di Mysore e non il jamun, ma alla persona che sceglie uno dei due dolci per la sua dolcezza non interessa che anche il jamun sia fatto dello stesso zucchero.
Un analfabeta a due studiosi che discutono tanto animatamente per stabilire se il posto ove uno sta dormendo sia una veranda oppure un chowdary, una stanza d’albergo, dirà: “Che importa dove dorme? Basta che dorma!”. Si può dormire su una roccia o in un letto, ma quel che serve davvero è dormire, non tanto il sapere se si dorme in un letto. Così, quando vedete con occhio puro, meritate tutto ciò che è puro e sacro.
Facciamo un esempio: l’illuminazione stradale d’un tempo, quando le lampade erano ancora a fiamma libera in cima a dei pali, non avevano una gran durata. Bastava un sibilo di vento e si spegnevano. Qual è la luce che non si spegne mai al vento? È il Prema jyoti, la luce dell’amore; è una luce che non subisce alcunché. La luce dell’amore non si estingue mai, nessuno la può spegnere. Anzi, quanto più amore si aggiunge ad amore, tanto più quella luce aumenta di potenza.
Ognuno dunque dovrebbe essere l’incarnazione dell’amore. Se svilupperete amore, non vedrete alcuna differenza tra il primo stato di coscienza (vishvaru), il secondo stato (tejas) e il terzo (prajña). Si chiama vishvadu a causa dei cinque sensi di azione (karmendriya, le membra deputate alle varie azioni, quali le mani, il naso, le orecchie, ecc.) e di percezione (jñânendriya, i cinque sensi) e perché s’identifica con essi sviluppando attaccamento o amore per i vari oggetti.
Ciò che fa funzionare tutti i sensi interni dell’antahkarana (mente, cuore, coscienza, anima, sede dei sentimenti e del pensiero) è detto in linguaggio vedantico “effulgente” (taijasu).
Viene poi il prajña, l’involucro di beatitudine, una guaina di eterna gioia; gioia che non viene mai meno, né può crescere, né decadere. Tutta questa nomenclatura era nota fin dai tempi antichi e, pur richiamando aspetti di grande importanza, non è stata conosciuta nel suo vero significato. Su questa linea Amarasimha, eccellente studioso di antiche scritture, compose molti versi o shloka, dove la Divinità è stata magnificata e descritta su differenti piani. (Swami ne cita un lungo elenco)
In che modo lo fece? Usando molti nomi, molti sinonimi. (Swami riprende a citare altre shloka) Ognuno di quei nomi, descritto secondo numerosissime terminologie, rappresentava forme di diverse di invocazione a Dio.
Alcuni però, incapaci di comprenderne il significato, procurarono ad Amarasimha parecchie sofferenze, considerandolo ateo e decretando il rogo per i suoi scritti.
In questa nostra nazione, fin dai tempi antichi, ci sono sempre state delle differenze religiose, ma se voi ne capite l’essenza, troverete che hanno fondamentalmente un’unica idea. L’avversione e l’odio nascono perché manca la comprensione del loro significato e non si riesce a intravederne l’essenza unica che sta alla base.
Ebbene, fu così che le opere di Amarasimha andarono distrutte dalle fiamme, ed egli lasciò di corsa tutto, portando con sé solo l’Amara-kosha, opera che fu recuperata e salvata da Shankarâcharya. Gli scritti di Amarasimha sono paragonabili ai Veda, poiché i Veda non sono solo le composizioni in versi e i mantra che conosciamo. Ciò che non ha forma prende forma nel mantra. (Swami ne cita un verso intraducibile)… È così avvincente ed emozionante da attrarre anche l’attenzione dei più incolti. Chi legge quello scritto ne rimane rapito.
Distruggere o danneggiare libri così sacri è una completa follia, un indice di ignoranza crassa. Ciò accadde fin dai tempi antichi a causa del fatto che la gente non capisce il senso delle Scritture, il significato dei Veda; non li sa spiegare ed ha dimenticato la sua realtà interiore. Gli studiosi non hanno ritenuto necessario esprimerlo; perciò, ogni singola cosa detta è un mantra: il Veda è così, non ha altre forme diverse.
