15 Agosto 1985 – La vera Vittoria

15 Agosto 1985

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La vera Vittoria

La madrepatria che ha generato figli
che hanno ottenuto fama immortale in tutto il globo;
il campo di battaglia che fu teatro della lotta degli eroi
contro l’Occidente che imperava;
la terra di Bhārata che splendeva luminosa
con saggi e studiosi preziosi come gemme;
la terra felice che ha reso celebri
poeti, cantori, pensatori e maestri;
il Paese natio della bellezza e del fascino divino
che fu celebrato dai maestri di pennello e scalpello;
questa è Madre Bhārata (India) che protegge
il suo tesoro: il dharma, la rettitudine.
Studenti! Questo dovere sacrosanto è vostro!
[1] Il mondo è la manifestazione e l’espansione dei cinque elementi
fondamentali. La sua natura innata è la dualità: la causa e l’effetto.
La dualità risulta evidente dalle esperienze alternanti di gioia e dolore,
lode e biasimo, vittoria e sconfitta, profitto e perdita, che sono
le conseguenze del giusto e dell’errato in cui indugiate. Non è un
torto se scivolate in un errore, ma ripetere il medesimo sbaglio è da
condannare. Dovete trarre delle utili lezioni dall’errore commesso,
dovete pentirvene e decidere di non farlo nuovamente. La storia
dell’India dimostra quanta follia ci sia nel ripetere gli stessi errori
già commessi in precedenza. I Francesi, i Portoghesi, i Moghul e gli
Afghani hanno avvertito gli Indiani di stare ben attenti a tale aspetto.
Duplex aveva dichiarato che era riuscito a insediare il governo
francese nella allora regione del Karnataka con l’aiuto del Niẓām1;
Mir Jaffer aiutò Clue a conquistare il Bengala; Raghunatha Rao
Peshwa aiutò gli stranieri a conquistare il Mahārāṣṭra. Il dominio
straniero si stabilì in India con l’ausilio degli Indiani stessi.
Gli abitanti di un’isola lontana ben undicimila miglia furono in
grado di conquistare l’India che è sedici volte più grande e che ha
otto volte la sua popolazione, regnandovi per centonovanta anni, a
causa di un difetto fondamentale: la mancanza di unità dovuta al
sospetto reciproco, all’egoismo e alla gelosia. L’unità è forza, la discordia
porta al disastro.
[2] Quando Gandhi aveva ventiquattro anni si recò in Sud Africa su
invito della Indian Business House per occuparsi di un caso giudiziario.
In quell’occasione si rese conto di quante umiliazioni e offese
gli Indiani dovessero subire a causa dei bianchi. Ci possono essere
delle differenze tra uomo e uomo per quanto riguarda la salute,
l’educazione, la ricchezza e il carattere, ma fondamentalmente tutti
gli uomini sono uguali e devono essere trattati come tali. Ma in Sud
Africa l’ostilità razziale era la politica accettata dai governanti bianchi.
Gandhi decise di fermarsi tra gli Indiani oppressi e la popolazione
di colore nativa del Sud Africa, e ideò la strategia di satyāgraha2, ovvero
la resistenza passiva o disobbedienza civile, al fine di porre
termine allo sfruttamento del popolo. Quando il movimento diede
segni di rapido successo, il Generale Smuts invitò Gandhi a un incontro.
Gandhi gli spiegò che aveva dovuto ricorrere alla non-violenza
di satyāgraha poiché la politica disumana fatta di insulti, oltraggi
e lesioni ai danni di esseri umani dalla pelle nera doveva essere
contrastata e sradicata. Il Generale Smuts ribatté evidenziando
che milioni di Indiani, che erano esseri umani come gli altri, venivano
espulsi dai villaggi, emarginati e condannati a essere degli intoccabili.
Le parole del Generale ebbero l’effetto di un proiettile sparato
dritto al cuore di Gandhi, il quale si rese conto di non avere alcun
diritto di correggere un altro, quando egli stesso era contaminato
dallo stesso male.
[3] Così decise di ritornare in India per mettere in atto la politica di
satyāgraha, al fine di eliminare la casta degli intoccabili e altri mali
sociali, nonché per liberare la sua madrepatria dallo sfruttamento
da parte degli stranieri. Satyāgraha era il sentiero della verità e dell’amore,
dei mezzi che dovevano essere puri quanto i fini. In realtà,
