18 Dicembre 1994 – La devozione che piace a Dio

18 Dicembre 1994 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

LA DEVOZIONE CHE PIACE A DIO

L’argilla è una sola, ma i vasi sono multiformi;
l’oro è uno, ma i gioielli svariati;
il latte è uno pur essendo le vacche di razze diverse;
il Supremo è Uno, ma indossa molti abiti.

Incarnazioni dell’Amore, nonostante l’argilla sia unica e medesima, i prodotti che se ne ricavano variano per nome e forma. L’oro è uno, ma viene foggiato in mille ornamenti diversi. Il latte è lo stesso anche quando viene ricavato da mucche di colore diverso. Sebbene il Divino sia unico, si manifesta secondo varie forme e nomi differenti. Dall’insondabile profondità dell’oceano sorgono innumerevoli onde, ognuna diversa dalle altre; eppure l’oceano è uno solo. Allo stesso modo, benché gli esseri viventi si manifestino nell’Universo in una miriade di forme, sono tutti onde emerse dall’oceano dell’Essere-Coscienza-Beatitudine, il Sat-Cit-Ânanda.

Libertà dal dualismo

Le gioie e le sofferenze che l’uomo sperimenta nella quotidianità, gli attaccamenti, le avversioni, la ricerca del piacere, tutto è dovuto alla deformazione della mente. Finché l’uomo andrà soggetto al sentimento di dualità, non potrà ritenersi libero dall’odio e dall’attaccamento, ed egli non potrà sfuggire al dualismo fintantoché non riconoscerà il Divino che risiede in lui.

Sono rari oggi coloro che riconoscono l’unità nella diversità; c’è invece un certo numero di intellettuali il cui intento è quello di incoraggiare divisioni e discriminazioni. Un uomo nobile e virtuoso è in grado di proteggere il mondo più di mille intellettuali. Il potere della virtù è, quindi, di gran lunga più sacro e nobile del potere dell’intelletto. Se volete eliminare l’immagine della luna riflessa in una coppa d’olio, non basterà eliminare la coppa; il riflesso della luna dipende dall’olio contenuto nella coppa e non dalla coppa. Finché l’olio rimane nella coppa, vi si vedrà il riflesso.

Il corpo umano è la coppa; i pensieri sono l’olio che riflette l’immagine della luna. Non è di alcuna utilità castigare il corpo; è la mente che va arrestata, sono i pensieri che vanno tenuti sotto controllo. Pensate che basti porre un bastone sulla tana del serpente per ucciderlo? Credete di riuscire a controllare i desideri dei sensi con la sola mortificazione del corpo? Credete di diventare degli âtma-jñâni, degli illuminati semplicemente dominando fame e sete? Come potete diventare degli illuminati se prima non avete realizzato ciò che siete realmente? Come potete ottenere la conoscenza dell’Archetipo della Saggezza (Tattva-jñâni)? La prima cosa, dunque, è cercare di realizzare ciò che veramente siamo.

A tale scopo, sono stati indicati nove tipi di sentieri, nove forme di devozione: shravanam (l’ascolto delle narrazioni delle glorie del Signore); kîrtanam (il canto delle glorie di Dio); vishnusmaranam (la ripetizione del nome del Signore); pâdasevanam (l’adorazione dei Piedi del Signore); vandanam (il vedere il Signore in ogni forma); archanam (il culto rituale); dâsyam (servire il Signore nel prossimo); sakhyam (l’amicizia confidente col Signore); âtmanivedanam (resa totale al Signore). Tra queste nove forme, la più nobile è l’âtmanivedanam, la resa totale.

Ma a chi arrendersi? Chi è colui al quale bisogna abbandonarsi? Ekam sat viprâ bahudâ vadanti: «Solo l’Uno esiste». Al mondo non esiste un secondo. Le montagne sono fatte di roccia, gli alberi di legno, la terra di argilla, il corpo umano di carne. Finché si guarda tutto con occhi materiali, rimarranno queste differenziazioni; ma se indaghiamo con l’occhio interiore, ci renderemo conto che tutto è composto da cinque elementi. I cinque elementi (pañcha­bhûta) permeano tutta la creazione animata e inanimata; sono presenti nell’uomo e sono manifestazioni di Dio. Mamaivâmsho jîvaloke jîvabhûta sanâtanah: «Tutti gli esseri nella Creazione sono delle manifestazioni di un frammento di Me Stesso» (B.Gîtâ XV,7).