Questa noi la chiamiamo notte di Shivarâtrî. Molte sono le notti che passiamo, ma questa è una notte che si distingue, speciale. Shivarâtrî significa “di buon auspicio”, e quindi ci invita a trascorrere questo tempo in modo augurale, recitando e cantando il nome di Dio.
Shivarâtrî non significa semplicemente vegliare tutta la notte. Molta gente lo fa stando sveglia tutta notte, ma per far che cosa?
(Baba canta)
Giocare a carte non è una veglia!
Se state svegli per vedervi tre o quattro film, non potrete dire di aver vegliato. No, no, no, no! La notte di Shivarâtrî dev’essere trascorsa cantando la gloria del Suo Nome; un canto che deve sgorgare dal cuore e che dev’essere ciò che definiscono “riflesso dell’essere interiore”. Gli hanno dato il nome di Shiva-tattva: il Santo Nome che sgorga dal cuore è della natura di Shiva.
Dio ha moltissimi nomi, a migliaia, ma il nome principale è Sat-Cit-Ânanda. Sat è ciò che permane in eterno; Cit è la totalità, la pienezza, l’intero. L’unione di Sat e Cit forma Ânanda, la beatitudine. Sat è lo zucchero, Cit è l’acqua e la commistione di zucchero e acqua dà lo sciroppo di Ânanda. Se però tenete separati lo zucchero dall’acqua, ne uscirà la dolcezza della beatitudine?
L’amore che vien fuori dal cuore e la Divinità che scandite nel canto si devono combinare, per formare il sacro principio del Divino. Qualsiasi cosa facciate, fatela con tutto il cuore. Dobbiamo agire sempre col cuore: esso è la sorgente, e non la coercizione dell’amore.
Oggi si fan le cose per amore forzato. Non fate così. Fate con tutto il cuore qualcosa per un solo minuto, e basterà. Basterà un cucchiaino pieno di zucchero, come sarà sufficiente un cucchiaio di latte di vacca; che ve ne fate d’un barile di latte d’asina? Se riuscite a dire anche poche parole, purché vengano dal profondo del cuore, sarà sufficiente.
Passando per l’involucro fisico del cibo, si arriva all’involucro del prâna. Che cos’è la guaina del prâna? È vibrazione; dalla vibrazione del prâna, giungete all’involucro della mente. Che cos’è l’involucro della mente? È la qualità dell’onnipresenza, come dicono le Scritture: “La mente è la base dell’Universo”. Senza la mente non potremmo fare nemmeno la più piccola cosa. Se sei americano, pensi all’America e con il pensiero vai in America. Dunque, la mente raggiunge qualsiasi punto del mondo, pervade tutto. La mente non conosce assolutamente morte. L’uomo può morire, ma non la sua mente. Non importa quanti e quali corpi può assumere, quella mente, vita dopo vita, li accompagna sempre.
Poi viene il terzo involucro, l’involucro di vijñâna. Che cos’è? Non è la conoscenza scientifica, bensì qualcosa di permanente. Il mondo materiale è un riflesso; tutto è un riflesso. È il prâtibhâsika, ciò che ha un’esistenza solo apparente. In che modo risulta chiaro? Ora mi arrabbio e batto un pugno sul tavolo (Swami fa il gesto di colpire con un pugno il tavolo).
L’ho colpito forte. Voi dite che l’ho solo toccato, e invece il tavolo colpisce a sua volta, (Swami batte un secondo pugno) perché quando lo colpite, sentite che avete una risposta di dolore. Dunque è il tavolo che ha colpito voi. Questa è la natura della reazione, la forma, la natura del prâtibhâsika, il non reale. È la beatitudine della forma della Coscienza (Cit).
Ogni singola cosa ha una reazione, una risonanza, un riflesso. Qualsiasi azione compiamo, produciamo una reazione. Quindi, la nostra vita dipende dagli effetti del prâtibhâsika in ogni cosa che facciamo. Non è assolutamente la conoscenza suprema (vijñâna), bensì una conoscenza terrena, materiale.
