Settembre 1985
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Le qualità di un aspirante spirituale
& Quando il Sanātana Sārathi1 venne pubblicato nel 1957,
& Bhagavān diede il via a una serie di articoli
& dal titolo Prema Vahīnī. Il messaggio che Egli trasmise allora
& agli aspiranti spirituali è oggi più importante che mai.
& I seguenti estratti dimostrano quanto essenziale sia
& il messaggio di Bhagavān a tutti gli aspiranti e ricercatori.
[1] Il sādhaka2 deve considerare la distinzione che c’è tra la condotta
di un uomo comune e quella di un aspirante. L’uomo comune non
possiede pazienza, sopportazione e forza d’animo, è dotato di egotismo
e presunzione, ed è pieno di desideri materiali attraverso i
quali cerca di avere una vita soddisfacente. L’aspirante invece è impegnato
nella contemplazione del Signore in modo incessante, come
incessanti sono le onde del mare; egli accumula il tesoro dell’equanimità,
della parità e dell’amore uguale per tutti, ed è soddisfatto
al pensiero che tutto appartenga al Signore e nulla sia suo.
A differenza dell’uomo comune, l’aspirante non si piegherà facilmente
di fronte al dolore e alla sconfitta, all’ira, all’odio o all’egoismo,
alla fame, alla sete o alla volubilità. Egli deve saper controllare
tutto ciò con determinazione e procedere nella vita con forza
d’animo, coraggio, gioia, pace, carità e umiltà. Inoltre deve comprendere
che la cura del corpo non è la cosa più importante, deve
sopportare pazientemente persino la fame e la sete, ed essere costantemente
impegnato nella contemplazione del Signore.
Litigare per ogni minima quisquilia, perdere le staffe, rattristarsi alla
più piccola provocazione, adirarsi al minimo insulto, preoccuparsi
per la sete, la fame o la perdita di sonno non possono certo essere
le caratteristiche di un aspirante.
[2] Il riso allo stato naturale e il riso cotto possono forse dirsi uguali?
La durezza del riso allo stato naturale non è più presente in quello
cotto. Il chicco bollito è morbido, dolce e non fa male. Quello
crudo è duro, presuntuoso e pieno di illusione. Questi due tipi rappresentano
i jīvi e gli uomini; quelli immersi nelle illusioni esteriori
o avidyāmāyā3 sono uomini; quelli immersi nelle illusioni interiori o
vidyāmāyā4 sono sādhaka, aspiranti spirituali. Dio è completamente
privo di simili illusioni. Chi non ha illusioni esterne diventa un
aspirante e, quando si libera anche di quelle interne, può essere definito
divino e il suo cuore diventa la residenza di Dio. Si può concludere,
quindi, che tutto è pervaso da Dio. Sebbene il Signore sia
presente in ogni cuore, la disciplina spirituale è necessaria affinché
gli uomini possano scoprire da soli la Realtà. Noi non riusciamo a
vedere la nostra faccia e abbiamo bisogno di uno specchio che ci
mostri la sua immagine. Allo stesso modo, un sentiero di base, un
metodo disciplinare sono indispensabili per liberarci dai guṇa.
[3] In questo mondo non c’è austerità superiore alla forza d’animo,
non c’è felicità maggiore dell’accontentarsi, merito più santo della
misericordia, arma più efficace della pazienza.
I devoti devono considerare il corpo come il campo, le buone azioni
come i semi e, con l’aiuto del cuore come contadino, devono coltivare
il nome del Signore al fine di ottenere il raccolto: il Signore
stesso. Com’è possibile avere un buon raccolto senza coltivare accuratamente?
Come la panna nel latte, come il fuoco nel combustibile,
il Signore è presente in tutto: abbiate fede salda in questo. Com’è il
latte, così è la panna; com’è il combustibile, così è il fuoco. Analogamente,
com’è la pratica spirituale, così sarà la realizzazione.
Anche se la liberazione non si ottiene direttamente con la recitazione
del nome del Signore, quattro risultati sono chiaramente evidenti
per chi fa questa esperienza: 1. La compagnia dei Grandi. 2. La Verità.
3. L’appagamento. 4. Il controllo dei sensi. Chi riesce a entrare
attraverso una qualunque di queste porte, che sia un capofamiglia,
un eremita o appartenente a un’altra categoria, può raggiungere il
Signore senza dubbio alcuno.