L’uomo in sé stesso è divinità; il jîva, ossia l’anima individuale, è Dio. L’Anima Suprema non è separata da quella individuale intesa come uomo. Purtroppo l’uomo commette l’errore di identificarsi col proprio corpo, che in realtà non è che uno strumento e, vivendo con questa convinzione, non riesce a prendere atto della propria divinità. Quando smetteremo di identificarci col contenitore e svilupperemo il sentimento che siamo il Sé Universale, allora saremo in grado di capire il Principio dell’Assoluto.

Tre tipi d’uomo

Al mondo ci sono uomini con tre tipi di tendenze (svabhâva). Esiste un temperamento emotivo (bhakti­rasâtmakam), un temperamento attivo (kriyâtmakam) e un temperamento razionale che si serve della discriminazione (vicharana-shakti). L’uomo dunque si esprime per mezzo di queste tre tendenze: emotiva, attiva e razionale.

Il temperamento emotivo implica un sentimento di devozione verso Dio. Le persone con questo tipo di sentimento fanno l’esperienza del Divino attraverso la devozione. Le celebrazioni rituali della pûjâ, il canto dei bhajan, l’adorazione del Signore per mezzo della preghiera appartengono al temperamento emotivo. Questo è un genere di persone che adorano la forma di Dio attraverso un’immagine, che può essere un quadro, una statua o qualsiasi altro tipo di effigie, nella convinzione che sia Dio e che Dio, in quella forma, indichi all’umanità la via della liberazione. Comunque sia, potete considerare un’immagine come Dio, ma non Dio come un’immagine; potete vedere Dio in una foto, ma quella foto non è Dio. Non c’è nulla al mondo che non contenga in sé il principio atmico. Ogni cosa dovrebbe quindi essere elevata al livello divino. Considerate ogni cosa come manifestazione del divino, ma non riducete il divino al livello di “cosa”.

Prendete, per esempio, questa coccarda; questa coccarda è Dio. Portate questo oggetto al livello del Divino. Questo fazzoletto è Dio. Elevate tutto a livelli superiori. Eppure Dio non è una coccarda, non è un fazzoletto, non è un bicchiere, non è un piatto: non riducete Dio a quel livello, non trascinateLo in basso. Sarebbe un crimine puntare in basso. Abbiate pensieri e sentimenti elevati. Il temperamento emotivo porta gradualmente l’uomo ad un livello superiore. Infatti, egli può sperimentare la via dell’azione solo dopo aver espresso il suo temperamento emotivo nella devozione. Quand’essa sboccerà nel suo cuore, l’uomo potrà finalmente sviluppare il suo temperamento attivo.

Attraverso il metodo dell’indagine (vichara marga) egli impara a discriminare tra il reale e il falso, tra il permanente e il transitorio. Questo tipo di discriminazione è essenziale per l’aspirante spirituale. Purtroppo, in nome del razionalismo, se ne fa un uso aberrante. La via della ricerca subisce così delle distorsioni. Quando la razionalità viene portata all’esasperazione, induce ad un approccio deformante e negativo nei confronti della realtà.

Il termine “razionale”, per gli influssi di un’educazione moderna, viene erroneamente impiegato per indicare una corrente che si contrappone al sentiero spirituale e i giovani, purtroppo, in nome del cosiddetto “razionalismo”, usano male le loro capacità di discriminazione, imboccando strade sbagliate. Oggi non si fanno sforzi per andare a fondo nel significato delle cose, si alimentano distorsioni ed equivoci, si crea confusione e si devia dalla giusta direzione. Questo stato di cose è dovuto principalmente alla carenza di insegnanti che abbiano una preparazione adeguata.

La vita umana è una condizione molto difficile da conseguire; è una condizione sacra, dolce e sublime, è preziosa e merita di essere vissuta. Spesso però viene sacrificata al materialismo e degradata così ad una vita senza senso. Un uomo privo di valori umani non è degno di tale nome. Quali sono i valori umani? Quando c’è purezza e armonia in pensieri, parole ed azioni, i valori umani vengono affermati. Il vero studio dell’umanità è l’uomo. Pensiero, parola e azione in unità sono essenziali: l’unione delle tre H, cuore (Heart), mente (Head) e mani (Hand). Ma l’uomo d’oggi pensa una cosa, ne dice un’altra e ne fa un’altra ancora. Manca il senso di coordinazione, col risultato che gli uomini stanno diventando disumani.