Allora, in che consiste la vera conoscenza, se non è vijñânam? È la Costante Completa Consapevolezza; è la beatitudine immutabile, un’esperienza che non può modificarsi. Dobbiamo perciò ottenere una simile beatitudine, non già la gioia dei cinque elementi o dei cinque involucri. Cibo, Prâna, Mente, Intelletto, sono involucri che dobbiamo superare.
L’involucro del cibo è grossolano; gli involucri del Prâna, della Mente e dell’Intelletto sono tutti quanti di forma sottile. La beatitudine è la forma causale, lo stato di Turiya, il supremo stato causale.
Ora, vediamo di approfondire il supremo stato causale. Che cos’è il supremo causale? È ciò che va al di là di ogni causa. Per conoscerne la natura, occorre conoscere con estrema chiarezza la natura dei cinque involucri. Le guaine ammantano il corpo e svolgono la loro attività, ma in realtà non c’è alcuna relazione tra il corpo e i cinque involucri.
È il corpo che vede e desidera il cibo, vede la bellezza e ne rimane affascinato? È la coscienza? La mente? No, no. È solo l’Âtma che vede il cibo e lo desidera; è nella natura del Sé rimanere assorto nella contemplazione del bello. Tutto si riflette attraverso il Sé.
Però, se noi non entriamo nella dimensione del Sé, rimaniamo solo al livello fisico pensando che tutto sia opera del corpo, mentre il corpo è solo uno strumento.
Vi sto dicendo tutte queste cose per una richiesta precisa dell’ex vicerettore e dell’attuale, che mi hanno pregato di parlare dei cinque involucri.
E dunque, prima di tutto perché studiamo questa conoscenza? Studiamo con degli attaccamenti al corpo. Speriamo di avere più felicità aumentando il nostro attaccamento al corpo e la nostra ricchezza. La felicità che cerchiamo però non sta in questo.
Voi siete tanto felici quando avete successo nello studio o nell’aver denaro, ma quanto dura questa gioia? Poi, prenderete un lavoro, e sarete di nuovo felici solo per averlo ottenuto, come sarete infelici se non siete promossi. Continuando di questo passo, dove si trova la felicità duratura? Non ci sarà mai una fine in quel continuo andare in cerca di felicità. È una disperata ricerca di gioia, ma quando finirà l’ansia di averla? Nello stato del Turiya c’è la beatitudine infinita. Ecco il motivo per cui non dovremmo sentirci felici per cose di natura materiale.
Una volta Shankarâchârya si recò sulle rive del Gange con tredici discepoli, per fare il bagno. Vide uno studioso che, sotto un albero, ripeteva il mantra: “Dukrunkarane, Dukrunkarane, Dukrunkarane”. È il nome della grammatica che continuava a ripetere. Allora Shankara gli si fece vicino e gli chiese: “Mio caro, che stai ripetendo?”. E lo studioso: “Sto ripetendo la grammatica di Panini”. “E ne ricavi gioia?”, gli chiese Shankara. “Diventerò un gran dotto; mi presenterò alla corte reale e sarò rispettato da tutti. Sarà il mio modo di tirare avanti.”
“Molto bene, – gli disse Shankara –. Ci sarà un guru per mostrare la via allo studioso; ma per quanto gliela mostrerà? Per quanto tempo questa ricchezza ti darà gioia?” Lo studioso rispose che avrebbe avuto gioia fino alla morte. “E dopo la morte – riprese Shankara – dove sarà quella gioia?” “Non so”, rispose lo studioso. Al che Shankara disse di nuovo: “Perché studi la grammatica se non sai dove ti porterà? Che sciocco!”.
Baba canta:
Bhaja Govinda…
Canta la gloria di Govinda, o stolto!
Quando la fine s’approssima,
le regole di grammatica non ti verranno in soccorso.
Contemplate il nome del Signore: esso vi proteggerà in ogni momento e in tutte le situazioni. Tutti i riflessi che oggi vedete vanno e vengono; non sono che nuvole passeggere. Nemmeno una rimane per sempre. La vostra beatitudine è eterna; il vostro amore è permanente. Perciò,
L’amore è Dio: vivete nell’amore.
