5 Aprile 1981
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Processo di purificazione
Ripulite la mente da tutte le malignità e impurità,coltivate pensieri puri e sacri: allora vedrete il mondo con gli occhi della saggezza, come bene e luce.Nessun frutto può crescere su un albero senza fiori,e non può maturare in dolcezza senza la grazia divina.Solo il lavoro disciplinato può trasformarsi in devozione, e quella soltanto può diventare suprema saggezza.[1] L’essenza di questo universo, di cui continuiamo a parlare, è il paramātma1, il Sé Supremo al di là di ogni descrizione. Sia il cono-scibile sia il non-percepibile sono scaturiti dalla stessa Consapevo-lezza Una e Indivisibile. Ognuno è pieno e completo in sé stesso. La coscienza individuale è la manifestazione della Coscienza cosmica.
Quando l’involucro fisico è consunto, la coscienza individuale si unisce alla sua sorgente. I Veda dichiarano:oṁ pūrṇam adaḥ pūrṇam idaṁ pūrṇāt pūrṇam udacyate ।pūrṇasya pūrṇam ādāya pūrṇam evāvaśiṣyate ॥Oṁ Quello è pieno questo è pieno. Dal pieno emerge il pieno. Quando il pieno viene preso dal pieno, il pieno resta pieno.2(Īśāvāsya upaniṣad3) Pertanto il cosmo, il mondo, l’individuo sono l’espressione della pienezza: nulla è frammentario o incompleto. Il simbolo del pieno è oṁ, il praṇava4. I Veda affermano: ‘L’indistruttibile suono oṁ è l’uni-versale assoluto brahman.’ Ovunque, tutto quello che è mobile e immobile esprime solo in modo diverso il sacro suono oṁ, ne elabora la natura e ne illustra le potenzialità. Il passato che è ormai trascorso, il presente che è qui e ora, il futuro che si avvicina, ebbene tutti e tre sono oṁ.
Il praṇava è il Nome, e il paramātma5 è Colui che porta il Nome: i due non sono separati. Sarvaṃ khalvidam brahma Tutto questo in verità è brahman (Chāndogya Upaniṣad 3.14.1)Tuttavia, la consapevolezza dell’immanenza dell’Universale può sorgere nell’uomo solo se la coscienza dell’io viene trascesa; quando l’io scompare, l’uomo è idoneo a conoscere il ‘non-io’ [ovvero l’ātma].[2] Per approfondire il principio del praṇava vengono indicati quat-tro stadi nella disciplina spirituale. Un individuo potrebbe chiedersi come possa l’eterno unico integrale oṁ essere compreso per gradi. Tuttavia, queste fasi hanno lo scopo di facilitare l’identificazione del principio stesso. I quattro stadi sono lo stato di veglia (jāgrat), di sogno (svapna), di sonno profondo (suśupti) e il quarto stato coscienziale (turīya6). Jāgrat significa ‘essere sveglio, conscio, vigilanza esteriore o visione esteriore’. Nello stato di veglia la coscienza è grezza, mentre nei so-gni le impressioni che si riflettono sulla coscienza sono i riflessi del-la Verità.
Nello stato di sonno profondo (suśupti), l’individuo non è affatto conscio, è solo il testimone che solo dopo il risveglio si rende conto di avere dormito bene. In questo caso, la coscienza non è consape-vole di sé stessa; è immutabile, pura consapevolezza (prajñā7) che non ha contatto con il mondo oggettivo né con i sensi, esterni e in-terni. È pura costante integrata Consapevolezza priva di dualità , senza contatto con il mondo oggettivo né con i sensi; è la pura Con-sapevolezza del brahman (prajñānam brahma). L’ultimo stadio è detto turīya, in cui la coscienza è pienamente con-sapevole di sé stessa. La coscienza non può essere riconosciuta co-me tale con alcun mezzo; possiamo cercare di descriverla solo par-zialmente, affermando che è il silenzio che si viene a creare tra un oṁ e l’oṁ successivo, durante la recitazione del praṇava.[3] I quattro stati di coscienza suddetti sono associati alle Divinità Viṣṇu8, Brahmā, Rudra e paramātma. Viṣṇu significa il Divino che è onnipresente. L’universo visibile è pervaso di bellezza, e la bellezza è Dio; poiché l’universo è il corpo di Dio, la Persona Suprema, nelle sacre Scritture Viṣṇu viene descritto anche come ‘Colui che prova piacere negli ornamenti.’ Infatti, l’universo è colmo di armonia, equità e bellezza ed è quindi incantevole e attraente.
