17 Febbraio 1985 – Amore, fede, umiltà

17 Febbraio 1985

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Amore, fede, umiltà

[1] Śivarātrī1 è il giorno in cui si cerca di stabilire un legame di amicizia
tra la mente e Dio; śivarātrī vi rende consapevoli che la stessa
Divinità pervade tutto ed è ovunque.
Nella nostra esperienza quotidiana ci sono numerose circostanze
che rivelano l’esistenza del Divino in ogni persona. Prendete ad
esempio un film: sullo schermo vedete fiumi in piena che sommergono
le terre circostanti; sebbene appaiono grandi inondazioni, lo
schermo non viene bagnato nemmeno da una goccia d’acqua. In
un’altra occasione, sempre sul medesimo schermo, vediamo dei
vulcani in eruzione con grandi esplosioni e lingue di fuoco; tuttavia
lo schermo non viene bruciato. Lo schermo che fa da base a tutte le
immagini non ne è minimamente colpito. Allo stesso modo, nella
vita dell’uomo il bene e il male, la gioia e il dolore, la nascita e la
morte si susseguono, vanno e vengono, ma non possono toccare
l’ātman, il Sé. Nel film della vita, lo schermo è l’ātman, è Śiva, è
Śaṅkara2, è la Divinità. Se l’individuo afferra tale Principio, sarà in
grado di comprendere, gioire e conseguire la realizzazione della sua
vita.
Śaṅkara, un altro nome di Īśvara3, si riferisce a chi è dotato di tutti i
tipi di aiśvarya (poteri). Con il termine aiśvarya non si intendono le
varie ricchezze di cui si può godere in senso materiale. Nel mondo
fenomenico ogni persona, ogni particella di materia, tutto ha in sé il
Principio di aiśvarya, che non è altro che Īśvara stesso. In altre parole,
l’intero mondo fenomenico è costituito da Īśvara, che è stato descritto
anche come śatāmātra caitanya (pura consapevolezza). Il Principio
caitanya non può essere visto direttamente, è invisibile, eterno,
permanente e pervade tutto: è aiśvarya che permea e colma il mondo
ed è la forma stessa di Īśvara.
Il Principio di Īśvara ha due aspetti: uno è saguṇa (dotato di attributi
e qualità) e sākāra (dotato di forma); l’altro è nirguṇa (privo di attributi
e qualità) e nirākāra (privo di forma). Sono diverse le forme della
Divinità che vengono visualizzate, che sono associate alla mente
e ai pensieri e rispondono alle gioie e ai dolori degli esseri umani.
Questi sono gli aspetti saguṇa e sākāra di Īśvara.
[2] Inoltre abbiamo la Trinità4, Brahmā, Viṣṇu e Maheśvara; questi
tre aspetti di Dio sono associati ai tre guṇa, ai tre attributi o qualità:
rajas (o rajoguṇa, la qualità dell’attività, irrequietezza e passione),
tamas (o tamoguṇa, la qualità dell’inerzia, ottusità e mancanza di discernimento),
e sattva (o sattvaguṇa, la qualità della bontà e purezza).
Il rajas è associato a Brahmā, il sattva a Viṣṇu e il tamas a Śiva.
L’attributo rajasico associato a Brahmā è rappresentato dal suono
‘A’. Il suono ‘U’ rappresenta la forma manifesta di Viṣṇu, e la ‘M’ è
la forma del Principio di Śiva.
Queste tre forme, che compongono la Trinità, non sono permanenti
perché tutto quello che ha una forma non può essere duraturo. Nell’adorare
il Divino dotato di attributi, la Trinità è presente in ogni
individuo come Testimone di buon auspicio. Ma c’è una sillaba che
consiste dei suoni ‘A’, ‘U’, ‘M’, che sta alla base di tutte e tre le forme
suddette, ovvero l’oṁkāra5, che è un’espressione del nirguṇa
nirākāra, il Principio divino privo di attributi e di forma.
Qualunque sia il numero delle vostre rinascite e per quanto a lungo
continuiate a venerare quelle tre forme, non riuscirete mai a liberarvi
dal ciclo delle nascite e delle morti. Se un aspirante vuole davvero
svincolarsi per sempre da quel ciclo incessante, deve venerare il
nirguṇa nirākāra, il Principio divino privo di attributi e di forma, che
è rappresentato dall’oṁkāra.
