7 Ottobre 1981
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Terminate il gioco
Senza fiori la pianta non dà frutti e senza frutto non può esserci maturazione; senza un impegno intenso non può sorgere la devozione e senza devozione come può esserci Conoscenza? Il malvagio Somaka eliminò i Veda, ma ne ricavò forse qualche felicità? Rāvaṇa concupì e rapì la sposa di un altro, ma ottenne forse qualche vantaggio? Gli avari Kaurava rifiutarono di cedere una piccola parte di terra ai loro parenti più prossimi, ma riuscirono a conservare il regno? Kāṃsa, in preda al terrore, cercò tutti i neonati e li uccise, ma riuscì forse a sfuggire alla morte? Anche oggi i malvagi andranno incontro alla stessa sorte nefasta. Prendete queste parole di Sai come parole di Verità!
[1] L’universo visibile costituisce l’essenza dei vostri corpi, il nutri-mento della mente e la fonte del vostro progresso. L’universo, in pe-renne mutamento, ha in sé il Principio Assoluto Immutabile: en-trambi sono aspetti della Realtà Suprema, del brahman sempre pieno, sempre completo. L’individuo è il ‘divenire’ dell’Essere1. La co-scienza individuale è la proiezione della stessa Coscienza universa-le, ed entrambe sono complete in sé stesse. La coscienza individuale rimane intatta e completa anche quando il corpo decade e si disin-tegra.
La Īśāvāsya upaniṣad afferma:
oṁ pūrṇam adaḥ pūrṇam idaṁ pūrṇāt pūrṇam udacyate ।pūrṇasya pūrṇam ādāya pūrṇam evāvaśiṣyate ॥
Oṁ Quello è pieno questo è pieno. Dal pieno emerge il pieno. Quando il pieno viene preso dal pieno, il pieno resta pieno.
La Īśāvāsya upaniṣad descrive questa verità dettagliatamente e af-ferma con chiarezza che il cosmo è il luogo in cui Dio risiede:
īśāvāsyam idaṁ jagat
Dio pervade l’intero universo.
Questa upaniṣad è breve e consta solo di diciotto versi, ma il diciotto è un numero molto sacro e simboleggia la vittoria. Anche la Bhaga-vad Gītā è composta da diciotto capitoli, il Mahābhārata ha diciotto sezioni e i purāṇa sono diciotto!
[2] Le upaniṣad rivelano anche un altro aspetto particolare della veri-tà dell’universo, e cioè che l’universo visibile ha una base invisibile; esso ha una causa materiale (upādāna) e una causa strumentale (ni-mitta), ma l’uomo considera solo quest’ultima e non presta atten-zione a quella materiale. Questa coppa ha come causa materiale l’argento, mentre la coppa stessa è la causa strumentale. La coppa può essere vista, mentre l’argento non viene percepito. Allo stesso modo, l’universo può essere visto, ma Dio non è percepibile. La causa materiale del cosmo è Dio che è immanente nell’intero uni-verso e lo pervade, così come l’argento pervade interamente questa coppa. La Īśāvāsya è la più importante di tutte le upaniṣad ed è l’essenza delle scritture del vedānta, infatti le contiene tutte in sintesi: non esi-ste un testo sacro altrettanto prezioso; infatti insegna che l’universo è divino e che l’ātma è immanente in tutto. La Īśāvāsya spiega che l’ātma non è condizionato da nulla, è supremo e al di sopra di tutto:
antarbahiśca tatsarvaṁ vyāpya nārāyaṇa sthitaḥ
Tutto è pervaso sia all’interno sia all’esterno dall’eterno Essere Divino, Nārāyaṇa.
