6 Ottobre 1981 – Il giardino del cuore

6 Ottobre 1981 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il giardino del cuore

[1] L’uomo deve continuamente progredire: uno stile di vita statico e stagnante non gli è di giovamento. Per quanto tempo tolleriamo che un ragazzo frequenti la medesima classe? Anno dopo anno, de-ve progredire da una classe a quella superiore. Anche l’aspirante spirituale non può fossilizzarsi nella stessa disci-plina; dalla relazione con Dio definita ‘Signore – servo’ deve pro-gredire a quella ‘Corpo – membra’, e alla fine fondersi nell’Uno che in sé tutto comprende. Ciò significa che dalla dualità, passando at-traverso il non dualismo qualificato, deve acquisire lo stato finale di advaita1 o perfetto non dualismo. Nella fase iniziale, l’uomo adora le immagini di Dio rendendo loro omaggio secondo le forme prescritte: concentrazione (dhāranā), invo-cazione (āvāhana), offrire un posto al Divino (āsana), lavare i piedi (pādya), offrire ospitalità (arghya), fare abluzioni in acque sacre (snāna), fare l’offerta di indumenti (vastra), portare il cordoncino sa-cro (yajñopāvita), offrire pasta di sandalo (candana), offrire fiori (puṣpa), incenso (dhūpa), la luce di una lampada (dīpa), offerta di ci-bo (naivedya), offrire la noce di areca avvolta in una foglia di betel (tāmbūla), oscillare la fiamma della canfora davanti all’immagine divina (nīrañjana), compiere tre giri in senso orario di fronte alla sa-cra immagine (pradakṣiṇa) e prostrarsi con riverenza (namaskāra). A prescindere da tutto ciò, i requisiti essenziali di un aspirante sono un buon carattere, una buona condotta e una vita virtuosa. Certo, le offerte di fiori e i riti sono encomiabili, ma egli deve procedere da questo stadio a quello della consapevolezza del Sé. Proprio come i fiori appassiscono e marciscono in fretta, così anche l’effetto di quel-le offerte non può durare a lungo. [2] I fiori che Dio ama di più sono quelli che sbocciano sull’albero della vita di ogni uomo, nutriti e curati grazie alle sue capacità e al-la sincerità d’intenti. Essi sono i fiori delle sue virtù cresciuti nel giardino del cuore. La prima di queste virtù è la non violenza (ahimsā), che implica mol-to di più che astenersi dal ferire gli altri. Evitate di causare sofferen-za a qualsiasi essere vivente non solo con l’azione, ma anche con la parola e con il pensiero, e non nutrite l’idea di ferire o umiliare il vostro prossimo. Il secondo fiore è la padronanza dei sensi (indriya nigraha); infatti non dovete rincorrere il piacere dei sensi. Il terzo fiore è la compas-sione (dayā), sentimento che dovete provare verso tutti gli esseri e tutte le cose, poiché ‘Tutto questo universo è Dio.’

Si afferma:
sarva deva namaskāram keśavam pratigacchati
L’adorazione rivolta a qualsiasi Divinità raggiunge Keśava2, il Supremo.

Ma è ugualmente vero asserire:
sarva jīva tiraskāra keśavam pratigacchati
L’offesa causata a qualsiasi essere vivente raggiunge Keśava, il Supremo.

[3] Il quarto fiore è kṣama, la tolleranza, la forza d’animo, la soppor-tazione. Le Scritture asseriscono che kṣama è sinonimo di verità, di rettitudine, di conoscenza, di sacrificio e di gioia. Senza di essa, l’uomo non può essere felice neppure per un istante. Questa virtù promuove lo sviluppo di qualità divine e rivela la Divinità interiore. L’individuo deve praticare la disciplina spirituale per acquisire la virtù della tolleranza e integrarla nella propria natura. Coltivate l’idea che Dio è ugualmente presente in ogni essere, a dispetto del ridicolo che gli ignoranti potrebbero gettare su di voi, delle critiche sarcastiche di chi è cieco e persino degli elogi di chi vi ammira. Non lasciatevi turbare da cose simili! Il quinto fiore è la pace interiore (śānti). Coltivare la pace non impli-ca che dovete restare muti come sassi o passivi di fronte a eventuali insulti e maltrattamenti, ma che dovete diventare padroni dei vostri sensi e delle passioni. La pace interiore deve essere la vostra vera natura; la pace ha come requisito essenziale il distacco.

Il mare, a cui piace raccogliere e possedere, giace in basso, mentre le nuvole a cui piace praticare la rinuncia e il distacco sono alte nel cielo. La pace dona una mente imperturbata e una visione stabile. La preghiera per il conseguimento della pace viene solitamente ri-petuta tre volte: ‘oṁ śānti, śānti, śānti’ per invocare la pace sul piano fisico, mentale e spirituale. L’uomo non deve farsi trascinare dalla rabbia né cedere alla paura. Nelle upaniṣad, la pace è esemplificata dalla figura dell’imperatore Janaka che era conosciuto con il nome di videha (senza corpo) non perché ne fosse privo, ma perché viveva nella completa dimenti-canza del corpo e dei suoi bisogni. Egli vedeva, udiva e parlava a un livello di coscienza puramente atmico. [4] Il sesto fiore sono le austerità (tapas) che non vuol dire abbando-nare moglie e figli per fuggire nella solitudine della foresta. La vera austerità consiste nella perfetta coerenza tra pensiero, parola e azio-ne. Le persone malvagie non potranno mai raggiungere una simile coerenza perché esse mentono persino a sé stesse. L’uomo che inve-ce pratica con successo tale disciplina conseguirà un tale potere che le parole da lui pronunciate si trasformeranno in mantra. Vi è poi il settimo fiore, cioè la meditazione (dhyāna). Oggi sono in auge tanti metodi di meditazione quanti capelli ho in testa, e cia-scuno li descrive secondo le proprie stravaganze e fantasie. Stare seduti tranquilli e trasferire su Dio le proprie emozioni e i propri sentimenti non è meditazione. Con l’aiuto del Signore, è essenziale trasformare le emozioni, i desi-deri e i sentimenti in qualità divine; tuttavia non dovete portare Dio al vostro livello: dovete elevare voi stessi al livello di Dio. L’ottavo fiore è la Verità (satya) che è eterna e immutabile. Solo Dio permane immutato nel passato, nel presente, nel futuro. Quando il fiore della Verità sboccerà nel vostro cuore, vi compenserà con una fragranza eterna. Adorate quindi il Signore e offritegli questi ‘fiori’ particolari.[5] Se invece gli offrite ‘fiori’ di altro genere, la vostra devozione scomparirà non appena uscite dalla stanza delle preghiere! Infatti, appena varcate quella soglia, la collera, l’odio e l’ansia s’imposses-seranno subito di voi, degradandovi. Solo sviluppando le virtù indicate dagli otto fiori suddetti potrete ottenere la grazia del Signore! Se è impegnato ad adorare il Dio della falsità per trecento sessanta-quattro giorni l’anno, come può l’uomo sperare di conseguire dei benefici facendo voti e offerte al Signore solo il trecento sessanta-cinquesimo giorno? Se asserite di essere devoti Sai, dimostrate la veridicità delle vostre parole coltivando i veri fiori di virtù e offrendoli a Dio.

Praśānti Nilayam, 6.10.1981