In ogni momento, in ogni circostanza è con l’amore che dobbiamo vivere: questo è quanto apprendiamo dalla natura di Shiva. C’è un solo Dio, per ogni epoca, per ogni situazione storica. Dio non va soggetto né a mutamento, né a riduzione. Teniamo a mente il nome di Dio, perché da esso deriva beatitudine.
Tuttavia, in quest’epoca abbiamo non pochi problemi da affrontare. La gioventù è deturpata da desideri a non finire, da perditempo e da storie inventate. Questa è l’età per studiare e pensare a Dio, affinché possiate accoglierLo in voi. È lo stadio di vita in cui sentite parlare di Râma e di Krishna; due realtà che bisogna sintonizzare coi propri sentimenti.
Non dovreste sprecare un’età tanto sacra. Non vogliate provare tutto, facendo di tutto, dedicandovi ad attività inutili e allacciando relazioni non necessarie, poiché la vostra mente non avrebbe più pace, nemmeno per un istante.
Da dove proviene la pace? Non certo dal mondo. Se andate al bazar, la vostra pace andrà in frantumi (peace in pieces). La pace che cercate è già dentro di voi, giacché voi siete l’incarnazione della pace, l’incarnazione della verità, l’incarnazione dell’amore. Dunque, per prima cosa e sopra ogni cosa, conosci te stesso, ed allora sarai felice.
Incarnazioni dell’amore
Noi celebriamo molte festività; tutte le solennità sacre dell’India arrecano una santa gioia, e tuttavia non sappiamo capirne gli intimi significati. Ci accontentiamo della celebrazione con tutto il suo apparato esteriore. Che squallore! A che serve tutta la cultura che abbiamo acquisito?
Nonostante la sua istruzione e la sua intelligenza, uno stolto non saprà nulla del suo vero Sé e il malvagio non rinuncerà ai suoi vizi. L’istruzione odierna ha come unico obbiettivo la disputa, non porta alla saggezza olistica. A che serve tanta scienza mondana se non porta all’immortalità? Dopo tanti studi, c’è la morte. Apprendete la scienza che vi rende immortali.
Accanto allo studio delle scienze profane, ci dev’essere anche una conoscenza spirituale e la sua pratica. Infatti tutta la conoscenza del mondo è destinata a perire, ad essere dimenticata, cancellata. Le scienze del mondo sono come le montagne che le intemperie sciolgono e riducono in terra sassosa. La Divinità è invece eterna, pura, indefettibile. Gli uomini fanno tanti progetti, ma fin dove arrivano? Qua e là perdono forza. Fate progetti che durino sempre. Quali? Dio dura per sempre.
La maggior parte delle attività che si compiono oggi dimenticano Dio e ripongono ogni fiducia nel mondo. È uno stato di ignoranza che sarà distrutta allo spuntare della saggezza.
Incarnazioni dell’amore
Amate tutti; non odiate nessuno. Tutta l’essenza dell’antica cultura, che Vyâsa espresse in 18 Purâna, è sintetizzata in due frasi. Eccole:
Sempre aiutare. Mai far del male.
Queste due frasi sono esaurienti. Prestiamo sempre aiuto agli altri. Badiamo sempre a non ferire nessuno. Per quanto ci è possibile, non procuriamo mai dolore a nessuno; facciamo in modo di non mettere in difficoltà nessuno. In definitiva, ciascuno assecondi la propria sorte.
Studenti, dovete aver successo nei vostri studi; non solo nello studio delle materie scolastiche, ma anche nella Scienza del Sé (Âtma-vidyâ). La vera conoscenza è quella spirituale, la conoscenza di Dio (Brahma jñâna). Quella solamente è la Scienza Divina (Brahma vidyâ).
L’eterna, suprema felicità, la forma della sapienza, che trascende ogni dualismo, è libera dalle tre qualità (guna), l’unico, eterno, puro Testimone di tutto, che va oltre ogni emozione: quella solo è la vera beatitudine.
Superando i tre attributi della natura, dovremmo saper controllare le emozioni della mente ed entrare nel campo della consapevolezza. Anche se occupaste un’elevata posizione sociale, sarebbe per un tempo limitato. Pensate a quante amicizie si sono intessute e alla loro breve durata. E la bellezza? Quanto dura il suo fascino? Non andate fieri per la vostra bellezza o per l’età giovanile o il vigore e l’efficienza dei sensi.
