27 Ottobre 1982 – L’ultimo conseguimento

27 Ottobre 1982 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L’ultimo conseguimento

Quando sulla terra l’uomo pratica ciò che dice non è soltanto uomo, è un’anima nobile. Quando l’uomo non pratica ciò che dice non è più uomo, è solo una bestia.

[1] La terra di Bhārat ha cercato di assicurare alle nazioni pace e si-curezza per molte generazioni promuovendo la crescita spirituale. L’India stessa è stata un esempio di virtù per gli altri. ‘Possano tutti i mondi essere felici’ – è la preghiera vedica che risuona da tempi immemori in tutto il globo. I santi, i re, gli studiosi e molte donne dell’antichità dedicarono le loro esistenze a risolvere i problemi fondamentali che affliggono l’uomo e patrocinarono il benessere del mondo, accogliendo il sacrificio quale loro dovere e destino. Tuttavia a causa del degradato ‘spirito del tempo’, il proprio torna-conto e l’interesse personale hanno inquinato i pensieri, le parole e le azioni dell’uomo, che si comporta come se persone e cose debba-no essere amate e ricercate solo perché gli tornano utili. Questo è un esempio di amore egoistico. Spronato dal desiderio, l’uomo pianifi-ca e si prefigge di realizzare tutto ciò che desidera. L’esistenza
umana è un processo, durante il quale l’individuo attende solo di mietere il raccolto dei desideri che ha seminato. Il desiderio deve mirare non al proprio benessere, ma alla pace, alla felicità e alla prosperità di tutti. Solo allora potrà realizzarsi la preghiera vedica sopra citata. [2] Il tempo è uno specchio che ci mostra le nostre fantasie e attra-zioni, non ha preferenze né stravaganze, non ha idee proprie né condivide quelle degli altri. La felicità o il dolore che il tempo ci presenta è solo il riflesso delle nostre stesse azioni, buone o cattive. Tale riflesso può apparire sullo specchio subito o più in là nel tem-po. Un seme ci mette vari anni per trasformarsi in un albero e ne impiega ancora alcuni per dare frutti. Ogni azione è paragonabile a un seme che, inevitabilmente, darà dei frutti dolci o amari che l’uomo dovrà mangiare traendone gioia o dolore. Per questa ragio-ne, ogni individuo deve decidersi a fare il bene, vedere il bene, ascoltare ciò che è bene ed essere buono. La bontà, la benevolenza è la vera natura dell’uomo, mentre le tendenze malvagie sono innatu-rali e sono imposte dalle circostanze. Per sua sfortuna, l’uomo accet-ta volentieri quanto le circostanze hanno apportato, ma ignora il nucleo della sua natura. Deve avere fede nel Divino che è presente in tutto, sempre e ovunque.

I Veda proclamano:

oṁ pūrṇam adaḥ pūrṇam idaṁ pūrṇāt pūrṇam udacyate ।pūrṇasya pūrṇam ādāya pūrṇam evāvaśiṣyate ॥1Oṁ

Quello è pieno questo è pieno. Dal pieno emerge il pieno. Quando il pieno viene preso dal pieno, il pieno resta pieno.

