Questo fu il primo messaggio dato al mondo dal Signore Krishna:
“Coloro che sperimentano la verità secondo cui lo Spirito che in Me dimora è il medesimo che abita in tutti gli esseri, siano essi pieni di desideri o liberi, oppure padri di famiglia o rinuncianti, o esecutori dei propri compiti o non esecutori degli stessi, ebbene, costoro abiteranno in Me.”
Questo messaggio fu dato agli uomini cinquemila anni fa.
Incarnazioni dell’Amore,
a metà del Dwapara vuga[1], incapace di tollerare le atrocità commesse verso persone buone, da parte di governanti malvagi, la Dea della Terra pregò il Signore in molti modi. Il Signore, volendo arrecar conforto alla Dea, così colpita dal dolore, disse: “Puoi ritornartene sulla terra, o Dea! Farò lO ciò che occorre. Sarai liberata dal tuo fardello”.
Pronunciando tali parole di incoraggiamento, il Signore rimandò nel mondo la Madre Terra. Chiamò poi a raccolta tutte le creature angeliche ed ingiunse loro di nascere come Yadava. Colui che diede origine alla stirpe degli Yadava fu Yayáthi, il cui figlio maggiore ebbe il nome Yadu. I discendenti di Yadu, nel corso del tempo, divennero noti come Yadava. Fra di essi, c’era un capo di nome Ahuka, che era persona retta e dedita alla verità. 1 personaggi, che compaiono nella storia legata alla vita di Krishna, appartengono alla stirpe di Ahuka. Ahuka aveva due figli, Devaka e Ugrasena. Ad Ugrasena nacque un figlio, Kamsa, mentre Devaka ebbe una figlia, Devaki. Non avendo sorelle, Kamsa si affezionò molto alla cugina Devaki, che considerò a tutti gli effetti una sorella.
L’avvertimento a Kamsa
Vasudeva, figlio di Sura, faceva parte della famiglia degli Yadava, nel cui regno era uno dei satrapi. Egli aveva la fama di essere uomo di parola. Ugrasena e Kamsa, dopo scrupolose ricerche, pensarono che Vasudeva potesse essere lo sposo giusto per Devaki.
Vasudeva aveva già una moglie, di nome Rohini, ma, a quel tempo, non esistevano restrizioni relative alla poligamia. Così, poiché non aveva avuto figli da Rohini, Vasudeva acconsenti a sposare Devaki. Dopo il matrimonio, Kamsa preparò il suo carro per accompagnare Vasudeva e Devaki nella loro dimora. Kamsa guidò il carro con il cuore gonfio, sopraffatto dal pensiero di doversi separare dall’amata cugina: Devaki gli era cara come il proprio respiro.
Nel momento dell’abbandono della casa paterna, Ugrasena fece a Devaki molti doni preziosi, oltre ad una scorta di elefanti, cavalli e soldati. Mentre il carro procedeva solennemente, si udì all’improvviso provenire dal cielo una voce tonante: “Stolto! Non sai che cosa c’è in serbo per te. Colui che ti ucciderà per tutti i tuoi misfatti sarà l’ottavo figlio di tua sorella”.
Pronunciate queste parole, l’essere etereo che aveva parlato tacque e non si udì più nulla. Avendo udito tale profezia, Kamsa andò su tutte le furie e, sceso dal carro, afferrò Devaki per i capelli e sguainò la spada per tagliarle la testa. Vasudeva, che era la personificazione della pace, della verità e della rettitudine, fermò la mano di Kamsa e gli chiese per quale motivo fosse tanto preoccupato alla prospettiva della morte.
“La morte è inevitabile, sia che avvenga oggi come in tempi futuri egli disse. Qualunque cosa tu faccia per proteggerti, la morte verrà a tempo debito anche se ti sarai nascosto nella foresta. Tutte le creature che sono nate sono destinate a perire. La voce eterea ha dichiarato, o Kamsa, che la morte ti sarà arrecata dall’ottavo figlio di Devaki e non subito. Ci sono molti anni di fronte a te prima che Devaki arrivi a partorire questo figlio; non è quindi proprio il caso che tu perda la testa. Lascia andare la ragazza che hai sempre amato come una sorella, ed io ti porterò tutti i bambini che ella partorirà”.
Dopo questa promessa di Vasudeva, Kamsa comprese che egli diceva la verità e lasciò libera Devaki. Tornò poi al suo palazzo senza prendere il carro. Vasudeva e Devaki raggiunsero la loro casa con il cuore gonfio. Passarono alcuni giorni e Kamsa restava immerso in tetri pensieri relativi alla morte che gli era stata prospettata.