Presto arriva la vecchiaia; sta lì davanti a te: le cateratte ti annebbiano la vista, le rughe ti solcano il viso, i capelli s’incanutiscono e le gambe traballano. I bambini si burlano di te e ti dicono che sei una vecchia scimmia. Sei lo zimbello delle marionette!
Chi è questo fantoccio? Quanto vive? Per quanto reciterà questa parte? Fino a quando avrà energie e vigoria? Per quanti anni rimane giovane?
Non sarà per sempre. È proprio come un lampo che brilla un istante e subito dopo torna il buio; oppure è come il fiore che sboccia al mattino e appassisce la sera. Dobbiamo far di tutto per capire il senso d’una esistenza così effimera del corpo, di questo primo, iniziale involucro di cibo, fatto di materia densa, fisica. Se riusciamo a capire questa verità, possiamo conseguire qualsiasi cosa. Controllate voi il vostro corpo; non lasciate farlo ad altri. Così pure controllate la vostra mente, e non aspettatevi che lo facciano altri. Ciascuno deve farlo per sé stesso.
Se avete fame, dovete mangiare per il vostro stomaco; vi saziereste forse se qualcun altro mangiasse per voi? Mai e poi mai la vostra fame si calmerebbe! Dunque, non pensate egoisticamente alla vostra bellezza, giovinezza e forza.
Dobbiamo capir bene che cosa significa esattamente per ciascuno esser giovani. Si è giovani solo quando si tengono sotto controllo i sensi. Controllandovi, rimarrete sempre giovani. Io sono la prova vivente di ciò (applausi). Se ci fosse abbastanza spazio, mi metterei a correre! (applausi) Possiedo ogni energia; non ho assolutamente alcuna debolezza. Chi mi vede può forse dire che ho 75 anni?
Da che cosa dipende questo? Purezza, pazienza, perseveranza: in queste tre virtù sta la ragione principale (applausi).
Purezza, purezza, purezza! Al 100 %! Solo sentimenti puri, incontaminati e stabili. Abbiate anche voi gli stessi sentimenti di fermezza.
Voi tutti andate ripetendo di essere dei devoti di Swami, ma non dovreste portare dentro di voi almeno un frammento della purezza di Swami?
Poi, pazienza. Voi volete la pace. Se qualcuno vi domanda: “Da che parte viene lei?”, gli rispondete “Ma vai via!”. Non sapete sopportare nemmeno che vi si rivolga una parolina. Sebbene siano a migliaia coloro che vengono qui, imparate da me che, con una parola per ciascuno, trasmetto tanta pace! E non rivolgo la parola ad uno solo. Vedete quant’è esteso il mio lavoro! La mia attività non è a scompartimenti stagni; tutti gli scompartimenti sono miei! Provate a pensare quanto dovrei essere stressato in condizioni come queste. Eppure, non sono mai nervoso.
Io sono sempre colmo unicamente di beatitudine: infinita gioia, e gioia, e gioia. Molti vengono qui per farmi degli auguri: Felice compleanno! Ma io sono sempre e solo felice. Dite “Buon Natale” a chi non è felice. Ogni minuto per me è un compleanno, ogni secondo, poiché sono sempre felice. Felicità significa unione con Dio. Ecco la vera gioia.
Perciò, dite sempre tra voi: “Io sono la forma dello Spirito. Esso è con me, intorno a me, sopra di me, sotto di me, dentro di me”. Se pensaste in questo modo, quali dolori o depressioni avreste?
Si parla di depressione. Ogni tanto mi chiedo che cosa sia; vorrei saperlo, poiché io non sono mai depresso. C’è chi parla di sofferenza e molti si lamentano; ma io vorrei sapere come faccia a colpirvi questa sofferenza, che io non conosco. Com’è possibile che accada? Costoro non si avvicineranno mai a me. Perché? Non vengono per la loro purezza. Quando ci sono sofferenza, cattive azioni, cattive compagnie, cattivi insegnamenti, costoro come arrivano se ne vanno. Dunque,
Non vedere il male, vedi solo il bene.
