Che danno potrà mai arrecare la dea Kali
a chi possiede un cuore colmo di compassione,
le cui parole sono piene di Verità,
le cui membra sono al servizio del prossimo?
Incarnazioni dell’Amore,
chiunque nutra compassione per il prossimo, cammini lungo il sentiero della Verità e dedichi il proprio corpo a servire gli altri, non dovrà temere male alcuno. Questo, principalmente, in virtù della propria devozione al Signore.
La devozione (bhakti) non è qualcosa che debba essere conquistata dall’uomo al di fuori di sé, poiché essa è in lui innata e ne costituisce il principio vivificante.
La devozione si manifesta attraverso l’amore che è, per l’uomo, ricchezza suprema e gli permette di vivere in questo mondo. Tuttavia, solo poche persone si rendono conto di questa verità.
Il tempo passa in modo incredibilmente veloce e la durata di vita concessa al corpo si riduce progressivamente come un pezzo di ghiaccio al sole. L’uomo, tuttavia, ancor prima di raggiungere consapevolezza circa il proprio scopo su questa terra, si allontana da essa allorché sopraggiunge la morte.
Ma qual è l’obiettivo della vita umana? Qual è il compito dell’essere umano? E’ per arrivare a scoprire questa verità che Dio ha donato all’uomo un corpo.
“Questo corpo è donato per aiutare gli altri”
Viviamo nella società, dipendendo da essa per le nostre necessità; ma, dimenticando quanto ad essa dobbiamo, conduciamo una vita egoistica ed accentratrice. Il servizio reso alla società è il dovere principale. Occuparsi del bene comune è devozione.
“Fate in modo che tutti siano felici”: raggiungere questa consapevolezza significa ottenere la vera conoscenza.
Se non ci si rende conto di avere un servizio da svolgere nei confronti della società e non ci si cura del suo benessere, come potrà nascere nell’uomo l’anelito per l’altrui felicità? Tale nobile aspirazione significa devozione. Servizio alla società, ardente desiderio di ottenerne il benessere e devozione sono intimamente correlati come lo sono il fiore, il frutto acerbo ed il frutto maturo. Il frutto maturo della devozione conferisce la saggezza che elimina le differenze.
La devozione è un frammento del Divino e, senza di essa, non è possibile sperimentare la consapevolezza della Divinità. Allo stesso modo, se non si possiede la coscienza del Divino, la devozione può unicamente alimentare l’egoismo.
Lo sviluppo della devozione
Diverse persone, in modi differenti, sperimentano la beatitudine che nasce dalla devozione. Alcuni devoti cominciano recitando ripetutamente: Dásoham, dásoham: “lo sono Suo servo”, il che significa esprimere devozione come servo del Signore. Col tempo, ripetendo frequentemente questa formula e ricordando in tal modo il Signore, tali devoti raggiungono lo stadio in cui il dá, che significa “servo”[1], scompare e resta solamente soham, cioè “io sono Lui”.
A questo punto, essi cominciano a comprendere di essere “uno” con il Signore. Cominciando come Suoi servi, essi realizzano la propria identità con il Signore.
Altri devoti, consapevoli della materialità del corpo, cominciano a meditare sul Sé fino a fondersi con la Coscienza Assoluta. Com’è possibile sperimentare questa Coscienza Sottile all’interno del corpo fisico? Senza tale corpo terreno non sarebbe possibile sperimentare il Sé Sottile.
Come avviene la trasformazione? Come si arriva a realizzare che il Divino ed il Sé individuale non differiscono, bensì sono indissolubilmente legati l’uno all’altro? Ciò può avvenire in virtù del fatto che il Divino ed il Sé individuale (Jiva) sono uniti allo stesso modo in cui il corpo è legato alla sua ombra. Ciò spiega perché il Vedanta[2] recita che il Signore dimora in tutti gli esseri viventi.
Amico e devoto
Riconoscere questa verità è segno sostanziale di devozione. Bhakti (devozione) deriva dalla combinazione del verbo bhaj con la parola indeclinabile ti. Bhakti significa servizio o seva. Significa anche amicizia unita a timoroso rispetto. Senza rispetto, l’amicizia non può essere salda. Nella Gita, Krishna fa riferimento ad Ariuna quale amico e parente. “Oltre ad essere Mio amico, tu sei anche Mio servo”, disse Krishna, ragion per cui Egli considerava Arjuna un devoto.
Quando si è devoti, si possiede profondo rispetto e sottomissione. Se si pensa che una certa persona sia solo amica e non devota, viene da credere che tale persona potrebbe comportarsi come le pare. Al fine di creare, pertanto, un equilibrio di comportamento, Krishna descrisse Arjuna come amico e devoto.
