22 ottobre 1982 – La Voce di Dio

22 ottobre 1982

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La Voce di Dio

Il paradiso non si trova nell’alto dei cieli, bensì qui, nel mondo degli uomini. Quando un individuo conduce una buona esistenza, per lui il mondo diventa il paradiso stesso.

Incarnazioni dell’amore!

[1] I Veda sono la voce dei ṛṣi, i quali hanno percepito intuitivamen-te la verità e sanno vedere il passato, il presente e il futuro; sono esenti da ogni attaccamento, ed è proprio grazie a tali veggenti be-nedetti che la Voce di Dio viene rivelata al mondo. Questa rivela-zione è la dimostrazione della verità intrinseca al Divino. I Veda sono quattro, ma sono stati suddivisi in sette raccolte o saṃhitā, di cui tre sono le più rilevanti: Ṛg, Sāma e Atharvana. Il termine saṃhitā significa raccolta di mantra. Dai saṃhitā derivarono tre tipi di testi sacri: i brāhmaṇa, gli āraṇyaka e le upaniṣad. I brāhmaṇa riguardano la scienza della Realtà Suprema sotto forma di mantra; questi mantra si riferiscono agli yajña (riti sacrificali) e

yāga (offerte). Il primo obiettivo dei brāhmaṇa è insegnare le regole relative agli yajña e descriverne l’esatta esecuzione. Fra i brāhmaṇa, le sezioni più conosciute sono aitareya, taittarīya, śātapatha e ṣaḍviṃśa brāhmaṇa. Esiste una stretta connessione fra i brāhmaṇa e i saṃhitā. I primi hanno lo scopo di consentire agli officianti di realizzare i loro desideri recitando mantra specifici rivolti a Dio per ottenere la Sua grazia. I brāhmaṇa sono in relazione con i conseguimenti che si ot-tengono nel mondo materiale e in quello celeste, ma non insegnano come realizzare Dio; infatti, tutti i desideri umani sono relativi al mondo e sono associati alle attrazioni e alle avversioni. [2] Parliamo ora degli āraṇyaka. Questi testi contengono principal-mente i mantra tratti dai brāhmaṇa, ma in essi si trovano anche pas-saggi di prosa e poesia. Poiché i mantra contenuti negli āraṇyaka erano studiati e recitati da chi intendeva recarsi nelle foreste e con-durre una vita ascetica da anacoreta, questi testi esoterici erano chiamati āraṇyaka che significa appunto ‘libri delle foreste.’ Nell’an-tichità, i ṛṣi erano soliti vivere nelle foreste e dedicarsi alla continua recitazione dei mantra divini, che sono conosciuti anch’essi come āraṇyaka. Anche l’aitareya e la taittarīya upaniṣad fanno parte dei libri āraṇyaka. Il terzo gruppo di testi sacri sono le upaniṣad. La completezza della vita di un uomo è indicata dalla realizzazione dei quattro obiettivi dell’esistenza che sono: la rettitudine, la ricchezza, il desiderio e la liberazione. L’educazione è di due tipi: la prima è la conoscenza se-colare (apara vidyā) e l’altra è la conoscenza dell’Eterno (para vidyā). Il Ṛg, Yajur e il Sāmaveda sono inerenti alla conoscenza secolare, e aiutano l’uomo a capire come realizzare i quattro obiettivi della vita umana e a comprendere la natura divina di Dio, ma non possono condurlo a Dio.

[3] Per realizzare Dio occorre attraversare quattro stadi. Il primo è vedere Dio, ubbidire ai Suoi ordini, servirlo e abbandonarsi a Lui senza riserve (sālokya); il secondo è bearsi della Sua forma divina (sārūpya); il terzo è la vicinanza al Divino (sāmīpya), e il quarto è l’unione con Dio (sāyujya). Quando il devoto raggiunge lo stadio della vicinanza, quello finale dell’unione con il Divino non è molto lontano. Come il Gange non torna indietro quando raggiunge il ma-re, così anche il devoto che fa esperienza della vicinanza a Dio non farà marcia indietro. I quattro Veda consentono all’uomo d’acco-starsi alla Divinità, ma sono le upaniṣad che lo mettono in grado di conseguire l’unione con il Divino. Le upaniṣad sono la testimonianza delle esperienze mistiche e del-l’estasi dei ṛṣi che percepirono la Realtà e ne gioirono. Nelle upa-niṣad si trovano anche le regole su come le stesse debbano essere re-citate, perché solo se la pronuncia, il suono e la metrica sono corret-ti, saranno conferiti i risultati ambiti. Esistono otto modi per recitare i mantra delle upaniṣad: jata, ghana, māla, śikhā, rekhā, dhvaja, daṇḍa e rādva. Di questi otto, jata e daṇḍa sono i più importanti, gli altri sei sono unicamente delle loro varia-zioni. Il metodo detto jata è essenziale per officiare i sette riti sacrifi-cali pāka yajña, i sette riti havis yajña e i sette soma yajña. Questi ven-tuno yajña sono in relazione con i cinque sensi di azione, i cinque sensi di percezione, i cinque tanmātra (i cinque elementi sottili alla base dei sensi), i cinque praṇa o soffi vitali e il principio dell’ego. Ogni rito, dunque, è in relazione con un senso. I testi sacri come i brāhmaṇa, gli āraṇyaka e le upaniṣad sono validi aiuti per controllare i sensi.[4] Anche se nei loro mantra sono citate diverse Divinità, è sempre e solo l’Uno, il Supremo, che viene invocato con nomi differenti per scopi diversi. Quando si desidera chiedere a Dio la grazia della pioggia, bisogna invocare Indra, mentre Varuṇa è invocato per un altro scopo. Se si recita il mantra mṛtyunjaya, con questo non s’inten-de conquistare la morte (come comunemente si crede), bensì evitare una morte prematura o innaturale. Dovete sapere che ogni Veda ha l’obiettivo di rendere la vita del-l’uomo sacra e positiva. L’esistenza umana è transitoria, ma nono-stante ciò bisogna utilizzare il tempo che abbiamo a disposizione per adempiere propositi sacri e realizzare Dio. I Veda hanno il pote-re di consentire all’uomo di trasformare la sua vita e renderla su-blime. Dall’alba al tramonto, ogni uomo, che ne sia consapevole o no, compie i doveri prescritti dai Veda. Ogni azione è governata dalle ingiunzioni vediche, ma se le azioni sono eseguite compren-dendone la finalità, solo allora la loro vera natura sarà riconosciuta. Analogamente, ogni atto sacrificale è inteso per propiziare il Divi-no. [5] Durante il rito si versa nel fuoco sacro il burro chiarificato. Il burro si ottiene dal latte, il quale proviene dalla mucca. Il termine sanscrito go, che significa mucca, non intende solo l’animale ma an-che i Veda, la terra e la regione del cuore. I ṛṣi dell’antichità dimo-strarono che il termine go rappresentato dai Veda è lo stesso go che rappresenta la mucca. Lo Yajurveda ingiunge di proteggere la muc-ca perché è un animale che si nutre di cibo sattvico e possiede quali-tà virtuose. Ogni bhāratīya (abitante dell’India) deve comprendere il significato profondo dei mantra vedici. Coloro che sono nati nella terra dei Veda ma non ne comprendono il significato e l’importan-za, sviliscono loro stessi e perdono la stima degli stranieri. La nostra intera esistenza è legata ai Veda! Ogni giorno della nostra vita deve essere considerato uno yajña, un rito sacrificale, e ogni parola che pronunciamo deve diventare un mantra.

Praśānti Nilayam, 22.10.1982