Dio vede

Il retaggio di numerose tendenze animali si manifesta sotto forma di tendenze bestiali. La natura dell’uomo viene così offuscata ed egli stenta a riconoscere l’immenso potenziale delle sue qualità. Per poter recuperare la sua vera natura, deve rendersi conto che tutto quanto è da lui percepito è, nella sua essenza, divino; deve riconoscere che dentro di sé risplende la Divinità. La sua visione dovrebbe essere satura di divinità; ogni azione dovrebbe essere offerta a Dio, a Lui dedicata come un dono. Così facendo, l’uomo trasforma il lavoro in un atto di adorazione. In realtà, lavoro e adorazione di Dio non sono separati.

Sfortunatamente al giorno d’oggi anche il culto sta degenerando: la devozione (bhakti) viene finalizzata alla soddisfazione di bisogni materiali (bhukti marga); da fonte di perenne beatitudine la devozione si tramuta in fonte di piaceri effimeri. Non si può pretendere di avere la Grazia di Dio con una devozione part-time. Si diventa ciò che si sente nel proprio cuore. Dio, anche se lo dimenticate, è onnipresente, vi guida e vi consiglia ovunque voi siate. Egli non vive in un posto lontano, separato da voi. I Suoi piedi sono dappertutto, le Sue teste ovunque; Egli ode tutto; osserva il vostro comportamento, le vostre parole, le vostre azioni. Gli uomini, però, nella loro ignoranza, credono che Dio non li veda. Finché persiste questa grande ignoranza, l’uomo non potrà comprendere il Divino.

Molti sono convinti che il mondo sia una tortura, credono di essere vittima dell’esistenza terrena. Che strano fenomeno è questo! Che affermazione ridicola! Non è il mondo del samsâra a catturarvi nelle spire e a tenervi prigionieri; esso non ha mani, né piedi, né bocca, né occhi. Voi invece li avete! Siete voi che torturate il mondo, non è il mondo che tortura voi. Voi lo torturate, mentre l’illusione vi fa immaginare che accada il contrario.

La verità dell’Uno

La realtà è questa: la verità è immersa nella non-verità; la non-verità è immersa nella verità. Nel mondo di oggi ciò che è falso è considerato vero, mentre ciò che è vero è considerato falso. In realtà esiste solo la verità. Il falso è solo un’illusione. Perciò preghiamo il Signore perché ci conduca dalle tenebre alla luce, dall’irreale al reale. L’uomo si illude di passare dall’irreale al reale, ma non è vero. O meglio, procede dall’irreale al reale, ma passando da una verità minore a una verità maggiore. La verità è una; non ne possono esistere due. L’uomo può realizzare la verità solo sperimentando il non-dualismo, l’Advaitabhavam. Finché rimane immerso nel dualismo, è condannato ad essere vittima dell’illusione degli opposti: gioia e dolore, reale ed irreale.

Non c’è niente nell’Universo che appartenga agli uomini; tutto appartiene a Dio. Sono l’attaccamento e il senso dell’ego che spingono l’uomo a considerare sue tutte le cose. Egli è prigioniero del concetto di “mio” e di “tuo”. In realtà, non è che un amministratore, a cui Dio ha assegnato il compito di mantenere e di salvaguardare il mondo, ed egli si deve attenere a questo ruolo e non comportarsi da padrone. Il cassiere di una banca, pur maneggiando denari in quantità, non può prendere per sé neanche un centesimo; è solo un amministratore, deve curare gli interessi della banca e non pensare al proprio profitto personale. Compito di chi amministra è mettere a frutto i beni che gli sono stati dati in custodia e migliorarli arricchendoli di valore sempre maggiore. Chi può dichiararsi legittimo proprietario di qualcosa?