Un giorno andò da lui il saggio Narada e, dopo aver parlato delle cose del mondo in generale, prima di andarsene disse a Kamsa: “Sei davvero uno stolto! Non hai ancora capito la tua situazione. La voce eterea ha detto che l’ottavo figlio di Devaki sarà il tuo uccisore. Tuttavia, tu non puoi sapere quale dei suoi figli ti arrecherà la morte. Il rischio lo potrai correre con ognuno di essi”.
Da quel momento, l’angoscia e la paura di Kamsa aumentarono ed egli ordinò a Vasudeva di consegnargli tutti i bambini che nascevano. Allorché essi gli vennero portati, egli li uccise uno ad uno. Quando Devaki rimase incinta per la settima volta, il Signore Narayana fece tutti i preparativi affinché la promessa da Lui fatta alla Madre Terra trovasse compimento. Per promuovere il bene del mondo, ripristinare il Dharma fra gli uomini, sostenere la verità ed inculcare, nel genere umano, devozione verso il Signore, era necessario che il processo divino fosse messo in azione.
Così, le creature angeliche vennero al mondo come Yadava, e Vishnu, raccolta tutta la propria energia cosmica onnipervasiva, le ordinò: “Espanditi immediatamente ed entra nel ventre di Yashoda”. Chiamato poi Adisesha, il Serpente Divino, il Signore gli ingiunse di andare a Gokulam ed entrare nel ventre di Rohini, la moglie più anziana di Vasudeva.
“lo penetrerò nel ventre di Devaki” – Egli aggiunse.
La nascita di Krishna in prigione
Quando Devaki rimase incinta per la settima volta, il Signore fece in modo che il feto fosse trasferito nel ventre di Rohini e Kamsa venne informato che Devaki aveva abortito. Krishna sarebbe nato dalla ottava gestazione della donna. Temendo le reazioni di Kamsa, Vasudeva pensò di mandare Rohini a casa di Nanda. Rohini era la sorella di Yashoda.
Aspettandosi un pericolo mortale dalla nascita dell’ottavo figlio di Devaki, Kamsa fece rinchiudere Vasudeva e Devaki in una prigione molto ben sorvegliata. Conservò poi egli stesso le chiavi di quel luogo. Devaki mise al mondo un altro figlio in ashtami, cioè all’ottavo giorno dopo la luna nuova, sotto la costellazione di Rohini. Il Bimbo che era venuto alla luce era il Signore in Persona, in tutto il Suo fulgore e con tutti i segni distintivi di Vishnu: sul petto del bimbo c’era il tipico neo che contraddistingue il Signore Vishnu ed il gioiello kausthubha brillava intensamente.
Devaki e Vasudeva giunsero le mani in segno di adorazione, accecati dallo splendore del divino Bambino. Essi compresero che la loro vita era stata redenta dalla nascita dei Signore che essi stavano ora contemplando in forma umana. Avvicinandosi poi al Bambino ed accarezzandogli mani e piedi, essi così dissero: “Grazie, o Signore, per averci concesso la fortuna di nascere come nostro figlio. Non siamo però nella condizione di poterti proteggere. Dovrai usare il Tuo Potere divino, per fuggire, in un modo o nell’altro, da questa prigione.”
Vasudeva sedette poi accanto al Piccolo e cominciò a pregare. All’improvviso, di fronte a lui comparve un cesto. A quel punto, Vasudeva prese il Bimbo e lo adagiò nel cesto, poi, essendosi voltato verso la porta della prigione, si avvide che essa era aperta.
“Le vie del Signore sono davvero meravigliose e misteriose!” – pensò Vasudeva – ed uscì dalla prigione. Notò poi che le guardie erano profondamente addormentate e, allorché usci all’aperto, fu sorpreso da un violento acquazzone e vide che lo Yamuna era in piena.
Pregò allora Narayana di togliere dalla sua strada ogni ostacolo, affinché la missione che egli aveva, di proteggere il Fanciullo divino, fosse portata a compimento.
Allora, nello Yamuna si aprì un varco ed egli potè raggiungere la casa di Nanda. Quello stesso giorno, Yashoda diede alla luce una bambina, che altri non era che Mayadevi. Yashoda si trovava in uno stato di incoscienza. Quando infatti la bimba era nata, sia lei che Nanda erano in stato di trance. Vasudeva adagiò allora il piccolo Krishna accanto a Yashoda e fece ritorno a Mathura con l’altra bimba da poco nata.
