2 Ottobre 1981
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La disciplina dell’Amore
O mente folle! Perché nella tua gloriosa ricerca della visione di Dio erri in ogni luogo? Egli è dentro di te. È lì che lo devi cercare!
[1] Il Principio atmico, il Principio Divino e il Principio brahman sono soltanto sinonimi per indicare l’Uno. I Veda, che contengono le prime domande dell’uomo, asseriscono che egli cercava soprattutto la risposta a un interrogativo: ‘Che cosa?’ (kim). Cos’è il segreto di tutto il mistero dei molteplici avvenimenti e delle impressioni? C’è una Persona o c’è solo l’Impersonale, è dotato di attributi o è privo di caratteristiche e motivazioni? Ha una consapevolezza o è sempli-cemente meccanico e automatico? L’indagine dell’uomo procedeva con questi criteri. Quando poi da molte direzioni giunsero varie risposte a tali do-mande, sorse un altro interrogativo: ‘Quale?’ (yat). Quale tra queste ipotesi è quella giusta? Infatti era difficile, anzi impossibile, descri-vere la verità a parole o persino ridurla a un’immagine a uso della propria fantasia. I saggi ricercatori arrivarono alla conclusione che il
Principio Assoluto (brahman) può essere descritto solamente come: ‘Quello da cui il cosmo è nato, Quello da cui è sostenuto, Quello nel quale il cosmo si dissolve.’ Tuttavia, persisteva il dubbio se tale conclusione fosse giusta e potesse spiegare tutto ciò che sconcertava l’uomo, e l’intuizione fornì la risposta: “Quello è corretto, è la con-clusione esatta. Tu sei Quello.” Non esiste un Tu separato e distinto da ‘Quello’: entrambi sono Uno. Ecco la Verità che fu rivelata! [2] I Veda sono divisi in tre sezioni (kāṇḍa): quella che riguarda l’azione, karma kāṇḍa; quella che riguarda il culto, upāsana kāṇḍa; quella che riguarda la conoscenza spirituale, jñāna kāṇḍa. Ovvia-mente tat (Quello), del quale tvam (tu cioè l’individuo) è una proie-zione, è indescrivibile e irraggiungibile mediante l’azione, il senti-mento e la ragione. Tuttavia le tre sezioni suddette preparano la via alla suprema rea-lizzazione della Realtà. Ad esempio, la sezione dedicata all’azione purifica citta1, i livelli della coscienza. L’azione non può conferire un reale appagamento né la beatitudine, e anche quando se ne conse-gue un po’, è di breve durata. Tali stati non possono perdurare per-ché in tutti i mondi non vi è nulla di permanente. Come possono, quindi, cose o circostanze temporanee conferire un piacere durevo-le? Dunque, chi si dedica alla via dell’azione pensando di poter ot-tenere una felicità duratura non fa che inseguire un’illusione. [3] Vi sono quattro tipi di azioni: la produzione, l’acquisizione, la trasformazione e il perfezionamento. Prendiamo il primo tipo, la
produzione. Prima della semina, la terra deve essere arata, livellata e concimata, poi le giovani pianticelle devono essere protette e irri-gate, e solo dopo aver fatto tutto ciò si può mietere il grano. Il rac-colto, però, non può donare contentezza e gioia durature. Il secondo tipo è l’acquisizione. Attraverso un retto o scorretto uti-lizzo dello stato sociale, della posizione, dell’autorità, delle ricchez-ze, e mediante le proprie capacità fisiche e intellettuali, l’individuo cerca di acquisire cose che spera soddisfino i suoi desideri; tuttavia anche i beni così ottenuti non conferiscono una felicità durevole. Durante il processo di acquisizione, mentre protegge quello che ha ottenuto e lo consuma, l’individuo deve sottostare a uno sforzo do-loroso ed essere sempre vigile. L’acquisizione, dunque, è carica di difficoltà e ha solo un valore temporaneo. Il terzo tipo è la trasformazione. Si può prendere come esempio la trasformazione del latte in yogurt, oppure di un pezzo di ferro in un coltello o in una scure: anche queste cose non durano a lungo, ma sono destinate a disintegrarsi col tempo. Il quarto tipo è il perfezionamento, la rimozione degli scarti e dello sporco. Quando volete celebrare una ricorrenza sacra, ridipingete