La vita di ognuno dovrebbe riflettere l’unità di pensiero, parola ed azione. L’armonia dei tre tipi di temperamento – l’emotivo che esprime la devozione, l’attivo che manifesta la purezza dell’azione e il razionale che sviluppa il potere della discriminazione – costituisce il vero principio atmico (âtmatattva). La devozione dovrebbe esprimere l’amore verso Dio, l’azione dovrebbe esprimere il servizio a Dio, mentre la ragione dovrebbe arrendersi completamente a Dio. Questi tre aspetti si legano tra loro come le ciocche di capelli che formano una treccia. Devozione (bhakti), adorazione (upâsana) e conoscenza del Sé (jñâna), insieme, provano l’unità del Divino. Voi non siete una persona sola, bensì tre persone: quella che pensate di essere, quella che gli altri credono voi siate, quella che siete realmente.

Tutte le religioni sostengono e predicano l’unità. Gesù all’inizio della sua vita pubblica disse di essere l’inviato di Dio; in seguito affermò di essere il Figlio di Dio, ed infine proclamò: «Io e il Padre siamo uno». La religione persiana esprime lo stesso concetto in questi termini: «Io sono nella Luce; la Luce è in me; io sono la Luce». Tutte le fedi si basano sul principio fondamentale dello Spirito (âdhyâtmikam).

Non odiate alcun credo, non deridete alcuna forma di culto. Il vostro sforzo dev’essere mirato a riconoscere il principio divino presente in ognuno. Dio non è separato da voi; non esiste un Dio separato. È l’illusione che esista come entità distinta e separata ci induce ad adorarLo in varie forme. L’adorazione nell’azione cultuale (karmopâsana), se in giusta misura, è oggi necessaria, ma non dovrebbe impegnare tutta la vita. L’uomo dovrebbe raggiungere livelli sempre superiori. L’umanità, in questa progressiva elevazione, viene divinizzata.

Nella cultura indù, questo concetto trova espressione nei seguenti versi (della Îshâvâsyopanishad):

Quello – il Brahman Supremo – è la Totalità.
Questo – la Creazione – è pure la Totalità.
Da quel Tutto è emerso questo Tutto.

Anche se questa Totalità è uscita da quella Totalità,
quella Totalità rimane la Totalità.
Che cos’è questa pienezza (pûrnam)? Nella pienezza c’è la qualità.
Qualità è poter sentire fino in fondo e poter affermare «Io sono un uomo».

Senso di umanità

Sviluppate la vostra umanità. Ciò che vale di più oggi non è professare una fede, non è essere cristiano, buddhista, musulmano o indù, ma è avere umanità. Che significa umanità? Avere umanità significa avere un carattere ricco di bontà. Nella sacra tradizione indù, l’uomo è chiamato manuja, ossia “manifestazione di Manu” (ja = nato da): l’uomo discende dal grande saggio Manu.

Ogni uomo ha in sé le qualità del saggio, ma, anziché coltivarle, sviluppa i suoi aspetti negativi. In lui dovrebbe emergere la natura del saggio; egli dovrebbe recuperare la sua eredità spirituale. Dovrebbe coltivare sentimenti sublimi ed emanare pensieri puri. Dovrebbe esprimere solo qualità divine. Purtroppo, per l’influsso esercitato dalla cultura moderna, si coltivano solo qualità negative; è un fenomeno generato da un’educazione mal impartita.

Giustizia, onestà e moralità vengono praticate molto di più nella giungla tra le società tribali e nomadi che tra gli uomini della “civiltà”. L’immoralità sembra proliferare proprio laddove sorgono istituzioni scolastiche e palazzi di giustizia. Due sono i fattori umani che caratterizzano la natura umana: il temperamento (prabhava) e l’influenza esercitata dalla natura (svabhâva).

Che significa prabhava? Prabhava è quanto si vede di una persona, l’indole, l’aspetto esteriore. Questi elementi hanno una certa influenza sull’uomo. Che cosa significa svabhâva? Svabhâva è la consapevolezza del principio interiore, la conoscenza dell’âtma. La coscienza interiore (svabhâva), purtroppo, viene offuscata da quanto si vede esteriormente (prabhava).

“Dimmi con chi vai…”

Benché umano nella forma, l’uomo possiede dei tratti demoniaci. Quando questi tratti incominciano ad emergere, dovrebbe ripetere a se stesso: «Io non sono un demone; sono un uomo, sono un uomo, sono un uomo». Con l’eliminazione delle tendenze malvagie può emergere la vera natura dell’anima. I pensieri e i sentimenti sono condizionati dalle abitudini alimentari e dallo stile di vita. Talvolta insorgono sentimenti negativi, dovuti all’influenza delle cattive compagnie (sanga dosha). «Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei».