chi accetta la critica di buon grado, ringraziando per le osservazioni
ricevute, è un vero essere umano. Poiché Gandhi era disposto a imparare
e aveva l’umiltà di ammettere e accettare la critica, fu in grado
di modellare la gente del suo Paese, tanto che poi venne acclamato
il Padre della nazione.
Egli considerò il proprio Paese un’unica entità e piantò il seme dell’unità
di tutte le religioni e comunità che, sotto la sua guida, crebbe
rapidamente fino a diventare un grande albero. Gandhi concepì e
organizzò un grande movimento fondato su ātmābalam (la forza del
Sé) che rafforzava l’unità e la fiducia in sé stessi. L’egoismo che
aveva dominato la nazione come un genio malefico e ne aveva minato
il progresso materiale, morale, politico e spirituale, venne soppresso
mentre il movimento era in pieno sviluppo. La gente soffrì
molto, ma la sofferenza è il preludio al successo: non ci sono rose
senza spine; prima si deve dare, poi ricevere. Com’è possibile conseguire
qualcosa di grande senza superare gli ostacoli interni ed
esterni?
[4] L’indipendenza che si celebra oggi venne infine ottenuta e proclamata
alla mezzanotte tra il 14 e il 15 agosto del 1947. Cosa vuol
dire esattamente la parola ‘indipendenza’? Significa che non siamo
più dipendenti da nessuno, che dipendiamo solo da noi stessi. Il
termine indiano per definire l’indipendenza è svatantra, che significa
‘il nostro tantra’. Il termine tantra significa il cuore (hṛdaya, hṛd),
dove yantra (macchina) è il corpo umano.
Il mantra (la formula che salva) è il respiro, e il tantra (il cuore, la
fonte della vita) è l’ātman. Pertanto svatantra significa indipendenza
da tutto eccetto l’ātman. Il Residente del cuore è solo il guru, perciò
non c’è alcuna dipendenza da altri: Egli è l’unico Signore, l’unico
Dio. Questo è lo stadio di svārājya, l’unico sovrano di sé stesso. Il
termine svārāj, comunemente usato per indicare uno stato indipendente,
implica solo l’assenza della dipendenza secolare e materiale.
Tuttavia, l’uomo può ottenere l’indipendenza solo se si libera dalla
schiavitù dei sensi che lo trascinano in avventure seducenti e allettanti.
Il conseguimento dello yoga, che comporta il controllo dei sensi,
l’espansione dell’amore e la purificazione della coscienza in modo
che la gloria di Dio vi si possa riflettere, è l’obiettivo e la meta.
[5] Nel giro di alcuni anni dovrete diventare i leader di questo Paese.
Pertanto insisto affinché sviluppiate il senso di unità, il legame di
fratellanza, nonché la consapevolezza della Divinità. Dovete sforzarvi
di raggiungere l’unità delle menti, l’unità dei cuori, e non l’associazione
temporanea con persone danarose e potenti. Come risultato,
l’unità dovrà produrre l’armonia e l’unitarietà di pensiero, parola
e azione.
L’amore per la madrepatria è positivo, ma non deve far crescere
l’odio per la patria degli altri. La vostra preghiera deve essere: ‘Possa
tutto il mondo essere felice e in pace’. Perché solo se il mondo ha
pace e prosperità, l’India potrà essere felice e in pace. E solo se l’India
sarà felice e in pace, l’Andhra Pradesh avrà pace e felicità. Allo
stesso modo, il distretto di Anantapur e Puttaparti avranno pace e
felicità solo se anche l’Andhra Pradesh avrà pace e gioia. La vostra
pace e contentezza sono legate a quelle del mondo intero.
Ogni atto di odio o di violenza da voi commesso inquinerà l’atmosfera
del mondo. Adorate tutti gli esseri viventi, tale adorazione
giungerà a Dio, poiché Egli è in ogni essere. Chiunque insultiate,
anche quell’insulto giungerà a Dio stesso. Pertanto espandete, diffondete
l’amore verso tutti, ovunque.
La bandiera è il simbolo della vittoria e della gioia dell’indipendenza,
e ogni nazione ha una sua bandiera. Tuttavia, dovete fare attenzione
a un’altra bandiera che è il simbolo di un’altra encomiabile
vittoria sui vostri istinti più bassi, sugli impulsi, sulle passioni,
emozioni e desideri: è la bandiera che andrebbe distesa su ogni cuore
umano. Se conseguirete quella vittoria, diverrete i veri eredi della
cultura bhāratīya (dell’India).

Praśānti Nilayam, 15.08.1985