In virtù di questo fascino, il mondo fisico o universo attira l’uomo e lo induce a fare vari percorsi e sforzi. I cinque elementi, i cinque sensi, i cinque soffi vitali e altri fenomeni insegnano all’uomo varie lezioni per modellare la sua natura. Pertanto il mondo oggettivo può essere considerato il suo guru o maestro.Viṣṇu è la Divinità che sostiene e nutre, che educa e guida; inoltre è il Protettore del cosmo. Le Scritture insegnano all’uomo a santificare le ore di veglia perché appartengono a Viṣṇu e sono pregne del Principio Divino (viṣṇu tattva), esse esortano l’uomo a evitare azioni malvagie, pensieri impuri, errori e difetti di ogni genere.Durante lo stato di sogno possiamo sperimentare santità e beatitu-dine solo se nel periodo di veglia ci impegniamo continuamente in azioni pure e altruistiche. Nei sogni vediamo vari oggetti, persone diverse e strani mondi. Da dove sono emersi, da chi vengono rap-presentati? Prajñāna Brahma, la suprema consapevolezza, è la base per la creazione di questa varietà di sogni. Brahmā è la Divinità che crea, perciò lo stato di sogno corrisponde alla fase Brahmā della co-scienza, la fase creatrice. Nello stato di sonno profondo, le esperienze acquisite durante le ore di veglia o di sogno non esercitano alcun effetto sull’uomo per-ché vengono cancellate. Rudra, l’aspetto del Divino nel quale il co-smo si fonde alla fine di un ciclo, è associato alla fase di sonno profondo (suśupti).Il quarto stadio, turīya, è lo stato della coscienza atmica. Quando la bambola di sale viene gettata in mare, raggiunge il fondo e si scio-glie. La stessa cosa avviene al ricercatore del Sé: si dissolve e diven-ta uno con quello che si sforzava di conoscere, perciò non può fare ritorno per descrivere quella sua esperienza.
[4] La ‘A’ di oṁ9 è viśva (l’universo), la ‘U’ è taijas (luce), la ‘M’ è prajñā (pura consapevolezza): questa è un’altra interpretazione data dalla sacre Scritture. Viśva corrisponde allo stato di veglia, taijas allo stato di sogno e prajñā a quello di sonno profondo. La ripetizione e la meditazione sulla sacra sillaba oṁ sono molto importanti per gli aspiranti spirituali. I Veda raccomandano la ripetizione del praṇava durante lo studio dei sacri testi, durante la recitazione del nome di Dio, nello svolgere i doveri quotidiani e nel fare donazioni. Inoltre il praṇava è l’essenza di ogni sostegno, è la parte costituente, il fon-damento (rasa). Di tutta la creazione, mobile e immobile, la terra è rasa; della terra, l’acqua è rasa; dell’acqua, il cibo è rasa; del cibo, l’essere umano è rasa; dell’essere umano, la parola è rasa; della parola, il Ṛg (Veda) è rasa; del Ṛg, il Sāma (Veda) è rasa; del Sāma, oṁ è rasa. Questi otto rasa, ovvero la terra, l’acqua, il cibo, l’essere umano, la parola, il Ṛg, il Sāma e oṁ, conducono al nono: ānanda o beatitudine; questi sono i navarasa, le nove essenze, i nove elementi di sostegno. La beatitudine è il traguardo che l’uomo cerca, la meta della vita umana. L’uomo lotta e si sforza in molti modi per conseguire ānanda che è l’apice della felicità, e la cerca con tre diverse modalità secon-do i guṇa10, cioè le qualità innate del ricercatore che possono essere sattviche, rajasiche e tamasiche.
[5] La via sattvica sembra veleno all’inizio ma diventa nettare quan-do raggiunge il coronamento; essa richiede un controllo rigoroso dei sensi di percezione e di azione. Tale disciplina è molto ardua, ma quando si progredisce nella pratica, la gioia aumenta e si ottiene la beatitudine. Altrimenti come sarebbe possibile raggiungere un simile obiettivo senza sottoporsi a sacrifici e privazioni? Le Scritture affermano: ‘Non si può acquisire la felicità attraverso la felicità!’ La gioia può essere conquistata solo passando attraverso la sofferenza e l’infelicità. Il piacere non è altro che un intervallo fra due dolori; per conseguire la felicità sattvica che è positiva e perma-nente, l’uomo deve necessariamente affrontare prove e tribolazioni, sofferenze e privazioni. La via rajasica è dolce nella fase preliminare, ma in seguito scivola nell’afflizione, perché si ottiene la felicità dagli oggetti del mondo materiale per mezzo dei sensi, ma molto presto il piacere si rivela irreale, falso ed estenuante. Una volta iniziato, tale processo continua a perpetuarsi senza pos-sibilità di arrestarlo. Di conseguenza l’uomo diventa troppo debole e insicuro per seguire gli obiettivi stabiliti per lui, vale a dire i pu-ruṣārtha11: dharma (rettitudine), artha (prosperità), kāma (realizzazio-ne dei desideri) e mokṣa (liberazione). Il suo intelletto, l’abilità crea-tiva e le facoltà intuitive diventano inefficienti, tanto che rischia persino di perdere la sua condizione umana. Oggi, la cieca ricerca dei piaceri sensoriali ha provocato questa gra-ve calamità; l’uomo ha dimenticato la sua vera Divinità e ha dedica-to la vita ad attività spregevoli.