Solo quando ci libereremo dell’azione6, saremo esenti dall’inganno
che il mondo sia reale. Una volta liberi da tale inganno, ci saremo
svincolati anche dalle grinfie di māyā7, l’illusione. Solo allora potremo
essere liberati dal dolore, e alla fine saremo in grado di raggiungere
il paratattva, il divino Principio trascendente. Quest’ultimo
può essere detto anche paramātman8, il Sé Supremo che è in noi. Tuttavia
finché avremo la mente, le varie inclinazioni e le tendenze, potremo
essere definiti solo jīvātman9.
[3] Il jīvātman e il paramātman non sono due entità differenti. La caratteristica
dell’anima individuale è sprecare l’intera vita inseguendo
questioni secolari e orientando la mente verso il mondo fenomenico.
In tal modo la sua visione sarà esteriore, colma d’illusioni e di
convinzioni ingannevoli; se invece la mente è rivolta all’interno,
sarà liberata dall’illusione. Quando la mente è piena di false impressioni,
allora avremo il jīva tattva (Principio o Realtà individuale);
se invece la mente è esente da illusioni e inganni, allora è uno
con il Principio del paramātman.
Se si forma una pustola sul corpo, applicate una pomata e la ricoprite
con una benda sino alla sua guarigione. Se non applicate la
crema e non fasciate la parte con una benda, potrebbe infettarsi e in
seguito causare un grave danno. Poi è necessario ripulire la parte
con acqua, applicare nuovamente la pomata e fasciare con una benda
pulita.
Allo stesso modo, nella nostra vita, c’è questa particolare pustola
che compare sul corpo sotto forma di «io», «io», «io». Se volete veramente
curare il bubbone dell’«io», dovrete pulirlo ogni giorno con
l’acqua dell’amore, applicare l’unguento della fede e usare la benda
dell’umiltà. La benda dell’umiltà, la pomata della fede e l’acqua
dell’amore saranno in grado di curare il bubbone dell’«io».
Con l’aiuto della mente, l’uomo può elevarsi dal livello umano a
quello supremo della Divinità, ma può anche degradarsi sino a raggiungere
il livello animale e demoniaco. Se volgete la mente verso
gli oggetti materiali, essa tenderà ad acquisire una natura animale e
demoniaca. Se orientate la mente verso Dio, liberandola dal flusso
del pensiero, essa tenderà a immergersi nel nirguṇa nirākāra e sarà
liberata.
[4] La causa più importante della schiavitù è dovuta al fatto che si
concede troppa libertà alla mente. Per esempio, se un animale è le-
gato al palo con una catena, non potrà spostarsi in un altro luogo e
rovinarlo, non potrà manifestare ira o violenza né fare del male a
qualcuno; ma se è libero può girovagare nei campi, distruggere le
piante coltivate e causare danni; poi alla fine riceverà molte bastonate
per i guai commessi. Allo stesso modo, la mente deve essere
regolata da certe limitazioni. Finché l’uomo conduce una vita disciplinata
seguendo norme e regolamenti specifici, avrà una buona reputazione
e una vita felice e utile, ma se trasgredisce tali limiti finirà
per andare fuori strada.
Voi volete studiare con successo ed essere promossi con il massimo
dei voti; poi volete ottenere una buona posizione, volete sposarvi e
avere una felice vita familiare. Quindi desiderate avere dei figli e
volete che anch’essi siano intelligenti e che abbiano successo nella
vita. Non vi è limite a tali desideri, anzi continueranno a moltiplicarsi.
Il motivo di questo incessante susseguirsi di desideri è dovuto al
fatto che voi pensate di essere un semplice essere umano, ma ciò
non è sufficiente a liberarvi dalle sofferenze.
Oltre a considerarvi esseri umani, dovete porvi diverse domande:
“A quale casta appartengo? Sono una persona colta oppure no? Dove
mi trovo? Mi comporto in modo da avere l’onore di rimanere in
un luogo così sacro come Praśānti Nilayam, nell’immediata presenza
di Svāmī?” Solo se vi porrete simili domande, sarete in grado di
comportarvi come veri esseri umani. Se uno pensa d’essere solo un
uomo che abbia il diritto di soddisfare ogni suo desiderio e piacere,
si comporterà come un animale o addirittura come un demone.
Se invece pensa: ‘Appartengo alla casta dell’umanità, vivo nella sacra
terra di Bhārat (India) e sono nato in una buona famiglia; sono
una persona istruita, non un ignorante, sono qui in questo sacro
luogo a Praśānti Nilayam alla presenza di Svāmī.’ Se utilizza tali
criteri come linee-guida per tenere una retta condotta, non prenderà
una strada sbagliata.