Allorché Vasudeva se ne andò dalla casa di Nanda, il Bimbo, posto accanto a Yashoda, cominciò a piangere. Yashoda e Nanda, che non sapevano ancora se il bimbo appena nato fosse maschio o femmina, sentendolo piangere, si ripresero dal loro stato ipnotico e, guardandolo, si accorsero che era maschio.
L’incubo di Kamsa
Vasudeva tornò quindi alla prigione, portandovi la Bimba appena nata. A quel punto, la Bimba cominciò a piangere, cosa che svegliò le guardie, le quali corsero ad informare Kamsa della nascita. Esse non si accorsero di quanto era accaduto, poiché trovarono chiuse tutte le porte della prigione.
Kamsa, che era ansiosamente in attesa di notizie, si precipitò alla prigione e, afferrando la Bimba appena nata dalle mani di Devaki, La sollevò in alto per poterla uccidere con la spada. A quel punto, la Bimba, cioè Mayadevi, così parlò: “Il bimbo che ti ucciderà, o stolto, è già nato. Egli sta crescendo in un certo luogo. Non potrai sfuggire al tuo destino”.
Detto questo, Mayadevi scomparve. Da quel momento, Kamsa si affannò a cercare il posto ove il bambino, che doveva diventare il suo uccisore, si trovava, e fece uscire di prigione Vasudeva e Devaki.
Un giorno, Vasudeva e Nanda, essendo satrapi nel regno di Kamsa, andarono a Mathura per versargli il loro tributo annuale. Sulla strada dei ritorno, mentre essi si lamentavano della loro situazione, Vasudeva osservò che a Repalle, luogo ove abitava Nanda, sembrava stessero per verificarsi avvenimenti infausti.
“Anche a Gokulam – egli disse – pare stiano per accadere fatti non piacevoli. Nanda, non restare a lungo a Mathura. Lascia questo posto immediatamente”.
Krishna e Puthana
Dopo aver ascoltato questo avvertimento, Nanda tornò subito a Repalle. Qui, c’erano effettivamente alcune creature demoniache: una di queste era Puthana, la quale perse la vita mentre allattava Krishna. In una vita precedente, ella era stata Ratnavali, figlia dell’imperatore Bali. Un giorno, durante un rito sacrificale, officiato dall’imperatore stesso, il Signore apparve, come bellissimo giovinetto, nella forma di Vamana. Ratnavali ne fu affascinata e sentì che le sarebbe piaciuto moltissimo allevarlo se egli fosse stato suo figlio.
Mentre era assorta in tali pensieri, ella notò che Vamana aveva messo un piede sulla testa di Bali, dopo aver misurato la terra ed il cielo con due passi. Nel vedere ciò, Ratnavali, infuriata, sentì in sé un forte desiderio di uccidere Vamana. Poiché ella dapprima aveva desiderato coccolarlo come un figlio suo ed in seguito aveva sentito il forte impulso di ucciderlo, ella rinacque, di conseguenza, come Puthana, la donna cioè che avrebbe dovuto allattare Krishna e poi ucciderlo. Andò poi a finire che ella morì. Il Signore ha i Suoi sistemi per realizzare i desideri delle persone.
Questa storia insegna che è indispensabile alimentare pensieri positivi e desideri elevati.
Quando Krishna aveva tre anni, un giorno vide una vecchia che trasportava un cesto pieno di frutti raccolti nella foresta. Allora il Bimbo disse alla donna che Gli sarebbe piaciuto avere alcuni di quei frutti ed ella rispose che, per ottenere ciò, doveva pagare un certo prezzo.
Krishna, innocentemente, chiese il significato della parola “prezzo” e la vecchia rispose che doveva dare qualcosa in cambio della frutta. Allora Krishna entrò in casa e ne uscì con una manciata dì riso, che la donna mise nel cesto, dando a Krishna, in cambio, alcuni frutti. Ella era affascinata dalla bellezza del Bambino.
Ritornando verso la sua capanna, la vecchia sentì che il cesto stava diventando più pesante e quando, giunta alla sua abitazione, lo posò a terra, rimase attonita nel constatare che i chicchi di riso si erano trasformati in pietre preziose. A quel punto, ella pensò che quel Bimbo fosse un essere divino; come avrebbe infatti potuto il riso trasformarsi in pietre preziose? Ritenendosi estremamente fortunata, la donna pensò di invitare i vicini a vedere il miracolo.
