17 Luglio 1981 – L’universo è il Maestro

17 Luglio 1981

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L’universo è il Maestro

īśāvāsyam idaṁ sarvaṁ
Dio pervade l’intero universo
(Īśāvāsya upaniṣad)

Tutto questo è permeato dal Divino. Tutto è pregno di Dio, colmo di Dio. Ogni cosa è la sostanza di Dio.[1] Voi siete sulla Terra e attorno a essa ruota la Luna: entrambe so-no illuminate dal Sole. Da quest’ultimo dipendono anche altri pia-neti, quali Mercurio, Venere, Marte, Giove, Urano, Nettuno, Plutone e Saturno, che diligentemente si muovono a velocità diverse lungo le loro orbite prestabilite; anche i loro satelliti appartengono alla famiglia solare. Quando di notte alzate gli occhi al cielo, potete vedere innumerevo-li stelle e scorgere molti gruppi stellari nella Via Lattea. Nello spazio ci sono centinaia di miliardi di stelle e, sia nella Via Lattea sia altro-ve, ci sono più di dieci milioni di galassie. Senza perdervi nei numeri, dovreste riflettere sul mistero, sull’unità e l’armonia di questa divina Proiezione Cosmica.
Il Sole dista circa 90 milioni di miglia dalla Terra, e il pianeta più lontano finora conosciuto, Plutone, si trova a circa 3670 milioni di miglia dal Sole; la sua rivoluzione completa attorno al Sole richiede 248 lunghi anni. Ebbene, ha forse Dio creato tutti questi corpi celesti per puro capriccio? Oppure intende, attraverso loro, impartire un insegnamento? Dio non produce mai un effetto senza una causa o uno scopo, né mai manifesta una sostanza priva di valore. La rotazione della Terra sul proprio asse, per esempio, determina l’alternarsi del giorno e della notte, mentre la sua rivoluzione attor-no al Sole causa le stagioni, la formazione delle nuvole, della piog-gia e quindi la comparsa degli esseri viventi. Dio ha voluto, magnanimamente, stabilire sulla Terra la pace e la prosperità. [2] Analizziamo ora lo scopo che si cela dietro l’alternarsi del giorno e della notte. Dopo le numerose attività svolte durante il giorno, la notte ha la funzione di consentire agli uomini e agli animali di ripo-sare e recuperare le forze. Il sonno ristora la mente e il corpo e, se non dormisse, l’individuo correrebbe il pericolo di debilitarsi. La notte ristabilisce la salute ed è un dono di Dio agli esseri umani. Se ha fede nella Compassione Divina, l’uomo riesce a comprendere i benefici che derivano persino dalle stelle e dalle galassie, dalle onde e dal mare. In realtà, il migliore insegnante è il proprio cuore, il miglior precet-tore è il tempo che ci fa risvegliare, la miglior Sacra Scrittura è il mondo, e Dio è il migliore amico dell’uomo. Dunque, non c’è biso-gno di andare alla ricerca di alcun maestro. Potete apprendere importanti lezioni da ogni essere vivente e da tutto ciò che vi circonda. Dal cane imparate la fedeltà e la gratitudine, dall’asino la pazienza e la forza d’animo, dal ragno la perseve-ranza, dalla formica la lungimiranza e dal gufo la monogamia. [3] Non si può considerare la creazione e il Creatore, la natura e Dio, come distinti e separati. Potete forse affermare che le onde so-no separate dal mare? Esse appartengono al mare, esistono grazie al mare e provengono dal mare. Anche l’uomo appartiene a Dio, esiste per Dio e proviene da Dio. La bolla nasce dall’acqua, sta nell’acqua e si scioglie nell’acqua co-me acqua. Anche il cosmo è una bolla nata dall’Assoluto, esiste nel-l’Assoluto e si fonde nell’Assoluto o paramātma. L’uomo (nara) è la bolla, Dio (Nārāyaṇa) è il mare. Riconoscete questa Verità: ‘Come è impossibile concepire una bolla senza l’acqua, così il cosmo, il mondo, non sono concepibili senza Dio.’ Le onde sorgono e s’infrangono, avanzano e recedono, ma il mare in sé non conosce tali agitazioni, il moto ondoso non lo influenza. Come conseguenza delle sue attività, l’uomo sperimenta alti e bassi, crescita e decadimento durante la sua esistenza terrena, ma la Divi-nità in lui non viene per nulla toccata. [4] L’azione può essere di tre tipi: karma1, vikarma2 e akarma3. Di que-sti tre, la non-azione (akarma) è la più sottile, in quanto non è moti-vata dall’indolenza né dal desiderio: è semplice consapevolezza, esperienza profonda, non è tamasica né rajasica. L’azione motivata dall’egoismo è rajasica, l’indolenza è tamasica, ma la non-azione è sattvica.