L’uomo anela alla felicità materiale, ma se si analizza attentamente
si può rilevare che proprio questa è la malattia e che le sofferenze
sono le medicine per curarla. Immerso nei piaceri del mondo, l’uomo
raramente sente il desiderio di realizzare il Signore.
[4] È necessario discernere e analizzare ogni azione, poiché lo spirito
di rinuncia nasce proprio da tale analisi, senza la quale difficilmente
si ottiene la rinuncia. L’avarizia è simile al comportamento di
un cane e va quindi trasformata. L’ira è il nemico numero uno del
sādhaka, vale quanto uno sputo e come tale va considerata. E la falsità?
È ancor più disgustosa! A causa della falsità viene distrutta
l’energia vitale, quindi va trattata come scarto. Rubare rovina l’esistenza
e rende il valore dell’inestimabile vita umana inferiore a un
quarto di centesimo: è paragonabile alla carne putrescente.
Cibo moderato, sonno moderato, amore puro, forza d’animo: queste
sono le qualità che vi aiuteranno a mantenere la salute del corpo
e della mente. In qualsiasi condizione un individuo si trovi, se non
si lascia abbattere né scoraggiare, se non ha paura alcuna, se ricorda
il Signore con fede incrollabile e senza altre motivazioni, vedrà svanire
tutte le sue sofferenze e i suoi dolori. Il Signore non gli chiederà
mai la casta a cui appartiene o le usanze che tradizionalmente segue.
La devozione non consiste nell’indossare la veste color ocra, organizzare
festività, celebrare riti sacrificali, radersi i capelli o tenerli
intrecciati, portare una brocca per l’acqua o un bastone, ecc.
Le vere caratteristiche della devozione sono: mantenere puri la
mente, l’ego e l’intelletto; contemplare Dio ininterrottamente qualsiasi
cosa si faccia; essere convinti che tutto è creato dal Signore ed è
quindi Uno; mantenere il distacco dagli oggetti dei sensi; accettare
tutti con uguale amore ed essere dediti alla sincerità.
Tra i vari tipi di devozione, la recitazione del nome del Signore è la
migliore. Nel kali yuga, il nome divino è il sentiero per ottenere la
salvezza. Jayadeva, Gauranga, Tyāgarāja, Tukaram, Kabir, Rāmdās,
tutti questi grandi devoti realizzarono il Signore semplicemente
grazie al nome divino.
Anche Prahlāda e Dhruva poterono gioire della visione, del tocco e
della conversazione con il Signore solo grazie al Suo nome.
[5] Se il sādhaka considera il nome del Signore come il respiro stesso
della sua vita e avrà fede totale nelle buone azioni e nei buoni pensieri,
se svilupperà lo spirito di servizio e di amore uguale verso tutti,
non potrà trovare sentiero migliore per conseguire la liberazione.
Se invece un individuo se ne sta seduto in un cantuccio solitario a
controllare e a trattenere il respiro, come potrà conoscere a fondo le
sue qualità innate? Come potrà verificare se ne ha la completa padronanza?
La devozione di Ambarīṣa5 e la condotta di Durvāsa6 segnarono la
sorte di quest’ultimo: alla fine Durvāsa fu costretto a prostrarsi ai
piedi di Ambarīṣa. Tuttavia, sforzatevi di non diventare come
Triśaṅku7. Possiate quindi fare esperienza della verità eterna e raggiungere
la Realtà!
Tutti sono inclini a commettere errori inconsapevolmente. Per quanto
brillante e vivido sia il fuoco, sprigiona sempre un po’ di fumo;
allo stesso modo, qualsiasi buona azione un uomo possa compiere,
vi sarà mischiata una minuscola traccia di male. Occorre perciò fare
ogni sforzo per assicurarsi che il male sia ridotto al minimo e che il
bene prevalga; certo, nelle condizioni attuali, è possibile che non
abbiate successo al primo tentativo. Dovete quindi pensare attentamente
alle conseguenze di tutto quello che fate, dite o eseguite.