I timori di Yashoda
Un giorno Krishna stava implorando Yashoda affinché ella Gli concedesse il permesso di recarsi nella foresta assieme agli altri ragazzi che erano dediti a seguire le mucche al pascolo. Pensando che mettendolo a dormire a Krishna sarebbe passata la voglia di andare nella foresta, Yashoda Gli dette del latte. Krishna, che non era un bambino come tutti gli altri, mentre beveva il latte finse di addormentarsi, simulando anche qualche sbadiglio per mostrare il Suo stato di sonnolenza.
Nella bocca spalancata di Krishna, Yashoda vide ogni genere di cose, tutti i mondi in movimento e molte divinità. Non riusciva a comprendere che cosa significasse tutto ciò. “E un segno o un’illusione creata da Vishnu? – ella pensò. Oppure è una mia fantasia? O forse è realtà? Sono io Yashoda? Mi sono forse recata in qualche luogo particolare? Mio figlio è solo un bambino: come possono tutti i mondi comparire nella sua piccola bocca? Deve trattarsi della mia immaginazione”.
Tutti questi pensieri stavano, in quel momento, affollando la mente di Yashoda.
Essi nascono dai dubbi che si formano nella mente di coloro che rimangono impigliati nella rete delle illusioni legate al corpo.
Cedendo così alle richieste di Krishna, Yashoda Gli permise, alla fine, di recarsi nella foresta con gli altri ragazzi. Quasi tutti i giorni, Krishna si imbatteva in qualche orco o orchessa e li uccideva. I Suoi compagni erano poi soliti raccontare, agli adulti, tali imprese, il modo cioè in cui Egli riusciva a combattere i demoni e poi a sopraffarli.
Yashoda, tuttavia, era solita affermare: “Il Signore protegge mio figlio. Come potrebbe egli, altrimenti, aver sempre la meglio in questi scontri’?”
A queste parole, i compagni di Krishna rispondevano: “Se Egli stesso è Dio, o madre, perché dovrebbe aver bisogno della protezione di qualcuno?”
Yashoda riteneva che il giudizio di questi giovani fosse frutto di ingenuità e pensava: “Dio viene forse in soccorso di qualcuno con tanta facilità? Egli gode di tanta protezione solo in virtù delle mie preghiere”.
Spinta da questa convinzione, Yashoda era solita compiere diverse cerimonie religiose, allorché Krishna tornava dalla foresta, poiché voleva esprimere la propria gratitudine alla
Provvidenza per aver preservato suo figlio dalle avversità e da pericoli di varia natura.
Come Krishna la spuntò su Brahma
Ci fu grande esultanza, fra le creature celesti, quando si sparse la notizia che il Signore Narayana incarnatosi sulla terra come Krishna, aveva sopraffatto molti demoni. Udendo queste notizie, Brahma volle verificare la verità circa le prodezze ed i miracoli attribuiti a Krishna.
Quella stessa notte, Krishna diede ai Suoi compagni le seguenti direttive: “Oggi, non portate le mucche al pascolo, ma i vitelli. Assieme ad essi, portatevi i vostri rispettivi strumenti musicali. Dobbiamo passare il giorno in compagnia della musica.”
La maggior parte di essi giunse con il flauto, strumento che sapevano suonare bene, tenendolo in una mano; nell’altra mano reggevano invece un bastone. Solo due dei ragazzi portarono, ciascuno, un vaso di creta, che avrebbero usato come tamburo. L’arte di suonare questo strumento, antica come il Dwapara yuga, è oggi conosciuta con il nome di Ghatavádyam.
A quel punto, i ragazzi si riunirono con i vitelli su una sponda dello Yamuna. Alcuni di essi cominciarono allora a suonare il flauto, gli altri due lo strumento simile al tamburo, mentre Krishna danzava al suono di quella musica. Quando Krishna smise di danzare, altri cominciarono a farlo.
Dopo qualche tempo Dáma, uno dei due amici intimi di Krishna (l’altro era Subála), disse a Krishna di avere fame e di gradire qualche frutto che avrebbe potuto trovare su alcuni alberi di palma non molto distanti dal posto ove essi si trovavano. Balarama, che aveva ascoltato queste parole, disse che si sarebbe recato lui a prendere i frutti. Giunto vicino agli alberi, li scosse energeticamente ed i frutti caddero tutti a terra. (A proposito di Balarama, Swami ha spiegato che, durante la cerimonia per l’assegnazione del nome al bambino, il saggio Garg disse che il piccolo sarebbe diventato molto forte e che il nome per lui più appropriato sarebbe stato Balarama).
In quell’istante, comparve un asino enorme. Tutti ne furono spaventati, anche perché l’asino diventava sempre più grande. Allora Balarama lo afferrò per le zampe posteriori e lo scaraventò sul terreno: l’animale morì sul colpo.