Infine abbiamo la via tamasica. Le persone che prediligono questo stile di vita non s’interessano ai problemi del mondo, trascorrono la vita dormendo, traendo gioia dall’indolenza e dall’oscurità.Dei tre percorsi suddetti, l’uomo deve scegliere la via sattvica se vuole giungere al traguardo di ānanda, nonostante le difficoltà, le privazioni, l’infelicità, l’ansia e la fatica; deve sforzarsi di acquisire la consapevolezza del Divino, farne esperienza diretta e rimanere costantemente nello stato di beatitudine.[6] Qual è il significato profondo del termine Bhagavān? Nel purāṇa Śrīmad Bhāgavatam12 (1.2.11) è dichiarato: vadanti tat tattva-vidaḥ tattvaṁ yaj jñānam advayambrahmeti paramātmeti bhagavān iti śabdyateI saggi che conoscono la Verità assoluta chiamano questa Entità non duale brahman, paramātma o bhagavān.13Ciò significa che bhagavān è lo stesso Principio di brahman e pa-ramātma; bhagavān è il supremo, il massimo, il completo. Bha vuol
dire avere prosperità ed essere di buon auspicio; ga significa essere degno di lode e di adorazione. Nel Rāmāyana, bhagavān è descritto in termini chiari: è Colui che sostiene l’universo per mezzo del Suo potere creativo, che crea e supporta la manifestazione, perciò viene detto sambharta o bharta: ‘Colui che eleva, governa e salva.’Bha significa anche luce, splendore; bhagavān è Colui che emana e diffonde la luce, è jyotisvarūpa, la cui natura è luce e splendore. Poi-ché Egli illumina tutte le cose e gli esseri, sempre e ovunque, è bha-gavān.[7] Quando abbiamo bisogno della luce? Non durante il giorno, ma è di notte che ci serve una lampada, una candela o la luce della lu-na. Allo stesso modo, finché non siamo illuminati dalla saggezza, abbiamo bisogno di praticare la disciplina spirituale. Finché non fa-remo esperienza del Divino, Uno e unico, dobbiamo accettare e pra-ticare la disciplina, il controllo e le limitazioni. L’ignoranza è la notte, la conoscenza è la luce. Ci sono nove ‘lam-pade’ che illuminano la mente e la liberano dall’oscurità, vale a dire i nove sentieri di devozione: l’ascolto (śrāvaṇa); i canti devozionali (kīrtanaṃ); ricordare Dio (viṣṇusmaraṇa); servizio offerto ai Piedi del Signore (pādasevana); inchino o prostrazione (vandana); adorazione (arcana); l’atteggiamento di servo dedito e fedele verso Dio (dāsya); l’amicizia verso il Signore (sneha); la completa resa di sé stessi alla Volontà del Signore (ātmanivedana).Pertanto dovete sforzarvi di modellarvi per diventare strumenti idonei a compiere il pellegrinaggio spirituale.