Non ascoltare il male, ascolta solo il bene.
Non parlare del male, parla solo del bene.
Non fare il male, fa’ solo del bene.
Non pensare il male, pensa solo il bene.
Questa è la via verso Dio.
Quali sofferenze potrebbero derivarvi? Quali problemi potreste avere?
A volte cadete in depressione. Quando siete oppressi dai problemi, pensate così: “È un bene per me; è un bene.” Qualsiasi difficoltà incontriate, dite: “Va bene, va bene!”. Tutto è buono per noi.
Molti di voi conoscono e hanno visto qui una persona, di nome Narayana, proveniente da Madras. Una settimana fa ebbe dei problemi al cuore che gli provocarono un blocco circolatorio. Poi, è venuto qui. Suo figlio, che studia nel nostro college, telefonò a sua madre per dirle: “Non andare da alcun altro dottore. Parti subito e vieni a Puttaparthi.” Così venne. A vederlo sembrava il ritratto della salute. Mi fu detto poi che si rivolse a dei medici, i quali mi dissero: “Swami, ha tre valvole bloccate e anche la quarta sta per bloccarsi. Risulta difficile un intervento chirurgico”.
Ieri, i chirurghi gli hanno aperto il torace e hanno constatato che la circolazione sanguigna era bloccata dappertutto. “Come fa ad essere vivo? – si chiesero stupefatti – È incredibile!” Tre dottori venivano dall’America. Anch’essi lo videro e dissero: “È davvero sorprendente!”.
Più tardi i medici andarono da lui e gli chiesero: “Signor Narayana, come sta?”. Ed egli rispose: “Sono felicissimo, felicissimo. Swami è con me. Perciò, non ho alcun dolore.” I medici però non erano soddisfatti.
Alle 8 del mattino lo portarono in sala operatoria; lo sottoposero ad un intervento di cinque ore, badate bene, non di due o tre. Gli applicarono dei by-pass su tutto il cuore: quattro by-pass! Guardate un po’! È già qui in piedi che cammina, dopo aver fatto l’altro ieri un’operazione che in qualsiasi ospedale vi farebbe rimanere degente per almeno dieci giorni. Ieri s’è alzato e si è messo a sedere. I medici gli hanno dato degli idli, che lui ha mangiato con appetito. Ieri sera ha mangiato e ha fatto trecento metri. Nessuno l’avrebbe mai creduto.
Ora anch’io l’ho veduto. È venuto indossando camicia e pantaloni come un collegiale.
Fui molto felice di vederlo, e gli dissi: «La tua fede è la causa di tutto quel che è accaduto». È sempre la fede di ciascuno la responsabile. Da quando è venuto qui, non ha fatto altro che dire: «Ci penserà Swami. Non ho bisogno di nessun altro. Swami è sempre con me, con me, con me, con me. Va tutto bene. Sono venuto a Parthi per questo problema di cuore, vero?, e sono stato ricoverato all’ospedale. Ma io non sono stato in un ospedale, bensì in un tempio».
Proprio l’altro ieri, dunque, ha subito l’intervento chirurgico, ieri ha mangiato, e questa mattina è venuto qui al mandir. Dovunque andiate, chiunque interroghiate su questo accaduto, nessun medico sarà in grado di darvene una spiegazione; la natura di quella malattia è contraddetta dall’evidenza.
Quindi, Dio può anche modificare la natura. La natura può anche essere cambiata! Se avete fede in Dio, qualsiasi cosa può cambiare: la terra può cambiare in cielo e il cielo in terra. Quindi, la fede è di fondamentale importanza.
Tuttavia, la gente d’oggi ha perduto entrambi gli occhi della fede ed è diventata cieca.
Più nessuno crede; l’uomo d’oggi non ha fede nemmeno in sé stesso. Come potrebbe averne in Dio? Se non conosce sé stesso, come può conoscere Dio?
Per prima cosa deve conoscere sé stesso; poi gli sarà facile comprendere il Divino. Abbiate dunque fede prioritariamente in Dio, poiché non c’è nulla che Dio non possa fare. Comunque ci sono molte discussioni tra atei e credenti. Ma essi non hanno esperienza di ciò che affermano.