‘Quello’ è interamente divino. ‘Questo’ è interamente divino. Dal totalmente Divino è emerso il totalmente Divino. Quando il total-mente Divino è preso dal totalmente Divino, quello che resta è to-talmente Divino. ‘Quello’ significa ciò che è lontano, distante. In questo mantra il termine ‘Quello’ indica l’Entità che è al di fuori della portata degli organi umani di percezione. Il termine ‘questo’ significa invece il mondo oggettivo, visibile e percettibile attraverso i sensi e soggetto a esperienze. Anche ‘questo’, dunque, è divino come tutto il resto. [3] Le caratteristiche di Dio sono: asti (essere, esistere), bhāti (splen-dere di luce interiore), priyam (che dà gioia); tali qualità equivalgo-no a sat-cit-ānanda (essere, consapevolezza, beatitudine). Le tre ca-ratteristiche del Divino si trovano in tutto, mentre il nome e la for-ma sono transitori e soggetti al mutamento. Questo bicchiere d’argento può essere trasformato in una tazza, in un piatto o anche in un lingotto, mentre l’argento è, è conoscibile, è piacevole: in altri termini esso è asti bhāti priyam. Una zolletta di zucchero di canna è dolce, ma anche un solo pizzico preso da quella zolletta è dolce quanto l’intera zolletta; infatti, entrambi sono total-mente dolci e pienamente derivati dallo zucchero di canna. Analo-gamente, il cosmo che Dio ha proiettato è divino, l’universo è Brahman: nulla esiste al di fuori, al di là di Dio. Questo è Verità poi-ché Quello è Verità. Questo è vero quanto Quello. Nessuno può asserire che questo non possa mutare o che quello debba cambiare. Un individuo decide attraverso la sua limitata esperienza che questo è male e quello è bene, ma poiché tutto è ugualmente divino, tale distinzione non è reale. [4] Che cosa è il Divino esattamente? Quali sono le Sue caratteristi-che? Come può essere definito? Nessuno ha l’autorità di indicare gli
attributi che caratterizzano la Divinità, le azioni attraverso le quali la Divinità possa essere identificata, e la forma con cui il Divino possa essere riconosciuto; nessuno ha l’autorità di affermare che nessun altro attributo, attività o forma possano essere divini. È pura sfrontatezza e stupidità fare dichiarazioni sulla natura e sulle opere di Dio. Se la Divinità è immanente in tutto, cosciente e inconscio, in ogni forma dell’essere e del divenire, come può una cosa essere di-chiarata cattiva o giudicata buona? Per esempio, l’acqua placa la sete ma può anche far annegare un uomo. Il fuoco offre calore e luce, ma può anche bruciare e ridurre tutto in cenere. Il suono può creare terrore ma anche emozione: tutti e tre gli elementi sono divini. Dio è insondabile, la volontà divina è sempre libera e nuova. Dio non ha egoismo, orgoglio, cupidigia né invidia; invece voi soffrite di questi mali, perciò i vostri giudizi so-no limitati e distorti. Dio può operare come vuole e più gli piace perché non ha desideri né bisogni. Ogni cosa deve mantenere la sua genuinità intrinseca, se la perde si degenera. Se il fuoco perde la sua capacità di ardere, diventa freddo carbone. Se lo zucchero perde la sua dolcezza innata non è più zuc-chero. Dio può essere identificato con il calore del fuoco e con la dolcezza dello zucchero. Voi potete negare Dio o confermarlo, e ciò dipende dal vostro stato d’animo predominante, ma Dio è in tutti, Dio è tutto; potete accetta-re o rifiutare, ma il Divino adotterà tutti i mezzi che vuole per fare rivivere il rispetto per le Scritture e l’osservanza della moralità. Non otterrete niente se mettete in discussione i Suoi metodi ed esprimete le vostre opinioni al riguardo; dovete solo coltivare la fede ed esul-tare. [5] Il nome di Dio ‘Viṣṇu’ significa ‘Presente ovunque.’ Alcuni po-trebbero chiedere come mai non lo possono vedere. Ma possiamo