Anche la natura umana, che si basa sui tre tipi di azione, può essere distinta in tamasica, rajasica, sattvica. Ci sono, infatti, gli uomini-be-stia, gli uomini-umani e gli uomini-divini. Coloro che prestano at-tenzione solo ai loro fini egoistici appartengono alla prima catego-ria; non possiedono traccia di devozione né di dedizione, non fanno nulla per aiutare gli altri, non si danno pensiero della sofferenza al-trui e non sentono alcuna responsabilità verso i loro figli né verso il coniuge. Gli uomini-umani, invece, si preoccupano del benessere dei loro fi-gli e del coniuge nonché della loro piccola cerchia di amici e parenti, e spendono la vita in quell’ambito ristretto. Certo, la loro natura non è lodevole, ma c’è almeno la possibilità che la piccola scintilla d’amore che possiedono rifulga e si espanda grazie al contatto con la società e all’incontro con i Santi, o grazie ai progetti di servizio disinteressato a cui partecipano. Perciò gli uomini-umani possono elevarsi e raggiungere il livello di uomini-divini. Nella Bhagavad Gītā si afferma che gli uomini-divini sono sempre uniti a Dio, non si separano mai da Lui, lo sperimentano in tutte le cose, sempre. Essi credono che tutto quello che vedono o fanno sia in Dio e per Dio. Per elevarsi alla pienezza del suo glorioso destino, l’unica cosa che all’uomo serve è l’amore puro (prema). L’individuo non è un semplice composto di abilità e di acquisizioni; egli ha in sé il forte impulso e la capacità di procedere dalla limitata cerchia dell’io al vasto orizzonte del noi.
L’essenza dell’uomo è divina, e lo conduce da aham (io) a soham4; lo spinge ad abbandonare il minuscolo io con i suoi piccoli e meschini desideri per cercare la vastità illimitata che è Dio, la Realtà. [5] Rinunciare al piccolo io è ciò che s’intende per tyāga, che non si-gnifica fuggire da casa e dalla vita familiare per rifugiarsi nella fore-sta, bensì sublimare ogni pensiero, parola e azione offrendoli a Dio, colmando ogni attività di un proposito sacro e divino. Questa è la migliore disciplina spirituale per coltivare l’amore. L’amore dona sé stesso sempre, non chiede mai agli altri di dare; elargitelo, e in cam-bio ne sarete inondati; se cessate di condividerlo, non ve ne sarà al-tro da spartire. L’amore prospera e fiorisce con il sacrificio: entrambi sono inseparabili. La realtà fondamentale dell’uomo rifiuta l’ego e lo considera un di-fetto. Se analizzate la domanda ‘Chi sono io’ e scoprite che ogni in-dividuo è ‘io’, il vostro amore si espanderà senza limiti. In ogni caso non dovete permettere all’ego di manifestarsi poiché soffoca la sor-gente dell’amore. Dio è amore, quindi tutto ciò che Egli ha creato è saturo d’amore. Una coppa d’argento è tutta d’argento, è argento che ha acquisito una forma e un nome identificabili. Analogamente, il Cosmo ha un nome e una forma; Dio è divenuto quel Cosmo e, poiché Dio è amo-re, anche il Cosmo è amore. Da una coppa d’argento non potrete separare l’argento per renderlo un’entità distinta; allo stesso modo, Dio non può essere distinto o separato dalla Sua Creazione.
Niente è meschino o scadente, brutto o disgustoso: tutto è incante-vole. Per potervi stabilire in questa consapevolezza divina e univer-sale, dovete domare i vostri impulsi ed educare i vostri desideri. [6] Sfortunatamente, però, l’uomo perde velocemente la sua risolu-tezza nella ricerca spirituale. Imparate dal piccolo ragno ad avere un’irremovibile determinazione a ottenere il successo: a dispetto dei ripetuti insuccessi, il ragno persevera nell’arduo compito di fissare i tiranti della sua ragnatela, così da poterla realizzare ben tesa e forte. L’uomo, invece, si perde d’animo alla prima delusione, abbandona la sua fede in Dio oppure s’infuria con Lui. Una simile instabilità è forse una caratteristica della natura umana? No! Persino un cane ha una lealtà più costante. Date a un cane un boccone di cibo per due giorni consecutivi e vi servirà fedelmente a lungo. L’uomo mangia dalle mani del Signore per tutta la