Aprile 1981
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Sorgente di Beatitudine
[1] Sono stati fatti molti progressi nell’utilizzare le risorse naturali della terra per migliorare le condizioni di vita, ma né l’individuo né la società sanno ancora come trovare la pace interiore e l’appaga-mento.L’invidia e l’avidità hanno inquinato le relazioni tra le nazioni e tra gli uomini annullando la consapevolezza dell’unità che sta alla base della Creazione. La causa principale di questa situazione disastrosa è l’egoismo smisurato; infatti tutti cercano di appropriarsi di qua-lunque cosa aumenti il loro potere e le loro comodità: così l’ego rende tutti delle misere marionette. Le parole e le azioni degli uomini riflettono questa tendenza al-l’esaltazione personale, ogni mossa è determinata soltanto da biso-gni egoistici e non si fa alcun passo che non promuova i propri inte-ressi personali. La mente, nella quale sorgono i desideri e si pren-dono le decisioni, deve essere purificata dal suo attaccamento al-l’ego onde ripristinare la pace dell’individuo e della società. Come la trama e l’ordito formano un tessuto, così la mente è costi-tuita dai desideri; quando questi ultimi sono diretti a fini egoistici, il tempo e gli sforzi sono vani e sprecati, il dovere è trascurato, il corpo e le sue facoltà sono usati male, e questo avviene mentre la vita si accorcia ogni giorno di più. Con ogni secondo che passa, la vita gocciola via come l’acqua che esce da un vaso bucato, ma l’uomo non si rende conto della tragedia che incombe su di lui ogni mo-mento. Incarnazioni del Sé universale! [2] L’individuo ha in sé la capacità di trasformarsi in una pura e di-vina Personalità ma, per ignoranza e capricciosa ostinazione, è di-ventato ottuso e si è legato a idee meschine: in tal modo è preda del-la paura e del dolore.Le upaniṣad1 lo esortano a svegliarsi e a divenire padrone di sé:uttiṣṭha jāgrata prāpya varāṇ nibodhataSorgete, svegliatevi! Voi state dormendo, sforzatevi di trarre vantaggio dalla vostra forma umana.(Kaṭha upaniṣad 1.3.14)L’uomo è sopraffatto dal sonno dell’ignoranza, perciò deve essere svegliato; i saggi anziani che conoscono il prezioso patrimonio che sta sprecando lo devono istruire al riguardo. La sua ignoranza è causata da una triade di desideri (īśānatraya): attaccamento al co-niuge, ai figli e alle ricchezze. Logicamente una persona deve avere il necessario per condurre una vita semplice, ma la ricchezza accumulata oltre livelli ragionevoli esalta l’io e dà origine ad abitudini e desideri perversi. Le risorse economiche di cui si dispone vanno considerate in ‘amministrazione fiduciaria’ per svolgere attività benefiche, per promuovere un retto modo di vivere e per assolvere i propri doveri verso la società.[3] Bhārat2 è stata molto fortunata; nel corso dei secoli, ha avuto veggenti e saggi che hanno sostenuto il valore dei nobili ideali, e ha avuto l’esempio di molti avatār, manifestazioni del Divino. L’India ha sempre messo in primo piano l’ātma che è l’essenza di ogni esse-re: questo insegnamento sa infondere coraggio, appagamento, pace e armonia. È davvero penoso vedere che molti seguono i capricci della mente e vanno incontro alla loro rovina, invece di usare l’intelletto per di-scriminare tra il transitorio e il permanente. La mente deve essere controllata dall’intelletto, altrimenti le decisioni malvagie causeran-no dolore; siate quindi determinati a compiere buone azioni e a ri-cavarne gioia. Se un individuo sa rinunciare ai desideri e alla ten-denza a perseguirli, potrà ottenere pace salda e duratura. Se invece la mente è lasciata libera e padrona, l’uomo sarà indotto a passare da un’iniquità all’altra e perderà il rispetto di sé stesso; inol-tre terrà in poco conto la legge, la giustizia, le regole di retta condot-ta e le direttive per un onesto comportamento sociale; così la sua vi-ta sarà una corsa frenetica da un luogo all’altro, da un oggetto all’al-tro. Soltanto il distacco può conferire la felicità, solo la rinuncia (tyāga) è vero yoga3.