forse vedere l’aria che ci circonda? No. Allora possiamo affermare che l’aria non esiste? Si dice anche che Dio sia più piccolo della cosa più piccola e più vasto della cosa più vasta. Ecco come la Taittirīya upaniṣad descrive Dio: ‘Non c’è nulla di più grande e nulla di più piccolo di Quello.’ In accordo con questa di-chiarazione, il Santo Tyāgarāja era solito cantare: ‘Oh Rāma, Tu sei in tutto come Brahma, Śiva e Keśava.’ Anche i Veda lo descrivono come ‘Il più lontano e il più vicino.’ Ecco un esempio per chiarire il concetto: anche se una persona che amate si trova in America, il vo-stro affetto la tiene vicino a voi, mentre sentite distante il vostro vi-cino che per voi è un nemico o un estraneo. In realtà è la mente che respinge e avvicina, che ama e odia. Voi siete ciò che sentite. Pren-dete Me come esempio. Io sono sì per coloro che dicono sì, sono no per coloro che dicono no. Sì e no sono solo parole che voi pronunciate. Per Sai è sempre sì, sì, sì. A causa dell’attaccamento al corpo nel quale siete racchiusi, l’egoi-smo si radica profondamente in voi, e in tal modo non credete al-l’esistenza dell’ātma. Un proverbio Telugu dice: ‘Quando il latte che bolle tracima, si versa nel fuoco.’ La lezione che vuole trasmettere è: ‘L’orgoglio riduce l’individuo in cenere.’ L’umiltà può essere co-struita unicamente sulle fondamenta della carità e del distacco. Il sacrificio conferisce all’uomo la gioia più grande. Colui che è sem-pre pronto a sacrificare le sue comodità per il bene del prossimo è un vero devoto. La gente si aggrappa tenacemente al lusso, agli agi e a una vita di alto livello. Ma quanto può durare tutto ciò? Non potete fare una gara di corsa se avete di fronte una montagna. Il mondo è vincolato dal tempo e dallo spazio, e anche la vostra permanenza qui è per un
periodo limitato. Ricercare la felicità nel mondo oggettivo è stupido e insensato quanto raccogliere gocce di rugiada dalle foglie del loto scambiandole per diamanti, o come entrare a guado nei miraggi con la speranza di raccogliere dell’acqua con i secchi. La vera gioia può essere conferita solo da Dio attraverso l’ubbidienza alle leggi e alle direttive divine. [6] Durante l’esilio di Rāma, Sītā e Lakṣmaṇa nella foresta, un gior-no accadde che Sītā vide un cerbiatto dal manto dorato e ne rimase affascinata, tanto da pregare Rāma di andare a catturarlo e di por-targlielo. Rāma partì dall’eremitaggio incaricando Suo fratello Lakṣmaṇa di vigilare attentamente e di non lasciare mai Sītā da so-la, per nessun motivo. Il cervo dorato era un tranello escogitato da Rāvaṇa affinché Rāma si allontanasse dal romitaggio, in modo da potere rapire Sītā. Il cer-vo, che era il demone Marīca che si era trasformato e aveva assunto quella forma, gridò imitando la voce di Rāma che chiedeva al fratel-lo di correre in Suo soccorso. Udendo quelle grida, Sītā pensò che Rāma fosse ferito, così disse a Lakṣmaṇa di andare a soccorrerlo. Lakṣmaṇa conosceva Rāma troppo bene per essere spaventato ed era un vero servitore del Signore, perciò non si mosse secondo l’or-dine del fratello. Quando per la seconda volta si udirono quelle grida, Sītā non riuscì a contenere la sua collera per l’intransigenza di Lakṣmaṇa e usò del-le parole irripetibili per convincerlo a disobbedire agli ordini di Rāma: “Stai forse tramando di possedermi quando Rāma sarà mor-to?” Lakṣmaṇa non poté tollerare una simile accusa, si allontanò dalla capanna lasciando Sītā sola, e si diresse verso il luogo da cui proveniva la voce. Così accadde ciò che doveva accadere. Quando i due fratelli tornarono, l’eremitaggio era deserto e Sītā era stata rapi-
ta. Quindi Rāma disse al fratello: “Tu hai disubbidito ai Miei ordini, perciò si è verificata una simile tragedia.” Qualunque cosa accada, per quanto critica possa essere la situazio-ne, dovete sempre svolgere pienamente e correttamente il dovere assegnatovi. Qualunque sia l’entità della catastrofe che incombe, non si deve cedere. Lakṣmaṇa si pentì di quell’errore per il resto della sua vita. [7] Potrebbe sorgere una domanda circa il cerbiatto dorato. Rāma non sapeva che era un tranello, che il cervo era, in realtà, un demo-ne che aveva assunto quella forma incantevole per aiutare Rāvaṇa nel suo piano malefico? Certo che lo sapeva. Egli sapeva