Se la coscienza non è limpida, è segno che l’azione compiuta o il pensiero formulato sono sbagliati; significa che vi state movendo nella direzione errata. Se non potete accontentare la coscienza, come pensate di poter trarre soddisfazione dalla vita? Dovete appagare la vostra coscienza. Non servitevi dell’intelligenza e dell’astu­zia per fornirle delle giustificazioni. Questo tipo di discriminazione, che copre l’errore con la bugia, vien detto “discriminazione soggettiva”, ed è sbagliato servirsene. L’uomo deve invece possedere la “discriminazione essenziale”: la verità è la stessa, per me, per te, per tutti. Questa è vera consapevolezza.

Indispensabile è aggregarsi a compagnie buone (sat­sang). Sat-sang non vuol dire partecipare ai bhajan o alle assemblee religiose; sat-sang, invero, significa coltivare le compagnie affini alla propria coscienza (sat), significa essere immersi nella contemplazione di Dio. Appagata la coscienza, immergetevi nella consapevolezza, controllate i sensi e non cedete alle loro lusinghe. Dovete applicare dei freni ai sensi; non lasciateli liberi, altrimenti la vostra vita sarà minata dall’inquietudine e dalla confusione. I sensi vi conducono nella direzione sbagliata.

I saggi dell’antichità esortavano a praticare l’essenza del messaggio contenuto nei diciotto Purâna, riassumibile in queste due frasi: Help ever, hurt never («Aiuta sempre tutti; non far mai del male a nessuno»). I vostri cuori dovrebbero possedere questa purezza.

Considerate i piedi. Che cosa significano? I piedi sono il mezzo che ci permette di muoverci sulla terra, non sono quelli d’argento o d’altro materiale. La terra è fatta d’argilla; il corpo è come un vaso d’argilla ed è l’espressione della terra. All’interno di questo corpo d’argilla vibra cinmaya, la coscienza del Divino. Se vogliamo pietre preziose, non possiamo cercarle sugli alberi; esse giacciono nelle profondità della Terra e, per averle, bisogna scavare. I buoni sentimenti sono come le gemme preziose sepolte in questo corpo d’argilla.

Tulsidas, saggio poeta e compositore, recitava: «il nome del Signore è come una perla di inestimabile valore». Cantare in modo artificioso, ripetendo meccanicamente il nome del Signore trasforma la gemma del Suo nome in una pietra. Non si può assaporare la dolcezza di Dio se non si ha la dolcezza del cuore.

Un quaderno di mantra

Giacché non è facile raggiungere la purezza del cuore, al fine di purificare la mente è stato raccomandato il metodo del Likhita japam, una forma di esercizio spirituale consistente nell’impegnarsi a scrivere inin­terrottamente il nome del Signore. È una pratica che va eseguita in vero spirito di devozione.

Un ricco, che non aveva pace nonostante la sua opulenza, si recò da un saggio per avere un consiglio. Il saggio gli suggerì che un modo per ridurre i suoi desideri insaziabili, vera causa del suo stato d’ansia, era quello di scrivere milioni di volte il nome del Signore. Non essendo avvezzo a una disciplina di tale pazienza, il ricco escogitò una scorciatoia per attuare nel modo più breve e meno faticoso il suggerimento del saggio: si servì di un duplicatore meccanico in modo da ottenere un numero indefinito di copie col nome del Signore… Una maniera del tutto fuorviante di mettere in pratica il consiglio del saggio! Ed equivale a un tentativo di imbrogliare Dio. Questo genere di raggiro ipocrita oggi è largamente diffuso. Non è la quantità che conta. Basterebbe scrivere anche pochi nomi, ma con sincera devozione, è sicuramente meglio che farlo meccanicamente.

Molti devoti del Tamil Nadu hanno scritto con vera devozione il nome “Sai Ram”. Lo hanno scritto milioni di volte, col pensiero del nome impresso nella loro mente, sillabandolo con la bocca e scrivendolo con la mano. L’unione di mente, lingua e mani ha prodotto la purezza in pensieri, parole e azione. Qualunque esercizio spirituale, come il Likhita japam, andrebbe fatto con tutto il cuore; solo allora diverrebbe una pratica santificante e divina. Ma anche tutte le altre azioni andrebbero compiute secondo questo spirito di dedizione e in armonia con le ispirazioni della propria coscienza.