le porte e le finestre, lavate i pavimenti, lucidate i pomi delle porte e così via, rendendo la vostra casa linda e brillante. Anche togliere la polvere dagli specchi, fare il bagno quotidiano e lavare i panni fan-no parte del processo di raffinamento. Allo stesso modo dovete pu-rificare anche la mente. Come gli oggetti non restano puliti a lungo, così anche la mente deve essere sottoposta ripetutamente a un pro-cesso di pulizia. [4] In conclusione, la gioia e il piacere conseguiti attraverso l’azione (karma) sono solo temporanei, ciò nonostante non si può e non si deve desistere dall’azione. Come ci si deve comportare allora? L’individuo deve coltivare il distacco, e non desiderare i risultati delle sue azioni. Per guadagnare meriti permanenti, e non solo momen-tanei, deve considerare l’azione come uno yajña, un rito sacrificale officiato per la gloria del Signore, anziché un atto eseguito con fini egoistici. In verità, l’azione non motivata dal desiderio per i suoi frutti, vale a dire il niṣkāma karma2 menzionato nella Bhagavad Gītā, è il sacrificio più vero; inoltre, il karma compiuto con quello spirito non sarà cau-sa di avidità né di dolore, bensì conferirà un senso di appagamento per aver compiuto il proprio dovere. Il karma si può suddividere in due categorie: secolare e scritturale. Il karma scritturale, a sua volta, comprende tre tipi. Il primo è śruti che si basa sulla ‘Conoscenza Rivelata’ dei Veda, in conformità con le ingiunzioni vediche. Al secondo tipo appartengono i rituali e le cerimonie prescritte nei codici morali, o smṛti, di Manu, Parāsara e altri, che prescrivono riti funebri per i defunti, rituali d’iniziazione e le cerimonie che accom-pagnano le preghiere quotidiane. Infine ci sono gli atti rituali rac-comandati dai purāṇa, quali i digiuni, i voti, i pellegrinaggi e l’ado-razione di immagini sacre. Attraverso i riti vedici, quali i sacrifici propiziatori, l’uomo può guadagnarsi il paradiso, anche se i Veda stessi dichiarano che l’in-dividuo può rimanere in Paradiso solo finché perdurano i meriti acquisiti; una volta esauriti, egli deve tornare nuovamente sulla ter-ra. Vedete quindi che anche il paradiso è solo un lusso transitorio.
Anche chi ha ottenuto la maggioranza dei voti può diventare un membro dell’Assemblea Legislativa per cinque anni ma, al termine di quel periodo, deve lasciare la carica e tornarsene a casa. Analo-gamente, anche chi entra nel paradiso dovrà andarsene quando il suo deposito di meriti si è esaurito, perciò persino i rituali che si ba-sano sull’autorità vedica non conferiscono una felicità permanente.Anche le cerimonie prescritte dai codici morali hanno un potere li-mitato. I Veda vi possono condurre solo in prossimità dell’Onnipo-tente, infatti asseriscono: “L’Immortalità non può essere conseguita attraverso l’azione, né tramite la progenie o la ricchezza, ma solo con il sacrificio e la ri-nuncia.” Pertanto, è la rinuncia (tyāga) il mezzo per ottenere la beatitudine eterna. Le azioni possono solo pulire la mente, liberandola dal sen-so dell’ego e dalle bramosie dei sensi. [5] Considerate la parola ‘nara’ che significa uomo. La seconda sil-laba, ‘ra’ vuol dire declino, decadimento, distruzione, morte; ‘na’ significa senza. Dunque, l’uomo o nara non è perituro, bensì è im-mortale come Dio, poiché egli è Dio stesso. È deplorevole che l’individuo cada nell’inganno e creda di essere la struttura fisica che decade e muore giorno dopo giorno! Nara signi-fica uomo, e Nārāyaṇa è il nome di Dio. Nara simboleggia i cinque elementi che costituiscono il Cosmo, i cinque bhūta (proiezioni, ele-menti) che emanarono da Dio per dare origine all’universo. L’espressione nara-nārāyaṇa usata nelle Scritture implica che nara è in verità Nārāyaṇa, cioè che l’uomo è Dio. I paṇḍit celebrano questo sacrificio, recitando mantra e inni, per pro-piziare il Veda puruṣa, la Persona Divina glorificata dai Veda, ovvero la Divinità che presiede al sacrificio, che è Nārāyaṇa stesso.