che quel-l’episodio era il prologo che avrebbe portato al compimento della missione per cui si era incarnato. Avrebbe potuto portare via Sītā da Laṅkā (Ceylon) e ridurre l’isola in cenere in un istante. Invece, ac-cettò Sugrīva come Suo alleato e prese varie iniziative per recupera-re Sītā e punire Rāvaṇa. Il Signore è libero di scegliere in che modo agire per promuovere il bene del mondo, per ripristinare la rettitudine fra gli uomini e di-struggere i malvagi. Le persone che non conoscono le vie del Signo-re non possono comprendere. Dio può, di Sua spontanea volontà, impegnarsi in attività che servono da ideale e guida per l’umanità. Se Rāma non avesse ideato il dramma del cervo dorato e il rapi-mento di Sītā, come avrebbe potuto la devozione di Hanumān ac-quisire fama eterna? Prendete per esempio l’avatār Kṛṣṇa. Ci sono motivi per dubitare della Sua Divinità e sospettare che sia stato un ladro, un bugiardo o un galante? Dio non ha pregiudizi o parzialità, preferenze né avver-sioni. Dato che Egli è il tutto, cosa potrebbe mai rubare? Chi potreb-be desiderare o possedere? Tali accuse provengono da individui che soffrono di avidità, invidia e lussuria. Voi prima dichiarate che Dio
è Uno, è verità, purezza, stabilità, è onnisciente, il testimone, che trascende sentimenti e impulsi ed è esente dai tre guṇa, ma un mo-mento dopo siete pronti ad attribuire allo stesso Dio passioni e di-fetti. Come potete allora comprendere le Sue azioni? Invece, dovrete accettarle con gioia e gratitudine, poiché qualunque cosa sia fatta o non fatta, tutto è per il bene del mondo.Quelli che definiscono Dio parziale o ingiusto stanno solo descri-vendo loro stessi. Molti affermano che Dio sia presente nella formi-ca come pure nel cosmo; perciò adorano le formiche e depongono davanti ai formicai dei chicchi di riso, ma se una formica è così au-dace da pungerli, viene uccisa immediatamente. Le qualità animali che albergano nell’uomo lo dominano a tal punto che egli non rie-sce a controllarsi, e quindi non agisce in conformità alle sue parole. Solo l’amore può rivelargli che c’è una scintilla del Divino in lui. [8] Non dovete costruirvi un’immagine di Dio che risponda ai vo-stri bisogni e criteri, e poi lamentarvi che Dio non sia conforme. Dio è onnipotente, onnisciente e pervade tutto. Pertanto come possono essere stabiliti dei limiti per Lui? Sarebbe folle e insensato giudicar-lo, e sarebbe peccaminoso imputargli dei difetti. Le tendenze mal-vagie, le attitudini e le abitudini nocive che persistono da molte vite e che continuano anche nella vita attuale inducono molti a trarre conclusioni del genere; ma nessuno ha l’autorità di stabilire delle norme per regolare le opere di Dio. Dio è immanente in ogni essere vivente e in ogni cosa inanimata. Non si possono fare delle differenze poiché tutti sono Dio. Al fine di conferire felicità e consentire all’uomo di gioirne, Dio fa degli scherzi, crea e dirige la grande commedia. Egli è Colui che causa le lacrime e le asciuga, che infligge la pazzia e la cura. Egli allontana la bramosia per la fama e la ricchezza e infiamma la passione per Dio e la Sua grazia.

[9] Oggi è il giorno di pūrṇāhuti, vale a dire che con l’offerta finale deposta nel fuoco sacro siamo giunti alla conclusione del rito sacri-ficale, durato sette giorni. Samāpti è il termine che significa ‘conclusione.’ Questa parola, però, possiede un significato più profondo: āpti sta per conseguimento di sama, equanimità o equilibrio; come il fiume confluisce nell’oceano, così il sé individuale si fonde nel Sé supremo, il jīvi si unisce al Brahman. Quando raggiunge l’oceano, il fiume perde il suo nome e la sua forma, le acque perdono il loro sapore e il loro corso. Tutte le vostre azioni devono essere al livello di yajña, cioè di offerta a Dio. Questo deve essere l’obiettivo da raggiungere, il fine supre-mo senza aspettarvi o desiderare altro. Quando l’offerta giunge a Dio, allora l’individuo conseguirà la massima gioia poiché Dio è in lui.

Vijaya daśamī2, 27.10.1982