(Nārāyaṇa sūktaṁ)
[3] I cinque elementi albergano in Dio. Non esiste seme senza un guscio o involucro; il guscio è il cosmo, il seme è Dio. Essi sono in-timamente connessi e in stretta relazione. Dovete cercare di com-prendere questa verità attraverso un’indagine costante. L’ignorante attribuisce valore all’involucro, ma i saggi indagano sull’ātma che ne costituisce il fondamento. L’ignorante crede che l’universo sia unicamente ciò che appare, così si degrada e scende più in basso del livello animale. Gli animali, infatti, fanno del male solo agli altri animali, ma la persona ignorante fa del male al suo stesso sé! Le upaniṣad invitano gli uomini a progredire grazie a quattro tipi di disciplina: quello che deve necessariamente essere praticato; quello che deve essere praticato empiricamente; quello che bisogna prati-care mentre si osservano dei voti; infine quello che deve essere pra-ticato in virtù dell’esperienza che conferisce. Queste quattro disci-pline vengono convogliate attraverso i mantra, i quali non vanno confusi con le formule monosillabiche, pentasillabiche o plurisilla-biche. Il mantra è una formula sacra che invoca la Presenza dell’On-nipotente. Incarnazione dell’Amore! [4] Voi studiate questa upaniṣad e molte altre e le recitate continua-mente. Recitate i mille Nomi sacri di Viṣṇu e della Grande Dea, La-lita, e studiate molti libri sacri. Certo, il tempo impiegato in tali atti-vità è santificato, ma tutto ciò non vi aiuterà a trasformare il vostro comportamento, rendendolo più valido e più gradito a Dio. Mettete in pratica almeno l’un percento di quello che leggete o andate de-clamando? È vero che il latte contiene il burro, che i semi di sesamo contengo-no olio, e che la canna fornisce lo zucchero, ma se tenete in mano una tazza di latte non potrete ottenere il burro; anche se riempite una lampada di sesamo, non riuscirete ad accendere lo stoppino, e se vi limitate a scuotere la canna non otterrete lo zucchero. Se vi mettete davanti un piatto pieno di dolci e ripetete per 108 volte: ‘Dolci, dolci’, pensate che la vostra lingua potrà gustarli o lo stoma-co riceverli?
Un poeta vi pone un quesito:
“Può saziarsi l’affamato se si elogia in sua presenza la lista delle vivande? Può il disagio del povero essere alleviato se qualcuno descrive in sua presenza la ricchezza? Può la sofferenza del malato essere lenita se gli si elencano i nomi di molti farmaci?”
La parola e il canto non sono sufficienti a curare la grave malattia del susseguirsi delle nascite e delle morti. Bisogna piuttosto inse-diare stabilmente Dio nella mente, l’Onnipresente va custodito nel cuore e deve scorrere nelle vene insieme al sangue. Dio deve essere visto per mezzo dell’occhio interiore. Non esiste ‘questo’ senza ‘Quello’, non esiste una creazione senza il Creatore. Voi cercate d’impadronirvi della creazione senza aver fede nel Creatore, anzi non ne siete neppure consapevoli. [5] Il corpo ha il capo sopra e i piedi sotto e, benché con tutte le sue membra formi un’unità organica, i piedi sono disprezzati mentre la testa è rispettata. Quando, però, invitate a casa vostra un ospite, non potete accogliere la testa e scacciare i piedi. Analogamente, poi-ché il cosmo è permeato da Dio, non potete accettare il primo e re-spingere il secondo. L’uomo può conseguire la saggezza solo attraverso le sfide che il mondo gli propone e le opportunità che gli offre per acquisire la consapevolezza. Una volta raggiunta la conoscenza spirituale, l’in-dividuo può abbandonare il mondo a sé stesso ed evitare di lasciar-si coinvolgere. Una volta letto il giornale, solo un dissennato può tornare a rileggerlo ripetutamente. Il giornale di oggi è la carta straccia di domani. Una volta sperimentato il mondo, il desiderio di ripetere l’esperienza è un segno di follia. Gli uomini provano gusto a mangiare gli stessi alimenti ogni gior-no, a lavarsi la faccia tutte le mattine, ad ascoltare in tutte le occa-sioni la solita storia, ma non fanno progressi per acquisire la beati-tudine che è in serbo per loro. Utilizzate il mondo come mezzo per raggiungere il fine, ma non nu-trite il desiderio di rimanervi; il mondo è solo un caravanserraglio in cui sostare nel corso del vostro pellegrinaggio verso la Sorgente, è un ponte solido e largo, ma qual è il pellegrino che potrebbe pen-sare di costruirvi sopra una casa?