I ragazzi allora esultarono, festeggiando Balarama come un eroe e cominciarono a ballare pieni di gioia. Approfittando del momento favorevole, Brahma creò all’istante una enorme caverna ove condusse tutti i vitelli mentre i ragazzi, non accorgendosi di nulla, continuavano a danzare in allegria. Ad un tratto, essi si avvidero che gli animali erano spariti e cominciarono a cercarli chiamando a gran voce: “Krishna! Krishna!”. Egli sapeva che cosa era accaduto e disse loro di cercare nella caverna vicina. Essi obbedirono, ma, non appena furono entrati, l’ingresso della caverna si chiuse ed essi rimasero imprigionati là dentro assieme ai vitelli. Vi sarebbero rimasti per un anno intero.
Krishna, tuttavia, volle dare una lezione a Brahma e, per fare ciò, prese la forma dei vitelli e dei pastori rinchiusi nella caverna, oltre a mantenere la propria forma.
Sopraggiunta la sera, Krishna e Balarama accompagnarono i ragazzi e gli animali, di cui Krishna aveva assunto le sembianze, alle loro dimore. Questa operazione avvenne quotidianamente per un anno intero, senza sospetto alcuno da parte degli abitanti del villaggio.
Brahma si chiese che cosa stesse accadendo. Krishna era forse riuscito a liberare i ragazzi ed i vitelli dalla caverna? Andò sul luogo per controllare e vi trovò pastori ed animali.
Fu quindi molto stupito di constatare che essi si trovassero, contemporaneamente, dentro e fuori dalla caverna. Comprese, in quel momento, quanto siano imperscrutabili le strade del Signore ed esclamò: “Chi può conoscerTi, o Krishna! Tu sei più piccolo dell’atomo e più grande di qualsiasi creatura dell’universo. Tu dimori nelle innumerevoli specie presenti nel cosmo; chi può mai conoscerTi?”.
Egli chiese perdono a Krishna e liberò, dalla caverna, i ragazzi ed i vitelli.
La potenza Divina
Questo episodio rivela che il Signore Supremo può assumere innumerevoli forme, tutte quelle esistenti nel cosmo intero. Ecco perché le Upanishad dichiarano: “Dio dimora in ogni parte del cosmo”. Tutte le forme sono manifestazioni del Divino. Ma com’è possibile questo?
Questo è possibile grazie al potere della volontà divina. Se persino un uomo, quando dorme, ha il potere di sperimentare con il sogno ogni tipo di esperienza, compresi movimenti ed attività varie che il suo corpo in realtà non compie, essendo immobile in un letto, che dire allora del potere divino? Che cosa può esservi di più grande?
Osservando Dio in forma umana, la gente potrebbe dubitare del fatto che un essere, che possiede un corpo identico a quello umano, possa compiere ogni sorta di azioni miracolose. Tali persone non comprendono il concetto di unità dello Spirito Supremo. E’ difficile riconoscere il Divino quando assume sembianze umane.
Non riconoscendole la divinità, molte persone oltraggiarono Krishna definendolo galante e frivolo e persino ladro. Queste accuse, però, non scalfiscono la Sua grandezza. Esse nascono solamente dall’illusione.
Gli uomini compiono gli stessi errori di valutazione nei confronti di se stessi, dimenticando la propria innata divinità ed identificandosi con il proprio corpo. Krishna apparve in forma umana per insegnare, all’umanità, a trascendere la coscienza legata al corpo.
La divinità di Krishna
I giochi divini di Krishna intendevano, in un modo o nell’altro, rivelare la Sua divinità. Un giorno, Balarama si prese gioco di Krishna dicendo: “Tu non sei figlio di Yashoda. Ti potrai chiedere perché dico questo. Lo dico perché Nanda e Yashoda sono di pelle chiara; tu, invece, sei scuro. Non sei perciò loro figlio: devi essere nato da qualche altra parte”.
Ciò che Balarama diceva era vero e Krishna lo sapeva; ma, assumendo un’aria innocente, andò da Yashoda a lamentarsi: “Madre! Balararna dice che io non sono tuo figlio. Dimmi la verità.”
Yashoda rispose: “Krishna, che cosa vuoi che sappia Balarama? E solo un ragazzo ingenuo. Tu sei davvero grazioso e molto intelligente, ragion per cui non devi prestare ascolto alle sue parole. Tu sei veramente mio figlio . Il colore dato da Dio è permanente. Il colore, in quanto tale, non ha alcuna importanza. Molte persone si dipingono in modi differenti per nascondere la propria identità. Tutto ciò è temporaneo, mentre il colore dato da Dio non può essere cambiato da alcuno. Dio ama la pelle scura e tu hai il colore del Divino”.