I Veda asseriscono:
antarbahiśca tatsarvaṁ vyāpya nārāyaṇa sthitaḥ
Tutto è pervaso sia all’interno sia all’esterno dall’eterno Essere Divino, Nārāyaṇa.
(Nārāyaṇa sūktaṁ)
[6] Una volta, durante una conferenza, Gandhi proclamò la suddet-ta verità. In quell’occasione, un tale che proveniva da Colombo e si trovava a Londra per la conferenza, gli domandò improvvisamente: “Dov’è Dio?” Gandhi rispose: “Dio è quel misterioso Potere dal quale hanno avuto origine i mondi che mi circondano e per mezzo del quale si disintegrano, che è la base sulla quale l’intera creazione poggia e opera.” Questo Potere è così misterioso che i Veda affermano: “Le parole che cercano di descriverlo ritornano sconfitte, e neppure la mente con tutta la sua abilità immaginativa è in grado di concepirlo.” An-che la Gītā dichiara: “Tutte le cose emergono da Lui, esistono in Lui e si fondono in Lui.” Ora, c’è un punto che va chiarito: solitamente, le cose che non sono definibili e descrivibili vengono respinte e considerate false, mentre sono accettate come vere solo quelle percepite dai sensi. Voi affer-mate di avere una mente, ma l’avete mai vista? E la gioia e la beati-tudine hanno forse una forma? Esse si basano sull’esperienza e non sui sensi. Dio non è visibile con gli occhi fisici, ma è possibile veder-lo se si acquisisce l’occhio di jñāna, della saggezza, della conoscenza pura e illuminata. Non potete vedere la vostra immagine senza uno specchio che la rifletta; come potete, dunque, vedere la vostra Realtà senza lo spec-chio della conoscenza? Se desiderate vedere l’ātma in voi, guardate in uno specchio, lo specchio della saggezza e conoscenza spirituale.
La disciplina è essenziale per percorrere qualsiasi strada, per otte-nere un conseguimento e qualunque trasformazione. Chi discute, obietta e nega senza aver imboccato la via appropriata, non fa che palesare la sua stupidità. Il Divino è onnipresente, ma può essere riconosciuto solo da chi ha trasformato sé stesso attraverso l’Amore puro. L’Amore include, l’Amore non esclude mai. [7] Secondo l’inno vedico puruṣa sūktaṁ3, la Divinità Onnipresente possiede ‘mille teste, mille occhi, mille piedi.’ Questo significa che la rifulgente Persona Cosmica, Dio, il viśva virāṭ4, è l’individuo mol-tiplicato per l’infinità, mentre la mente individuale moltiplicata per l’infinità diventa la Mente Cosmica, Hiraṇyagarbha5, ovvero la Consapevolezza Universale. L’amore espande l’io all’infinito; l’io si trasforma e si fonde in noi e in loro, in amici e nemici, conosciuti e sconosciuti, di tutti i Paesi, di ogni razza e credo, così tutti divengono l’Uno, il viśva virāt.
Imboccare e perseguire questa via che scarta la visione egoista e ri-stretta è vera devozione. Sviluppate sempre più quell’amore in con-tinua espansione, e impegnatevi nell’azione come mezzo per adora-re Dio, accettandone le conseguenze con calma e contentezza. Grazie alle vostre capacità e alla vostra forza, sforzatevi di apporta-re il vostro contributo alla pace e alla prosperità della società nella quale vivete. Ecco il Mio messaggio! Vi benedico affinché possiate avere successo in questa grande impresa spirituale.
Praśānti Nilayam, 2.10.1981