[6] Come volete che gli altri vi onorino e si comportino con voi, così
anche voi dovrete prima amarli e rispettarli nello stesso modo, solo
allora sarete rispettati. Se invece vi lamentate di non essere trattati
dagli altri adeguatamente, senza però averli prima rispettati e amati,
le vostre lagnanze saranno del tutto inopportune.
Inoltre, se coloro che raccomandano al prossimo di seguire i principi
giusti, veri, buoni e la retta condotta, seguissero essi stessi le
esortazioni che dispensano, non ci sarebbe bisogno di dare alcun
consiglio. Gli altri apprenderebbero la lezione osservando semplicemente
il loro comportamento. Se qualcuno parla del vedānta come
un pappagallo senza fare il minimo tentativo di metterlo in pratica,
non solo raggira gli altri, ma ancor peggio inganna sé stesso. Voi
dovete essere come desiderate che gli altri siano.
Per un aspirante non è appropriato cercare i difetti altrui e nascondere
i propri. Se qualcuno vi indica i vostri errori, non discutete,
non cercate di dimostrare che siete nel giusto e non provate rancore
verso di lui. Ragionate sul motivo di quell’errore e correggete la vostra
condotta. Voler trovare invece una giustificazione logica per
propria soddisfazione o vendicarsi di chi vi ha mostrato i vostri difetti
non è certamente il comportamento corretto per un aspirante.
Il devoto deve sempre cercare ciò che è veritiero e gioioso ed evitare
tutti i pensieri tristi e deprimenti. La depressione, il dubbio, la presunzione
sono come rahu e ketu8 (nodo lunare ascendente e nodo luna-
re discendente) per il sādhaka perché creano molte difficoltà. Quando
la devozione si è consolidata, anche se questi sentimenti fanno la
loro comparsa, possono essere facilmente eliminati; diversamente
possono solo nuocere alla pratica spirituale.
La cosa migliore per l’aspirante è essere gioioso, sorridente ed entusiasta
in ogni circostanza. Tale attitudine pura è ancor più desiderabile
di bhakti e jñāna (devozione e conoscenza). Chi l’ha ottenuta
merita di raggiungere la Meta per primo: la qualità della gioia ininterrotta
è frutto del bene compiuto nelle esistenze passate. Se una
persona è sempre preoccupata, depressa, dubbiosa non potrà mai
ottenere la beatitudine, qualsiasi disciplina segua.
Il primo compito di un sādhaka è coltivare l’entusiasmo da cui potrà
trarre ogni gioia. Non inorgoglitevi se vi lodano e non deprimetevi
se vi criticano: siate dei leoni spirituali, indifferenti a entrambe le
situazioni. Dovete invece analizzare e correggere i vostri errori: ecco
quello che è veramente importante.
[7] Anche in questioni relative alla realizzazione di Dio bisogna essere
vigili e meticolosi. Qualsiasi ostacolo incontriate, continuate la
vostra pratica spirituale senza interruzioni o cambiamenti. Non dovete
cambiare continuamente il nome divino, amato, adorato e prescelto
per la recitazione.
È impossibile ottenere la concentrazione se cambiate il nome dopo
pochi giorni, perché in tal caso la mente non può acquisire stabilità
né una concentrazione univoca.
Concentrarsi su un unico obiettivo è la meta di tutte le discipline,
perciò evitate di adottare e scartare in continuazione il nome e la
forma del Signore: un solo nome divino deve essere utilizzato durante
la recitazione e la meditazione. Inoltre dovete essere fermamente
convinti che tutti i nomi e le forme del Signore non sono altro
che il nome e la forma che voi contemplate nella preghiera e nella
meditazione. Quel nome e quella forma non devono far sorgere il
benché minimo sentimento di antipatia o disaffezione [nei confronti
di altri nomi e forme].
Il sādhaka deve considerare temporanee e transitorie tutte le sconfitte,
le sofferenze e le preoccupazioni terrene, e comprendere che la
recitazione del nome e la meditazione servono solo a superare quelle
pene, perciò deve tenere le due cose separate, senza mischiarle.
L’aspirante deve capire che sconfitte, sofferenze e preoccupazioni
sono esteriori e appartengono a questo mondo, mentre la preghiera
e la meditazione sono interiori e fanno parte del regno dell’amore
per il Signore. Quest’attitudine è definita devozione pura, mentre se
il sādhaka sceglie un nome e una forma di Dio, ma dopo qualche
tempo li cambia, tale attitudine è detta devozione impura.
