13 Aprile 1981 – I veri obiettivi della vita

13 Aprile 1981

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

I veri obiettivi della vita

[1] Anche per fare un solo passo, l’uomo ha bisogno di una spinta interiore, uno scopo, uno stimolo: la sua volontà è sollecitata dal de-siderio, perciò deve sforzarsi di mirare a obiettivi più elevati e sacri. La sua mente è un fascio di desideri e, spinto qua e là dai loro im-pulsi, spreca il tempo che gli è assegnato e le capacità di cui è dota-to. Così l’uomo rende schiava la coscienza credendo di agire in modo corretto. Tuttavia, deve rendersi conto della grande importanza del tempo, e non sprecare neppure la frazione di un secondo; deve costantemen-te indagare sulla sua verità e sul dovere che ha verso sé stesso. La vita sgocciola via, goccia dopo goccia, come attraverso un vaso bucato. Il tempo incombe su ogni testa come una spada affilata pronta a infliggere il colpo letale, ma l’individuo non presta atten-zione a tale calamità sempre presente.Gli scettici dichiarano che affermazioni come ‘L’uomo è l’apice della creazione’ vanno bene solo per i libri di testo e per i pulpiti, ma in verità la vita umana è santa, sublime, sacra, sempre nuova, sempre fresca.
[2] Le upaniṣad cercano di risvegliare nell’uomo la consapevolezza di questa verità poiché egli poltrisce nell’ignoranza, racchiuso nel proprio ego e nei desideri.“Svegliatevi e adorate il sole, riconoscete la vostra Realtà alla luce dei suoi raggi!” – tale è l’appello che risuona nelle upaniṣad, ma egli è sordo a tali esortazioni.Tre desideri ardenti tengono l’uomo vincolato: egli è innamorato della ricchezza, della moglie e dei figli. Tali attaccamenti lo ostaco-lano a ogni passo e sono impedimenti al suo progresso spirituale. Ovviamente, i mezzi di sostentamento sono indispensabili per vive-re, e faticare per procurarseli è inevitabile ma, oltre un certo limite, la ricchezza contamina la mente e genera arroganza; deve piuttosto essere usata per promuovere propositi benefici, buone qualità e il benessere, per sostenere il dharma e adempiere i propri doveri nel percorrere la via divina.Se la ricchezza è utilizzata per appagare desideri effimeri non sarà mai sufficiente e l’ego scoprirà modi sempre nuovi e malvagi per guadagnare e spendere. È veramente deplorevole che tale bramosia per il denaro abbia fatto presa sul popolo di questa sacra terra in cui numerose Incarnazioni divine hanno predicato l’altruismo e il ser-vizio. La gente ignora questi grandi fari di luce che illuminano l’oscurità e rivelano la via per liberarsi dalle catene della lotta incessante, della perenne ricerca, del tormento e dell’attività ininterrotta per poi ot-tenere solo inutilità. Qual è il motivo? Perché la mente è alla guida e non l’intelletto; l’intelletto discrimina, indaga, analizza e aiuta a in-dividuare i propri doveri e responsabilità, mentre la mente segue ciecamente ogni capriccio e fantasia.
Attaccato in modo servile alle bizzarrie mentali, l’individuo salta da un posto all’altro senza riposo né pace: corre a prendere l’autobus, si precipita in ufficio, al cinema, al club o al luogo di ritrovo e non ha mai un attimo di calma o di silenzio.La pace può essere raggiunta attraverso lo sforzo spirituale, cioè i pensieri, le parole e le azioni devono essere di natura spirituale. Quello che serve oggi per risolvere i problemi del mondo non è un nuovo ordine spirituale o nuove istituzioni, ma uomini e donne dal cuore puro: solo così si potrà sollevare il Paese dal pantano in cui è sprofondato.[3] Per purificare il cuore è necessario praticare śama, equanimità, controllo della mente e delle emozioni; dama, sottomissione e man-suetudine, nonché altre discipline per tenere sotto controllo i sensi e gli organi di azione. Tali discipline possono sembrare difficili nella fase iniziale, ma qualsiasi lavoro che valga la pena fare ha un simile inconveniente. Ad esempio, se volete imparare ad andare in bicicletta, dovrete su-bire varie cadute e graffiarvi la pelle in molti punti prima di saper pedalare mantenendo bene l’equilibrio; lo stesso vale anche per guidare l’automobile che all’inizio comporta diverse difficoltà ma, una volta imparata l’arte, saprete guidare con sicurezza anche men-tre conversate con il passeggero seduto accanto a voi o sul sedile posteriore. L’auto-controllo dà potere, le limitazioni concedono grande forza, la disciplina rivela la Divinità. La gente si dispera per ottenere la feli-cità, ma è possibile raggiungerla allentando le briglie dei sensi? Si può essere felici consumando quattro pasti al giorno, possedendo automobili di lusso, o vivendo in una casa comoda e spaziosa? No! La felicità si ottiene nell’aiutare gli altri, nel rinunciare e non nel
l’accumulare. Soddisfare i sensi rende l’uomo bestiale: i sensi lo tra-scineranno nel fango e nell’infamia.Yogī è colui che concentra la mente sul Divino, non sulle questioni secolari o materiali. La Bhagavad Gītā esorta l’individuo a trasfor-marsi in uno yogī in modo permanente (satataṃ yogī*), ma egli è uno yogī (asceta) al mattino, un bhogī (gaudente) a mezzogiorno e un rogī (malato) di sera! saṁtuṣṭaḥ satataṃ yogī* yatātmā dṛḍhaniścayaḥ |mayy arpitamanobuddhir yo madbhaktaḥ sa me priyaḥContento, sempre capace di controllarsi,padrone di sé, risoluto,con la mente e l’intelletto consacrati a me,a me teneramente devoto, quello mi è caro. (BG 12.14)Oggi l’uomo vive senza alcuna fede che è la base, e senza alcun ideale che è la sovrastruttura. Dei quattro obiettivi della vita umana (puruṣārtha), il dharma deve essere la base e mokṣa, liberazione, deve essere la sovrastruttura; tut-ti hanno però dimenticato entrambi e fanno affidamento solo su artha, la ricchezza, e su kāma, il desiderio, al fine di ottenere la felici-tà e la liberazione. Ma come può l’umanità progredire senza avere fede e ideali?

Avvento di Śrī Rāma, Bangalore 13.04.1981