Le pastorelle erano solite descrivere Krishna in molti modi. Il loro amore nei Suoi confronti era esclusivamente di natura spirituale ed i loro sentimenti erano assolutamente puri. Mentre Parikshit ascoltava il racconto di Suka, riguardante i giochi divini di Krishna, molti dubbi nacquero nella sua mente. Suka, allora, chiarì questi dubbi: “Parikshit, tu stai giudicando le cose da un punto di vista terreno, allontanandoti quindi dalla verità. Nessuno può stabilire quale sia la forma del Divino: Egli può infatti assumere qualunque forma in qualsiasi momento. Ma, allorché deve dimostrare all’umanità quale sia la natura della Divinità, Egli scende sul pianeta in forma umana. L’uomo, tuttavia, a causa del suo inquinamento mentale, è incapace di riconoscere il Divino in forma umana.”
Anche Yashoda, nonostante le molte occasioni in cui Krishna le dette dimostrazioni della Sua divinità, continuò a considerarlo un bambino umano, tanto da ringraziare spesso il Signore per aver salvato il Piccolo da molti pericoli. Krishna, comunque, cercò di cambiare la sua mentalità parlandole e ciò avvenne in diverse occasioni.
Una volta che Yashoda Gli chiese se fosse vero, come sosteneva Balarama, che Egli avesse l’abitudine di mangiare fango, Krishna rispose: “Madre, sono forse un bambino, o un piccolo discolo, o un pazzerello per arrivare a mangiare del fango? La gente è pazza di me ed io sono qui per guarire il mondo da ben altra pazzia!”[2]
Dopo queste parole Yashoda cominciò a comprendere che Krishna non era un bambino come tutti gli altri, ma una manifestazione del Divino.
Le vie dell’Avatar
Esistono molte verità sottili, relative ad una Incarnazione Divina, non facilmente comprensibili: il solo narrare i molteplici giochi divini e le imprese di Krishna da bambino, è unicamente un passatempo. Le vie del Signore sono infinite ed imperscrutabili: nessuno può stabilire ciò che Dio farà, né Gli si potrà imporre un modo d’agire. Egli può infatti trasformare qualunque cosa in un solo attimo.
E’ necessario comprendere appieno che Krishna fu una manifestazione vera e propria del Divino. Il nome Krishna deve essere compreso pienamente nel suo significato.
I vocaboli Krish + Na formano la parola Krishna. Krish significa “Colui che coltiva” (il cuore).
Vi è poi un’altra lettura della parola Krishna, dovuta ad altra derivazione, cioè Karsh + Na. Karsh significa “Colui che attrae”, cioè “Krishna è Colui che attrae” (Karshathi-iti-krishnah). Krishna attrae la gente non solo per l’ineguagliabile bellezza della Sua forma, ma anche per la Sua musica, la Sua danza, i Suoi giochi divini e per le Sue parole.
Krishna, con i Suoi modi seducenti, riesce a trasformare l’ira delle pastorelle verso di Lui, a causa dei Suoi scherzi, in un gioioso sentimento di complicità ludica. Non solo: volendo infatti mantenere la promessa fatta alla Madre Terra, liberò il mondo da molti governanti malvagi, cercando in tal modo di ristabilire il regno della giustizia per la protezione dei buoni.
Il Divino si incarna di era in era allo scopo di proteggere le persone virtuose, punire i malvagi e ripristinare il Dharma. Si dice che Krishna abbia distrutto molti esseri malvagi, ma ciò non è del tutto esatto. Fu invece la loro stessa malvagità a condurli alla rovina.
Al giorno d’oggi, se il Signore volesse punire i malvagi e proteggere i giusti, non potrebbe farlo, poiché non esiste più neanche una sola persona completamente virtuosa. Tutti meritano qualche castigo, ragion per cui non è più questione di distruggere i malvagi. Ciò che occorre faire, oggi, è trasformare l’iniquità (adharma) in Rettitudine (Dharma). In che modo può avvenire questo? Unicamente attraverso l’Amore.
Krishna cambiò anche il cuore di molte persone attraverso l’Amore. Si potrebbe tuttavia obiettare: ma non fu Krishna ad uccidere Kamsa? Nient’affatto. Questo è quanto dicono i libri canonici. In realtà, fu la sua fervida immaginazione (bhrama) ad ucciderlo. Egli fu sempre ossessionato dal timore di Krishna, e la sua morte fu proprio il risultato di tale timore.