In un tipo di relazione così impostato, esistono uguaglianza ed unità, per ottenere le quali è necessario cessare di identificarsi con il corpo. Gli antichi saggi, per evitare di continuare ad identificarsi con il corpo, si sottomettevano a dure penitenze e, a tempo debito, riuscivano ad identificarsi con il Sé.
Amore per il corpo e Amore per Dio
Si deve comprendere, a questo proposito, la duplice natura dell’amore.
L’uno è deha prema, cioè quel tipo di amore che fa riferimento al corpo, l’altro è Daiva Prema, cioè l’Amore per il Divino.
Deha prema si riferisce ad esperienze legate a tutto ciò che è fisico, che è relativo alla natura ed ai sensi. L’identificarsi con il corpo è, pertanto, causa di ogni sofferenza ed infelicità, poiché è origine di ogni evento infausto e funesto.
L’Amore Divino, al contrario, è sacro e porta ad una propizia e durevole situazione di benessere. L’amore legato al corpo dipende dagli altri ed è destinato a perire.
Attaccamento ed Amore
Ogni essere umano dovrebbe cercare di raggiungere questo Amore Divino; sennonché, il corpo costituisce un ostacolo in tal senso. Il mondo intero è impigliato nell’enorme rete dell’attaccamento, il quale costituisce un fenomeno incredibilmente ingannevole (maya). Non esiste un nesso fra il corpo composto dai cinque elementi fondamentali ed il Sé trascendente: ma il potere illusorio di maya, l’illusione, che manifesta se stessa nell’attaccamento, fa credere che fra essi vi sia un legame.
Basandosi su tali premesse, che tipo di relazione esiste, dunque, fra due persone, fra marito e moglie, fra madre e figlio? Questo rapporto che intercorre fra di essi viene generato dall’attaccamento sorto dal desiderio, non dall’amore. Non esistono attaccamenti fra madre e figlio prima che quest’ultimo sia venuto al mondo. Ma, dopo la nascita, nella madre si svilupperà affetto nei confronti del figlio. Tale affetto è tuttavia basato su un rapporto di tipo corporeo ed è, proprio per tale ragione, temporaneo.
Malattia, regime alimentare e medicina
L’Amore Divino esiste prima della nascita, dopo la nascita e continua per sempre. L’uomo non fa alcun tentativo per cercare di comprendere questo Amore autentico e imperituro. L’attaccamento al corpo è una malattia che deve essere curata con tre tipi di rimedi.
Uno di questi rimedi consiste nel seguire un giusto regime alimentare che preveda limitazioni nell’assunzione del cibo, mentre, nel frattempo, ci si cura con qualche medicina. Se, infatti, non si segue una giusta alimentazione, la medicina non potrà da sola curare la malattia. Allo stesso modo, il controllo dietetico senza medicina sarà inefficace. La dieta controllata e la medicina sono dunque entrambe necessarie per guarire la malattia.
Prendendo in considerazione la malattia dell’attaccamento al corpo, esistono due sistemi per liberarsene: seguire i precetti divini e mettere in pratica l’amore verso Dio. La sola osservazione dei comandamenti divini, se non è unita all’amore per Dio, non darà buoni risultati. Allo stesso modo, se la devozione non è accompagnata dalla pratica dei precetti divini, si dimostrerà del tutto inutile. L’amore è la medicina e i comandamenti del Signore, il giusto regime alimentare. Solo seguendo questi due principi, la Divinità insita nell’uomo si manifesterà.
L’attaccamento al corpo, che alimenta l’egoismo, è causa primaria di tutti i dolori, i disordini e le discordie che popolano oggi il mondo. Preoccuparsi del corpo è necessario fino ad un certo punto, poiché l’eccessivo attaccamento alle sue richieste è dannoso. Esso è, infatti, fragile e potrebbe rompersi in qualunque momento ed in qualsiasi luogo. Il corpo ha ovviamente bisogno di essere protetto, ed è giusto concedergli anche riposo e svago; tutto questo, tuttavia, dovrebbe avvenire nella prospettiva di renderlo in condizione di compiere il proprio dovere.
“Il compimento del dovere è unione con il Divino”, recita la Gita.
Che cosa si intende per dovere? Si ritiene che il dovere si riferisce alle proprie responsabilità professionali, come quelle dell’avvocato o del medico, ecc. In questi casi, non si può assolutamente parlare di dovere, poiché le azioni legate a tali professioni vengono compiute per motivi egoistici, cioè per guadagnare denaro. La parola sanscrita karthavyam significa che non possiamo agire a nostro piacimento, ma che dobbiamo invece rispettare i diritti altrui nella stessa misura in cui ci aspettiamo che gli altri rispettino i nostri. Non si devono usare in modo improprio le parole “dovere” e “diritto”.
