3 Ottobre 1981 – Fede nella meta

3 Ottobre 1981 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Fede nella meta

Quando tutti i desideri sono esauditi, Dio è amato, adorato e ringraziato; se un desiderio non viene esaudito, Dio viene rinnegato, abbandonato e respinto!

[1] Le Scritture dichiarano che il kali yuga, l’attuale Età del Ferro, è molto favorevole alla salvezza dell’uomo che può raggiungere il Supremo attraverso il pensiero e il ricordo di Dio e del Suo Nome. Pertanto di tutte le ere, l’attuale è definita la più santa e benefica. Nell’Età dell’Oro (kṛta yuga) era necessario praticare la meditazione per ottenere la liberazione; nell’Età dell’Argento (tretā yuga) biso-gnava sottoporsi a penitenze e austerità, e nell’Età del Bronzo (dvāpara yuga) occorreva eseguire vari riti di adorazione. Agli uomi-ni dell’era attuale è prescritto il semplice rimedio della ripetizione e consapevolezza costante del Nome del Signore. Tuttavia, è un vero peccato che gli uomini ignorino questa semplice disciplina e spre-chino la loro esistenza in modo sterile e vano. [2] Se non rinunciate, non potrete ottenere: questa è la regola della vita. Persino l’acquisizione di cose banali implica qualche rinuncia.

Per conseguire il più prezioso dei beni, la consapevolezza dell’ātma, bisogna pagare qualcosa, non è gratuito. Per ottenerlo è necessario rinunciare ai piaceri dei sensi, ma pensate forse che sia un prezzo troppo alto? In realtà, ciò a cui rinunciate non è affatto un piacere poiché è carico di sofferenza. Non volete rinunciare al dolore per avere in cambio la gioia, al male per ottenere il bene, alla diversità per conquistare l’unità, ai molti per realizzare l’Uno? Dovete sforzarvi di vincere la battaglia contro i capricci e gli ingan-ni dei sensi. Concentrate tutte le vostre risorse fisiche e mentali per ottenere il successo, e colmatevi di grazia dedicando le vostre capa-cità al raggiungimento di propositi sacri e divini. Qualsiasi attività viene compiuta in vista di un traguardo, di una meta. Sia per andare al mercato sia per recarsi a scuola c’è un fine. Pertanto, se tali azioni momentanee e di breve durata sono finaliz-zate a raggiungere un obiettivo, com’è possibile trascorrere sessanta o settant’anni sulla terra senza avere uno scopo a cui mirare? Avere un fine dà sapore all’esistenza. Quando le lenticchie mancano di sa-le voi le rifiutate, però vivete faticosamente per anni e anni condu-cendo un’esistenza scialba e insipida, senza aggiungere sale alle lenticchie, vale a dire senza associare Dio alla vostra vita. L’uomo si ‘monta’ se è lodato, e si ‘smonta’ quando è biasimato; ma per un devoto, per chi ha fiducia in Dio reazioni simili sono un se-gno di debolezza. L’uomo deve sopportare sia la lode sia il biasimo, il successo e il fallimento, il piacere e il dolore. Egli deve diventare stabile e imperturbabile come la cima del monte Meru1.

Una volta accolti i desideri, ne diverrete schiavi ed essi non avranno più fine. Quando li avrete esauditi, altri vi assaliranno e vi lasce-ranno sempre insoddisfatti. Diventate quindi consapevoli della vo-stra Divinità interiore e date ai desideri il posto che spetta loro. L’ātma in voi non è toccato dai desideri, dalla sconfitta né dalla vit-toria, che sono soltanto nuvole passeggere, come il sole non si preoccupa affatto del loro andare e venire. [3] Tutti conoscono il poema Rāmāyaṇa, in cui si parla della foresta ‘Daṇḍaka’, fitta, oscura e spaventevole per il risuonare dei ruggiti delle fiere e per le terribili orde di demoni, fra i quali Śūrpanakhā2 e Khara, che la infestavano. In alcune zone di quella foresta sorgeva-no gli eremitaggi di alcuni ṛṣi, i Saggi veggenti che conducevano una vita centrata su Dio, pura e non contaminata dall’egoismo. In quella stessa foresta giunsero un giorno, da esiliati, il Principe Rāma e la sua sposa Sītā, accompagnati dal fratello del Principe, Lakṣmaṇa. Essi trascorsero alcuni giorni con i grandi Saggi, Aga-stya e Śarabhaṅga, e in quell’occasione fecero visita anche alla ca-panna di Śabarī3, la quale conduceva una vita ascetica. Lo scopo della visita di Rāma in quella regione era la distruzione dei demoni e il ripristino della pace, in modo che i Saggi potessero continuare indisturbati le loro pratiche spirituali e i loro riti. Questo è solo un piccolo sunto del poema epico, ma dov’è esatta-mente la foresta Daṇḍaka? Per trovarla non dovete cercare sul-

l’atlante né sfogliare i libri di storia, perché essa rappresenta il cuore di ciascun uomo. I sentimenti cattivi rappresentano i demoni, quelli buoni rappresen-tano i saggi; Rāma incarna la facoltà di discernimento (viveka) del-l’intelletto, mentre Sītā e Lakṣmaṇa simboleggiano i livelli superiori della consapevolezza: sujñāna4 e prajñāna5. Rāma fa cessare i senti-menti e i pensieri cattivi favorendo quelli buoni. Egli è l’imperatore di Ayodhyā6, nome che significa ‘inespugnabile, senza nemici’; ciò significa che, una volta insediato Rāma nel cuore, nessun sentimen-to o pensiero meschino e dannoso può invaderlo. Il santo Tyāgarāja7 era solito cantare: “O mente, medita su Rāma con la completa con-sapevolezza di ciò che Egli rappresenta!” [4] Quando parlo, potete udire quello che dico per mezzo del micro-fono e degli altoparlanti: voi ascoltate l’altoparlante, ma l’oratore sono Io. Analogamente, quando la vostra lingua pronuncia le paro-le, in verità è l’ātma a ispirarle e a formularle. Il proprietario siede nella sua vettura e va in viaggio. La macchina, cioè il corpo, ha quattro ruote che sono piene d’aria e poggiano a terra. Queste quattro ruote sono gli obiettivi dell’esistenza umana

(puruṣārtha8), ovvero dharma o rettitudine, artha o ricchezza, kāma o desiderio, mokṣa o liberazione. La fede è l’aria nei pneumatici che vi fa viaggiare senza problemi, la quale deve essere uguale e costante in tutte le quattro ruote. Il volante che è all’interno dell’auto guida le ruote all’esterno: il vo-lante è la mente. Il cibo e le bevande che assumete sono il carburan-te per l’auto, e la lingua è il clacson. Con questa macchina (o corpo) state transitando lungo la strada del saṃsāra9 con i suoi alti e bassi. Prendete coscienza che la Persona al volante è Dio, ed Egli vi condurrà felicemente a destinazione. Ab-biate fede in Lui e liberatevi dalla paura, dall’ansia e dall’agitazio-ne. Arrendetevi a Lui e la Sua grazia vi salverà. La Sua saggezza v’illuminerà e il Suo potere vi farà superare tutti gli ostacoli. La fede e l’abbandono sono la manifestazione della devozione e ga-rantiscono pace e gioia sia a voi sia a tutta l’umanità.

Praśānti Nilayam, 3.10.1981