I pensieri dell’uomo determinano il suo destino: di qui la necessità di coltivare pensieri positivi ed evitare ogni sentimento negativo.
Dio non prova avversione per alcuno, non nutre invidia o malevolenza, né sentimenti faziosi. La Grazia che si riesce ad ottenere è esclusivamente risultato dei propri sentimenti. Il Divino è al di là di sentimenti ed attributi.
Egli è l’Uno, il Vero, il Puro, l’Immutabile. Egli è l’Eterno Testimone di ogni mente.
Quando i devoti, al giorno d’oggi, lamentano di essere puniti in vari modi dal Signore, essi non comprendono che non è il Signore a punirli. Solo la paura e l’instabilità mentale sono all’origine dei loro problemi. Vero devoto è solo colui che riconosce che, le proprie sofferenze, sono conseguenza di pensieri ed atti negativi. Un esempio di autentica devozione è rappresentato da Kunthidevi, sorella di Vasudeva e madre dei Pandava. Ella era la zia materna di Krishna.
La preghiera di Kunthi
Krishna stava partendo da Hastinapura alla volta di Dwaraka. Egli si stava accomiatando da tutti i Suoi parenti, da Dharmaraja e da altre persone. Ognuno, in silenzio, accettò la decisione. Il carro era pronto per la partenza di Krishna. Dio, però, può cambiare idea in qualunque momento. Dopo aver preso commiato da tutti, si recò da Kunthi ed ella Gli disse:
“O Krishna, tutte le sofferenze che abbiamo sono dovute alle nostre illusioni. Se Dharmaraja non si fosse lasciato attrarre dal gioco dei dadi, avremmo dovuto forse sottoporci all’esilio e sopportare tutti i guai cui siamo andati incontro? I miei figli sono stati la causa primaria di ogni nostro problema. Ma Tu, o Krishna, sei sempre stato il nostro rifugio. In tutti i momenti difficili, ho sempre rivolto la mente a Te. A questo mondo, la gente ricorda Dio solo nei momenti di difficoltà e non in quelli di letizia. Pertanto, Ti chiedo, o Krishna, fintantoché avrò un corpo, di darmi sempre delle difficoltà. AvendoTi comunque avuto con noi per tutti questi anni, siamo profondamente addolorati per la Tua partenza. lo non posso cambiare la Tua decisione. Ti prego solo di non scordare questa Tua zia”.
L’accorata supplica di Uttara a Krishna
Dopo ciò, Krishna si recò da Uttara, moglie di Abhimanyu. Avendo udito che Krishna sarebbe, di lì a poco, partito per Dwaraka, Uttara corse verso Krishna e si gettò ai Suoi piedi, dicendo: “Signore, da quando Abhimanyu è morto, ho cercato con tutte le mie forze di sopportare il dolore che mi rode il petto. C’è un fuoco che arde nel mio ventre e non so capirne la ragione. Non dovresti partire proprio ora per Dwaraka. Devi restare. Sei sempre stato il rifugio dei miei antenati per molte generazioni. Tu sei Colui che ha salvato i Pandava. Il bimbo che sta crescendo nel mio grembo è la sola speranza che resta alla dinastia dei Pandava. Se qualcosa di spiacevole accadrà a questo bambino, la dinastia dei Pandava si estinguerà”.
Dicendo tali parole, Uttara si incollò ai piedi di Krishna, che fu subito toccato dalla profonda devozione della donna. Così, il viaggio per Dwaraka fu rinviato ed il Signore fece una promessa ad Uttara: “Non partirò per Dwaraka finché il tuo bambino non sarà nato” – Egli le assicurò.
In quel momento Dharmaraja ed suoi fratelli, Draupadi e Subhadra, lodarono di fronte al Signore la devozione di Uttara. Nonostante la giovane età, Uttara aveva una devozione molto profonda. Questo perché, quando la donna era incinta, Krishna era entrato nel suo ventre per proteggere il feto dalla freccia sacra di Aswatháma. Ella aveva fatto un sogno in cui Krishna entrava nel suo ventre e, da quel momento, la donna aveva continuamente cantato il nome del Signore e Lo vedeva in ogni persona ed in ogni cosa.
A motivo di ciò, quando il bambino fu nato, Krishna lo chiamò Parikshit, che significa “colui che esamina tutti finché in essi non trova Krishna”.