[8] Ci sono quattro categorie di persone: chi è attento ai propri difet-ti e alle virtù in cui gli altri eccellono (i migliori); chi mette in risalto i propri pregi come pure i meriti degli altri (categoria di mezzo); chi mette in evidenza solo le sue eccellenti qualità e solo i difetti degli altri (i non buoni); infine chi presenta i propri difetti come pregi e i meriti altrui come difetti (i peggiori). Ognuno potrà scoprire da solo a quale gruppo appartiene.Ricordate il seguente ammonimento: se desiderate ardentemente essere consapevoli della completezza, della sacralità, dell’amore di-vino, del Sé, del Bhagavān, dovete prepararvi e far parte del primo gruppo che è il migliore, ovvero scoprire i vostri difetti e vedere so-lo l’eccellenza negli altri: questa disciplina è la più auspicabile.Oggi l’uomo soffre perché è immerso nel mondo materiale, e non pratica una disciplina costante che corregga la sua visione. Possono forse dieci docce al giorno ripulire una persona la cui mente è con-taminata da pensieri malvagi? La testa rasata e la tunica color ocra possono forse promuovere la spiritualità, se la mente è piena di de-sideri e bisogni? Potete tenere un buon dolce davanti a voi, ma se non lo mettete in bocca per mangiarlo la fame non verrà soddisfat-ta. Perciò sviluppate un sincero anelito, purificate la mente e i pen-sieri e mettete in pratica gli insegnamenti ricevuti. Nel vedānta, questo metodo è detto karma mārga, la via dell’azione. Non c’è frutto senza fiore, non c’è devozione senza karma. Il frutto matura e diventa dolce, la devozione matura nella saggezza; perciò come prima cosa dobbiamo svolgere attività buone con intenzioni pure. [9] Una disciplina che oggi viene praticata su larga scala è la medi-tazione, ma quest’ultima non è conforme ai principi della cultura bhāratīya14. Se la mente non è purificata, la meditazione non potrà mai raggiungere l’unione con il Divino. Com’è possibile costruire una casa senza mattoni e malta?Oggi molti affermano che potete avere successo nella meditazione se la praticate quando avete un po’ di tempo, qualunque siano le vostre abitudini e inclinazioni, indipendentemente dai sentimenti e dai pensieri che albergano in voi e dalla via che seguite. Ma un con-siglio del genere non è corretto. Se uno volesse rimanere tranquillo per un po’ senza essere turbato dalla paura e dall’ansia, potrebbe darsi al bere o all’uso dell’oppio.La meditazione invece deve avere obiettivi ben più elevati e qualifi-che più severe, altrimenti la cultura indiana potrebbe subire gravi danni. Innanzi tutto è necessario coltivare le virtù, avere buoni pen-sieri e promuovere la natura divina dell’uomo.Molti vengono da Me disperati e supplicano: “Svāmī, non ho pace. Dammi la pace!” Ma la pace non si ottiene dal mondo esterno, deve essere cercata all’interno, nel cuore. Desideri malvagi generano infe-licità, mentre desideri benefici danno gioia. Rinunciare ed eliminare il desiderio assicura la pace. Se nella mente i desideri si moltiplica-no, com’è possibile ottenere la pace? Al termine dei bhajan e della meditazione, voi ripetete tre volte śānti invocando la pace per il corpo, la mente e lo spirito. Ma solo la consapevolezza dell’ātma, che è la realtà di tutti può conferire la pace.Un solo seme di mango viene piantato: la pianta produce migliaia di frutti e in ogni frutto troverete lo stesso seme. Il medesimo Sé è quindi in ogni essere.
Il Signore è il seme che si è manifestato come migliaia di semi. Egli ha dichiarato:ekohaṃ bahusyām15Sono Uno, siano i molti.(Chāndogya śruti 6.2.1-3)Se ammettiamo differenze e distinzioni a causa della nostra igno-ranza, saremo tormentati dalla paura e la pace scomparirà. Se l’uo-mo è pieno di dubbi e non crede al fratello, come può la pace trion-fare? Oggi la mente umana è incline al male, mati (mente) è diventa-ta durmati (mente malvagia).[10] L’anno che ha inizio oggi, domenica, è detto durmati e molti temono che il male possa aumentare. L’anno inizia con il giorno [domenica] dedicato al Sole che è, secondo gli antichi testi di astro-logia, il re per i prossimi dodici mesi. Il Sole è anche il Signore dei popoli, il Signore delle nubi portatrici di pioggia e delle erbe officinali. Inoltre la Luna è il Suo ministro; poiché la Luna non possiede una propria fonte di luce ed energia, il re e il ministro si muoveranno insieme amichevolmente, perciò sarà un anno felice e prospero.Ma indipendentemente da quello che l’astrologia può indicare, voi dovete dirigere la mente (la luna) e l’intelletto (il sole) a percorrere una via propizia di pace e prosperità. Grazie alla pratica spirituale, potrete correggere i vostri difetti, promuovere in voi le buone qualità e assicurare pace a voi stessi, alla società e al Paese.
Pregate ogni giorno per il bene di tutto il mondo:lokā samasta sukhino bhavantu16Possano tutti gli esseri del mondo essere felici.Questo è il Mio messaggio per l’Anno Nuovo!17
Praśānti Nilayam, 05.04.1981