vita, tuttavia non ha alcuna grati-tudine nel suo cuore e si comporta peggio di un verme. Il denaro l’ha reso schiavo e lo fa vivere in modo superficiale, vuoto e artificioso, ed è un vero peccato! L’individuo deve cercare di pos-sedere solo la quantità di denaro che gli è strettamente necessaria per vivere. La quantità di ricchezza da possedere deve essere paragonata alle scarpe che se sono troppo strette fanno male, ma se sono troppo larghe ostacolano il cammino. Allo stesso modo, l’uomo deve avere solo i soldi necessari a con-durre una vita fisicamente e psicologicamente confortevole; se ne ha di più, il denaro genera orgoglio, pigrizia e disprezzo per gli al-tri. Così per inseguire il denaro, egli si abbassa a un livello bestiale. Il denaro è come il letame che, accumulato in un sol punto, inquina l’aria, ma se è distribuito sui campi vi ricompensa con un raccolto eccezionalmente abbondante. Allo stesso modo, se il denaro è speso al fine di promuovere opere buone, diffonde copiosamente la con-tentezza e la felicità. Oggi però mancano questi atti di rinuncia e i pensieri santi. Vi van-tate di essere ‘moderni’, ma il modernismo implica forse l’abban-dono della moralità e della giustizia? Oppure significa permettere ai sensi di perdere il controllo e di rincorrere ciecamente innumere-voli desideri? No! Modernismo significa auto controllo e fiducia in sé stessi. [7] Oggi ricorre la sacra festività di guru pūrṇimā5. Molti celebrano questa ricorrenza mettendo ghirlande intorno al collo del guru6 e presentandogli offerte costose, ma il vero maestro non è un precet-tore umano, bensì è la natura stessa (prakṛti), la creazione, il mondo che vi circonda. La vita deve avere un ideale, deve procedere verso la meta ed essere una marcia costante; ha come suo unico scopo quello di rendere l’uomo divino, trasformandolo dall’uomo che crede di essere, nel Divino che realmente è. Nel termine guru, la sillaba gu sta per guṇātīta, cioè colui che non è condizionato da attributi né da attitudini e ha trasceso i tre guṇa (tamas, rajas, sattva) perché non è vincolato dalle tre qualità; la silla-ba ru significa rūpa-rahita, ovvero chi non si limita a una sola forma ma pervade tutte le forme. L’universo e tutti i suoi componenti de-vono essere considerati come maestri da cui si possono apprendere molte lezioni. Qual è la prova che questi insegnamenti siano stati assimilati? La dimostrazione è il servizio incondizionato e la dolcezza della parola che rivela la Divinità nell’uomo. Una volta, Vidura7 disse a suo fra-tello Dhṛtarāṣṭra8: “Un albero abbattuto da un’ascia può ancora emettere foglie, ma un cuore ferito da una parola aspra non germo-glierà più.” L’altra prova è il duro lavoro. Un proverbio Telugu dice: “Lavora finché le tue ossa non saranno doloranti, e mangia finché non ti fa-ranno male i denti.” Oggi chiediamo cibo in continuazione perché non lavoriamo finché le ossa ci dolgono. Chi non lavora non ha al-cun diritto di consumare cibo; solo chi fatica duramente con en-trambe le mani può rivendicarne il diritto. La terza prova è la preghiera. Si può dire che preghiamo ogni gior-no, ma pregare non significa pronunciare solo delle parole. La pre-ghiera è l’ardente desiderio di risvegliare la Divinità latente nel cuore. Incarnazioni dell’Amore! [8] Un cuore senza parole è assai più prezioso di parole senza cuore. Le parole sgorgano dalla lingua come una cascata, ma sono solo schiuma. Le persone blaterano milioni di parole, ma non compiono un solo fatto. Siate esemplari nell’agire, non nel dispensare consigli! In ogni caso, il passato è passato; da domani, iniziate una nuova vi-ta! Riverite il mondo e consideratelo divino, non sottovalutatelo pensando che sia profano. yacca kiñcit jagatsarvaṁ dṛśyate śrūyate’pivā ।antarbahiśca tatsarvaṁ vyāpya nārāyaṇa sthitaḥ ॥ 5 ॥Tutto quello che in questo mondo è visto o uditoè pervaso all’interno e all’esterno dall’Essere Supremo, Nārāyaṇa. (Nārāyaṇa sūktaṁ9)La Bhagavad Gītā proclama:
oṃ tat sad iti nirdeśo brahmaṇas trividhaḥ smṛtaḥ oṃ tat sat10
Quello è l’Essere, è Verità. È stato tramandato che questaè la triplice designazione del brahman. (BG 17.23)