Devozione ed Amore verso Dio
Allo stesso modo, per quanto riguarda la devozione (bhakti), si pensa che essa significhi preparare la puja[3], partecipare a cerimonie religiose, recarsi in pellegrinaggio, etc., ma questi non sono i segni distintivi della devozione. Il contrassegno, che indica in modo inoppugnabile la vera devozione, è l’amore puro per Dio.
Senza questo amore, diventa artificioso ed insignificante cantare bhajan (canti devozionali), esternare azioni di culto, eccetera. Essi possono apparire atti devozionali, ma in realtà non contengono l’incomparabile dolcezza della devozione. Li si potrebbe paragonare a fiori e frutti di plastica.
La vita, senza amore, è simile ad uno sterile deserto. La vera devozione non conosce differenze: essa vede l’unità nella diversità. Al giorno d’oggi, la devozione è contrassegnata da molte differenze: sebbene Dio sia “Uno”, Egli viene adorato in forme differenti. Può, questa, essere considerata devozione? No. L’unico Dio viene separato in tanti frammenti. L’uomo deve cercare invece di riunirli per tornare a vedere l’Uno. Le Upanishad[4] proclamarono l’unità che permea la molteplicità, poiché tale unità altro non è che il Principio dello Spirito Assoluto.
Dio ed il devoto
Oggi esiste una grande moltitudine di esseri umani, ma lo Spirito che dimora in ognuno di essi è sempre lo stesso.
“Lo spirito Interiore è il medesimo in ogni essere”. Dio è Uno, ma viene chiamato con nomi differenti. Le tante persone, che adorano Dio con nomi e forme diverse, lo fanno per egoismo.
Ciò che la gente dovrebbe comprendere oggi, parlando di devozione, è l’unità del Divino. E’ importante che l’amore per Dio si manifesti, poiché l’amore per le cose del mondo è destinato a mutare. Solo l’Amore per il Signore non cambia mai.
La Bhagavatham[5] proclama la gloria dell’Amore Divino. Essa, come indica il nome, parla del Signore (Bhagavan) ed è quindi un libro sacro. Un altro aspetto è quello di trattare della grandezza dei devoti dei Signore ed anche dell’intimo rapporto esistente fra Dio ed i Suoi devoti.
Quello indicato dalla Bhagavatham è il tipo di rapporto che ogni devoto dovrebbe sviluppare con Dio. La gente prova dolore quando qualcuno dei propri parenti si ammala. Se si prova tanto affetto nei confronti di persone cui si è legati solo per brevi periodi, quanto amore si dovrebbe allora provare per il Signore che è sempre presente ed eterno?
Amate tutti, servite tutti
Si dovrebbe considerare l’Amore Divino come il tesoro più prezioso che si possa avere. Quando si ama il Signore, si nutre amore verso tutti, poiché il Divino dimora in ognuno. Ricordatevi, pertanto, di amare tutti e di servire tutti: questo è il modo migliore per servire Dio. La vostra devozione non sarà completa se non sarete equanimi verso tutti.
La devozione verso Rama o Krishna diventa inutile se non metterete in pratica i Loro insegnamenti. Il culto nei confronti del Signore deve essere accompagnato da una condotta di vita che si ispira ai Suoi insegnamenti. Solo allora si potrà sperimentare la beatitudine.
La gente, oggi, legge Sacre Scritture di rito come la Gita o la Bibbia. Tali letture, tuttavia, non servono a nulla se poi non si vive un’esistenza pura e sacra. Esse devono servire a colmare il cuore d’amore per Dio ed a condividere tale sentimento con gli altri. Non esiste sentimento più malvagio dell’odio verso il Signore.
Dio può essere sia Protettore che Distruttore. Per Prahlada, che era un fedele devoto, il Signore fu Protettore, mentre per Hiranyakashipu[6], padre di Prahlada, che odiava Dio, il Divino divenne Distruttore. Dio distribuisce la Sua Grazia a seconda dei meriti. Egli è l’incarnazione dell’Amore. Le cattive qualità ostacolano la Grazia del Signore.
Non si devono attribuire colpe a Dio, ma unicamente agli errati comportamenti umani.
“Il servizio al Signore significa devozione”. Se il vostro cuore sarà pieno d’amore per il Signore, nulla vi sarà impossibile.
Vivete, dunque, nell’Amore. Cambiate la vostra vita servendovi dell’Amore. Lasciate che l’Amore divenga il vostro respiro vitale ed il solo obiettivo della vita.
Swami ha concluso il Suo Discorso intonando il bhajan: Prema muditha manase kaho! Rama, Rama, Ram!
Brindavan, Whitefield, Sai Ramesh Hall, 21 Agosto 1994
da: Mother Sai n° 1/95