L’esempio di Hânûman

Hânûman è il modello della vera devozione. Egli compiva il suo dovere al servizio del Signore Râma. Una volta, durante la cerimonia dell’incoronazione di Râma ad Ayodhyâ, al suo ritorno da Lankâ, vennero distribuiti doni a tutti quelli che avevano aiutato Râma nella battaglia contro Râvana. Quando fu il turno di Hânûman, Râma, davanti alla folla riunita, dichiarò:

«Costui è il re delle scimmie che compie il suo dovere al servizio di Raghupati (Râma). Si distingue nel mondo per il suo splendore».

Nel regno di Râma e nella sua storia, Hânûman è la figura che riveste la massima importanza.

«Hânûman, – continuò Râma – non c’è niente che eguagli il tuo valore e che io possa darti. Non posso che donarti Me stesso».

E, così dicendo, Râma strinse Hânûman in un abbraccio. Sîtâ osservava, pensando che gli astanti non sarebbero stati in grado di cogliere il significato di quel gesto. Nell’atto di Râma non avrebbero intuito il profondo significato del dono di Sé. Per tutto ciò che aveva fatto, per le sue gesta, Hânûman meritava un riconoscimento ufficiale che tutti fossero in grado di apprezzare. Il cuore di una donna è delicato e pieno di compassione.

Sîtâ possedeva una collana di perle di inestimabile valore, dono nuziale di suo padre Janaka. Allora se la tolse dal collo e la porse ad Hânûman, pregandolo di accettarla in dono.

Hânûman prese la collana e ne sfilò le perle, una ad una. Dapprima provò a masticarle, poi le tenne vicino all’orecchio, infine le gettò via. Sorpresa da quelle stranezze, Sîtâ ne chiese ad Hânûman la ragione. Ed egli le rispose:

«Madre, le perle potranno essere preziose in questo mondo, ma nel regno dello Spirito non hanno alcun valore. A che mi posson servire? Io amo solamente ciò che porta la vibrazione del nome di Râma».

Sîtâ allora gli chiese: «Come puoi pensare che un oggetto inerte possegga in sé la coscienza vibrante del nome di Dio? Come puoi pretendere che pronunci il suo nome?».

Hânûman si strappò un pelo dal braccio e lo avvicinò all’orecchio di Sîtâ, e… si udì cantare: “Ram, Ram, Ram”.

In un vero devoto anche il sangue delle vene è pregno del nome di Dio, e Hânûman era un devoto di tal levatura. Perciò divenne il messaggero di Râma: non possedeva né orgoglio, né egoismo, né gelosia; non nutriva alcun sentimento negativo.

Durante la sua permanenza a Lankâ, alla ricerca di Sîtâ, un demone gli chiese chi fosse e donde venisse. Hânûman si limitò a rispondere: «Sono il servo del Signore Râma». Nonostante il suo vigore, il suo coraggio e la sua nobiltà, in Hânûman non v’è alcuna traccia d’ego.

L’umiltà è la caratteristica che distingue il vero devoto. Alla domanda «Dove vivi?», bisognerebbe rispondere «Nell’Âtma». La verità dichiarata da tutte le sacre scritture è che il Divino è Uno, ed è presente in tutte le cose. È il messaggio di tutte le religioni. Quindi, non odiate, né disprezzate alcuna fede. Rispettatele tutte.

L’energia della collettività

L’umanità è una; Dio è uno; l’obiettivo è uno. Rafforzate questa fede. Anni fa, in Tamil Nadu ebbe inizio la pratica devozionale del Likhita japam. In questa pratica collettiva tutti i devoti si riuniscono e scrivono il nome di Dio, come atto di adorazione. È indescrivibile la gioia che proviene da uno sforzo collettivo. Anche il canto di gruppo, in cui tutte le voci si fondono all’unisono ed esprimono l’unità del sentimento, è fonte di grande beatitudine. La pratica del canto collettivo (samashthi bhajan) fu inaugurata da Guru Nanak. Durante il canto dei bhajan, la vibrazione divina s’innalza, santificando tutta l’atmosfera. Non potete ottenere lo stesso effetto se cantate da soli.