Per chi ha occhi per vedere, anche il colore d’un piccolo bruco può esser visto; ma chi è senza vista non vede nemmeno il bagliore del sole che sorge. Allo stesso modo, per coloro che sono senza la luce della spiritualità, tutto è oscurità; ma basta anche solo un po’ di vista per vedere tutto il mondo.
Quanto influiscono le tenebre del Kali Yuga oggi? Lo chiamano Kali Yuga, ma in realtà è il Kalaha Yuga, ossia l’Era dei litigi. Per ogni cosa ci sono conflitti, dappertutto discussioni, lotte in famiglia, al bazar; dovunque si volga lo sguardo ci sono battaglie.
Gli studenti devono allontanare questa mancanza di pace. Bisogna che tutti si uniscano in nome dell’amore e bisogna cacciar via la rabbia. Occorre incenerire l’odio, far fuori la gelosia e sviluppare amore.
L’uomo che è dominato dall’odio e dalla gelosia, anche se è vivo, è simile a un morto. Amate tutti. Dovremmo fare in modo che nessun tipo di odio entri in noi. Sappiate che l’obbiettivo principale di Shivarâtrî è sviluppare amore. Perciò, espandete amore. Cantate con amore per tutta la notte i bhajans.
Ci sono alcune ragioni che spiegano Shivarâtrî. La Luna ha sedici fasi; anche il Sole ha sedici parti. Questa di oggi è la quindicesima. Ne manca una; eppure con questa sola possiamo raggiungere un’enorme felicità e beatitudine. Quest’ultima parte si manifesta allorché si trascorre tutta la notte nel cantare con tutto il cuore i bhajan.
In realtà, qualunque festa si celebri, non c’è bisogno di far profonde riflessioni sugli aspetti spirituali. Non li comprendiamo. Il sentiero dell’amore è più semplice. Amate tutti; non odiate assolutamente nessuno. In verità, non c’è nessuno che mi porti odio; io non sono odiato da nessuno, né io odio alcuno. Perciò, come posso attirarmi odio?
Però, ci sono persino alcuni ragazzetti che dicono: “Swami è arrabbiato; non ci rivolge la parola”. Io non sono in collera con nessuno. Tuttavia, al fine di correggere alcuni, mi comporto con aria severa per alcuni giorni. Orbene, a chi è ammalato, bisogna somministrare la medicina e bisogna affiancare ai farmaci anche un’opportuna dieta. Di che utilità sarebbe una medicina se si trascurasse la dieta? A un diabetico potete fare delle iniezioni di insulina; ma se poi gli fate mangiare tutti i dolci, a che gli serve l’iniezione. Ci vuole il controllo dietetico insieme alla medicina. Solo così si cura.
Allora, allo scopo di portare alcuni cambiamenti nella loro mente, me ne sto di tanto in tanto zitto. Altrimenti questi diventano arroganti. Inoltre, questi sono i giovani del Kali Yuga; non si può mai sapere che cosa faranno. C’è tanta rabbia e odio in aumento nel mondo, sotto varie forme, che li porterebbe alla distruzione.
Non si dovrebbe dare sviluppo alla rabbia e all’odio; bisogna far crescere l’amore, poiché si ottiene gioia nella misura in cui aumenta l’amore. Quanto più amore avrete, tanta più la gioia sarà in voi. Che cosa accadde quando Hiranyakashipu espresse tutta la sua rabbia contro Dio? Che cosa accadde a Râvana? Che cosa a Duryodhana? Andarono completamente distrutte le loro famiglie, le loro stirpi. Che cosa accadde invece ai Pândava che seppero diffondere amore? I cinque fratelli Pândava, pur tra mille difficoltà e sofferenze, furono compensati da tanta felicità, poiché il loro amore verso Dio li protesse.
Perciò, amate Dio; sarete così pronti a qualsiasi evenienza e avrete felicità. Sviluppate questa qualità dell’amore, lo spirito dell’amore, a maggior ragione oggi.
(Swami conclude il discorso con il canto “Prema mudhita mana se kaho…”)
Prashânti Nilayam, 4 Marzo 2000 – Mahashivaratri
(Versione integrale)