[5] Oggi è la festività di śivarātrī; rātrī vuol dire ‘notte’, qual è il suo
significato? Notte è un altro termine per oscurità. Śiva significa ‘di
buon auspicio’. Pertanto śivarātrī indica un periodo propizio che è
insito nell’oscurità, e fa riferimento alla saggezza che esiste in mezzo
all’ignoranza. L’ignoranza e la saggezza non sono due cose differenti,
sono essenzialmente la stessa cosa; essendo in relazione con la
dualità (dvaita), sono le opposte polarità del medesimo Principio.
Lo stato che trascende sia la saggezza sia l’ignoranza è il paratattva,
il Principio assoluto trascendente. È uno stato che non è associato
ad alcuna ‘entrata’ o ‘uscita’, in cui non ci sono nascita né morte.
Finché c’è nascita per il corpo, ne deve conseguire la morte. Che cosa
nasce? È forse l’ātman? No! Solo il corpo nasce, ma voi siete
l’ātman (Sé spirituale), siete l’Entità permanente. Noi consideriamo
il corpo come qualcosa d’inerte ma, a dire il vero, non è inerte; persino
nella materia, di cui il corpo è costituito, c’è la Consapevolezza
divina.
La forma del corpo è in costante mutamento, ecco perché il mondo
fenomenico viene descritto come jagat. Nel termine jagat, ‘ja’ significa
‘nascere’, mentre ‘gat’ significa ‘morire’. Pertanto jagat significa
quello che ha nascita e morte, ovvero un processo che si ripete incessantemente.
In questo mondo, nulla è esente da nascita e morte,
sia che si tratti di un corpo, un oggetto o una cosa. Tutti subiscono
continuamente molti cambiamenti.
[6] La festività di śivarātrī è il giorno in cui si cerca di stabilire un legame
d’amicizia tra la mente e Dio. Śivarātrī vi rende consapevoli
che la medesima Divinità pervade tutto e si trova ovunque. Si dice
che Śiva dimori sul monte Kailāsa, ma dov’è il Kailāsa? Il Kailāsa è
la nostra stessa gioia, la nostra stessa beatitudine. Significa che Īśva-
ra (il Signore supremo) vive sul Kailāsa della contentezza. Se si coltiva
nella propria mente tale senso di gioia e contentezza, allora la
mente diventa il Kailāsa. Come si può ottenere la gioia? Essa sopraggiunge
quando si sviluppa la purezza, la fermezza e la sacralità.
Allora il cuore si colma di pace e di beatitudine, e il vostro cuore
diviene il Kailāsa, con Śiva insediato nel sancta sanctorum, all’interno
di quel tempio che è il vostro corpo.
A prima vista tutti sembrano essere devoti; ma gli individui rispondono
in modo differente, secondo le varie circostanze. Se una foglia
secca e una palla di ferro stanno vicine e non c’è vento, entrambe
rimarranno ferme e stabili, ma alla prima folata di vento, la foglia
secca verrà portata lontano per miglia, mentre la palla di ferro rimarrà
ferma e stabile.
Chi ha in sé vero amore e fede costante in Dio sarà simile a una palla
di ferro, salda e imperturbabile. Se invece un individuo è simile a
una foglia che vola via quando si presentano problemi e difficoltà, è
una farsa definirlo un devoto. Pertanto dovete sviluppare amore e
fede puri e stabili.
[7] Nel mondo non ci sono madri permanenti; l’unica madre permanente
è la Madre divina. Svāmī vi rammenta spesso la vostra
famiglia spirituale, dove la verità è vostro padre, l’amore è vostra
madre, la saggezza è vostro figlio, la pace è vostra figlia, la devozione
è vostro fratello, e gli yogī sono i vostri amici. Ecco i vostri veri
parenti che vi accompagneranno sempre lungo il sentiero spirituale.
Se disponete di tali relazioni e fate tesoro di queste amicizie, potrete
spezzare i legami con il mondo e sarete liberi. La luce ha valore solo
se c’è oscurità, altrimenti di per sé non ha valore. Pertanto, nei periodi
di difficoltà e dolore, evocate il Principio divino che diffonderà
luce e splendore nei momenti di oscurità.
Non è di alcuna utilità pensare a śivarātrī soltanto una volta all’anno;
dovrete pensare alla Divinità ogni minuto, ogni giorno, ogni
notte e santificare il vostro tempo, poiché in realtà il Principio del
Tempo è Śiva: voi stessi siete Śiva. Sforzatevi di comprendere e riconoscere
il śiva tattva, il Principio di Śiva, che è la vostra stessa
Realtà.

Praśānti Nilayam, 17.2.1985