Ecco qui un pezzo di stoffa. È formato dall’intreccio di numerosi fili. Grazie a questa stretta interconnessione, la stoffa acquista spessore e robustezza. Se prendete un filo e lo separate, diventa debole e può essere facilmente spezzato. Separato e distinto dagli altri, il filo diventa fragile; unito agli altri, la sua forza aumenta. L’unità è essenziale. Dove non c’è unità, cresce l’ostilità; nel momento in cui il sentimento di unità si consolida, dentro di voi nasce la purezza. Ottenuta la purezza, la divinità è libera di manifestarsi e di emergere in voi. Il canto collettivo incoraggia l’unione, la quale conduce alla purezza e, quindi, al Divino. Oggi, purtroppo non c’è tra gli uomini né unità, né purezza, né divinità. L’umanità ha bisogno di unione. Questa unione si fonda sul sentimento che tutti gli esseri sono uno e questa è l’attitudine che si dovrebbe avere quando si canta il nome del Signore.

Il culto dei Piedi del Signore

Oggi si celebra la Festa di Paduka. In questa ricorrenza si adorano i Piedi del Signore. Che significa adorare i piedi? Un devoto prova un ardente desiderio di toccare il Signore; ma, se gli fosse consentito, Lo toccherebbe indistintamente dappertutto e Gli strapperebbe magari anche i capelli! È stata quindi istituita l’u­sanza chiamata Pâdasparsha, il tocco dei piedi.

Nei piedi si cela un grande significato spirituale: è una grazia poter toccare i piedi del Signore, quei piedi che rendono sacra la terra ov’Egli cammina. C’è anche una spiegazione scientifica nell’atto di toccare i piedi. Il sangue circola dalla periferia al centro, dai piedi alla testa. Toccando anche un solo dito dei piedi del Signore, si avverte la corrente di energia che è presente in quel punto. Quell’energia è energia divina, ed è estremamente intensa e potente. Da un punto di vista terreno, il corpo appare come una semplice forma fisica. Ma l’occhio spirituale vede il corpo rivestito da un alone luminoso, un’aura (tejas). Da questa effulgenza scaturisce l’energia spirituale (ojas), poiché è stato detto:

Darshanam pâpa nâshanam

«Il darshan del Divino distrugge tutti i peccati»

Sambhâshanam sankatanâshanam

«Il dialogo col Signore cancella tutte le sofferenze»

Sparshanam karma vimochanam

«Toccare i piedi del Signore libera l’uomo dal legame del karma,
ossia lo rende libero dalle conseguenze delle sue azioni».

Quando un devoto tocca il Signore, si verifica un fenomeno analogo a quello che accade quando si connette un polo negativo e uno positivo: l’unione genera energia divina. È una forma di contatto da cuore a cuore, da amore ad amore: heart to heart, love to love. Quando si stabilisce questo tipo di connessione, l’energia divina fluisce da Dio verso il suo devoto. Allora Dio e il devoto diventano uno. Il conoscitore di Brahma diviene il Brahman stesso. Purtroppo il significato profondo che sta dietro a questa forma di adorazione non viene compreso appieno; viene, anzi, frainteso. E ciò genera confusione nell’uomo e lo allontana da Dio.

Dovreste intraprendere il sentiero opposto a quello che va verso l’esteriore. Come il pesce, che si mantiene in vita nuotando contro corrente e che morirebbe se si lasciasse trascinare dal corso dell’acqua, così anche voi dovreste procedere nella direzione contraria a quella del mondo esteriore: è la via che porta a Dio. Se non opponete resistenza, le correnti del mondo vi travolgeranno, portandovi lontano dalla realizzazione di Dio. Se vi lasciate andare, annegherete nell’oceano. Se invece risalirete la corrente, giungerete a destinazione.

Provate a dire: «Il mondo pensi pure ciò che vuole, io raggiungerò la mia destinazione». Qualsiasi cosa pensi il resto del mondo, voi mantenete la vostra attenzione sull’obiettivo spirituale.