Tat11 è Quello, la Causa prima. Quello è il Principio Divino Assoluto, il brahman. Tvam12 (tu) è l’effetto, è l’individuo, il jīva, cioè il Sé individuale incarnato nel corpo umano. La preghiera deve fluire dall’effetto alla Causa [dall’individuo al Di-vino, ovvero da tvam a tat]. Il sé individuale deve anelare al Sé Su-premo. La preghiera deve nascere da un cuore puro, così come un bicchiere nel quale si vuol bere deve essere pulito sia fuori sia den-tro. La preghiera non deve scaturire dalla lingua come la musica che proviene da un disco. Se il canto non nasce dal profondo del cuore, se non vi coinvolge, come potrà attirare Dio verso di voi? [9] Dovete acquisire la fiducia in voi stessi, e quella fiducia vi con-durrà al sacrificio e alla realizzazione del divino Sé. Il termine ‘uomo’ indica colui che procede dallo stato del sé a quello del Sé onnicomprensivo e universale, vale a dire dall’ātma al pa-ramātma. La Natura può contribuire al successo di tale marcia fino al raggiungimento della meta, guidando e dando consigli. Il vero Maestro su cui fare affidamento è la Natura, che è satura di Dio, perché il Signore non v’insegna direttamente ma attraverso la Natura che vi circonda. Quando insegnate la sacra sillaba oṃ ai bambini, la pronunciate ad alta voce e la scrivete alla lavagna.

Dio ha scritto la sillaba oṃ su ogni minima particella della Natura, e da quella lavagna dovete apprendere le lezioni su di Lui. Dunque, non rinnegate il mondo e non condannate la Natura; non limitate il Dio dell’universo a una particolare Forma o a un Nome soltanto: amate tutti i Nomi e tutte le Forme. Se per pranzo vi servono delle lenticchie che mancano di sale, voi le mettete da parte perché siete molto attenti alla momentanea sensa-zione gustativa della lingua. Ebbene, se dovete trascorrere settanta o ottant’anni di vita sulla Terra, immaginate quanta attenzione do-vrete prestare per realizzare lo scopo della vita! La virtù è il sale della vita, e l’amore è la virtù suprema. Sviluppate l’amore condividendolo con tutti. Riverite l’universo e consideratelo il vostro Maestro. Questo è il messaggio che voglio trasmettervi nella ricorrenza di guru pūrṇimā.

Praśānti Nilayam , 17.0 7.1981