Tre qualità malvagie vanno eliminate prima che l’uomo possa ele-varsi al suo vero ruolo: l’ira che sopprime la saggezza (jñāna), la concupiscenza che inquina l’azione (karma), e l’avidità che distrug-ge l’amore per Dio e per l’essere umano. Il termine di paragone per definire un’azione meritoria è la rinuncia; se invece l’azione è a proprio vantaggio e contribuisce a gonfiare l’ego, è malvagia.Ciò di cui Bhārat ha bisogno oggi non è un nuovo credo, una socie-tà nuova né un ideale diverso, ma uomini e donne che amino i no-bili propositi e i sentimenti puri e li seguano, che sappiano rinun-ciare all’ira, alla concupiscenza e all’avidità. [4] La storia di Rāma, che rappresenta questo messaggio vitale, è l’essenza dei Veda, un vero oceano di latte. Vālmīki4 ha denominato kāṇḍa, termine sanscrito che indica una lunghezza di canna da zucchero, ogni sezione del poema epico Rāmāyaṇa5. Per quanto storta possa essere la canna, ogni suo pezzo è dolce come gli altri; così l’epica è tutta ugualmente dolce e accatti-vante qualunque situazione o emozione venga descritta: che si tratti dell’incoronazione o dell’esilio, della vittoria o della sconfitta, del-l’eroismo o dello scoramento, dell’amore o dell’odio, della gioia o del dolore. Nella storia di Rāma ci sono due correnti predominanti di sentimento o stato d’animo: la corrente della compassione rappresentata da Rāma, e quella dell’amore personificata da Lakṣmaṇa. È la fusione delle due che evoca la beatitudine, e ānanda è la vera natura di Rāma. Egli è bhagavān stesso anche se Vālmīki non lo di-chiara esplicitamente nel suo poema, ma afferma che il valore di Rāma equivale a quello di Viṣṇu, pur non considerandolo Viṣṇu stesso. Soltanto per bocca dei figli dello stesso Rāma il mistero verrà svelato. Bhagavān è composto da tre sillabe, di cui bha significa splendore, ga vuol dire manifestazione e vān ‘chi è capace.’ Pertanto bhagavān è Colui che ha il potere di manifestare lo splendore Divino, lo splen-dore dell’ātma; è detto anche sambharta, ovvero Colui da cui l’uni-verso è emanato, Colui che è determinato a sostenerlo. Tutti quelli che adorano Rāma come Creatore e Protettore dell’uni-verso, come Colui che emana splendore divino e intelligenza co-smica hanno il diritto di essere riconosciuti come devoti (bhakta). Ma oggi i ricercatori sono per lo più devoti a tempo parziale, non sono in unione costante con il Signore: sono yogī (asceti) al mattino, bhogī (gaudenti) a mezzodì e rogī (malati) di notte![5] Rāma illumina ogni ricercatore in campo spirituale perché mise in pratica giornalmente tutto ciò che riteneva retto; quindi costitui-sce un esempio per tutti in ambito familiare, sociale, nazionale e umano. Egli andò in esilio per onorare il nobile ideale di figlio ubbidiente e di governante pronto a comprendere le motivazioni dei Suoi suddi-ti. Come figlio, Rāma osservò il dovere di rispettare la parola data da Suo padre (pitruvākya paripālana); come governante, si attenne al Suo dovere di re, rispettando i desideri dei sudditi (jānavākya paṇa pālana). La radice è vākya, la parola dei genitori o del popolo, il frutto è mokṣa6, liberazione, poiché la liberazione è l’obiettivo finale, il destino ineluttabile di tutti. Il germoglio realizza il suo proposito quando il frutto nasce e si svi-luppa per poi diventare dolce e maturo, e i tre stadi si susseguono uno dopo l’altro. Questo è il motivo per cui i Veda hanno elaborato il karma in sezioni; ciò significa che la ‘gemma’ dell’azione (karma) diventa dapprima il frutto nascente dell’adorazione (upāsana), infi-ne matura nel dolce frutto della saggezza (jñāna). Rāma dimostrò con la Sua stessa vita il processo di evoluzione pro-gressiva dell’anima sino a realizzare la totale consapevolezza. Egli fu l’incarnazione dell’osservanza costante e assoluta della Verità (satya) e della Rettitudine (dharma). Solamente coloro che sono colmi di devozione per Rāma possono immergersi nella Sua gloria. Egli è il grandioso ideale che potete contemplare. Facendo così, potrete assorbire e sviluppare le Sue stesse virtù, lentamente e silenziosamente.[6] Un albero cresce in silenzio per anni prima di dare frutti, non li produce immediatamente. La palma da cocco, il mango e il jackfruit7 appartengono a questa categoria e donano innumerevoli frutti pieni di nutrimento. Ci sono
piante invece che danno frutti scarsi molto presto e muoiono poco dopo. La fama dei Personaggi divini cresce con ogni parola che pronun-ciano e con ogni azione che accettano di compiere. La grandezza di Rāma risplende luminosa persino dopo tanti secoli e brillerà fulgida anche in futuro per molte ere. Rāma significa ‘Colui che delizia.’ Niente compiace e soddisfa l’uomo più del suo stesso Sé che è una sorgente di gioia inesauribile ed eterna. L’individuo deve preferire la consapevolezza dell’ātma e la beatitu-dine che tale consapevolezza gli conferisce, a tutte le altre gioie in-feriori e momentanee. L’upaniṣad afferma: na karmaṇā na prajayā dhaṇena tyāgenaike amṛtatva mānaśuḥ ॥ 1 ॥ Non con le opere rituali, né con la discendenza o la ricchezza, ma solo con il sacrificio e la rinuncia si può ottenere l’immortalità.8(Taittirīya Āraṇyaka 10.12.3 – Mahānārāyaṇa Upaniṣad).
Lal Bagh, Bangalore, aprile 1981, Golden Jubilee Hall