19 Novembre 1981 – Il servizio come disciplina

19 Novembre 1981 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il servizio come disciplina

[1] La società è l’unione di più persone; la collaborazione motivata dalla spontaneità e dalla purezza di intenti è la caratteristica che contraddistingue il servizio altruistico. Il sevā ha due requisiti basi-lari: la compassione e la disposizione al sacrificio. La storia dimostra che l’uomo, in tutti i Paesi e in ogni età, è un animale sociale: nasce nella società, cresce nella società e grazie ad essa, e nella società termina la sua vita. Il modo di cantare e parlare, i doveri e i divertimenti sono determinati dalla società. Per l’uomo, la società è come l’acqua per il pesce: se la società lo espelle o lo ri-fiuta, non può sopravvivere. La società, oppure un gruppo ben integrato, può ottenere quello che per un singolo individuo sarebbe impossibile. Se un uomo cammi-nasse da solo, dopo cinque miglia si sentirebbe stanco e depresso, ma in compagnia le cinque miglia gli sembrerebbero una scampa-gnata e arriverebbe alla meta fresco e pieno di vigore. Tra gli animali la vita sociale contribuisce ad aumentare la felicità e rende più efficaci gli sforzi comuni; quando agiscono in gruppo, es-si sono in grado di difendersi meglio dai nemici, di procurarsi cibo e riparo e di compiere lunghe migrazioni. Persino le formiche hanno imparato quali immensi benefici derivino dall’attività di gruppo e dall’organizzazione sociale; anche le scimmie vivono in branchi per rendere la loro vita più sicura e più piacevole. Vi garantisco che nulla è impossibile a una società ben organizzata. Persino la liberazione dai legami materiali può essere ottenuta ser-vendo la società e favorendone il progresso. Qualsiasi obiettivo può essere raggiunto grazie allo spirito d’unità e sacrificio e alla dolcez-za della compassione. L’Organizzazione Sathya Sai, dunque, deve procedere nel servizio sociale con grande entusiasmo. [2] La prima lezione sul sevā deve essere appresa nell’ambito fami-liare. Nella piccola e unita cerchia familiare, composta da padre, madre, sorelle e fratelli, è necessario impegnarsi in un servizio amo-revole per prepararsi a un servizio ben più ampio da svolgere al-l’esterno. Il carattere di ciascun membro determina la pace e la pro-sperità della famiglia, e il carattere di ogni famiglia è il fattore basi-lare che determina la felicità della comunità. A sua volta, il progresso della nazione si basa sulla forza e sulla feli-cità delle comunità che la compongono. Pertanto, per il benessere del Paese e del mondo intero, lo spirito di servizio, l’entusiasmo, la creatività costruttiva, le motivazioni pulite e la sollecitudine altrui-sta sono i requisiti di cui il Paese ha urgente bisogno. Nel fare servizio prendete esempio da Hanumān1, il quale servì Rāma, il Principe della Rettitudine, nonostante gli innumerevoli ostacoli; benché Hanumān fosse forte, erudito e virtuoso, non aveva in sé alcuna traccia di orgoglio. Dopo essere entrato audacemente nella città di Laṅkā, i demoni che vi abitavano gli chiesero chi fosse, e Hanumān rispose umilmente di essere il servo di Rāma. Ecco un bell’esempio di come il sevā dovrebbe sradicare l’ego. Ma nessuno può rendere servizio se il suo ego è ancora predominante. La tenden-za ad aiutare e a servire in modo disinteressato sviluppa le qualità umane, contribuendo a manifestare la Divinità latente nell’uomo. [3] Kṛṣṇa era conosciuto come l’Onnipotente, l’Onnisciente, Colui che in sé tutto racchiude, ma il Suo entusiasmo a servire lo spinse ad avvicinare Dharmarāja, il più anziano dei fratelli Pāṇḍava; alla vigilia del grandioso rito sacrificale rājasūya2, Kṛṣṇa si offrì di fare un servizio di qualsiasi genere e suggerì a Dharmarāja di affidargli il compito di pulire la sala da pranzo, dopo che gli ospiti avevano preso parte al banchetto! Kṛṣṇa amava sia la pulizia esteriore sia quella interiore: abiti puliti e una mente pulita sono la combinazio-ne ideale. Durante la battaglia del kurukṣetra che costituisce il culmine del Mahābhārata, per tutto il giorno Kṛṣṇa svolgeva la mansione di au-riga di Arjuna sul campo di battaglia, e quando l’oscurità determi-nava la sospensione del combattimento, portava i cavalli al fiume e applicava dei balsami lenitivi sulle loro ferite provocate dalla dura lotta di quel giorno; quindi aggiustava le redini e la bardatura e preparava il carro per il giorno successivo. Il Signore dà l’esempio affinché i devoti lo seguano. Egli insegna che il servizio reso a qualunque essere vivente è offerto a Lui stesso, e lo accetta con grande gioia. Il servizio reso agli animali e all’uomo è una disciplina spirituale lodevole. I membri dell’Organizzazione Sathya Sai Sevā devono prendere parte ad attività di servizio come mantenere pulito l’ambiente in cui vivono, aiutare le persone che vi abitano e visitare i degenti negli ospedali. Molti svolgono tali attivi-tà come servizio sociale e non come disciplina spirituale, fatta con il cuore. Il vero spirito della disciplina viene così a mancare. [4] Grazie alla disciplina del servizio, Hanumān realizzò l’identità con Rāma, così come i fiumi raggiungono l’identità con l’oceano nel confluirvi. Anche Arjuna considerava ogni suo atto una disci-plina spirituale volta a ottenere la grazia di Kṛṣṇa; infatti il Signore gli aveva ordinato di continuare a combattere, tenendo sempre la mente concentrata su di Lui.