Pazzia per il Signore
E’ chiaro che i giochi divini sono inesplicabili ed infiniti ed è ridicolo cercare il luogo ove si trova il Signore, poiché Egli è onnipresente. Uttara riuscì a riconoscere l’onnipresenza divina, tanto che Krishna, rispondendo alla suprema devozione della donna, fu pronto a mutare i Suoi piani. La gente dovrebbe riuscire a comprendere che Dio risponde solo ad una devozione autentica e profonda. Le suppliche espresse solo con la bocca non sono sufficienti: il devoto deve sviluppare quel desiderio ardente per il Signore che, solo, scioglierà il Suo cuore.
Anche il burro, nonostante sia per sua natura così morbido, si liquefa unicamente quando si trova vicino ad una fonte di calore. Allo stesso modo, il calore della devozione, cioè l’Amore per il Signore, deve essere nel burro del cuore umano, affinché questo si sciolga.
Fu per l’intensa devozione delle pastorelle che Krishna si stabilì nel loro cuore. Esse divennero ebbre di Dio. Un giorno Krishna scomparve ed esse, preoccupate per la Sua assenza, cominciarono a cercarlo ovunque, fra gli alberi ed i cespugli di Brindavan, dimenticandosi di tutto il resto. Il fatto che esse domandassero addirittura alle piante se il loro Signore si fosse nascosto in mezzo a loro, potrebbe apparire un comportamento isterico; sarebbe invece ottima cosa se, anche ai nostri giorni, un amore così esclusivo per Dio riempisse il cuore della gente. Il mondo diverrebbe migliore e più pacifico.
Alcune persone si rivolgono in modo sarcastico ai devoti di Sai Baba, dicendo: “Per Sai Baba avete perso il senno!”
Ma questa follia è un qualcosa di sublime. Esistono diversi tipi di pazzi negli ospedali psichiatrici, molti dei quali danno ai medici seri problemi. Se però un devoto di Dio, pazzo per il Signore, sedesse in un angolo cantando i nomi divini, che sollievo ne otterebbero i medici! Se si svilupperà in voi questa pazzia sublime, potrete ritenervi veramente fortunati! Tutti dovrebbero essere pazzi di Dio, poiché solo così ci si potrebbe liberare dalle stolte bramosie per le ricchezze ed i piaceri del mondo.
L’ebbrezza per il denaro è la causa di tutti i mali esistenti al mondo. Tale tendenza negativa fa perdere, all’umanità, il desiderio di Dio.
A causa di questa folle corsa alla ricchezza, si sono evidenziate, fra gli uomini, tutte le altre tendenze negative, quali l’orgoglio, l’avidità, l’invidia e l’odio. Si può aspirare anche alla ricchezza, ma ad un’altra ricchezza: quella della Grazia Divina e dell’Amore Divino. Solo questo genere di ricchezza è duraturo; tutto il resto è destinato a perire.
Un giorno, Yashoda chiese a Krishna perché si recasse nelle case delle pastorelle a rubare il burro, quando ce n’era in abbondanza a casa Sua. Il Bambino Divino rispose: “Madre, non è il burro che io rubo, ma il cuore delle pastorelle!”.
(Swami, facendo riferimento a questo episodio, si mise a cantare una bella canzone).
“Il loro cuore è puro e colmo di devozione – disse Krishna – il loro burro è pieno della devozione con cui esse lo hanno fatto. Il tintinnio dei loro bracciali accompagna la preparazione del burro, mentre esse, contemporaneamente, ripetono cantando il nome del Signore. Quando il burro è pronto, esso incorpora in sé l’essenza dei Veda”.
Krishna chiese poi a Yashoda se anch’essa, preparando il burro, seguisse la stessa procedura. In tal modo, ogni parola di Krishna era colma di significato spirituale. L’Avatar Krishna è stato considerato un Purna Avatar, cioè un Avatar Pieno, con tutti i poteri dell’Assoluto, se paragonato con le precedenti incarnazioni divine.
Vyasa riuscì ad ottenere pace mentale solo quando, su consiglio del saggio Narada, cominciò a scrivere la Bhagavatha, ove sono descritte le gloriose incarnazioni del Signore.
Nessuno dei suoi scritti precedenti, compresa la codificazione dei Veda o la stesura dei Purana, riuscì a conferirgli pace mentale.
Incarnazioni dell’Amore,
nessun tipo di erudizione, per quanto grande, potrà darvi la pace, a meno che non siate pieni di amore per Dio.
Swami ha concluso il Suo Discorso intonando il bhajan: Prema Mudita Manase Kaho: Rama! Rama! Ram…!
Brindavan, Whitefield, Sai Ramesh Hall – 28 agosto 1994.
Giorno di Gokulashtami
da: “Mother Sai” n° 1/1995