[8] Non è una colpa se avviene per ignoranza ma, se dopo aver fedelmente
ripetuto e meditato su un nome e una forma, l’aspirante
spirituale li cambia, pur sapendo che è sbagliato e dannoso, è sicuramente
un errore. Rimanere fedeli a un nome e a una forma è il voto
più alto, è la massima austerità.
Anche se i più anziani dovessero consigliarvelo, non abbandonate
la via che la vostra mente ha approvato; ma chi potrebbe suggerirvi
di cambiare il nome del Signore o di abbandonare il nome che adorate?
Chi dovesse farlo non può essere considerato savio, bensì stolto.
Per quanto possibile cercate di mantenere lo stesso luogo e il medesimo
orario per la meditazione e la recitazione.
Se siete in viaggio, anche se è inevitabile cambiare il luogo, almeno
l’orario dovrebbe restare inalterato. Anche se all’ora prestabilita vi
trovate in treno, su un autobus o in qualche situazione sfavorevole,
è bene richiamare alla mente almeno la meditazione e la recitazione
che eravate soliti praticare in solitudine a quell’ora. In tal modo, accumulando
ricchezza spirituale, riuscirete a realizzare l’ātman.
[9] L’uomo deve vivere in modo da non infliggere sofferenza ad alcun
essere vivente: questo è il suo dovere fondamentale. È anche
dovere primario di chi abbia avuto l’opportunità di avere una nascita
umana di conservare una parte delle sue energie per la preghiera,
la recitazione del nome del Signore, la meditazione, ecc. Inoltre deve
dedicarsi a una vita di verità, rettitudine e pace, nonché compiere
opere buone che siano di servizio al prossimo.
L’uomo deve avere paura di nuocere agli altri o di compiere azioni
peccaminose come avrebbe paura di toccare il fuoco o di disturbare
un cobra; di contro, deve avere tanto entusiasmo e determinazione
nel compiere opere buone, nel rendere felici gli altri e nell’adorare il
Signore quanto ne ha ora nell’accumulare oro e ricchezze. Questo il
dharma dell’uomo.
[10] È per rafforzare la bontà che il Signore s’incarna in forma umana.
Una domanda può sorgere: come si può rafforzare e sviluppare
qualcosa che non esiste? In realtà queste qualità non sono inesistenti,
sono presenti nell’uomo stesso!
Tuttavia quando esse decadono e si inaridiscono, il Signore si incarna
allo scopo di farle rivivere e di provocare la caduta di quelle forze
che operano in direzione opposta. È per rendere chiaro tale proposito
che durante il dvāpara yuga, mentre istruiva Arjuna, Śrī Kṛṣṇa
dichiarò nella Bhagavad Gītā al verso 4.8:&
paritrāṇāya sādhūnāṁ vināśāya ca duṣkṛtām |
4 dharmasaṁsthāpanārthāya saṁbhavāmi yuge yuge ||
Per la protezione delle persone virtuose,
per la distruzione dei malvagi e per ristabilire il dharma,
mi manifesto di era in era.
Ciò significa che tutte le Incarnazioni del Signore avvengono per la
protezione e l’incoraggiamento dei sādhu, i santi e i virtuosi. La parola
sādhu non si riferisce ad alcuna particolare religione, casta, famiglia,
stadio della vita, comunità, e neppure a una singola specie
come quella umana! Essa si riferisce a tutte le religioni, a tutti gli
stadi della vita, a tutte le razze e a tutte le creature.
Con ciò il Signore ha rivelato nella Gītā la Sua Mente universale. È
grazie a questo messaggio universale che la Gītā è diventata così
essenziale e famosa.
Śrī Kṛṣṇa stesso ha dichiarato in numerose circostanze e luoghi che
Egli è il servitore premuroso dei Suoi devoti, e avere accettato di diventare
l’auriga di Arjuna ne è un chiaro esempio.
Se la cultura dell’uomo comune lo induce a elevarsi, si può ben
immaginare quanto più puro e santo sarà il carattere di chi s’impegna
nelle pratiche spirituali e nell’incessante contemplazione di
Dio! In ogni caso, per entrambi i tipi di persone la qualità del carattere
è il fattore fondamentale.