tasmāt sarveṣu kāleṣu mām anusmara yudhya ca |mayy arpitamanobuddhir mām evai ’ṣyasy asaṁśayaḥ ||

Per questo, in ogni momento ricordati di me e combatti.Se avrai la mente e l’intelletto fissi su di me senza dubbio a me verrai. (Bhagavad Gītā 8.7)

Anche voi dovete sempre ricordarvi di Dio affinché vi indichi la via, sia che stiate servendo gli ammalati in ospedale o ripulendo un tombino in un mercato. Questo è vero tapas (austerità) ed è la forma di disciplina spirituale più nobile. L’offerta di un sincero atto di ser-vizio attira la grazia del Signore più che ascoltare cento conferenze o tenerne altrettante. Il corpo deve essere usato per servire gli altri, e compiere l’azione è il suo scopo principale. Kṛṣṇa ha proclamato: “Io non ho bisogno di lavorare, ma lavoro per attivare il mondo.”

Conseguirete più beatitudine servendo gli altri di quanta ne otterre-ste servendo unicamente voi stessi. Aiutate con tutto il cuore chi è nel bisogno, e sperimenterete la bea-titudine che ne deriva. Non è necessario compiere grandi gesti, può trattarsi anche di una piccola azione che passa inosservata fatta per compiacere il Dio che è in voi e in colui che ne trae beneficio. [5] Oggi c’è necessità di individui che trovino piacere nel lavoro al-truistico, ma persone del genere sono rare. Voi che appartenete al-l’Organizzazione Sathya Sai Sevā dovete diventare dei volontari an-siosi di aiutare chi è nel bisogno. Quando un volontario diventa un leader, il mondo prospera. Solo l’individuo che prima è stato servi-tore ha le credenziali per diventare capo. Certo, bisogna eliminare completamente l’ego, perché anche solo una piccola traccia di ego porterà alla rovina. Per quanto a lungo meditiate, per quanto costante sia la vostra preghiera, anche una so-la piccola traccia di ego renderà sterili le vostre pratiche. I bhajan cantati con orgoglio egoistico suoneranno sgradevoli come il grac-chiare delle cornacchie. Evitate attentamente che l’ego guasti anche solo in piccola misura la vostra disciplina spirituale. Voi conoscete la storia del saggio Viśvāmitra3 che, dopo anni di du-re penitenze, ottenne persino il potere di creare a suo piacimento un altro paradiso. Il suo ego lo aveva reso intensamente sanguigno e iracondo, tanto che fu chiamato rāja yogi, ovvero saggio rajasico. Egli era geloso del Saggio Vasiṣṭha4, venerato come brahmaṛṣi, e voleva quel titolo per sé e ciò lo rese ancora più passionale; così quanto più sfrenato era il suo desiderio, tanto più avvampavano le fiamme del suo ego. [6] Per sradicare dalla mente questa caratteristica malvagia, l’Orga-nizzazione Sathya Sai si è prefissa la disciplina del servizio. Il servi-zio aiuta a eliminare l’ego, perciò non ascoltate quello che gli altri possono dire di voi quando vi impegnate nel servizio. Se fate delle buone azioni, perché esitare, vergognarsi o temere? Fate in modo che la compassione e il sacrificio siano i vostri occhi, l’altruismo sia il respiro, l’amore sia la vostra lingua e che la pace risuoni nelle vo-stre orecchie: sono questi i cinque elementi vitali sui quali dovete fondare la vostra esistenza. Dio non vi domanderà quando e dove avete praticato il servizio, ma qual è la motivazione che vi ha spinto a farlo. Voi potete anche ‘pesare e misurare’ il servizio svolto e vantarvi della sua quantità, ma Dio vuole la qualità, la qualità del cuore, la purezza della mente e la santità della motivazione. Come volontari del sevā dal5 è da dieci o dodici anni che lavorate in molti campi, non siete principianti e sapete cosa vuol dire impron-tare la vita al servizio; tuttavia, poiché siete esseri umani, la vostra mente è offuscata da veli e nebbie, è infestata da erbacce e vermi, mentre il dubbio e la paura disturbano il vostro lavoro: fate quindi attenzione al loro assalto. Lottate giorno dopo giorno, fedeli agli ideali che vi siete posti per migliorare il servizio che svolgete e per renderlo sempre puro, altruistico e sacro. Oggi e domani, persone con anni di esperienza alle spalle vi diran-no in che modo potrete rendere il vostro operato più benefico per offrirlo a un maggior numero di persone meritevoli, e su questi ar-gomenti potrete tenere anche delle discussioni di gruppo. Consulta-tevi in modo proficuo e formulate delle proposte per migliorare i vostri progetti. In seguito risolverò ogni dubbio che possa sorgere e vi darò consigli non solo circa il servizio da fare qui e ora, ma anche come ottenere la pace e la felicità per sempre. Converserò con voi e, attraverso la Mia benedizione, vi ricompenserò colmandovi di beatitudine.

Conferenza dei Volontari sevā dal, 9.11.1981