Molti mi dicono: «Voglio la liberazione»; ma perché chiedono la liberazione, senza sapere che cosa vuol dire? Non conoscono il significato di liberazione, ma la chiedono ugualmente. Che cosa significa liberazione? Liberazione è divenire uno con Dio. Che cos’è l’unità? Unità significa non-dualismo, monismo: «Io non sono separato da Dio; io stesso sono Dio, sono Dio, sono Dio». Son questi i pensieri che dovete coltivare. Solo in questo modo riuscirete ad allontanare dalla mente le preoccupazioni del mondo. Il corpo appartiene a questo mondo, ma voi siete realmente Dio. Il principio atmico presente in ciascun uomo è unico. Per realizzare l’unione con Dio, dovete ricordare continuamente il Suo nome e pregare affinché Egli vi conceda la visione dei Suoi piedi nel vostro cuore.

La devozione di Lakshmana

Non lasciate spazio a pensieri e sentimenti cattivi. La purezza di cuore e la lealtà che aveva Lakshmana lo resero agli occhi di Râma più grande di chiunque altro, al punto che Râma affermò di lui: «Non troverò mai un fratello come Lakshmana». Nei tredici anni passati nella foresta con Râma e Sîtâ, Lakshmana non osò mai guardare in volto Sîtâ, ma ogni giorno si prostrava ai suoi piedi. Quando gli furono mostrati i gioielli di Sîtâ perché li identificasse, egli fu in grado di riconoscere solo le cavigliere, che vedeva ogni giorno quando si inchinava ai suoi piedi. Quanti giovani, al giorno d’oggi, possiedono questo tipo di rispetto? I loro sguardi e le loro parole sono, troppo spesso, pieni di insolenza. I giovani dovrebbero seguire l’esempio di Lakshmana.

Non basta dire «Io amo Dio». Forse questo può esser sufficiente per voi. Dovreste invece accertarvi che Dio ami voi. Se spedite una lettera raccomandata, vi sarà inviata una ricevuta, la quale attesta che la lettera è stata recapitata al destinatario e che quindi è stata letta. A che servirebbe scrivere una lettera, se dall’altra parte non ci fosse nessuno a riceverla? Non dovreste sentirvi soddisfatti della vostra devozione. Dovreste preoccuparvi che sia Dio ad apprezzarla! Dio deve riconoscere la vostra devozione.

Krishna riconobbe la devozione di Ârjuna solo quando quest’ultimo affermò: «Resterò sempre fedele alle Tue parole». Pensare di amare Dio non è sufficiente. La risposta deve giungere da Dio: «Tu ami Me; Io amo te».

Se non ascoltate le parole del Signore, se non mettete in pratica i Suoi insegnamenti, come potete considerarvi devoti? Mettete all’opera la vostra devozione; rendete sacre le vostre azioni.

Devozione senza età

Oggi, in Tamil Nadu la pratica del Likhita japam e la cerimonia dei Paduka (i sandali consacrati ai piedi divini del Bhagavân) stanno diventando assai popolari. C’è un devoto ottancinquenne che si impegna in modo molto esemplare per fare progressi spirituali attraverso queste pratiche. Nella devozione, l’età non conta. Ciò che importa è la determinazione e la dedizione. Alla sua età quest’uomo viene a Prashanti Nilayam quasi ogni settimana, incurante dei disagi che ciò comporta; l’unica cosa che gli sta a cuore è servire il Bhagavân. Ognuno dovrebbe diventare come questo devoto, un esempio di dedizione e di servizio. Quando questo accadrà, il mondo sarà un paradiso terrestre. Quest’uomo col suo entusiasmo è riuscito a mettere insieme un gran numero di persone e a coinvolgerle in queste pratiche devozionali collettive.

Persino al santo Thyâgarâja non risultò tanto facile recitare il nome di Râma 960 milioni di volte. Ebbene, oggi in Tamil Nadu, il nome del Signore è stato scritto un miliardo e ottanta milioni di volte. Moltissimi devoti si sono impegnati in questa pratica, anziché sprecare il tempo in discorsi senza senso e in attività vane.

Dovreste avere sempre la santa preoccupazione di non sprecare il vostro tempo inutilmente. Dedicate tutto il tempo disponibile a ricordare e a scrivere il nome del Signore.

(A conclusione del Discorso, Baba intonò il canto “Bhajana binâ sukha shanti nahi”).

Prashanti Nilayam, 18 Dicembre 1994.

Auditorium Pûrnachandra- Paduka pûjâ.

Versione integrale