[6] L’universo è in continuo mutamento, i minuti che sono ormai passati non possono essere recuperati neppure se li allettate con un milione di Rupie. Il passato non vi appartiene più, il presente scivo-la via dalle vostre mani e il futuro è incerto. Siete venuti al mondo nudi e ve ne andrete senza comunicare a chi resta l’indirizzo al qua-le potrete essere contattati; nonostante ciò, il vostro attaccamento cresce e voi continuate a tessere relazioni e legami: questa è la gran-de illusione! Come può essere descritto il Divino Onnipresente? Una storia nepa-lese narra che a un tale fu chiesto: “Chi è tuo padre?” Egli indicò il nome, ma l’interlocutore insistette: “Come fai ad affermarlo? Su co-sa si basa questa tua asserzione?” L’uomo rispose: “Si basa sulle pa-role di mia madre, alle quali io credo.” Allo stesso modo, se gli chiedete chi sia il suo Padre Celeste, l’uomo risponde: “Dio.” Se gli chiedete con quale autorità possa fare un’af-fermazione simile, risponderà: “Con l’autorità conferita dalla Veda mātā (la Madre dei Veda), vale a dire le Scritture e le upaniṣad che contengono le autentiche sublimi Verità che i Saggi hanno ottenuto grazie alle loro pratiche ascetiche, che hanno scoperto nella profon-dità dei loro cuori purificati a beneficio di tutta l’umanità.” Sfortunatamente, però, i Veda sono stati interpretati con commenti che esibivano preferenze personali. Ogni studioso li ha interpretati a modo suo, come dettava la sua fantasia. Ciò ha causato il declino della fede in Dio e il divulgarsi dell’ateismo. Dio è l’Uno Onnipre-sente, è più piccolo di quanto ci sia di più piccolo, più vasto del-l’immensità. È l’ātma che non nasce e non muore, che non può esse-re ucciso, che è l’Universale Eterno Testimone: il Brahman stesso. Questa è la Verità che i Saggi rivelarono! Ma come può un indivi-duo spiegare a un altro la dolcezza dello zucchero? La prova sta unicamente nell’esperienza personale. È folle mettere in dubbio o negare l’esperienza di un altro; un tale atteggiamento può solo con-durre a scontri e a tensioni. Molti sostengono che Dio non esista, ma nessuno controbatte: “Con che diritto insistete nel dire che io non devo credere in Dio? Per voi può anche non esistere, ma dato che io ne ho esperienza, per me Dio esiste!” Poiché i primi non vengono tacitati, persistono nelle lo-ro farneticazioni. È impossibile vivere senza il respiro, e così è anche senza la fede. Tutti voi che partecipate a questo incontro, siete venuti qui sicuri di poter tornare a casa; se non aveste avuto tale certezza, non sareste certo venuti. Alcuni sostengono: “Prima l’esperienza, poi la fede” ma quest’af-fermazione suona come: “Prima il nuoto, poi l’acqua.” Abbiate ab-bastanza fede da mettere in pratica quello che vi viene consigliato, imparate a osservare le direttive, allora otterrete l’esperienza. Come può lo stomaco riempirsi se prima non avete mangiato? Pri-ma di tutto, impegnatevi, tuffatevi nell’azione e non esitate né dubi-tate. Agire è un compito sacro; ecco perché la prima sezione dei Ve-da è detta karma kāṇḍa, che significa la via dell’azione. La Īśāvāsya upaniṣad invita l’aspirante spirituale a coltivare la vi-sione interiore in modo da poter sperimentare Dio, che è la trama e l’ordito dell’universo. Egli è l’oro presente in tutti i gioielli. Desidero che voi meditiate su queste verità che sostengono la Crea-zione e che apportiate una trasformazione, anche piccola, nelle vo-stre abitudini, attitudini e azioni, in modo da realizzare la Meta del-la vita.
Una caratteristica degli animali è quella di cercare cibi saporiti; l’uomo, invece, deve struggersi di desiderio per la realizzazione. Coltivate tale desiderio e, dopo avere centrato il bersaglio, portate a termine il gioco. Questa è la Mia benedizione per voi, oggi.Praśānti Nilayam,
Auditorio Pūrṇacandra, 7.10.1981